domenica 30 dicembre 2012

I magistrati in politica

Se c’è una categoria di comuni mortali favorita dalla sorte, è quella dei magistrati. Non tanto per il potere di vita o di morte (leggi: libertà) che dispongono sugli individui che incappano nella legge, quanto per la loro personale posizione che li pone in un gradino privilegiato rispetto a qualsiasi persona o categoria. La trasmigrazione dalla magistratura alla politica non è un fenomeno recente, ma da quando la politica è entrata in crisi, il fenomeno ha avuto un’impennata impensabile. Per un magistrato che vuole abbandonare la toga o solo momentaneamente dismetterla per entrare in politica il passo è facile. Le recenti autorevoli incursioni nel mondo politico evidenziano come questo fenomeno sia tutt’altro che trascurabile e presenti per certi versi risvolti inquietanti. La legge consente a qualsiasi cittadino che si colloca in quiescenza di continuare a lavorare e ciò per certi versi, in un momento di crisi occupazionale, se non è aberrante poco ci manca. Consentire a un cittadino- magistrato- pensionato di riciclarsi in politica, consentendogli l’elezione certa attraverso il perverso meccanismo del listino bloccato, bypassando l’esame elettorale, rappresenta oltre che un assurdo privilegio, un’autentica sconcezza democratica. Se il tale magistrato ha la fregola di politicizzarsi, lo faccia nell’ambito del volontariato, contribuendo a cambiare il Paese senza lo stimolo alquanto sospetto di un miglioramento economico che si aggiunge ai tani privilegi che l’impegno consente. Possibile che il volontariato debba essere unica prerogativa degli umili e degli oppressi che sacrificano la loro esistenza senza privilegi e prebende? Il termine “riciclaggio” ha assunto di recente valore e significato legato soprattutto al mondo dei rifiuti, inteso come “rigenerazione. Le trasmigrazioni in politica hanno esteso lo stesso termine a questo mondo, assegnandogli però un significato decisamente negativo: “ regressione”. Saro Pafumi




domenica 23 dicembre 2012

La filosofia del profitto delle Poste Italiane

Non passa giorno senza che le Poste Italiane ci riservino la chiusura di Uffici postali in zone decentrate. I siti chiusi non si contano e stavolta è toccato all’Ufficio postale di Presa. A parte il disagio per le popolazioni che abitano nelle frazioni, talvolta distanti alcuni chilometri dagli uffici postali più vicini, la filosofia delle Poste italiane sembra essere ispirata al concetto del risparmio. In un’economia sofferente la vocazione al risparmio, può avere una sua ratio, quando, però si legge il bilancio in attivo delle Poste Italiane, i conti non tornano. Basta frequentare gli uffici postali della nostra zona etnea perché lo sgomento aumenti: Uffici zeppi di persone senza neanche talvolta, il conforto di un “elimina code” che suona offesa alla dignità umana. Senza parlare che in nessun ufficio postale esistono posti a sedere, né servizi igienici, il che aumenta la sofferenza degli utenti. Quando il profitto, come in questi casi. assurge a “religione” lo sconcerto è d’obbligo Le Poste Italiane sono consapevoli dello sconcerto degli utenti, ma insistono a mantenere livelli di servizio da terzo mondo. Perché nessuna vibrata protesta, oltre al solito inutile chiacchiericcio degli utenti in coda? Per due ragioni: il pensionato da cinquecento euro al mese non ha nemmeno il fiato per protestare e chi dovrebbe servirli e/o tutelarli li considera un gregge. Logica vuole che se c'è un gregge, esistono i mandriani, ovvero coloro che, eufemisticamente, sono definiti manager. Saro Pafumi. Pubblicato su La Sicilia il 24.12.12







lunedì 17 dicembre 2012

Spot e divi strapagati

Tutte le volte che capita di vedere le promozioni pubblicitarie alla TV, nella quasi totalità dei casi esse sono affidate a personaggi famosi: attori, presentatori, calciatori, cantanti, in buona sostanza a un personaggio famoso che già guadagna di suo, al quale va aggiunta la promozione pubblicitaria: una concentrazione di ricchezza nelle mani dei soliti noti. La ratio della scelta di personaggi famosi, come testimonials di pubblicità, scaturisce presumibilmente dal presupposto che se la promozione, per esempio, di un materasso o di un caffè è affidata a un nome noto, il consumatore sarebbe più disponibile ad acquistare, attratto dalla forza persuasiva del personaggio. Ti ritrovi pertanto, come potenziale consumatore, a doverti “ sciroppare” un George Clooney che in un noto spot televisivo si limita a dire: “ Immagina, ( pausa) , puoi!". Uno sforzo recitativo, remunerato, chissà, con quanti euro. O ti ritrovi ad assistere a una nota serie televisiva, con cadenza quotidiana, che, nell’intervallo tra una recita e l’altra la stessa presentatrice ti vuole convincere ad acquistare lo stesso materasso sul quale Ella poggia le sue gentili chiappe. Personalmente nell’assistere a questi e altri spot ho un conato di rigetto, che, malauguratamente per i promotori della pubblicità, coinvolge anche il prodotto reclamizzato. Non sarebbe più democratico e meno plagiario affidare tali pubblicità a personaggi sconosciuti, magari appartenenti a organismi caritatevoli che operano nel campo della solidarietà? Utopia, ingenuità, negazione del carisma della pubblicità? Forse. Creare nel nostro modo di essere degli anticorpi contro queste iniquità è un modo di difendere se stessi e gli altri. Il problema è capirlo.


Pubblicata su La Sicilia il 16.12.12. Saro Pafumi

mercoledì 28 novembre 2012

Primarie o business day?

Se la matematica non è un’opinione 3.1 milioni di votanti per le primarie del PD moltiplicati per due euro a persona, fanno 6.2 milioni di euro. Quante cose si sarebbero potute fare con 6.20 milioni di euro? La democrazia ha certamente un costo, ma trovo fuori luogo che per votare si debba anche pagare. I partiti a quanto pare usufruiscono di finanziamenti, eufemisticamente definiti rimborsi elettorali. Non sarebbe opportuno che le primarie si facessero attingendo da questi fondi, anziché spillare due euro dalle tasche degli elettori? In questa triste vicenda dal sapore tipicamente italiano non è l’esiguità del contributo richiesto che giustifica il fine (voto), ma il fine che non dovrebbe giustificare il mezzo (contributo). Purtroppo in Italia i principi non sono assiomi, ma opinioni, suscettibili di valutazioni, oscillazioni, calcoli, interessi e quando c’è di mezzo la politica tutto è opinabile. Il rito delle primarie più che un contributo alla democrazia sembra stia diventando un business day. A parte questa considerazione di carattere politico-economico fa riflettere il concetto di democrazia al quale ci hanno abituato. In Italia per eleggere qualsiasi organo rappresentativo, dal rappresentante di classe, all’amministratore del condominio, dal segretario di un partito, al sindaco, per finire alle assemblee parlamentari tutti sono eletti attraverso il voto. Quando invece si elegge il Presidente della Repubblica che rappresenta l’intera nazione, è la Costituzione che lo prevede, è escluso il voto dei cittadini. Se tale regola poteva valere nel 1948 epoca in cui l’analfabetismo era al 13 per cento e la democrazia un fiore appena nascente, oggi l’elezione del Presidente della Repubblica “dovrebbe” essere un obbligo e un diritto sociale civico. Ma la politica storce il naso davanti a questa possibilità, perché preferisce il gioco politico al diritto del cittadino. In compenso siamo chiamati a eleggere il premier al costo di due euro a persona. Una lusinga che distoglie l’attenzione da diritti più preminenti: salute, lavoro, economia, equità, sviluppo. L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva” scriveva Gramsci e di gramigna è infestata la politica italiana. Importare non è vincere nell’affermazione dei propri diritti ma partecipare al festino gaudente degli altri. Un principio al quale l’italiano medio si è da tempo abituato.


Saro Pafumi

domenica 18 novembre 2012

Più del leader conta la politica che viene messa in atto

La decisione d’indire le primarie per la scelta del leader sia in campo provinciale regionale o nazionale, con tutto il rispetto per la democrazia, è un’autentica “farsa”. “L’esperienza Berlusconi, leader indiscusso, all’interno della sua coalizione, non ha apportato i benefici previsti, nonostante, il plebiscito di consensi ( altro che primarie!), perché ciò che conta, in concreto, è la politica che il partito o la coalizione mette in atto, a prescindere dalla figura più o meno carismatica del suo leader Lo scopo delle primarie, pertanto, non è tanto la scelta di questo o quel leader, che lascia il tempo che trova, quanto il coinvolgimento dell’elettore, al quale si consegna l’illusione di contribuire alla scelta o al cambiamento di qualcuno o di qualcosa. Forse per capire l’epoca in cui viviamo, occorrerebbe fare ricorso ai dialoghi di Platone e alle metafore ivi contenute, specie quando parla di degenerazione dell’individuo che prelude alla degenerazione dello Stato, quest’ultima causata dalla corruzione del singolo, che è la condizione attuale. Se non si mette mano alla ricostruzione della coscienza individuale affetta dal virus della corruzione, la scelta di qualsiasi leader è destinata al fallimento. Perché, in definitiva, ciò che l’uomo sceglie, si chiami “leader” o più genericamente “partito”, il peccato originale è sempre lo stesso: la corruzione e quindi la degenerazione dell’individuo, ergo dello Stato. Il significato delle primarie pertanto non deve fondarsi sulla scelta di “un leader politico”, bensì sulla scelta di “un precetto politico” si chiami Tizio, Caio, Semproni o più semplicemente pinco pallino il leader scelto con le primarie. In atto i nomi presenti dei vari schieramenti non dicono nulla, perché sono le idee che mancano e i mezzi per realizzarle. Le primarie? Il tentativo democratico col quale si realizza una leadership attorno ad un precetto politico incerto, nebuloso, se non addirittura inesistente: Per dirla in termini crudi, ciò che manca, in queste primarie, è l’essenziale. Per dirla con Platone, a noi cittadini è finita come ai compagni di Ulisse che per aver mangiato i fiori di loto hanno dimenticato “il ritorno”. che è ciò che avviene quando si seppelliscono verità e valori.


Pubblicata su La Sicilia 18.11.2012. Saro Pafumi

lunedì 12 novembre 2012

Banche e credito ai poveri

Chi ha messo in giro la voce che le banche non concedono prestiti a causa della crisi economica? Entrando in banca ho letto un cartello con cui si reclamizza la concessione di un prestito di 700 euro in favore dei genitori che avessero la necessità di acquistare articoli scolastici per i propri figli dietro il rimborso di modiche rate mensili. Se la logica ha un senso, l’offerta suggerisce due riflessioni. La prima: i prestiti sono erogati, anche, se, probabilmente, sono finalizzati a promuovere il mercato ambulante dei gelati, la vendita di cocco e cappelli da sole sulle spiagge, la vendita di lupini all’ingresso delle autostrade e naturalmente, nell’interesse delle famiglie, la vendita delle penne biro e gomme da cancellare che non dovranno subire effetti recessivi. Un’autentica boccata d’ossigeno per l’economia che, aggiunta alla possibilità di costituire una SRL con un euro di capitale, qualunque attività avrà un decollo inarrestabile. Intanto consoliamoci: 700 euro sono sempre una cifra rispettabile per chi non li possiede e poi immagino sia necessario l’apertura di un conto in banca e magari la canalizzazione dello stipendio per accedere al credito, il che, da solo, fare dire alle classi più povere: “Anche noi finalmente abbiamo un conto in banca”. Il prestito di 700 euro probabilmente, per la sua restituzione, farà leva sulla dignità delle classi povere, perché se non dovesse essere onorato, le spese di recupero supererebbero la stessa sorte capitale e relativi interessi. In questo le banche, nell’esporsi al credito, dimostrano una certa dose di coraggio, sicuri che la dignità delle classi povere, tra le tante è l’unica risorsa loro rimasta. Le altre, la crisi le ha spazzate via.


Pubblicata su La Sicilia 12.11.2012 Saro Pafumi

sabato 10 novembre 2012

Io, precaria vorrei essere REX

Da La Sicilia dell’otto novembre 2012 pagina 27




la storia

E’ uno sfogo pieno di rabbia, d’accordo. La rabbia di chi è stata calpestata dalla vita in tanti modi. Ma è soprattutto la voce di chi, nonostante tutto, tenta di rialzarsi, ma viene messo a terra, ancora una volta, dal sistema. Un sistema che sforna precari e rende precari a vita. Stroncando sul nascere le legittime aspirazioni di tanti giovani. Al punto da preferire – come la nostra lettrice -- essere un cane.



