giovedì 22 febbraio 2024

Linguaglossa,una cornice senza quadro.

 

Linguaglossa, una cornice senza quadro.

Linguaglossa sta vivendo un periodo di stasi. Appare, non per colpa di qualcuno, come una città reclusa, dove tutto è immobile. A voler parodiare uno dei tanti film Western, che la TP. ci propina, sembra una città, che precede una sparatoria o una rapina. Le strade si mostrano soleggiate e deserte, qualche refolo di vento trascina nuvole di polvere, una lanterna dondola sopra un negozio, col suo monotono, struggente cigolare e tutt’intorno silenzio, un silenzio d’attesa, in cui a dondolare è la vita tutta del paese.  Così appare Linguaglossa, feriale o festiva, alle undici di un qualunque mattino. Sembra non un paese piacevolmente pianeggiante, qual è, ma un piano inclinato adagiato su una slavina, che sta precipitando a valle. I rari personaggi che si vedono sembrano comparse, finte persone, impegnate in finte attività. Un set cinematografico, in cui reali sono solo le strade, le case e il silenzio che lo avvolge. In questo scenario di poche ombre mi travesto da viandante e per le vie del paese mi trascino muto e silenzioso con la mia chitarra, cantando con Erica Mou “ Ieri ho sognato che mi baciavi e mi stringevi. Camminavamo, c’era il sole. Linguaglossa era vuota, muta come noi….” Dietro la sua facciata triste si nasconde un paese apparentemente normale, un fiume che, senz’ acqua, scorre, mi abbraccia e scompare, mi trascina sopra la tua carretta d’amore. Un paese che, nonostante tutto, non finisco d’amare.

mercoledì 21 febbraio 2024

Il linguaggio anoressico dei social.

 

Il linguaggio anoressico dei social.

Con l’avvento dei  social e di tutto ciò che ne deriva, si sta assistendo a un impoverimento del linguaggio, adottato in particolar dal mondo giovanile. Un modo sintetico di esprimersi, fatto di segni, abbreviazioni, faccine, animaletti e oggetti vari. Il concetto sintetico, che vuole esprimere una faccina, in passato richiedeva la descrizione di uno stato d’animo, che talvolta diventava poesia, per la gioia del lettore, che nelle parole trovava un loro fascino. Questo moderno modo di esprimersi è tipico di una cultura orizzontale, in cui i soggetti che lo usano denotano un appiattimento culturale, che impedisce le diversità individuali. Un linguaggio privo di emozioni, se per esse s’intendono le percezioni, che il lettore ricava da una buona lettura. Oggi le parole hanno perduto la loro funzione, sono diventate magre, evanescenti, anoressiche, non riconoscibili dal nostro animo, che oggi tace. Il linguaggio usato dai social è estraneo al nostro vocabolario, stritolato da dittonghi gutturali e nuovi termini, veri geroglifici di antica memoria: downloadtaggarelinkarepostarechattaretwittarinstagrammare. Del piacere di leggere (Sur la lecture) resta solo l’opera di Marcel Proust, secondo cui la lettura “consiste, per ognuno di noi, nel ricevere un pensiero nella solitudine, continuando a godere dei poteri intellettuali che abbiamo quando siamo soli con noi stessi”, che, invece, questa nuova moda dei social vanifica, rubandoci l’anima che c’è in ognuno di noi. 

 

lunedì 5 febbraio 2024

La solitudine divora la società di oggi

 La solitudine divora la società di oggi.

Oggi la solitudine è più diffusa di quanto si possa immaginare. La casa non è più il focolare domestico e la moglie, l’angelo della casa. Essa serve solo per dormirci e farci sentire consolati di possederla. Al suo interno non c’è un nucleo familiare, ma un arcipelago, formato da tante isole, che nulla hanno in comune, se non quello di appartenere alla stessa specie. Non esistono interessi comuni e, se esistono, ciascuno bada ai propri. Anni fa conobbi una famiglia piemontese, i cui membri erano tenuti insieme da rigide regole di economia, quasi una società, in cui gli associati erano tenuti a contribuire in proporzione alle proprie sostanze. Mi sembrò più che una famiglia, una tribù, priva di vincoli affettivi, tanto lontana da quella siciliana di nostra appartenenza. Oggi anche da noi i vincoli affettivi sono poco presenti, spesso mantenuti dal bisogno di attingere dalla famiglia, anziché contribuire a mandarla avanti. Una solitudine o se vogliamo un egoistico individualismo, che si coglie anche in piazza, tra la gente. Qui invece di colonia o arcipelago, la comunità diventa solo di facciata, in cui predomina più l’esigenza dell’apparire che dell’essere. Un luogo di conflitti economici, politici, religiosi, e quando questi mancano, per scarso interesse o cultura, si passa al quotidiano, quasi si cerchi più l’occasione per litigare, che lo stare insieme, ragionevolmente in pace. Dalla solitudine che si vive dentro casa, si passa così a quella che si vive in pubblico, che ineluttabilmente sconfina nell’individualismo, intriso di egoismo, invidia, gelosia che caratterizzano l’uomo di oggi