venerdì 6 febbraio 2015

Sindaci, il dramma di sentirsi soli.



 Sindaci. Il dramma di sentirsi soli.
Ci siamo mai calati nei panni di molti Sindaci, per capire le difficoltà che incontrano nell’amministrare la cosa pubblica? Ora che il Sindaco, con l’elezione diretta, sembra, di fatto, catapultato in una posizione di forza, alcuni elementi contribuiscono a sfatare questa leggenda: il patto di stabilità, con le conseguenze a essa connesse; la devoluzione della responsabilità amministrativa in capo ai responsabili dirigenziali; la debole coesione politica, frutto della scomparsa dei partiti e per ultimo, anche se non sempre, una certa inadeguatezza del ruolo svolto da assessori e consiglieri. IL patto di stabilità, significa sottrarre risorse, ossia diminuire o rinunziare a determinati servizi; trasferire la responsabilità in capo ai dirigenti, se da un lato lenisce quella dell’organo politico, di fatto, lo priva dl poteri decisionali. Il primo a subire le conseguenze di queste limitazioni è il Capo dell’Organo elettivo, il parafulmine di ogni insoddisfazione civica, poiché è in capo ad egli, che si coagula il malcontento popolare. Ci sono, però, un paio di altri elementi che rendono scottante la poltrona del Sindaco: la fragilità di certe amministrazioni, condotte in regime di condominio politico, aggravata dal “colore politico” di ciascun consigliere, che nella maggioranza dei casi, in particolar modo nei piccoli comuni, è, portatore di un proprio interesse, sganciato da ogni appartenenza polita, intesa nella vecchia accezione del termine. Difficoltà economiche, debolezza politica, inadeguatezza operativa, e, non  ultimo, uno spiccato, molto diffuso rilassamento del senso morale, sono gli ingredienti con i quali il Capo di un’amministrazione comunale deve operare per il bene della collettività. Non è improbabile che un Sindaco, in tal condizioni si senta, più che un Capo politico, un capro espiatorio, con la sindrome della solitudine, e, talvolta, vittima di un infruttuoso, quanto egoistico accerchiamento tattico. Saro Pafumi FB 21.01.2015

Di che cosa avere paura: la tecnologia



La tecnologia: medicina o tossina?
Di che cosa avere paura? Una domanda alla quale si danno mille risposte. La fame, il freddo, le malattie, la morte? Ciascuno di noi ha il suo credo. In quest’analisi profondamente umana, antica, spietata senza una ragionevole risposta, manca qualcosa di estremamente attuale, che condiziona più di tutti la via dall’uomo moderno: la tecnologia, un mostro dalle infinite teste e dai mille tentacoli, che abbraccia, avvolge, soffoca il nostro vivere quotidiano. Oggi tutto si muove all’insegna della tecnologia, dal telefonino, all’auto, dagli elettrodomestici, alle attrezzature sanitarie, dalla carta di credito, all’autoclave, all’apricancello. Non c’è azione umana che non sia regolata da questi infernali marchingegni, senza i quali non si può uscire persino da casa, né rientrarvi. Schede, sim, microchip sono come i papiri degli antichi Egizi.Tutto ruota attorno ad essi. Archivi, testi, contabilità, macchinari. Dalla pianta palustre, il papiro,alla scheda elettronica vero cervello artificiale, che un giorno non lontano potrà sostituire anche il nostro. Siamo preparati a queste continue innovazioni, che, giornalmente, ci accompagnano, ci assistono, ci condizionano, ci frastornano e ci assillano? Conviviamo e viviamo con l’incubo della tecnologia. Il telefonino non carica., l’autoclave ha “bruciato” la scheda. Il pulser dell’auto non manda segnali. Il computer s’impalla, l’ascensore è bloccato al terzo piano. Anomalie tecnologiche che diventano malattie del nostro essere. La mattina appena alzati, per chi possiede uno dei tanti elettrodomestici in casa o apparecchiature elettroniche in ufficio la domanda è sempre la stessa: cosa non funzionerà, oggi? Le soluzioni non sono a portata di mano. I tecnici esperti mancano, quelli improvvisati abbondano. I prezzi dei ricambi sono impossibili, quanto il costo dell’intero macchinario di una volta. E la manodopera? Tariffe da capogiro. Un fulmine, che prima poteva schiantare un albero, oggi può mettere in crisi un intero sistema tecnologico, una banalissima “condensa” un macchinario elaboratissimo. E con la tecnologia è affiorato un nuovo analfabetismo Una generazione non basta a formare elementi decisamente capaci di saper mettere le mani in queste moderne diavolerie. Si ha nostalgia del passato, quando la meccanica imperversava. Bastava dare una martellata sulla “parte svogliata” e il motore ripartiva meglio di prima. Oggi quella “martellata” il progresso l’ha inflitta alla nostra libertà, perché ci ha resi analfabeti, succubi di uno stupido semplice pulser, ma soprattutto schiavi dalle nostre invenzioni. Abbiamo saputo costruire una gabbia intelligente attorno al nostro vivere quotidiano da rimanerne prigionieri. Si può essere schiavi del bisogno, della passione, dell’ideologia, del potere, ma restare schiavi della nostra stessa intelligenza, travestita da falso progresso, è regredire. Morire di troppa tecnologia, una nuova malattia che incomincia ad affliggere il nostro mondo vitale. Saro Pafumi. FB 16.01.2015 Pubblicato su La Sicilia  30.
01.2015