“Vorrei chiamarmi REX, come il pastore tedesco della serie televisiva, anche se non ho quattro zampe. Qualcuno, a posto di mia madre che mi abbandonò ancora in fasce, decise di chiamarmi Claudia. Senza saperlo predisse il mio destino, perché sono zoppa, come indica l’origine del mio nome. Se avessi potuto sceglier io, avrei voluto chiamarmi: RELI’, diminutivo di relitta, ma questo appartiene al passato. Oggi invece vorrei chiamarmi REX, come il cane appunto e vivere la sua stessa vita, mentre mi tocca di vivere quella di precaria con 400 euro al mese. Non conosco cosa siano il Natale e le altre feste comandate, non perché mi manca la fede, ma perché non ho amici o parenti con cui festeggiare. Vorrei chiamarmi REX, perché anch’io come REX adoro i panini con i Wurstel, un lusso che non posso permettermi. Un cane, a volte, ha più privilegi di una povera precaria, imbarazzata persino di mostrarsi in pubblico affagottata. Anch’io vorrei poter vivere come REX, ma a me precaria, questa sorte è negata. Non aspiro come REX, che nel settembre del 2006 impalmò la sua LADY, un matrimonio da favola con tanto di sindaco, ricevimento e torta nuziale. A me basterebbe un semplice rinfresco e un Claudio non importa se anch’egli zoppo e precario, purché realizzi il mio sogno di maternità. Ma sono precaria. Qualcuno mi ha spiegato che il termine precario deriva dalla voce latina “prece” che significa preghiera, con la quale i contadini questuavano alla nobiltà la terra da coltivare. Un bel salto all’indietro non c’è che dire per noi precari. Anch’io oggi ho la mia “prece” da fare: Sognare di chiamarmi REX, avere un bel manto fulvo, quattro zampe e lasciare alle ortiche il mio stato di precaria”.

Lettera firmata



domenica 28 ottobre 2012

Corrispondenza da Linguaglossa: Piano Provenzana, 10 anni d'immobilismo

Corrispondenza da Linguaglossa: Piano Provenzana, 10 anni d'immobilismo: Prima di scrivere, in occasione del decennale della distruzione di Piano Provenzana (27 ottobre 2002- 27ottobre 2012), questa lettera a Lo d...

Piano Provenzana, 10 anni d'immobilismo

Prima di scrivere, in occasione del decennale della distruzione di Piano Provenzana (27 ottobre 2002- 27ottobre 2012), questa lettera a Lo dico a La Sicilia”, mi sono chiesto se fosse il caso, perché di Piano Provenzana, in questi lunghi anni, si è parlato e scritto abbastanza, senza, purtroppo, venire a capo della situazione. Mi riferisco alla ricostruzione delle infrastrutture che dovrebbero fare da cornice agli impianti scioviari che, con notevoli sforzi finanziari, sono già una realtà. Una realtà monca, però, certamente non sufficiente a riportare il comprensorio agli antichi splendori. Dopo dieci anni d’immobilismo e d’incertezze, credo sia giunto il momento che l’amministrazione comunale faccia conoscere alla cittadinanza il programma dell’intera ricostruzione (alberghi e ristoranti). In questa legittima richiesta non c’è alcuna vena polemica su eventuali responsabilità e ritardi. C’’è, invece, nella cittadinanza linguaglossese, il legittimo desiderio di “conoscere”, perché ciascun cittadino ha il diritto di programmare il proprio futuro che in massima parte dipende dal decollo del polo turistico Etna Nord al quale la storia di Linguaglossa, da quella economica, a quella sportiva, da quella turistica a quella politica è profondamente legata. Dopo dieci lunghi anni Il timore che l’attuale situazione di stallo permanga è diffuso e fondato. Il ritardo è sintomo di difficoltà e non farne conoscere le ragioni non giova alla cittadinanza, né al potere. Il protrarsi infruttuoso del tempo, poi, induce al pessimismo, In primo luogo perché il tempo perduto ha generato una naturale, inevitabile lievitazione dei prezzi della ricostruzione, aggravata dalla sopraggiunta crisi economica che scoraggia alcun investimento in materia. Così stando le cose c’è il fondato timore che trascorra invano un altro decennio, un lusso che Linguaglossa non può permettersi, vuoi perché Linguaglossa in questi anni ha fatto molti passi indietro, rispetto alla sua storia, vuoi perché eventuali, altri ritardi finiranno col fare precipitare l’intero paese in un baratro, anche se con un piede vi è già dentro. In democrazia porsi delle domande è un diritto, informare un dovere. Sempreché questa antica forma egualitaria e partecipativa di governo abbia ancora un senso.


Pubblicata su La Sicilia il 28.10.12 Saro Pafumi

martedì 16 ottobre 2012

Il " merito" di Monti

Se c’è un merito che va riconosciuto a Monti, oltre all’indubbio prestigio acquisito in campo internazionale, è la comprovata velocità e puntualità con le quali fa piovere le tasse a casa. Ciò dimostra, da quando egli è al governo, che se lo Stato vuole sa risolvere in suo favore con solerzia, efficienza e celerità la soluzione dei problemi che l’assillano. Se in Italia i diritti dei cittadini fossero riconosciuti con la stessa celerità, se il 118 arrivasse con la medesima puntualità, se un esame diagnostico fosse eseguito con tempestività, se una pratica amministrativa godesse della stessa corsia preferenziale consentita alla fiscalità, potremo affermare di vivere nel paradiso terrestre. Al contrario la vita dei cittadini è contrassegnata da attese, rinvii, intralci, lungaggini. Il diritto è concepito come una concessione, la domanda una richiesta di grazia, il disbrigo di una pratica, un favore preceduto o seguito da un dovuto omaggio. Questa palese disuguaglianza comportamentale e temporale tra Stato e cittadino genera in quest’ultimo una giustificata intolleranza verso ciò che concerne lo Stato e assimilati. Si nota quotidianamente nei comportamenti dei cittadini rivolti all’indisciplina, all’intolleranza, come manifestazione di rivincita contro le vessazioni subite con quotidiana puntualità. La rivincita, infatti, non è altro che il tentativo del perdente, dello sconfitto, del vessato di ripristinate l’equilibrio perduto o negato, la voglia di “rifarsi”. E in questo naturale legittimo tentativo l’uomo mette in atto tutte le condizioni, lecite e illecite, rivolte a fargli riconquistare ciò che palesemente, ingiustamente, gli è negato. Piaccia o non piaccia, questo è lo stile di vita degli italiani e lo Stato con la sua condotta contribuisce a rafforzarlo.


Pubblicata su La Sicilia 17.10.12. Saro Pafumi

lunedì 1 ottobre 2012

La famiglia disintegrata

Nell’ultimo scorcio di secolo abbiamo assistito alla totale disintegrazione della famiglia, intesa nel senso antropologico dell’espressione. Quel nucleo compatto, affettivo e solidale qual’ era in epoche passate è andato via via sgretolandosi fino a diventare un raggruppamento di persone tra loro slegate, viventi sotto lo stesso tetto, dove l’individualità egoistica del singolo ha prevalso sul vincolo affettivo di gruppo. La modernità ha introdotto questo virus degenerativo col risultato che la famiglia da gruppo omogeneo, quel’ era fino a poco tempo fa, si è trasformata in associazione puramente economica. La sottrazione del tempo da vivere in famiglia, imputabile a varie ragioni (studio, lavoro, svago, distrazioni, tv.), è la causa principale di quest’effetto degenerativo. I ruoli che un tempo erano efficacemente esercitati all’interno della famiglia dai genitori sono andati sempre più affievolendosi, fino a delegare alla società esterna (scuola in primo luogo) il proprio naturale compito educativo e di orientamento civico. Quella che una volta era intesa e percepita come autorità genitoriale ha lasciato il posto a un autonomo spirito individualistico, in cui ciascuno, all’interno del proprio nucleo, forma un’entità a sé stante, slegata dal contesto familiare. Si è passati da una famiglia patriarcale in cui, per dirla in termini anagrafici, la famiglia era indicata, agli inizi dell’ottocento, con il solo cognome del capo famiglia (il resto dei componenti era un numero) a quella di oggi, scollato nucleo paritario. Una famiglia formata da ragazzi single, che quasi mai parlano al plurale, al cui interno ogni componente si ritaglia il proprio spazio economico e temporale, in difesa della propria autonoma identità.. Non una famiglia ma un gruppo di persone egoisticamente scollegate.


Pubblicata su La Sicilia 01.10.2012. Saro Pafumi

giovedì 27 settembre 2012

Il "bidone" spaventa-auto

Se c’è una dote che a noi italiani non difetta è la fantasia. A Piedimonte Etneo si spreca. Nel centro cittadino l’amministrazione comunale ha pensato bene di installare un autovelox, come quello in uso in tanti punti strategici della nostra amata Penisola, con la differenza che a Piedimonte Etneo è un autentico “bidone”, uno “spaventa-auto” come quei pupazzi che i contadini usano collocare nei campi di grano che nel caso specifico della cittadina pedemontana è un parallelepipedo in lamiera, rigorosamente vuoto. Le difficoltà di cassa del Comune, forse, non permettono di acquistare il prodotto originale, cosicché, in mancanza “ un bidone” è chiamato a sostituirlo. Piedimonte Etneo non è nuovo a iniziative del genere. Negli anni ‘sessanta”, un solerte “guaritore” prometteva miracoli a chi avesse acquistato una bottiglietta d’acqua dagli effetti prodigiosi che pare fosse imbottigliata in una delle numerose spontanee sorgenti d’acqua di cui il territorio è ricco. Poi, sia pure con notevole ritardo, intervennero le Autorità e l’acqua “miracolosa” riprese la sua naturale funzione di bevanda dissetante. Piedimonte Etneo non è solo nella statistica di Comuni “fantasiosi”. Si ricorda un Comune del Nord Italia che negli incroci delle strade cittadine faceva bella vista di sé la sagoma di un vigile urbano in cartapesta colorata, con tanto di paletta segna-traffico, per non parlare delle numerose invenzioni napoletane: “aria di Napoli”, “cinture per automobilisti disegnate sulle magliette” e qui mi fermo perché l’elenco è lungo. Come si vede la fantasia non manca. Importante, nel caso in esame, è il fine: moderare la velocità. Se ciò si consegue senza spese per l’erario e senza multe per l’automobilista la genialità va riconosciuta. Anzi se il CdS più che di norme rigorose si servisse di “metafore” l’automobilista ne sarebbe grato.


Pubblicato su La Sicilia 27.09.12 Saro Pafumi

lunedì 24 settembre 2012

ETNA September 2012 Drover med flokken sin

Di tanto in tano amo salire a Piano Provenzana, con il desiderio di trovare qualche novità: la sperata posa della prima pietra di un albergo. Di ritorno, anche questa volta deluso, l’incontro di una mucca, staccatasi dal resto della mandria, ostacola la strada. La visione bucolica che al Carducci ispirò sereni versi, a me, prosaico mortale, nulla infonde. Spazientito, tento d’accostarmi a essa per aprirmi un varco, ma un cupo, prolungato “muhhhhuuuu” mi dissuade dal farlo. Intanto un pullman arresta anch’esso la sua corsa. Ne discendono turisti provenienti dai nordici fiordi che fotografano la scena, me compreso. Fermo sul ciglio della strada in attesa che “il mite pio bove”, liberi il passo, immagino sulla scrivania di un esportatore di stoccafisso la foto-ricordo, su di essa scritto a mano: “ Etna- september 2012-  Drover med flokken sin” che tradotto nella nostra lingua suona: “ Etna- settembre 2012- Bovaro con la sua mandria”. Mai avrei immaginato che Piano Provenzana, autentico scrigno di tesori repressi, mi donasse il mio attimo di folcloristica celebrità come “bovaro con la sua mandria”. Perciò ritorno spesso nel mio sito del cuore, sicuro di regalarmi attimi di emozionanti novità. Saro Pafumi

domenica 23 settembre 2012

La principessa in topless

Nonostante viviamo nel secondo millennio e la libertà sessuale è pane quotidiano, continuiamo a considerare il sesso come se fossimo in pieno medio evo. C’è qualcosa che prude dentro di noi, come un impulso irrefrenabile, se questo qualcosa ci spinge a proiettare all’esterno e a condividere con altri quest’aspetto della vita. La vicenda della principessa Kate in topless induce a fare alcune riflessioni. Perché la via sessuale “degli altri” interessa così morbosamente l’opinione pubblica da far nascere settimanali ad hoc che del gossip fanno il loro stile di vita? Forse la maggiore responsabilità è da attribuire alle religioni che da sempre, al riguardo, hanno condizionato pensiero e azione. “ Le corna” diventano così materia di scambio culturale, le foto osé ripagano l’aspetto giornalistico, fino a farvi rientrare, morbosamente, un innocente topless, reso, forse, più interessante per la sua reale appartenenza. Qual è la ragione che spinge a pubblicare la foto della Kate in topless e non il seno nudo di una giovane etiope? La “rara preziosità” della prima, ritenuta più interessante rispetto alla spontanea naturalezza della seconda o piuttosto la “prezzolata” morbosità legata alla prima? Forse la differenza sta in un certo tipo di lettore, orientato al maniacale interesse alla prima immagine, totalmente indifferente alla seconda. Il risultato resta scontato: consumato il momentaneo onanismo mentale, la foto sgualcita della principessa in topless resta confinata tra i fotoromanzi ingialliti della parrucchiera di turno, per poi essere smaltita assieme al nome dell’autore dello scatto rubato nella “differenziata”.Saro Pafumi




giovedì 20 settembre 2012

Cartelli che abbagliano e incroci al buio

L’Italia è il paese degli eccessi. Se provate a viaggiare di notte sulla Messina Catania rischiate di rimanere abbagliati dai numerosi cartelli stradali che s’incontrano. La rifrazione della luce è talmente eccessiva che l’automobilista, suo malgrado, ne rimane abbagliato. Se provate a transitare, invece, nel tratto che collega l’aeroporto di Catania al centro cittadino e viceversa, è come se si giocasse a mosca cieca. Un groviglio inesplicabile d’incroci nella più assoluta oscurità. Un labirinto che è il biglietto di visita per il viaggiatore: per chi arriva, anticipa il caos primordiale che impera in città, per chi parte la liberazione dal disordine cittadino, dove nulla è semplice e tutto complicato. C’è chi spende migliaia di euro per promuovere l’immagine della propria città, Catania si affida all’ambivalenza simbolica dell’intricato labirinto stradale. Un tragitto, per il viaggiatore, di penitenza e di espiazione proteso alla salvezza: l’agognato punto di arrivo, sia esso l’aeroporto o il centro cittadino.


