mercoledì 28 novembre 2012

Primarie o business day?

Se la matematica non è un’opinione 3.1 milioni di votanti per le primarie del PD moltiplicati per due euro a persona, fanno 6.2 milioni di euro. Quante cose si sarebbero potute fare con 6.20 milioni di euro? La democrazia ha certamente un costo, ma trovo fuori luogo che per votare si debba anche pagare. I partiti a quanto pare usufruiscono di finanziamenti, eufemisticamente definiti rimborsi elettorali. Non sarebbe opportuno che le primarie si facessero attingendo da questi fondi, anziché spillare due euro dalle tasche degli elettori? In questa triste vicenda dal sapore tipicamente italiano non è l’esiguità del contributo richiesto che giustifica il fine (voto), ma il fine che non dovrebbe giustificare il mezzo (contributo). Purtroppo in Italia i principi non sono assiomi, ma opinioni, suscettibili di valutazioni, oscillazioni, calcoli, interessi e quando c’è di mezzo la politica tutto è opinabile. Il rito delle primarie più che un contributo alla democrazia sembra stia diventando un business day. A parte questa considerazione di carattere politico-economico fa riflettere il concetto di democrazia al quale ci hanno abituato. In Italia per eleggere qualsiasi organo rappresentativo, dal rappresentante di classe, all’amministratore del condominio, dal segretario di un partito, al sindaco, per finire alle assemblee parlamentari tutti sono eletti attraverso il voto. Quando invece si elegge il Presidente della Repubblica che rappresenta l’intera nazione, è la Costituzione che lo prevede, è escluso il voto dei cittadini. Se tale regola poteva valere nel 1948 epoca in cui l’analfabetismo era al 13 per cento e la democrazia un fiore appena nascente, oggi l’elezione del Presidente della Repubblica “dovrebbe” essere un obbligo e un diritto sociale civico. Ma la politica storce il naso davanti a questa possibilità, perché preferisce il gioco politico al diritto del cittadino. In compenso siamo chiamati a eleggere il premier al costo di due euro a persona. Una lusinga che distoglie l’attenzione da diritti più preminenti: salute, lavoro, economia, equità, sviluppo. L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva” scriveva Gramsci e di gramigna è infestata la politica italiana. Importare non è vincere nell’affermazione dei propri diritti ma partecipare al festino gaudente degli altri. Un principio al quale l’italiano medio si è da tempo abituato.


Saro Pafumi

domenica 18 novembre 2012

Più del leader conta la politica che viene messa in atto

La decisione d’indire le primarie per la scelta del leader sia in campo provinciale regionale o nazionale, con tutto il rispetto per la democrazia, è un’autentica “farsa”. “L’esperienza Berlusconi, leader indiscusso, all’interno della sua coalizione, non ha apportato i benefici previsti, nonostante, il plebiscito di consensi ( altro che primarie!), perché ciò che conta, in concreto, è la politica che il partito o la coalizione mette in atto, a prescindere dalla figura più o meno carismatica del suo leader Lo scopo delle primarie, pertanto, non è tanto la scelta di questo o quel leader, che lascia il tempo che trova, quanto il coinvolgimento dell’elettore, al quale si consegna l’illusione di contribuire alla scelta o al cambiamento di qualcuno o di qualcosa. Forse per capire l’epoca in cui viviamo, occorrerebbe fare ricorso ai dialoghi di Platone e alle metafore ivi contenute, specie quando parla di degenerazione dell’individuo che prelude alla degenerazione dello Stato, quest’ultima causata dalla corruzione del singolo, che è la condizione attuale. Se non si mette mano alla ricostruzione della coscienza individuale affetta dal virus della corruzione, la scelta di qualsiasi leader è destinata al fallimento. Perché, in definitiva, ciò che l’uomo sceglie, si chiami “leader” o più genericamente “partito”, il peccato originale è sempre lo stesso: la corruzione e quindi la degenerazione dell’individuo, ergo dello Stato. Il significato delle primarie pertanto non deve fondarsi sulla scelta di “un leader politico”, bensì sulla scelta di “un precetto politico” si chiami Tizio, Caio, Semproni o più semplicemente pinco pallino il leader scelto con le primarie. In atto i nomi presenti dei vari schieramenti non dicono nulla, perché sono le idee che mancano e i mezzi per realizzarle. Le primarie? Il tentativo democratico col quale si realizza una leadership attorno ad un precetto politico incerto, nebuloso, se non addirittura inesistente: Per dirla in termini crudi, ciò che manca, in queste primarie, è l’essenziale. Per dirla con Platone, a noi cittadini è finita come ai compagni di Ulisse che per aver mangiato i fiori di loto hanno dimenticato “il ritorno”. che è ciò che avviene quando si seppelliscono verità e valori.


