giovedì 30 dicembre 2010

Fidatevi dell'oroscopo

Volete conoscere il vostro destino per l’anno che sta per iniziare, se vostra moglie o marito vi sarà fedele, se potrete continuare a pagare le rate di mutuo, se seguirete a godere ottima salute, se avrete una promozione nel vostro lavoro? Affidatevi all’oroscopo. Le rubriche dei giornali, le riviste specializzate, i servizi televisivi sono stracolmi di notizie che vi anticipano quello che il futuro vi riserverà. Scacciate il pessimismo, allontanate la depressione, fidatevi del prossimo, lasciate aperte le vostre case, fate spese pazze: il futuro è vostro. Salite su una zattera, dispiegate le vele al vento e navigate con tutta tranquillità, il vostro segno zodiacale vi condurrà nel porto che sognate.
Se qualche leggera nuvola di passaggio dovesse apparire all’orizzonte non disperate: Giove che, nell’anno che starà per iniziare, incontrerà Saturno sarà per voi prodigo d’avvenimenti positivi. Poi c’è Venere che servendosi di Cupido colpirà diritto al cuore la persona che amate.
Candidate mamme nella prima metà del nuovo anno la congiunzione della Luna con Giove favorirà le vostre attese, specie se il vostro patner è un Leone, perché questo segno sembrerebbe avere nel suo glifo la rappresentazione simbolica dello spermatozoo. Ma attenzione, se siete Vergine il migliore approccio è con un Ariete, ascendente Toro. Volete un maschio? Aspettate la seconda decade di giugno quando il vostro ascendente Pesce transiterà in Acquario.
Le vostre difficoltà economiche con l’arrivo dell’ultima luna di dicembre si attenueranno, in qualche caso i vostri introiti si raddoppieranno anche se si dissolveranno in breve tempo per Scorpione in eclisse.
Cercate lavoro? Ostinatevi a cercarlo, ma evitate le domeniche, le feste comandate, gli anni bisestili e i mesi pari o che finiscono col numero zero.
Vuoi conoscere il tuo oroscopo giornaliero? Digita il tuo segno zodiacale al n…….
Condizioni in abbonamento.
Dopo le bollette della spazzatura, dell’acqua. della luce, del telefono, Iva, Ici, irpef, ilor, Irpeg, ci mancava la bolletta per conoscere il destino giornaliero, che a conti fatti si conosce già: pagare giornalmente le bollette sopra indicate.
Buon anno.
Pubblicato su La Sicilia il 31.12.2010
Saro Pafumi

Salviamo Abele

Le ricorrenze civili in Italia si sprecano: ne ho contate una sessantina, più di una a settimana. Corpi militari, rappresentanze civili hanno la loro giornata della memoria. C’è persino la festa delle Unità N.B.C. che ricorre il primo luglio che nessuno sa cosa sia.
Tra le tante celebrazioni ricordate manca forse la più esenziale, quella a favore delle vittime. Vittime del lavoro, della strada, della malasanità, dell’incuria, della sopraffazione dell’ingiustizia, della malvagità umana. Se si dovesse celebrare la giornata delle vittime forse non basterebbe un’intera settimana. Tante, troppe le vittime da commemorare.
In Italia il Partito radicale ha costituito il movimento: “ Nessuno tocchi Caino” che ha per scopo la moratoria sulla pena di morte e, si spera, la sua soppressione. Iniziativa lodevole, perché a nessuno, nemmeno allo Stato può essere riconosciuto il diritto di.
“ ammazzare”.
C’è un particolare: nessuno si ricorda d’Abele.
Una creatura innocente che incarna le vittime di tutte le ingiustizie. “ Salviamo Abele” deve essere la condanna di tutte le ingiustizie che si consumano quotidianamente: nei luoghi di lavoro, nelle strade, nelle case, nelle aule di giustizia, dovunque la sopraffazione , l’imperizia l’ignavia, la superficialità, l’egoismo si consumano nell’indifferenza generale.
Il primo fratricidio della storia si consuma con l’uccisione d’Abele, ma si perpetua con la risposta data a Dio che gli chiedeva notizie del fratello: “ Sono forse il custode di mio fratello?”. In questa risposta perfida c’è l’anticipazione dell’insensibilità umana e la premessa d’ogni male, perché neanche il fratello è considerato il proprio “prossimo”. Se salvassimo Abele o solo se ci provassimo sarebbe il migliore augurio per l’anno nuovo.
Pubblicato su La Sicilia il 30.12.2010
Saro Pafumi