Pubblicata su La Sicilia 20.09.2012. Saro Pafumi

mercoledì 19 settembre 2012

Caro cassonetto......


Caro cassonetto,

ogni giorno, uscendo da casa, controllo il tuo stato di salute, perché so che oltre che un fedele servitore, sei un amico. Ricolmo, mi attendi “a bocca aperta”, perché, oggi, l’operatore ecologico è andato a protestare, ché anch’egli ha diritto di mangiare. Tu, con la pancia piena dei miei avanzi alimentari, mi avverti che talvolta esagero, ma non sbuffi, né mi rinfacci l’insolenza nel trattarti. Solo, emarginato, come un turco extracomunitario, ti tengo a debita distanza, anche se tua non è la puzza che emani. Muto e disciplinato assolvi la tua opera con dignità e non risparmi la tua generosità con famelici randagi che financo le tue vesti dilaniano con voracità. Quando, raramente, ozioso, attendi il mio passare implori un atto di pietà: una schizzata d’acqua che elimini per qualche ora ogni impurità. A volte, ti confesso, soffro nel trovarti capovolto o ammaccato, perché l’incuria umana non risparmia neanche te, soggetto inanimato. Tu che col tuo modo d’essere sei lo specchio della società, sopporti ogni ignominia, come se tua fosse la causa di tutte le nocività. Ti chiamano “ monnezza”, ma tritata, macerata, incenerita, trasformata, ci ricorda Lavoisier, potresti essere la nostra ricchezza. Saro Pafumi

giovedì 13 settembre 2012

Gli insoliti souvenirs di Piano Provenzana


Spesso molti “turisti” si connotano per la caratteristica personale di sottrarre dai luoghi di vacanza gli oggetti più vari, spesso di modico valore, come souvenir del luogo visitato. Una “ “cleptomania” molto diffusa che colpisce ricchi e poveri, giovani e adulti, tutti contrassegnati da un alto grado d’inciviltà. A Piano Provenzana succede di peggio, perché qualche turista da strapazzo ha deciso di asportare i passantini scorrevoli da dietro le porte dei bagni, di guisa che l’utente “bisognoso” necessita di un amico che come guardia del corpo sovrintende al compito di avvertire gli altri utenti che il bagno è occupato. Salvo l’alternativa, in uso nell’antica Roma, che consentiva di espletare “i bisogni” in compagnia. Condizione non del tutto disdicevole, da riproporre, perché consente di conoscere nuovi, autentici, amici, se è vero il detto che quest’ultimi si riconoscono nel momento del “bisogno” Una ragione in più e non da poco per andare a Piano Provenzana.

Pubblicata su La Sicilia il 14.09.2012. Saro Pafumi

sabato 8 settembre 2012

La crisi di Catania è antropologica


Ho seguito il dibattito su La Sicilia “Come rendere Catania più attrattiva…” dove eminenti personalità dicono la loro come prepararsi alla sfida del domani. Una personale riflessione. Esatte le diagnosi elencate e centrate le prognosi, ma il problema resta. Mi chiedo: Chi dovrà esprimere queste energie represse? Con quali mezzi economici e organizzativi? Mi avvalgo di un paragone. Compariamo Catania a un campo di calcio sul quale deve disputarsi una partita. Il campo c’è ed è ben messo, Occorre la squadra e l’allenatore. Catania come città ha il territorio da sfruttare, ma mancano i giocatori (amministratori), manca l’allenatore (schema di gioco), mancano i regolamenti (leggi, norme chiare e applicabili), ma manca soprattutto il pubblico (la collaborazione e la cultura civica dei cittadini). Per essere più chiaro: il problema non riguarda il territorio, ma gli uomini che lo compongono. La storia amministrativa passata e recente lo dimostra a chiare lettere. Questa crisi che definirei “ antropologica” non è facile da combattere, perché educare l’uomo è un’arte che presuppone tempo e maestri in grado di farlo. A Catania ci sono individualità eccellenti che quando diventano “gruppo” (amministrazione) smarriscono la loro potenzialità individuale, vuoi per colpa delle leggi (burocrazia in primis), vuoi perché portatori d’interessi egoistici o di bottega. Che fare? Formare la squadra / amministratori) dotarli di mezzi normativi adeguati e mettere in pentola le idee migliori. Come si vede da questa approssimativa disamina delle supposte cause del mancato sviluppo di Catania, il problema è umano e normativo. Le belle idee ci sono, ma come tutti i sogni muoiono all’alba, se mancano uomini, concretezza e abnegazione, a cominciare “dall’ultimo cittadino”, perché è dalla base che si costruisce la piramide. Saro Pafumi

Pubblicata su La Sicilia  08.09.2012

giovedì 6 settembre 2012

La metafora del sacchetto in fuga


Si dimena, si contorce, si agita, infine rotola per terra, come “un evaso” dal cellulare che, rotte le catene, assapora la libertà. Non gongolate di gioia se vi capita d’imbattervi in un sacco rinvenuto per strada. Non si tratta del sacco pieno di regali smarrito da una distratta befana, né di uno pieno di soldi abbandonato da un anonimo benefattore né di un pacco bomba, per cui è consigliabile avvertire gli artificieri. E’ semplicemente un sacco d’immondizia, che, rotolando dal compattatore, guidato da un operatore ecologico distratto e sonnolente, nutre la speranza di sottrarsi alla sua ingloriosa fine. Non sa “il poveretto” che l’attende un diverso, inesorabile tragico destino. Se anche un automobilista caritatevole zig-zagando riesce a risparmiarlo, un altro sopraggiunge e poi un altro ancora, una catena interminabile di auto che lo sfortunato superstite trasforma in un’irriconoscibile poltiglia spiaccicata per terra che forse si tramuterà in fertile humus o in trappola mortale per le mille bestiole fameliche che l’assaliranno. Il trasporto dell’immondizia con i compattatori è anche questo: un viaggio nell’ignoto o l’incontro ravvicinato con le auto o peggio ancora il colpo di frusta nel parabrezza di un anonimo automobilista, secondo la metafora: “Chi sputa in cielo in faccia gli ritorna”. Siamo del tutto consapevoli che la spazzatura che produciamo, se non adeguatamente trattata, non ci ritorni addosso come quel simbolico sacchetto che, rotolando dal compattatore, ci ricade addosso? Anche da un episodio così apparentemente insignificante a volte è possibile cogliere un insegnamento di vita o per lo meno un campanello d’allarme sul destino che ci aspetta se il nostro approccio con lo smaltimento dei rifiuti è contrassegnato da menefreghismo e superficialità.

Pubblicata su La Sicilia il 06.09.2012. Saro Pafumi

domenica 2 settembre 2012

Dopo la tassa sulle bollicine manca quella sulla pioggia


Il Presidente Monti ha tassato le “bollicine”, l’acqua minerale, per intenderci e tutte le atre bevande addizionate con anidride carbonica. Vuoi vedere che ragionando di questo passo ci costringe a ritornare alla mitica, antica gassosa che una volta si vendeva per strada, opportunatamente rinfrescata con ghiaccio, di consumo assai popolare e reclamizzata con uno squillo di trombetta? A rigor di legge la mitica gassosa non dovrebbe rientrare nella tassazione, perché, come si sa, la gassosa è un miscuglio di acqua, zucchero e acido citrico, resa effervescente se esposta al sole. Poiché non c’è nessuna “addizione” artificiale e l’energia solare ancora non è oggetto di incursioni fiscali, vuol dire che chi produce e fa uso di gassose non è colpito dalla tassa. Peccato che questo particolare sia sfuggito a Monti, perché anziché tassare le bollicine, per raschiare ulteriormente il barile, avrebbe dovuto tassare non solamente le bollicine, ma tutte le bevande che una volta aperte “fanno il botto”, anche se prodotto con la bocca. Speriamo che il bravo Monti si fermi e non introduca altre stramberie, come, per esempio, la tassa sulla posta elettronica, perché in questo caso saremo costretti a ricorrere al messaggero al cavallo. A proposito, quando la tassa sulla pioggia, in modo che diventi ufficiale il detto: “ Piove, Governo ladro!"

Pubblicata su La Sicilia il 31.08.2012. Saro Pafumi

Tassare il computer


L’emanazione di una legge ha di regola un iter tormentato. C’è chi la scrive, chi la corregge, chi l’approva, chi la promulga, chi la pubblica, ma prima di tutto c’è qualcuno che la pensa. Salvo determinati casi, quasi mai è noto l’ideatore, ossia il padre nobile della legge promulgata. Prendiamo come esempio la proposta di legge che vuole introdurre il canone a chi possiede un computer, una sottospecie di abbonamento Rai/TV. Come possa sguazzare in testa a qualcuno un’idea simile è incomprensibile, eppure deve esserci stato qualcuno che nelle tenebre della notte, affetto d’insonnia, dimenandosi sotto le coperte, ha avuto l’intuizione. Un’ida non nasce per caso, spesso è frutto di un’intima, travagliata elaborazione. C’è per esempio chi la notte pensa come trovare un’occupazione o guarire da una malattia, c’è chi pensa come pagare le tasse e i fornitori, c’è chi pensa come imbrogliare il prossimo e infine c’è chi pensa alla grande: come rompere “le tasche” agli italiani. Sicuramente ci vuole una buona dose di cinismo, ma soprattutto si deve trovare in condizioni economiche ottimali se è vero il detto: ” u saziu nun cridi o diunu”. Forse per questo occorre abbassare di molto il livello economico dei parlamentari: per renderli alla stregua di chi ha bisogno o di chi cerca in mille modi come sbarcare il lunario. Forse la notte dormirebbe di meno, come capita a tutti i mortali con problemi, e non avrebbe il tempo di pensare a come rendere la vita più difficile agli altri.

Pubblicato su La Sicilia il 27.08.2012. Saro Pafumi

sabato 11 agosto 2012

C'è soprattutto l'incuria all'origine degli incendi

Ogni anno centinaia di ettari di terreni vanno letteralmente in fumo. Le cause sono le più varie: il dolo in prima linea. Al di là della perfidia umana la causa principale è l’abbandono delle campagne, una volta fonte di reddito. Gli incendi oltre a devastare l’ambiente. flora e fauna in particolare, talvolta con conseguenze irreversibili, comportano spreco di energie in termini di uomini e di mezzi, le cui spese ricadono sulla collettività. Se le campagne non fossero in abbandono gli incendi non ci sarebbero, come del resto avveniva in tempi remoti. I comuni invitano i cittadini a pulire i terreni da sterpaglie e rovi per evitare il propagarsi degli incendi, ma le ordinanze rimangono inascoltate o sono prive di efficacia, giacché il proprietario del terreno lasciato incolto, tutt’al più incorre in una sanzione il cui modico importo lascia del tutto indifferenti. Una soluzione efficace potrebbe essere l’esecuzione dei lavori di pulitura in danno dei proprietari inadempienti, il che comporterebbe la soluzione di due problemi: aumenterebbe l’impiego di manodopera in agricoltura e diminuirebbe il pericolo del propagarsi degli incendi con le conseguenze ben note. Si tratterrebbe del riordino di norme già esistenti con l’introduzione di regole più efficaci e risolutive. Se non si ricorre a mezzi spiacevolmente coercitivi, il problema degli incendi estivi è destinato a rimanere irrisolto. Il problema oltreché economico, comporta anche un danno dal punto turistico, perché vedere le aree incolte arse dagli incendi non depone a favore del territorio. A volte usare la mano pesante aiuta a far crescere sia l’individuo che la società, specie se quest’ultima è distratta o assente.