Pubblicata su La Sicilia 18.11.2012. Saro Pafumi

lunedì 12 novembre 2012

Banche e credito ai poveri

Chi ha messo in giro la voce che le banche non concedono prestiti a causa della crisi economica? Entrando in banca ho letto un cartello con cui si reclamizza la concessione di un prestito di 700 euro in favore dei genitori che avessero la necessità di acquistare articoli scolastici per i propri figli dietro il rimborso di modiche rate mensili. Se la logica ha un senso, l’offerta suggerisce due riflessioni. La prima: i prestiti sono erogati, anche, se, probabilmente, sono finalizzati a promuovere il mercato ambulante dei gelati, la vendita di cocco e cappelli da sole sulle spiagge, la vendita di lupini all’ingresso delle autostrade e naturalmente, nell’interesse delle famiglie, la vendita delle penne biro e gomme da cancellare che non dovranno subire effetti recessivi. Un’autentica boccata d’ossigeno per l’economia che, aggiunta alla possibilità di costituire una SRL con un euro di capitale, qualunque attività avrà un decollo inarrestabile. Intanto consoliamoci: 700 euro sono sempre una cifra rispettabile per chi non li possiede e poi immagino sia necessario l’apertura di un conto in banca e magari la canalizzazione dello stipendio per accedere al credito, il che, da solo, fare dire alle classi più povere: “Anche noi finalmente abbiamo un conto in banca”. Il prestito di 700 euro probabilmente, per la sua restituzione, farà leva sulla dignità delle classi povere, perché se non dovesse essere onorato, le spese di recupero supererebbero la stessa sorte capitale e relativi interessi. In questo le banche, nell’esporsi al credito, dimostrano una certa dose di coraggio, sicuri che la dignità delle classi povere, tra le tante è l’unica risorsa loro rimasta. Le altre, la crisi le ha spazzate via.


Pubblicata su La Sicilia 12.11.2012 Saro Pafumi

sabato 10 novembre 2012

Io, precaria vorrei essere REX

Da La Sicilia dell’otto novembre 2012 pagina 27




la storia

E’ uno sfogo pieno di rabbia, d’accordo. La rabbia di chi è stata calpestata dalla vita in tanti modi. Ma è soprattutto la voce di chi, nonostante tutto, tenta di rialzarsi, ma viene messo a terra, ancora una volta, dal sistema. Un sistema che sforna precari e rende precari a vita. Stroncando sul nascere le legittime aspirazioni di tanti giovani. Al punto da preferire – come la nostra lettrice -- essere un cane.



“Vorrei chiamarmi REX, come il pastore tedesco della serie televisiva, anche se non ho quattro zampe. Qualcuno, a posto di mia madre che mi abbandonò ancora in fasce, decise di chiamarmi Claudia. Senza saperlo predisse il mio destino, perché sono zoppa, come indica l’origine del mio nome. Se avessi potuto sceglier io, avrei voluto chiamarmi: RELI’, diminutivo di relitta, ma questo appartiene al passato. Oggi invece vorrei chiamarmi REX, come il cane appunto e vivere la sua stessa vita, mentre mi tocca di vivere quella di precaria con 400 euro al mese. Non conosco cosa siano il Natale e le altre feste comandate, non perché mi manca la fede, ma perché non ho amici o parenti con cui festeggiare. Vorrei chiamarmi REX, perché anch’io come REX adoro i panini con i Wurstel, un lusso che non posso permettermi. Un cane, a volte, ha più privilegi di una povera precaria, imbarazzata persino di mostrarsi in pubblico affagottata. Anch’io vorrei poter vivere come REX, ma a me precaria, questa sorte è negata. Non aspiro come REX, che nel settembre del 2006 impalmò la sua LADY, un matrimonio da favola con tanto di sindaco, ricevimento e torta nuziale. A me basterebbe un semplice rinfresco e un Claudio non importa se anch’egli zoppo e precario, purché realizzi il mio sogno di maternità. Ma sono precaria. Qualcuno mi ha spiegato che il termine precario deriva dalla voce latina “prece” che significa preghiera, con la quale i contadini questuavano alla nobiltà la terra da coltivare. Un bel salto all’indietro non c’è che dire per noi precari. Anch’io oggi ho la mia “prece” da fare: Sognare di chiamarmi REX, avere un bel manto fulvo, quattro zampe e lasciare alle ortiche il mio stato di precaria”.

Lettera firmata