domenica 26 dicembre 2010

La protesta sterile

A quanti non capita d’indignarsi apprendendo quanto guadagna un calciatore, un conduttore televisivo, un politico, un dirigente d’azienda, specie se quest’ultimo non scala il potere per meriti personali, ma spesso per favori politici. A chi obietta l’esosità di queste “remunerazioni” ( termine improprio) si risponde che è la legge del mercato che impone queste regole. Come se certe regole fossero i dieci comandamenti perenni ed immutabili. La nostra protesta a fronte di certe evidenti esagerazioni, si pensi alla pensione elargita ai deputati, dopo appena una legislatura, rimane un’espressione di volontà priva di qualsiasi effetto pratico e perciò del tutto sterile.
Sarebbe il caso invece che all’indignazione seguissero comportamenti univoci e concludenti, come per esempio non esprimere il voto, mirato ad un cambiamento di costume o non frequentare gli stadi finché gli ingaggi non siano riportati dentro l’alveo della normalità o cambiare canale se quel tale conduttore percepisce indennità sproporzionate al lavoro prestato. Ciascuno di noi è in grado di fare queste modeste riflessioni e comportarsi secondo quanto la propria coscienza gli suggerisce o il grado di disgusto lo coinvolge. Avviene, invece, che le nostre riflessioni rimangono sterili, le nostre proteste individuali o collettive non seguite da comportamenti concludenti e le infami e scandalose “remunerazioni”continuano ad essere corrisposte, nonostante qualsiasi individuale o generale disgusto. Il mondo cambia se c’è la volontà di farlo cambiare, perché in questi casi le soluzioni non sono demandate alla scienza, ma alla coscienza. Tutti ne possediamo una, basta sollecitarla e le soluzioni sono a portata di mano. Alla fine d’ogni anno faremmo bene a tracciare un bilancio dei nostri comportamenti, così come fanno le aziende, e adeguarli alle nostre convinzioni.
Pubblicato su La Sicilia il 27/12/2010
Saro Pafumi

giovedì 23 dicembre 2010

Un Natale diverso


Il Natale di quest’anno è magnificamente simboleggiato da quell’omino di stoffa vestito da Babbo Natale che si vede arrampicarsi, qua e là ai balconi delle case, per entrarvi non dalla porta principale, com’è naturale che sia, ma quasi furtivamente, perché inaspettato in quest’epoca di crisi. In questa sua scomoda, faticosa, inusuale posizione egli non porta nel sacco i soliti doni di cui è pieno il mondo, ma speranze, desideri, sogni di cui quest’umanità sofferente ha bisogno. Mi piacerebbe immaginarlo arrampicarsi sui tetti per portare ai tanti lavoratori ivi in attesa una parola di conforto e la promessa di un migliore avvenire. Mi piacerebbe vederlo arrampicarsi ai tanti campanili per chiamare a raccolta le tante persone scomparse; mi piacerebbe vederlo giocare a girotondo con i tanti bambini per infondere la speranza di credere nel futuro; mi piacerebbe vederlo girovagare per i mercati, deponendo, non visto, nella borsa della spesa dei tanti indigenti ciò che non possono acquistare: mi piacerebbe vederlo nelle corsie degli ospedali per restituire un sorriso agli ammalati, mi piacerebbe immaginarlo solitario e sorridente tra i banchi del parlamento per votare leggi sagge e sapienti. Intanto Babbo Natale ci ha regalato a Linguaglossa un nuovo parroco, giovane ed intraprendente, che ha profuso un’aria nuova e rigeneratrice. Finalmente in questo paese distratto e sonnolente qualcuno ha suonato la sveglia, segno che quando la volontà emerge dalla cenere le iniziative germogliano come fiori. Se questo è il dono, Babbo Natale non poteva fare scelta più gradita E’ nella concretezza delle cose che si misurano i doni e quando essi assumono le sembianze d’uomini retti e volenterosi i cuori si aprono alla speranza e il fervore che l’accompagna ha il suono delle campane a festa. Buon Natale.
Pubblicato su La Sicilia il 23.12.2010
Saro Pafumi