Pubblicata su La Sicilia il 11.08.2012. Saro Pafumi

martedì 7 agosto 2012

Ex galeotti,preferibilmente siciliani.Inviare curriculum per recupero crediti

Sul sito on line del Corriere della Sera è apparso un annuncio di un’agenzia specializzata nel recupero crediti del seguente tenore: “ Azienda seria e referenziata cerca uomini decisi, di poche parole e prestanza, ex culturisti ex galeotti, per recupero crediti in tutta Italia. Molto apprezzate origini meridionali, calabresi o siciliane. Si offre contratto e lauti compensi. Inviare cv, necessariamente con foto intera. Astenersi perditempo.” L’annuncio era apparso per la prima volta sul sito Subito.it, in seguito rimosso. L’annuncio apparentemente “stravagante” (non è dato sapere se trattasi di un annuncio vero o di una provocazione), contiene però due elementi di verità. Sta a dimostrare la crisi della giustizia che rende oltremodo difficoltoso il recupero crediti in tempi brevi e la necessità di ricorrere a metodi alternativi, efficaci e tempestivi. L’autore dell’annuncio ha inteso individuare nelle caratteristiche somatiche di calabresi e siciliani la soluzione del problema. Qualche commentatore ha storto il naso, ignorando o facendo finta d’ignorare che tale pratica è più diffusa di quanto si creda. L’originalità, semmai, sta nel fatto che una volta tanto qualcuno, per provocazione o realmente, è uscito allo scoperto o ha inteso denunziare una prassi ormai consolidata. Chi meglio di un calabrese o siciliano può incarnare il prototipo richiesto per il recupero crediti? La TV con i suoi sceneggiati sulla mafia ha contribuito a diffondere questo tipo di realtà. Nel caso dell’annuncio si è trattato di arruolare uomini idonei alla bisogna, identificati in base alla loro origine territoriale. Non si pensi comunque che il “prototipo” richiesto con l’annuncio, minacci, “in corso d’opera” chissà quali calamità o eserciti chissà quali pressioni. Si racconta di un tizio, assai prestante, specializzato nel caso in esame, che, nel presentarsi a casa del debitore, non profferiva che poche parole. Nel commiatarsi gli bastava esercitare con la mano una certa pressione sulla spalla del debitore, così da rendergli difficoltoso il distacco dei piedi dal suolo. Un “ antipasto” di quello che sarebbe potuto accadergli. L’annuncio “incriminato” si rivolge a coloro che in certa letteratura popolare sono definiti “ omini ‘i panza”. Razzismo, provocazione, necessità? Nel praticare il bene o nel fare il male ci vuole “vocazione”. Niente di scandaloso se, a parere di qualcuno, rientriamo nel secondo paradigma. Questo tipo di croce da tempo la portiamo addosso e non facciamo nulla, letteralmente nulla per liberarcene.


Pubblicata su La Sicilia il 07.08.2012. Saro Pafumi

venerdì 3 agosto 2012

Le moderne schiavitù

Inconsapevolmente, giorno dopo giorno, conquista dopo conquista, stiamo creando un nuovo modello di schiavitù: silenziosa, subdola, pseudo appagante, ma perciò stessa perniciosa, limitativa della volontà umana. Essa si annida nel confine sempre più indistinguibile tra scienza e tecnica. Le varie invenzioni tecniche hanno avuto come obiettivo la conquista di un migliore benessere umano. Siamo certi che molte di queste invenzioni hanno centrato lo scopo o hanno originato una nuova schiavitù? L’auto, il cellulare, la TV, per fare alcuni esempi, hanno sicuramente il sapore di nuove conquiste, ma col tempo e con le abitudini distorte dal cattivo uso hanno generato una nuova forma di schiavismo che non nasce dall’imposizione di “qualcuno”, ma dal rendere indispensabile l’uso di “qualcosa”. La moderna schiavitù si è interiorizzata: nasce non più come atto impositivo di qualcuno, ma per intimo convincimento che ci rende schiavi del nostro modo d’essere, agire o pensare. E’ l’esempio distorto dell’uso dell’auto, per esempio, che, da mezzo di lavoro o di trasporto, ha finto con l’essere una protessi applicata al corpo umano; è l’esempio maniacale del cellulare o di tenere la TV accesa anche senza vederla o ascoltarla. Quando la tecnica esaurisce il suo compito di agevolare, favorire, alleviare, per invadere la sfera dell’uso parossistico, attingendo la radice del cervello, un virus letale lo comprime, lo plasma, lo condiziona, adattandolo alla nuova emergenza che, invece di assecondarlo, lo reprime, lo condiziona, lo schiavizza. In queste condizioni l’uomo finisce di essere soggetto di se stesso, per diventare schiavo delle sue abitudini, manie, ossessioni. Il che determina dipendenza che, a sua volta, genera sforzo, sacrificio pur di assicurarsi quanto è indispensabile al suo essere. In questa conquistata, novella schiavitù umana non c’è denaro che basti. E poiché la tecnica si rinnova con la velocità del fulmine, anche l’adattamento comportamentale segue lo stesso ritmo, col risultato che ogni ritardo nel conseguirlo crea disagio, delusione, infelicità. E così il desiderio diventa esigenza, l’esigenza necessità, la necessità, schiavitù. A un migliore finto benessere corrisponde un altrettanto reale disagio economico o psichico. Abbiamo rotto le catene della schiavitù vera, per soggiacere a quella della tecnica che quotidianamente ci condiziona.


Pubblicata su La Sicilia il 03.08.2012. Saro Pafumi

sabato 14 luglio 2012

Non condanniamo i nostri figli a essere vittime delle nostre stesse frustrazioni

 “ Io laureata vivo facendo la baby sitter e la barista”. S La Sicilia del 10.07.scorso ho letto questa disarmante, sconsolata dichiarazione, comune a molti giovani di oggi. Di chi la colpa? Bisognerebbe fare un’introspezione collettiva per verificare dove si annidano gli errori commessi. A partire dalla società, in primis noi genitori, vogliosi di dare ai nostri figli quello che è mancato a noi, spingendoli inconsapevolmente dentro un baratro che ha inghiottito oltre che noi, frustrati genitori, i nostri stessi figli. Quante volte abbiano pronunziato o ascoltato: “ quello che non ho potuto avere io, voglio che lo abbia mio figlio”. Un condensato di frustrazioni, illusioni, speranze, attese, che alla luce di eventi incontrollabili, sia pure prevedibili. ha finito per sciogliersi come neve al sole: il “pezzo di carta” da conquistare, sogno di molti, lasciapassare di pochi, di quei pochi che ostinatamente ci hanno creduto, perché la forza di quel “pezzo di carta” non sta nel valore legale di un titolo comunque rimediato, ma nello stimolo a conquistare un posto meritato, con forza, determinazione, impegno scommessa quotidiana, tra difficoltà, ostacoli e inganni. Assicurare, noi genitori, ai nostri figli, tra mollezze e agi, talvolta immeritati, un titolo di studio, visto come riscatto, pretesa, talvolta persino come senso di colpa, non serve a noi stessi, né ai nostri figli, perché non è con questi forvianti sentimenti che si temprano i caratteri dei giovani o si forma il loro avvenire. Se è legittima la pretesa di volere assicurare un migliore futuro ai nostri figli, talvolta sono errati i metodi per raggiungerlo. Essere premurosi e disponibili è un dovere genitoriale, ma l’accondiscendenza irresponsabile non giova o è persino deleteria. L’agognata meta (il posto, il lavoro, l’affermazione) non si conquista con le mollezze dei giorni nostri, ma con l’esempio e la sofferenza dei nostri padri. E la società che ruolo ha svolto in queste tragedie giovanili? Ha finito con l’essere un’onda marina che ha trascinato come relitti galleggianti i problemi esistenziali dei giovani, finché un’onda gigantesca, col volto mostruoso del disinganno non si è arenata sul bagnasciuga della vita, per ricordarci che “le illusioni quando fioriscono producono il frutto (amaro) della realtà” scriveva Paul Claudel.

Pubblicata su La Sicilia il 14.07.2012. Saro Pafumi

lunedì 9 luglio 2012

Quando la fame era una tragedia diffusa anche ubriacarsi aveva un altro senso

Finta la seconda guerra mondiale le condizioni degli  italiani, a partire da quelle psicologiche, per finire a quelle economiche erano tutte da ricostruire. In Sicilia, rispetto alla restante parte del Paese le cose andavano peggio. La fame in certe famiglia sfiorava la tragedia: il fuoco con legna rimediate chissà dove, in mezzo a due pietre, con sopra una pentola annerita dal fumo, era il focolare di casa. Dentro la pentola  l’acqua bolliva nervosamente in attesa che qualcuno dei familiari rimediasse da qualche anima caritatevole un po’ di pasta che “squatata” alleviava la fame dei “commensali”. Il resto del cibo si rimediava nelle campagne, dove i frutti erano strappati a forza da carovane di affamati, incuranti se a sera la sciolta o la stitichezza li avrebbe aggrediti.  I’ importante  era lenire i morsi della fame che il volto scarno e pallido di quei disgraziati aveva. Le bettole fin dal tardo pomeriggio si riempivano di bevitori che nel vino affogavano amarezza, delusione e povertà. Era il vino per costoro l’elisir di lunga vita, perché almeno per qualche ora il disagio esistenziale era cancellato. Nella bettola di don Austinu “coddu curtu” il nettare degli dei” era somministrato in dosi massicce, ma man mano che il fumo dell’alcol annebbiava vista e pensieri, la qualità ne risentiva, fino a diventare aceto puro che aveva il prodigioso effetto di far digerire lupini, cacucciuliddi, calia e persino le pietre. Uscire a sera inoltrata dalle bettole sotto l’effetto dei fumi dell’alcol per rientrare a casa era come procedere con la benda su gli occhi, barcollando come l’albero maestro di una nave in tempesta. I pochi fortunati che vi riuscivano non avevano la forza di bussare alla porta di casa che di solito la padrona apriva a notte inoltrata sicura di trovare dietro l’uscio non il proprio marito, ma un fagotto di cenci fradici di vino. Oggi le cose sono notevolmente cambiate. Alla magrezza necessitata d’un tempo l’obesità opulenta di oggi, entrambi con un comune denominatore: l’insoddisfazione dell’essere; all’ubriachezza  inoffensiva d’allora, l’ebbrezza effimera, auto lesiva di oggi,  al fagotto di cenci vinosi d’un tempo, i resti mortali imprigionati in un auto accartocciata dove a raccoglierli non c’è la premurosa moglie d’un tempo,  né la straziata mamma di oggi, ma una pattuglia di Vigili del fuoco intenti con  la fiamma ossidrica ad estrarre corpi lacerati che  “il nettare del diavolo” ha reso tali. E’ cambiato il modo di bere, ma, forse, anche quello di morire, entrambi accomunati dallo stesso sogno: il desiderio di volare senza ali.
Pubblicata su La Sicilia il 10.07.2012. Saro Pafumi

giovedì 5 luglio 2012

Carburanti, un imbroglio

Quanto sta accadendo nel nostro Paese nella vendita dei carburanti è l’ennesima "insalata all’italiana". Un misto d‘imbroglio, d’affarismo, di spregiudicata concorrenza, tutto sulla pelle dei gestori che, in sostanza, sono l’unica categoria a sopportare lo squilibrio nella vendita dei carburanti. Occorre premettere che ha qualche fondamento la tesi degli automobilisti che il prezzo dei carburanti in Italia soffre di una sproporzionata ipertrofia dovuta all’ingordigia delle compagnie petrolifere, se è vero che il prezzo alla pompa può subire contrazioni di oltre venti centesimi al litro, senza che il mercato ne subisca conseguenze. Fatta questa necessaria premessa, occorre precisare che il carico dell’offerta (minore prezzo) ricade interamente sulle tasche dei gestori chiamati a fare lo sconto, giacché essi sono obbligati a pagare in contanti e a prezzo pieno, salvo a essere rimborsati a fine campagna promozionale, fatti salvi i probabili ritardi, quando entra in campo la discrezionalità delle compagnie fornitrici. Ma v’è di più. “Il sistema” messo in atto determina una palese violazione della concorrenza, perché impedisce a quei gestori arbitrariamente esclusi dalla “scontistica” di potere praticare gli stessi prezzi degli altri distributori, a parità di bandiera e/o compagnia petrolifera. Un problema questo tutto interno alla categoria dei gestori che i sindacati omettono di denunziare e persino d’impugnare davanti all’Autorità garante della concorrenza, a tutto danno di chi dovrebbero tutelare Non tanto per denunziare gli sconti, che la totalità dei gestori condivide, quanto perché essi sconti sono effettuati a “macchia di leopardo”, impedendo alla generalità dei gestori di aderirvi. Ecco perché è legittimo definire l’attuale sistema “un’insalata all’italiana”, dove ciascuno per la sua parte (governo, compagnie, sindacati, garante per la concorrenza) ci mette la sua parte, il tutto condito con l’insipienza delle leggi, con l’ingordigia delle compagnie petrolifere, col disinteresse dei sindacati e senza sale (nella zucca). Non c’è da stupirsi, siamo in Italia!


Pubblicato su La Sicilia il 05.07.2012 Saro Pafumi

martedì 3 luglio 2012

La crescita che non arriva

Prendendo a prestito un noto slogan verrebbe da dire. “ La crescita, se non ora, quando?” E’ da mesi che “il rag. Monti” ci propina frasi suggestive, orientate a infondere speranza, basate sulla promessa di un’imminente crescita. Finora solo parole. Intanto c’è qualcuno, La La Garde Presidente FMI, per fare un esempio, che prefigura entro tre mesi la crisi irreversibile dell’Euro, se non s’interviene con provvedimenti urgenti. Stando a queste previsioni la crisi è inevitabile, perché i tre mesi preconizzati cadono nel periodo feriale che in Italia, com’è noto, è dedicato ai divertimenti: sole, mare, montagna. Alle elezioni del 2013 mancano pochi mesi: Detratte, com’è logico, le festività e il periodo preelettorale, per consuetudine infecondo, il tempo a disposizione è ben poco. Né la promessa crescita ha il potere taumaturgico di operare improvvisi miracoli, il che significa che la crescita se non è utopia poco ci manca. Mi sembra che la situazione attuale è del tipo : tiriamo a campare”, in attesa di un non so che d’indefinito che possa accadere. Di idee in giro ce ne sono poche, come pochi sono i denari nelle tasche della maggior parte degli italiani. Che come al solito si distinguono in due grandi categorie: alla prima appartengono quelli che possono aspettare tempi migliori alla quale  appartiene il Rag. Monti e compagni di merenda, alla seconda la restante parte del paese che soffre. Saro Pafumi

lunedì 25 giugno 2012

I servizi postali di Linguaglossa

S’incontra una certa difficoltà a trovare l’aggettivo più appropriato per definire i locali dove sono ubicati i servizi postali a Linguaglossa, anche se nelle altre località la situazione è pressoché analoga.  Definirli uffici pubblici suona offesa, in primo luogo, agli impiegati, costretti a lavorare in locali angusti, in cui lo spazio è un concetto astratto, estraneo ai canoni civili; ai cittadini, richiamati dalla necessità d’incassare la misera pensione, assiepati in un miscuglio di teste, braccia, gambe ove la massa umana informe sovrasta e annulla l’idea, sia pure approssimativa di persona umana. Se si trattasse di locali adibiti a ospitare animali la legge richiederebbe parametri minimi da rispettare: ampiezza, areazione, servizi igienici. Nel caso di uffici postali, destinatiti ad accogliere persone, anziani in  massima parte, tali parametri sono, paradossalmente,  sconosciuti, se si pensa che non c’è nemmeno una sedia sulla quale appoggiarsi. Ciò che al privato cittadino lo Stato impone, clamorosamente lo disattende in proprio. Le autorità che detti parametri sono chiamati a fare rispettare sono distratti, i sindacati ai quali spetta il compito di vigilare sulla qualità delle condizioni lavorative degli associali sono latitanti. L’interesse dei lavoratori non si tutela solo con legittime rivendicazioni salariali e di orario, ma principalmente difendendo la qualità della vita di chi nel proprio ambito lavorativo è costretto a muoversi. I cittadini di converso, non sono masse informi, ma esigono rispetto della propria individualità. Nei locali in questione manca il minimo indispensabile: spazio, areazione turnazione, risolvibile con un elimina code il cui costo, udite, udite, non supera i 200 euro. Esigenze di bilancio impongono severe economie, ma quando sui giornali si leggono gli annuali resoconti, il reddito supera ogni più ottimistica previsione, Il tutto sulla pelle degli impiegati e dei cittadini, quest’ultimi, per intenderci, da 500 euro al mese.
Saro Pafumi

mercoledì 20 giugno 2012

Studiare la storia del proprio paese

Nelle scuole si da spazio allo studio della storia, ma quasi mai si approfondisce la storia della cittadina in cui si è nati o si abita. E’ un paradosso del nostro sistema scolastico, che il buon senso di chi è preposto all’insegnamento della storia farebbe bene a colmare. Nei piccoli paesi raramente succede qualcosa d’importante, da passare alla storia, perché quella dei piccoli centri urbani è una quotidianità spicciola, che poco alla volta cambia il volto del paese per diventare storia, senza che l’opinione pubblica se ne accorga. Sarebbe interessante, per esempio, conoscere chi si prodigò perché una piazza sorgesse o fosse eretto un monumento o costruito un’opera, contribuendo a impreziosire l’aspetto urbanistico della propria città, arricchendola di valori. Si farebbe opera meritoria alla storia cittadina e al futuro delle giovani generazioni. La vita di un pase si costruisce giorno dopo giorno, mettendo un mattone sopra l’altro, fino a formare l’architrave di una storia da tramandare. Una piazza, per esempio, non è solo un insieme di alberi, viali, panchine, lampioni, aiuole, ma è formata essenzialmente da idee, dibattiti, progetti, lavori in cui la parte culturale è la più preponderante. I primi col tempo possono trasformarsi o perire, le idee non muoiono mai. La storia serve a questo: a tramandare il ricordo di uomini, opere e azioni umane.Saro Pafumi

sabato 16 giugno 2012

Com'è diventato difficile bruciare le stoppie

Di recente non si sa se per effetto di una nuova normativa o per l’interpretazione di una già esistente bruciare storpie in campagna non è più possibile. Per il passato ciò era ammissibile a condizione che si osservassero alcune condizione temporali e si usasse il buon senso. Qualcosa è cambiato per effetto di chi non si sa. Perché qui da noi le leggi, le circolari, le interpretazioni vengono in punta di piedi, con discrezione. Così ora oltre alle tasse da pagare, i lavori da eseguire, la speranza del raccolto e la fortuna di vendere i prodotti, c’è anche il problema di smaltire i rifiuti legnosi che provengono dalle varie potature degli alberi. Che fare? Un vero rompicapo. Secondo le ultime normative, tali scarti devono essere bruciati in apposite fosse scavate nella proprietà o triturate e lasciate marcire come concime biologico. Nell’intento del legislatore la normativa non fa una grinza, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare o per meglio la tasca dell’agricoltore. Scavare una fossa costa e poi quante fosse occorre scavare se la proprietà è vasta e la raccolta dispendiosa? Triturare? Se fosse carne basterebbe un tritacarne, ma trattandosi di scarti legnosi il macchinario avrebbe costi proibitivi. Certamente gli incendi spesso dolosi che annualmente s’innescano sono una calamità, ma sarebbe più giusto definire calamità coloro che gli incendi appiccano. Intanto ciascuno deve industriarsi a come smaltire questi scarti legnosi. La tentazione c’è ed è la speranza di vendere, confidando nel “merlo di turno” che compra senza sapere a cosa va incontro, oppure abbandonare tutto. Sarà la natura a fare da tritatutto. Ha ragione quel contadino che parlando della proprietà terriera dice. “ Possedere, oggi, una campagna è come avere una malattia in famiglia” “Una malattia cronica” aggiungo di mio.Saro Pafumi

domenica 3 giugno 2012

Un personale inno in memoria di Turi Currenti

UN PERSONALE INNO IN MEMORIA DI TURI CURRENTI E’ insolito che sul blog si partecipi la tristezza per la morte di un amico. Può sorprendere, ma quando la tristezza è collettiva, abbraccia un’intera comunità, essa diventa un atto corale d’amore. “Turi” non usava forbici e rasoio per esercitare la sua attività, che restava un hobby, anche se le circostanze della vita gli avevano messo in mano gli arnesi di Figaro. La sua vera passione era la politica, che condivideva quotidianamente con i suoi clienti, entro i limiti di un civile confronto, di cui era maestro di vita e con il tocco di chi tratta la politica come servizio per gli altri. Le foto che da sempre ornavano il suo salone, Lenin, Che Guevara, non erano simboli bolscevichi o rivoluzionari. Erano utopie, che Turi coltivava nel cuore. La sua visione “francescana” dell’interesse cittadino lo proiettava, sia pure con la mitezza di un’ideologia di parte, oltre ogni confine. Tra una sforbiciata e l’altra non erano i capelli a cadere, ma le barriere ideologiche tra Turi e i suoi clienti, perché la visione della politica, quand’è pura e spoglia di ogni radicalismo esasperato o interesse di parte, unisce e affratella. Quando “a fine servizio”, con l’ultima spazzolata, la cortese diatriba politica aveva termine, il cliente, umile o no che fosse, lasciava “lo scranno” con le ide traballanti, perché le argomentazioni Turi le porgeva con grazia, con l’intimo tormento di chi è cosciente che anche le sue idee erano opinioni. E Turi aveva coscienza di questi umani limiti, sforzandosi di credere che in ogni uomo si annidasse ciò che Lui sognava: l’onestà, che aveva perseguito con impegno e dedizione nella sua breve esperienza politica per il bene della Sua Linguaglossa. Avevamo tutti sperato in un miracolo, ma nessuno aveva previsto il miracolo che Tu ci hai inaspettatamente riservato: la donazione dei Tuoi organi di cui sei e rimarrai “l’apripista” di questa comunità che Ti ha sempre amato. La Tua vita è stata lieve, come il tono della Tua voce, la carezza del tuo sguardo, come lieve, immagino, è la salita in Cielo dei puri di cuore. Turi, oggi ho smesso di piangerTi, sapendoti vicino a Colui che assieme a Tuo padre Ti ha forgiato. Invidio San Pietro che Ti ha scelto per sfoltire la sua bianca barba e gli Angeli che, felici, Ti circondano. Resti nel mio cuore, Turi, e in quello di tutti. Ciao! Saro Pafumi

venerdì 1 giugno 2012

Sulla Mareneve "misteriose" macchie d'olio sull'asfalto


"Macchie di olio" sulla carreggiata segnalavano cartelli stradali sabato e domenica sulla Mareneve.(Linguaglossa Piano Provenzana). Per chiarire il misterioso incidente che misterioso non è, occorre fornire una corretta informazione. Sull’arteria in questione, da tempo, troppo tempo, è insorto un profondo malcontento sul comportamento dei motociclisti che specialmente il sabato e la domenica sono soliti scorrazzare a loro piacimento. I morti per l’alta e spericolata guida, ormai non si contano, ma quel che è peggio, tali comportamenti mettono a rischio anche l’incolumità dei molti automobilisti  italiani e stranieri che vi transitano. Le poche, saltuarie pattuglie della polizia stradale o dei carabinieri che controllano il traffico non hanno sortito effetti incoraggianti, se è vero che i motociclisti continuano nella loro condotta “suicida”. Qualche frequentatore assiduo ha pensato bene, con una certa dose d’incoscienza, di farsi giustizia da sé, spargendo qua e là dell’olio lungo la carreggiata, con l’intento di moderare la velocità di questi autentici bolidi. Sull’argomento il tema è stato ampiamente trattato su questa rubrica anche dal sottoscritto, ma come si vede il problema non è stato risolto, anzi per certi versi, mostra chiari sintomi di aggravamento. Ricorrere alla giustizia “fai da te” è un criterio alquanto arcaico di risolvere il problema, ma di fronte alla difficoltà di porre fine alla questione il rimedio è peggiore del male. Anzi abbiamo inventato un orinale sistema di controllo stradale. “La vigilanza privata” I motociclisti sono avvertiti e anche le Autorità che dovranno raddoppiare i loro controlli, perché non ci scappi l’ennesimo morto, stavolta “procurato”. Pubblicata su La Sicilia il 01.06.2012Saro Pafumi

A Napoli per i vicoli di Toledo

“ Signurì putit(e) darme cinch cent (e)sime, c’aggia jucà o lot ,pecché stanot(e) aggiu sugnatu mariteme ?”E ‘ una delle tante trovate che le popolane di Napoli escogitano per sbarcare il lunario. Non è questua questo modo di porgersi, come può apparire, ma pura teatralità, palcoscenico per i tormentati vicoli di Toledo dove ogni uomo, donna , bambino dismette i panni del cittadino per rappresentare l’immortalità del personaggio parodiato dal genio creativo di Eduardo. Scene di autentica quotidianità nelle quali la vita è intreccio di tragedia, commedia farsa, dove O’ Malomm di turno, votato allo scippo, volge le spalle all’edicola votiva come fondale scenico in una sapiente commistione rappresentativa di profanazione civica e sacralità partenopea, binomio inscindibile dell’anima di Napoli. Donare un euro per la rappresentazione dal vivo di una scena scarpettiana non è azione insolita a Napoli, Il gesto di chi dona, a Napoli non è quasi mai obolo, ma consapevolezza di stare al gioco, come “spalla”, “vittima” o “compare” di turno. Per un attimo tra i vicoli di Toledo “il cittadino” è esso stesso attore confuso tra la moltitudine dei personaggi presenti che come nelle tragedie greche cantano i loro ditirambi fatti di parole incomprensibili, preghiere, imprecazioni, suppliche, perché la vita cittadina a Napoli non è mai individualità, ma espressione corale di partecipazione civica. Ritornare a Napoli per chi, come me, vi ha trascorso un arco della sua vita è come andare a Lourdes per rinvigorire la fede o cercare il miracolo, perché a Napoli anche i miracoli accadono, non importa se veri o costruiti dalla fantasia popolare. L’animo popolaresco lì è magia, fantasia, creatività. Importante è esserci e partecipare e a Napoli il ruolo non si sceglie:attore o vittima, nessuno recita a soggetto. Saro Pafumi

lunedì 21 maggio 2012

L'àncora del turismo

In un’epoca di crisi, con il commercio che arranca e l’agricoltura che soffre, il turismo, da sempre, è stato un’ancora di salvezza per l’economia, specie dei piccoli centri urbani. Linguaglossa, come tanti, soffre del contagio di quest’attuale malattia e dal turismo, almeno nel passato, ha attinto le sue forze per andare avanti. Il turismo, però, perché non resti una pia illusione o una semplice espressione letterale, richiede proposte e offerte concrete, siano esse manifestazioni, soggiorni, iniziative ricreative e/o culturali, non tralasciando la cura del territorio che è e deve essere la cornice entro cui il turismo si manifesta. Quando s’incontra un turista, la prima osservazione che c’è fatta è sempre la stessa: “Avete un territorio ricolmo di bellezze, ma…….”. Nel contesto del discorso c’è sempre un “ma” che ci spiazza, ci umilia, talvolta ci offende, al quale è difficile rispondere, perché “l’accusa” che l’accompagna spesso è verità spiacevole. Spesso, troppo spesso a noi manca l’analisi comportamentale del nostro modo d’essere e quest’atavico difetto compromette quell’insieme di “tesori” che ci sono riconosciuti. Partire dal territorio è la prima regola, perché la presentazione di un “prodotto” ha bisogno di un “involucro” (territorio) che l’impreziosisce. L’ospite, infatti, è il fruitore del territorio, un bene da rispettare e tutelare. Se poi il turismo, per cause diverse, non dovesse decollare, ci resta, almeno, il territorio reso più gradevole, perché la terra in cui operiamo è il nostro habitat e il suo rispetto diventa nostro benessere. Anche questo in definitiva sarà un successo, perché la nostra intelligenza si misura col confronto con gli altri, ma anche con noi stessi. Pubblicato su La Sicilia 20.05.2012

martedì 15 maggio 2012

La festa dell'Autonomia, una pantomima

Domani 15 maggio sarà la festa dell’autonomia siciliana. Ancora non ho deciso come festeggiare e se indossare l’abito scuro, lo smoking o vestirmi come Arlecchino o Pulcinella. Alla fine ho deciso: vestirò l’abito di tutti i giorni, con la fascia nera al braccio. Le scuole, si apprende, sospenderanno le lezioni, ma sarebbe più opportuno che osservassero un minuto di silenzio, come si fa per commemorare chi non c’è più. A parte l’ironia, unica forza che ci sostiene in quest’epoca di trambusti d’‘ogni tipo, qualcuno, anziché sospendere le lezioni, farebbe cosa giusta se spiegasse ai giovani le ragioni della “’Autonomia” con l’A maiuscola che s’identifica con una Regione che si governa con leggi proprie e senza ingerenza alcuna, divenuta nel tempo “capacità di funzionare senza idee per attuarla”. La festa è per definizione una “solennità d’interesse collettivo motivata da un avvenimento fausto”, ma quando si svuota di qualsiasi contenuto, la festa diventa parodia. In questo caso, trattandosi di travestimento burlesco dell’autonomia, il vestirsi con l’abito di Arlecchino o di Pulcinella sarebbe adeguato all’avvenimento da festeggiare. Accostiamoci pertanto alla festa dell’Autonomia con questo spirito burlesco, magari inscenando una pantomima davanti al Palazzo dei Normanni che per l’occasione si trasforma ufficialmente nel palcoscenico della parodia autonomistica siciliana. Gli onorevoli deputati regionali sono invitati a partecipare a condizione che indossino una maschera per rendersi irriconoscibili Saro Pafumi

domenica 13 maggio 2012

La legge e le banche

Ci sono due modi per fare affari: contravvenendo alla legge, con la speranza di farla franca o formulando regolamenti a uso e consumo proprio. Nel primo caso può incappare chi alla legge è sottoposto e deve osservarla, nel secondo caso le protagoniste sono le banche che operano a loro piacimento come se agissero al di fuori della legalità. Per l’attività che un esercente svolge, è fatto obbligo di pagare e di farsi pagare con mezzi che consentono la tracciabilità. L’assegno bancario è uno di questi. Si da il caso che un assegno emesso da una baca consente due possibilità per essere cambiato: presso la banca emittente o presso altra agenzia della stessa banca Nel primo caso se il portatore dell’assegno non è conosciuto è impossibile negoziare l’assegno, anche se si è correntisti della stessa banca ma di agenzia diversa. Nel secondo caso se si è correntisi si può solo versare l’assegno o se si ha necessità di mutarlo in contanti pagare una commissione abbastanza salata, che può variare sensibilmente da banca a banca, in virtù di disposizioni autonome ad libitum. La norma che ha introdotto l’obbligo di pagare con mezzi che consentono la tracciabilità (assegni, bonifici, carte dio credito) ha realizzato in concreto tre finalità: ha danneggiato l’utente imponendogli, di fatto, il pagamento di commissioni bancarie prima non dovute: ha consentito alla banche un indebito lucro; ha incoraggiato il frazionamento di operazioni sì da non rientrare nell’obbligo della tracciabilità a tutto vantaggio di operazioni in nero. Pubblicata su La Sicilia il 13.05.2012 Parte non pubblicata dalla Sicilia In conclusione: entrare oggi in banca è come sottoporsi alla forche caudine, ma se si possiede “un taglierino” tutto diventa di una semplicità disarmante. Qualcuno ha scoperto, così, il terzo modo di fare affari, che, in un certo senso, imita il metodo bancario. Saro Pafumi

martedì 8 maggio 2012

Banche, alla faccia della trasparenza.

Chi vive in città ed è abituato a servirsi dei mezzi pubblici conosce i rischi ai quali va incontro: il borseggio. Ciascuno adopera gli accorgimenti più idonei per evitare spiacevoli sorprese, anche se, di fatto, scendendo dal bus qualche volta ha l’amara sorpresa di non trovarsi addosso il portafogli. Le cronache non parlano più di simile amare esperienze vissute, perché, purtroppo, c’è molto di più da raccontare: scippi con traumi, rapine, omicidi. Salvaguardarsi dal borseggio è diventata un’arte anch’essa e ciascuno s’ingegna come meglio crede. C’è però una rapina quotidiana di cui nessuno parla o se qualche accenno è fatto, rimane sepolto nell’indifferenza secondo l’antico proverbio:”lassaui dittu u puddicinu ‘nta nassa, quannu maggiuri c’è minuri cessa”. Mi riferisco alle rapine che le banche quotidianamente consumano a danno degli ignari utenti spesso distratti da estratti conto illeggibili o che nascondono tra le pieghe commissioni non dovute o inspiegabilmente aumentate in spregio alla sbandierata trasparenza bancaria. Chi non ha un conto corrente per il disbrigo dei propri affari? Molti però non sanno che il cassetto, dove sono conservati i propri risparmi o il conto corrente che regola i rapporti tra banca e clienti ha due chiavi: una in mano all’utente, l’altra in possesso della banca che apre e chiude il cassetto a suo piacimento, detraendo dal conto o aggiungendo secondo i casi ciò che le fa comodo Provate a protestare per una commissione non dovuta o una spesa non motivata. Un muro di gomma impedisce qualsiasi spiegazione e solitamente la risposta è sempre la stessa: la direzione ha disposto…..; il regolamento stabilisce…...; il contratto bancario consente…. e via discorrendo. Domanda: perché un esercente è obbligato ad esporre il listino dei prezzi, perché un negoziante deve rilasciare lo scontrino fiscale, perché un artigiano deve fare la fattura, mentre le banche non devono fare altrettanto e ti comunicano tutto a cose fatte ossia con l’estratto conto, quando ormai la frittata è fatta? Quanti hanno la possibilità o la competenza di controllare il proprio estratto conto? Quanti hanno il collegamento via Internet con la propria banca per controllare e verificare giornalmente le operazioni contabili? Con le banche avviene esattamente lo stesso borseggio che accade sui mezzi pubblici. Su quest’ulti con una buona dose di prudenza si po’ rimediare, con il borseggio bancario spesso si soccombe. Pubblicata su La Sicilia 08.05.2012 Saro Pafumi

lunedì 7 maggio 2012

Vecchi modi di dire, aggiornati

“ Ccu havi un parrinu ‘ncasa, havi un porcu appisu” un antico modo di dire. Il paragone anche se nella forma poteva sembrare irriguardoso, era frutto della convinzione popolare che con un parente prete in famiglia il sostentamento sarebbe stato assicurato. Non si dice appunto che del porco non si butta nulla? E a quei tempi, quando il cibo scarseggiava, la sicurezza d’averlo era considerata un ben di Dio. Oggi i preti soffrono le stesse ristrettezze economiche dei fedeli, per cui il paragone non regge più. Al prete si sono sostituite altre categorie: i politici, per fare un esempio perché navigano tra emolumenti, guarentigie e affogano nel denaro. Perciò oggi dovrebbe dirsi: “Avere un onorevole in casa, è come avere un porco appeso”. Questa volta però il detto, nella forma, non contiene nulla d’irriguardoso, perché l’accostamento del porco all’’onorevole è giustificato Basta leggere le cronache di tutti giorni, in cui alla porcilaia, luogo, in cui abitualmente vive il porco, si sostituisce quel substrato di peculato ,malversazione e corruzione che alimenta il mondo politico. Anzi in questo accostamento quello che ne esce più malconcio è proprio il porco che nasce vive e cresce nell’innocenza e alla fine s’immola per il bene altrui ossia per tramutarsi in prelibatezze culinarie. Una funzione utile, quasi un martirio. Sarà forse per questa sua funzione meritoria che di solito lo chiamiamo : maiale, suino, raramente porco, preferendo quest’espressione limitarla in tono dispregiativo all’uomo, quand’egli si trasforma in simbolo d’ingordigia e nefandezza. E certa società è piena di porci, con o senza ali. Saro Pafumi

mercoledì 2 maggio 2012

Il collegio Pennisi e la Provincia

Apparentemente la notizia è di quelle che fa stare felice un’intera provincia, Acireale in primo luogo. La notizia: “ Il collegio Pennisi sarà acquistato dalla Provincia”. Poiché, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, non vorrei che l’acquisto finisse come per gli altri immobili acquistati dalla Provincia che languono nel più assoluto abbandono. Mi riferisco all’acquisto della cantina Ave o al palazzo Nicolosi di Linguaglossa. Il primo sepolto da rovi e sterpaglie, il secondo in via di disfacimento. E dire che gli scopi di restituirli alla società civile c’erano. La Cantina sociale Ave doveva diventare, sulle ali della fantasia, una pista di ghiaccio e il palazzo Nicolosi, il museo Francesco Messina, solo che di quest’ultimo la provincia possedeva unicamente il certificato di nascita dell’Artista, essendo noto che era a nato a Linguaglossa. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: venire a Linguaglossa per vedere. A ciò si aggiunge il Villaggio Mareneve di proprietà, ahimè, provinciale il quale, statene certi, scomparirà da solo. Se queste sono le credenziali dell’operato provinciale, trovo ricca di buon senso la proposta di chi vorrebbe collegare l’acquisto del collegio Pennisi allo scopo. Le due finalità dovrebbero camminare di pari passo, onde evitare che una volta acquisito il Collegio al patrimonio della Provincia il salvataggio del bene non si tramuti nell’ennesimo naufragio. Perché di relitti è piena l’Italia repubblicana. Personalmente aborrisco l’idea che “Il Pennisi” diventi proprietà provinciale. I precedenti sono ben noti. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Pubblicata su La Sicilia il 01.05.2012. Saro Pafumi

lunedì 30 aprile 2012

Non festa ma commemorazione del lavoro

Il prossimo primo maggio si celebrerà la festa del lavoro. Le organizzazioni sindacali si stanno organizzando per il “lieto evento”. Con questo “chiaro di luna” non si comprende cosa ci sia da festeggiare. Poiché noi alle feste comandate non possiamo rinunziare, a partire dalla festa dell’Unità d’Italia, rimasta una pia illusione, per finire alla festa della donna, vittima di soprusi, violenze ed emarginazione, la festa del lavoro è l’ennesima occasione per fare baldoria. Bandiere, tamburi, sfilate, comizi sono le uniche iniziative che ci rimangono in nome di una sacrosanta aspirazione che col tempo si è trasformata in disperazione individuale e collettiva. Se non fosse per il dramma quotidiano che si vive su questo fronte, la festa del lavoro dovrebbe essere più propriamente una commemorazione come si fa con la ricorrenza dei defunti. Monti dopo le varie “crescenze” inventatesi ne ha lanciato un’altra “ cresci Italia” Il termine si presta a diverse interpretazioni, ma probabilmente sottintende il concetto che l’unica cosa che cresce i Italia è il malcontento. Il “lievito” per la crescita c’è già: tasse e disoccupazione. Senza investimenti pubblici e privati combattere la disoccupazione è un sogno. In quanto a investimenti pubblici, mancano i soldi. Per quelli privati stando alle dichiarazione dello stesso Monti la corruzione fa da freno. Poiché la corruzione non riguarda il popolo, ma la classe politica, una volta tanto Monti farebbe cosa buona e giusta se ai politi facesse fare dei corsi di catechismo laico, onde introdurre quella moralità senza la quale, sono parole sue, gli investimenti languono. In alternativa: tutti a casa, per favore. Pubblicata su La Sicilia il 30.04.2012. Saro Pafumi

domenica 29 aprile 2012

Quel che rimane del glorioso collegio dei Padri Domenicani

Se la notizia che in questi giorni, a Linguaglossa, corre di bocca in bocca trova conferma, un pezzo di storia paesana, a breve, entrerà negli archivi cittadini. Mi riferisco alla temuta chiusura della “Casa San. Tommaso”, più propriamente nota come Collegio dei Padri Domenicani. Un tempio di studio e di formazione per tanti giovani siciliani e calabresi, che da questo luogo hanno mosso i primi passi per affermarsi onorevolmente nel mondo del lavoro. Un collegio, fortemente voluto dai Padri Domenicani, dove la lingua dei nostri padri, latini e greci, non era un semplice idioma da studiare, ma la nostra storia da apprendere. Achille, Ulisse, Ettore, Enea, Omero, Orazio, Virgilio Tacito, Cicerone entravano e uscivano dalla nostra cartella, assieme alla merendina che la mamma amorevolmente ci confezionava. Poi era il ruolo degli insegnati a fissarceli nella mente. Padre Pintacuda, Cascio, Barilaro, Ciadamidaro, esempi d’infinita sapienza, per finire ai vari Bottino e Magro che avevano a cura la nostra anima (religione) o il nostro fisico (sport). Poi l’età e il tempo logorò la forza di questi pionieri e le successive generazioni di Padri domenicani, salvo qualche raro esempio, non ressero alle sirene del mondo laico. Senza l’entusiasmo della fede, della cultura e della passione chi successe ai Padri fondatori seminò macerie e presto il Collegio travolto da beghe, egoismi e difficoltà non resse all’opera grandiosa per cui era stato realizzato. Fu la fine, o, ahimè la sua metamorfosi. Da luogo di sapere, divenne Casa Albergo per turisti con le conseguenze commerciali e prosaiche di una simile trasformazione. Quando mi capita di passarci accanto non vedo affacciarsi alle finestre i miei insegnanti con i loro riconoscibili e amati scapolari bianchi, la loro dottrina e la loro sapienza; nelle aule scolastiche non si ascolta più la timida voce degli studenti intenti a recitare: “Cantami, o Diva, del pelide Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei”, nel cortile non ci sono i carri immaginari degli Achei e dei Troiani a fare da cornice alla sfida a singolar tenzone tra Achille ed Ettore, ma Bus e Corriere. L’amicizia tra Eurialo e Niso, su quei banchi di scuola, fu stile di vita, non metafora di virgiliana memoria, se è vero che anche dopo mezzo secolo alcuni di noi studenti coltiviamo antiche amicizie come fiori appena coperti dalla fresca brina del tempo. Nelle aule non si avverte il suono del gesso che stride sulla lavagna, ma il rumore prosaico e godereccio delle postate sui piatti, confuso al vocio dei vacanzieri. Più che una metamorfosi, una “profanazione” di quello che fu tempio di cultura e di fede. Oggi anche la Casa Albergo registra la sua decadenza. Una struttura sepolta da canoni, tributi, imu e balzelli vari. La diva stavolta canta “l’ira funesta che infinito adduce lutto” ai linguaglossesi. Il tempo, mi auguro, vorrà almeno risparmiarci la rovina fisica del suo “colonnato”, perché se non così fosse gli spiriti dei vecchi Padri fondatori, aleggerebbero, a ragione, tra le sue rovine per riappropriarsi di ciò che al loro è stato rubato per sempre e alla cittadinanza il vanto di annoverarlo tra le sue virtù Pubblicata su La Sicilia il 29.04.2012 Saro Pafumi

mercoledì 25 aprile 2012

Controllo velocità sulle strade, se lo Stato bara.

Se c’è una dote della quale noi italiani non difettiamo, è l’originalità Siamo nelle invenzioni talmente bizzarri da essere unici. Prendete per esempio i cartelli stradali che, numerosi, s’incontrano in molti centri abitati: “Zona soggetta a controllo elettronico della velocità”, Nove volte si dieci tali cartelli sono come gli “spaventapasseri” servono a scoraggiare l’automobilista dal premere sul pedale, anche se contravvenendo, non si corre alcun pericolo, per la semplice ragione che il controllo è una bufala. Le autorità che hanno inventato questo segnale ci considerano come i volatili in un campo di grano, anziché suonare il campanaccio, preferiscono il cartello-burla. La ragione di siffatta invenzione? Poiché non siamo in grado di controllare niente, ci affidiamo al messaggio-burla: Un po’ come fa l’agricoltore che nel suo pescheto appone un cartello con la scritta: “ Alberi irrorati con pesticidi. Pericolo di morte”, ignorando che il ladro sa perfettamente quando e come rubare. O altro cartello: “Attenti al cane” che è come confessare: qui non c’è nessuno di guardia. Ma il più alto grado di bizzarria lo raggiungiamo quando il controllo esiste veramente. In questi casi l’Autorità fa di tutto per ingannare l’automobilista, cercando di mimetizzare il segnale con vari accorgimenti. Una trovata che ha qualcosa d’infantile come il gioco a nascondino, a chiapparella, a guardie e ladri. In effetti a noi con la legge, le norme, i regolamenti ci piace giocare, come si fa col gioco dell’Oca. Esempio: Ti condanno a vent’anni, ma te ne faccio scontare sette; t’infliggo una sanzione amministrativa da cinquecento a cinquemila euro, che ridotta a metà del minimo si riduce a duecentocinquanta, di cui pagando subito un sesto, la somma dovuta è di euro quarantuno e sessantasette Un po’ come fa il marocchino di turno che al mercato per un tappeto ti spara in faccia mille euro e poi chiude la partita a cinquanta. Resti sempre col dubbio che quel tappeto potevi pagarlo anche venticinque euro. Del resto anche i codici sono una cabala, perché ciascuno lo interpreta a modo suo. A un giovane pretore al quale avevo fatto notare che la Cassazione nel caso in esame aveva deciso in un determinato modo, la stupefacente risposta è stata: “ la Cassazione sono io”. Quando si dice che l’originalità supera ogni immaginazione. Chiedo: Se lo Stato che dovrebbe guidare, bara, il cittadino come dovrebbe comportarsi”. Pubblicata su La Sicilia il 25.04.2012 Saro Pafumi

lunedì 23 aprile 2012

Epulone e Lazzaro

Spesso da parte delle forze dell’ordine sono eseguiti sequestri di CD contraffatti. Le vittime in questi casi sono due: i falsari, di solito extracomunitari e gli autori dell’opera illegalmente riprodotta. Che tale riproduzione costituisca reato mi pare estremamente chiaro. Eppure, chissà perché nutro una certa simpatia per questi falsari che vivono degli avanzi dorati degli autori (cantanti e/o compositori). Incominciamo a chiarire che in questi casi “il falso è dichiarato”, perché chi acquista, è consapevole che quel CD è una riproduzione fraudolentemente copiata. La qualità del prodotto lascia a desiderare e il prezzo decisamente economico lo fa intendere. Il CD, contraffatto procura danni agli autori, ma non mi pare che costoro versino in cattive condizioni economiche a causa di CD contraffatti, anzi per certi versi di miliardi son piene le loro tasche. E giustamente, il talento paga. E allora perché tali reati sono perseguiti con tanto rigore? La spiegazione, a mio parere, è da ricercare nell’interesse dello Stato che dalla vendita di CD falsi non guadagna il becco di un quattrino. Come dire: lo Stato persegue il reato non per punire l’autore (questo tipo di reato è quasi sempre privo di effetti pratici, se si esclude il sequestro della merce), ma piuttosto per tutelare se stesso. In questa triste vicenda ci sono pertanto tre categorie interessate al fenomeno: gli artisti, lo Stato, il falsario. I primi navigano nell’oro, il secondo non si accontenta mai, il terzo (mi riferisco all’extracomunitario con la bancarella) lo fa per fame. Non ho difficoltà ad ammettere che tra il ricco Epulone e Lazzaro preferisco quest’ultimo. Pubblicata su La Sicilia il 22.04.2012 Saro Pafumi

venerdì 20 aprile 2012

Sanzioni e privacy

Vorrei vivere in un paese in cui la democrazia sia una realtà, la privacy, una certezza e la legge rispetti la dignità. Nessuno di questi invocati diritti ha da noi completa applicazione. Prendo spunto dalla lettera su questa rubrica ( pg. 36 del 12.04 ( Quando la tutela della privacy….) per dissentire dalle considerazioni del lettore. Mi spiego. In Italia c’è l’abitudine, ormai radicata, di emettere sentenze ( inappellabili) prima che i fatti accaduti e pubblicati siano oggetto di verifica giudiziaria. I vari processi mediatici sono l’emblema di questo diffuso malcostume. Si è condannati da un processo televisivo prima ancora che l’autorità giudiziaria abbia finito di svolgere le sue indagini, spesso condizionati da prove giornalistiche senza che esse siano state oggetto di valutazioni giudiziarie. In quanto al rispetto della dignità umana, siamo ancora in pieno medioevo ( le condizioni carcerarie sono un esempio). La privacy è acqua fresca. Tornado al punto di partenza, ossia alla lettera da cui ha preso spunto la mia riflessione, trovo sconcertante che un verbale dei NAS a carico di un esercizio pubblico debba comportare la sua pubblicazione con tanto di nome e cognome del verbalizzato. Ciò per una semplicissima ragione. Il verbale, se non erro, consente alla parte verbalizzata di presentare le sue osservazioni entro i termini contenuti nel verbale. E’ una forma di garanzia a tutela del verbalizzato al quale è concesso di presentare le sue ragioni (fondate o no che siano) Solo alla fine delle indagini ( amministrative o giudiziarie) finisce l’iter sanzionatorio, che, non dimentichiamolo, potrebbe concludersi con il proscioglimento del verbalizzato/imputato Qualunque anticipazione su fatti e avvenimenti accaduti dovrebbe a mio giudizio, subire una “sospensiva in itinere”. Questo purtroppo non avviene e tra le due necessità, pubblicazione del nome o sua privacy, personalmente per ragioni di civiltà, propendo per quest’ultima. Si obietta: le lungaggini burocratiche vanificherebbero indagini e conclusioni: Verissimo. Non è certamente in nome dei pregiudizi e della superficialità che si possano calpestare i diritti. Talvolta varrebbe la pena di ascoltare la saggezza del Guerriero Apache: “ Grande Spirito preservami dal giudicare un uomo non prima di avere percorso un miglio nei suoi mocassini”. Un principio recepito dalla nostra Costituzione, ma sempre disatteso, salvo a ricordarcelo quando ci riguarda. Che strano l’uomo: brancola nel buio, l’unica certezza riguarda gli altri. Pubblicata su La Sicilia il 19.04.2012.Saro Pafumi

lunedì 16 aprile 2012

Fondachello, almeno si rimuovano i rottami ferrosi.

Spesso mi capita di percorrere la strada che da Fiumefreddo porta a Fondachello e viceversa. Per chi come me che abita a pochi chilometri da questo splendido lungomare la circostanza si ripete e tutte le volte un velo di tristezza percuote la mia mente come una frustata che proviene dall’esterno. Il perché di questa sgradevole sensazione è presto detto. Il degrado in cui versa questo tratto di lungomare è ben visibile. Da un lato i ruderi di quelle che furono “le cartiere” giacciono immobili come monumenti all’abbandono e all’incuria umana, dall’altro una riserva arborea di eucalipti decrepiti impedisce la visione di un panorama marino tra i più belli della zona. Le ex cartiere, si è appreso dalla stampa, sono oggetto di progetti per la loro riconversione. Poiché come avviene spesso, tra il dire e il fare passano decenni, intanto sarebbe cosa giusta e saggia rimuovere i rottami ferrosi che offendono prima il paesaggio e poi l’uomo. Sarebbe già questo di per sé un primo risultato. Resta la riconversione: il cittadino è paziente, data la lentezza, a sperarlo saranno i nostri pronipoti. Lato mare, gli eucalipti, quelli sopravvissuti, s’interrogano essi stessi sulla loro funzione, ondeggiando sconsolati tra il furore del vento marino e l’incuria di chi dovrebbe proteggerli o eliminarli. Eliminarli sarebbe più opportuno per dare respiro al panorama marino che, percorso a piedi o in macchina, offrirebbe una visione magica dell’insieme costiero. Purtroppo, mentre il tempo implacabilmente passa, si continua a non far niente. Le Autorità preposte alla soluzione del problema? Sono come gli eucalipti ondeggianti e decrepiti: si palleggiano le responsabilità. I primi si possono sradicare o abbattere, i secondi resistono, imperterriti, anche alla salsedine dell’ inerzia.
Pubblicata su La Sicilia 17.04.2012 Saro Pafumi

domenica 15 aprile 2012

Una nuova Autorità in Italia

In Italia bisognerebbe introdurre una nuova Autorità: Il Garante contro le stronzate. I politici parlerebbero di meno, le statistiche sarebbero più veritiere e lo spread diminuirebbe a vista d’occhio. La disputa a proposito degli “ esodati” è un esempio. La Fornero parla di sessantacinquemila, la Camusso di oltre trecentocinquantamila. In realtà sono molto di più, si parla di molti milioni. La confusione sta nel termine, perché occorre includere anche “ i sodomizzarti” dalle varie riforme Monti. Saro Pafumi

sabato 14 aprile 2012

Giarre e Riposto nel triangolo delle Bermude

Giarre e Riposto, ossia “il triangolo delle bermude”, altrimenti detto “Il triangolo del diavolo” E’ un luogo, quest’ultimo, sito nell’oceano atlantico, assai misterioso, dove, a quanto pare, la leggenda e la realtà s’incrociano. Questo triangolo è noto alle cronache per le sparizioni inusuali di navi e aerei, per fatti e avvenimenti strani, per episodi inspiegabili e notizie inquietanti. Su tutto non si è mai trovata una risposta convincente. Il parallelismo con Giarre e Riposto non è casuale, perché qui i roghi delle auto avvengono con puntuale, quotidiana frequenza e rientrano tra gli eventi inspiegabili e misteriosi, come nel “triangolo del diavolo”. Un enigma ancora irrisolto dove, in questi due Centri, “il diavolo”, non ha le ali di pipistrello, piedi caprini, testa cornuta e in mano una fiaccola accesa, simbolo del fuoco ardente dei vizi e degli istinti. Qui, a casa nostra, “il diavolo “ ha verosimilmente il volto di Turiddu, di Bastianu, di Iaffiu, di Sidoru, di Petru, per rimanere tra i nomi locali, in mano un accendino, simbolo di potenza e di ricatto. Poiché il diavolo preferisce le strade buie e solitarie, la sua sconfitta non è vicina e le indagini languono, non ci resta che invocare la preghiera dell’esorcista: “ Spegni, Signore, con il soffio della Tua bocca, il fuoco dei piromani, ricordaTi dei nostri fratelli che ci hanno preceduto nel fuoco degli incendiari, comanda a quest’ultimi di andarsene, perché qui la legge terrena non è di noi. Amen”.
Pubblicata su La Sicilia 15.04.206. Saro Pafumi

lunedì 9 aprile 2012

I giovani senza lavoro, Monti e ...una lira di "trattinitimi"

A sentire le statistiche, un giovane su tre non lavora. Non so se questi dati comprendono i giovani precari che, considerati “occupati”, fanno battere la bilancia dalla parte dei più fortunati. Se così fosse, come c’è da scommettere quando si parla di statistiche, il rapporto s’invertirebbe. Ammettiamo che i dati siano attendibili. Cosa ne facciamo del restante trentatré per cento? Il prof. Monti ha avuto l’illuminante idea di consentire a chi vuol fare impresa ( il che significare di cercarsi un lavoro in proprio) di potere aprire una società con appena un euro di capitale sociale. Se la condizioni di tanti giovani non raggiungessero un elevato grado di tragicità esistenziale, la trovata del Professore meriterebbe il premio Nobel in diritto del lavoro. Immaginate un giovane che con la cartella sotto braccio, contenente la nuova costituita società, pieno di propositi, entri in banca, trionfante, per accedere a un finanziamento. Ne uscirebbe a calci nel sedere tra le risate di quanti hanno avuto la ventura di ascoltarlo. La trovata del professore mi fa venire in mente mio padre che quando si era scocciato di sentirmi chiedere, con petulanza, qualcosa mi dava una lira in mano raccomandandomi di recarmi nel negozio più vicino per acquistargli appunto una lira “di trattinitimi”. L’ingenuità giovanile non mi faceva percepire l’originale sottigliezza della trovata paterna, ma l’esercente che ascoltava la mia richiesta mi dava una sedia, pregandomi di aspettare. Oggi i tempi sono cambiati, i giovani altrettanto e l’ingenuità non è più quella di una volta. Eppure, paradossalmente c’è ancora chi come il professore, ha la faccia di tosta di dire ai giovani: “Te, eccoti un euro, vai in banca e chiedi un euro di “trattinitimi”. Domanda “Quelli che si laureano alla Bocconi, sono tutti così…..?”
Pubblicata su La Sicilia 09.04.2012. Saro Pafumi

sabato 7 aprile 2012

A tutti un mio speciale augurio per Pasqua.


In un tempo, ahimè, ormai remoto, a Pasqua l’appuntamento di noi ragazzi, a Linguaglossa, era a mezzogiorno davanti alla Chiesa Madre. La sera precedente era un’affannosa ricerca di “troccule” di tutti i tipi, perché il loro rumore doveva essere assordante come l’evento eccezionale che si doveva festeggiare: “vidiri abbrivisciri Cristu”, da dietro l’altare maggiore, con lo stendardo in mano e una nuvola d’incenso che l’accompagnava. Avvenuta la risurrezione Il suono delle “troccule”, in piazza, si mescolava allo scampanio assordante delle campane a festa, perché a quell’ora Cristo risorto era la vittoria della vita sulla morte. Pochi giorni all’anno capitava tanta allegra spensierata partecipazione dei giovani ai riti religiosi e la Pasqua era l’unico giorno in cui il cuore di noi giovani era pieno di gioia e di meraviglia. Di gioia perché la risurrezione apriva i cuori alla speranza; di meraviglia perché l’assurgere di Cristo da dietro l’altare si accompagnava all’emozione fanciullesca che la scenografia sacra rappresentava. Ogni attimo di ritardo sull’orario previsto portava con sé una crescente trepidazione negli astanti, specie di noi giovani che, quell’evento, vivevamo con straordinaria, fresca, autentica ingenuità. Ancora col profumo d’incenso nelle narici, si correva fuori dalla Chiesa in un festoso, crescente delirio, con la “troccula” che azionata a mano o fanciullescamente spinta su ruota finiva di essere un semplice, rustico, rumoroso arnese di legno, per trasformarsi in un magico, liberatorio grido di vittoria sulla morte che la risurrezione di Cristo trasmetteva ai nostri cuori. Oggi che la Pasqua, spostata a mezzanotte, ha lasciato per strada la festosa ingenuità di molti giovani, un auguro rivolgo a tutti, in occasione della Santa Pasqua: poter rivivere nella mente il magico, festoso suono delle “troccule” e nel cuore la fresca giovanile gioia per la risurrezione di Cristo, accompagnata da quel magico profumo d’incenso che ciascuno ha gelosamente custodito in qualche cassetto della propria memoria. Un saldo all’indietro, quando la Pasqua era giovinezza. spensieratezza, freschezza, ingenuità, allegria e Cristo risorto un’emozione, oggi sbiadita.Saro Pafumi

giovedì 5 aprile 2012

L'Etna patrimonio dell'umanità


E’ di pochi giorni la notizia che la Commissione Unesco vorrebbe comprendere nella lista dei siti definiti Patrimonio dell’Umanità il nostro Etna. Dopo le Eolie e le Dolomiti quest’ambito traguardo potrebbe estendersi alla nostra “ montagna”. Un’occasione da prendere al volo perché essere inclusi in quest’elenco significa che il sito rappresenta di per sé una riconosciuta, particolare importanza dal punto di vista culturale e naturale. L’ufficialità è importante, perché rappresenta l’internazionalità riconosciuta del sito. Per la verità non c’era bisogno dell’Unesco per prendere coscienza dell’importanza culturale e naturale dell’Etna: la sua storia, la sua morfologia, la sua natura lo fanno un sito unico in tutta Europa. Siamo noi abitanti a sottovalutarlo o meglio a non saperlo sfruttare dal punto di vista culturale che naturale. Le Autorità dolomitiche dopo l’inclusione delle loro montagne nel sito Unesco hanno preso una serie di nuove iniziative per sfruttare al meglio l’occasione, come se non bastasse l’alto grado di sviluppo turistico raggiunto. E per far ciò hanno parlato di nuovo “sviluppo responsabile”. Noi invece fino adesso abbiamo sempre intrepretato l’Etna sotto il profilo dello “sviluppo sostenibile”. La differente terminologia non è di poco conto. Lo sviluppo responsabile prevede una serie d’iniziative volte a “incrementare” iniziative turistiche e culturali, mentre lo sviluppo sostenibile tende a “limitare” tali iniziative, come finora è avvenuto. Un esempio. Che senso ha, per esempio, l’avere impedito la costruzione di una funivia sul versante Nord dell’Etna con la scusa che il tipo d’ambiente non sopporta questo particolare stress turistico se poi si permette l’arrivo in alta quota di migliaia di auto e si continua a costruire in cemento armato? E’ questa la sbandierata, assurda sostenibilità del sito etneo? Ciascuno può avere le proprie opinioni, ma quando “certe opinioni” coltivate da chi vuol fare “cultura” diventano leggi, regolamenti, progetti, piani regolatori del tutto avulsi dalla realtà, perché inconcludenti o peggio ancora contradittori, la misura è colma. In questi casi entra in gioco lo sviluppo del territorio, il destino di una comunità che non può essere appannaggio di pochi “intellettuali del territorio”. Prima di procedere occorre informare la popolazione, coglierne le attese, consultarla, renderla partecipe e consapevole. Poi il resto: le leggi, i regolamenti, i progetti, i permessi…. Finora dall’Etna abbiamo avuto molte calamità e distruzioni, oltre alle belle fotografie che accompagnano le sue eruzioni, pochi i benefici, spesso sopraffatti da sacrifici economici. Le poche o molte iniziative hanno avuto sempre una vita travagliata, speso ostacolata da egoismi e miopie. Ben venga l’Unesco con la sua ufficialità, con l’augurio che all’Etna, patrimonio dell’umanità, si accompagni una nuova cultura della nostra montagna, una cultura innovatrice, progressista o per dirla alla maniera delle autorità dolomitiche “ responsabile”, appunto, “responsabile”.
Pubblicata su La Sicilia 05.04.2012. Saro Pafumi

martedì 3 aprile 2012

Perché tanti giovani delinquono

Acquistando La Sicilia come tutte le mattine, mi è capitato per caso, di aprire, di primo acchito, a pagina trentacinque della cronaca. A vedere tutte quelle facce di giovani spacciatori, tali definiti nell’articolo, un brivido mi ha attraversato la schiena accompagnato da un’amara riflessione. Perché tanti giovani? La domanda sembra contenere una buona dose d’ingenuità, perché di riffa o di raffa molti sono i giovani che vivono ai confini o oltre la legalità. L’uomo della strada, chi per definizione è considerato “l’uomo di buon senso” direbbe. “ ma picchì, inveci di spacciari, nun si nni vannu a travagghiari?” Se la risposta fosse così facile, nessuno o pochi delinquerebbero. Invece cosa accade? I genitori latitano o sono inconsapevoli, la morale va a farsi benedire, il lavoro manca, la società è distratta, le esigenze sono incontenibili, ergo aumentano “ i disperati” disposti a tutto. La superiore constatazione non è né una giustificazione, né una consolazione, è, purtroppo, semplice rassegnazione. Dobbiamo abituarci a convivere con questi fenomeni, perché l’uomo è un animale, per di più il meno addomesticato e con più esigenze. L’animale in senso proprio cerca il cibo e una volta sazio si astiene, l’uomo non si accontenta del solo cibo, perché gli impulsi che riceve sono vari e articolati. Una società vera e giusta dovrebbe occuparsi oltreché della salute dei cittadini, anche di queste anomalie, che patologie sono anch’esse, ma non ha mezzi adeguanti o le manca la volontà di risolverli. In tali condizioni il fenomeno è destinato a persistere e forse ad aumentare. E meno male che una buona parte di giovani vive di pensione genitoriale, perché altrimenti la società sarebbe una giungla, anzi per certi versi già lo è. E guarda caso, chi sono i capi branco? Coloro che dovrebbero agire, operare, arginare, programmare, eliminare le cause. Vuoi vedere che questi giovani più che colpevoli sono essi stessi vittime? Di una società ingiusta, distratta, omissiva o in fuga dalle proprie responsabilità. E l’omissione non è anch’esso reato?
Pubblicata su La Sicilia 03.04.2012. Saro Pafumi