venerdì 17 dicembre 2010

Causa e vittime dei nostri problemi

Spesso noi lettori scriviamo su questa rubrica non risparmiando critiche contro questo o quell’amministratore per le tante disfunzioni che affliggono i cittadini. Critiche quasi sempre giustificate da problemi oggettivi, ma talvolta ingenerose contro chi, anche volendo, non riesce a risolverli non per mancanza di volontà o inettitudine, ma per ostacoli burocratici o difficoltà economiche o, diciamolo, anche per scarsa collaborazione civica. In queste critiche si spazia dalla difficoltà della circolazione nei centri abitati, alla raccolta della spazzatura, alla scarsa illuminazione delle strade, alla segnaletica, all’affissione selvaggia, al verde pubblico e così via. Lagnanze legittime e oggettive, ma speso contro obiettivi impotenti di fronte a problemi quasi insolubili. E’ facile protestare contro i Vigili urbani che non intervengono contro le auto in terza fila o in prossimità degli incroci; contro l’immondizia che invade le strade; imprecare e protestare contro la circolazione caotica delle auto nei centri urbani. Protestare è facile. Quanti di noi rinunziano a cercare un parcheggio lontano dal luogo di destinazione, per non farsi “quattro passi a piedi?”; quanti di noi si attengono al codice della strada rinunziando a transitare in senso vietato?; quanti di noi depositano il sacchetto della spazzatura fuori orario o nei posti più impensati?; quanti siamo disposti a lasciare l’auto a casa, riluttanti a privarci di questo comodo (?) mezzo di comunicazione? Quanti di noi vorrebbero vedere ben curato il verde pubblico, ma non disdegnano di sporcarlo con cartacce, contenitori d’ogni genere e cicche?. In quasi tutti noi c’è l’abitudine di delegare agli altri la soluzione di tutti i problemi, alcuni dei quali contribuiamo a crearli noi stessi. Per usare un esempio improprio, mi sembra che tutti siamo disposti a sederci attorno ad un tavolo per mangiare, ma nessuno disponibile ad apparecchiare o a lavare i piatti. Ci deve essere sempre qualcuno che raccolga i nostri avanzi o risolva le conseguenze delle nostre cattive abitudini. Recita un vecchio proverbio cinese: “ Se ciascuno spazzasse dinanzi alla porta di casa sua, il mondo sarebbe più pulito”. Il problema è che noi la scopa la vogliamo vedere nelle mani degli altri, se in quelle degli amministratori, ancora meglio. Non li abbiamo eletto, forse, per servirci?
Pubblicato su La Sicilia il 17/12/2010
Saro Pafumi

martedì 14 dicembre 2010

La crisi politica vista un elettore

Le attuali vicende politiche, come se non bastasse la risaputa disaffezione dell’elettore verso la classe dirigente, hanno inferto un colpo mortale alla sua attendibilità. Un gioco al massacro, quello attualmente posto in essere, difficilmente comprensibile dall’opinione pubblica, per come le vicende lo evidenziano. Comprensibilissima la posizione dell’opposizione che, approfittando dello sbando della maggioranza, tenta in tutti i modi di dare la spallata finale al governo. Inspiegabile invece la posizione delle forze di maggioranza o meglio di una parte di essa che non sembra sia riuscita a rendersi credibile sul futuro che intende costruire. Le elezioni politiche segnano il momento più importante nella vita politica di un paese, perché attraverso il voto, il popolo consegna il potere nelle mani di chi crede meritevole di questo ruolo. La stabilità, pertanto, è l’elemento fondante del mandato elettorale, perché senza stabilità è impossibile la realizzazione di qualsiasi programma. L’instabilità, qualora si manifesti, dovrebbe originarsi da cause sopravvenute, straordinarie ed imprevedibili, ma di esse non c’è traccia nell’attuale situazione politica, con la conseguenza dell’incomprensibilità che consegue. A meno che l’attuale crisi non si voglia convogliare in una guerra di posizione politico-egoistica che nulla ha in comune con la crisi invocata e sbandierata.
L’apertura di una crisi non giustificata da fatti certi e concreti genera disorientamento in quella parte dell’opinione pubblica che vede nella stabilità il baricentro d’ogni elezione. Per cui non c’è da stupirsi se va incrementandosi l’esercito degli indecisi e/o degli scontenti di questa politica.
Quando il voto espresso degli elettori perde la sua funzione di scelta e di stimolo è la democrazia che soccombe. Se veramente il popolo è sovrano, si riconsegni ad esso il potere di scelta, analizzando esso le ragioni della crisi, premiando o penalizzando quelle forze politiche che l’hanno subita o determinata, ma soprattutto spiegandola agli elettori senza reticenze o ipocrisie.
In politica, forse, sarebbe il caso d’introdurre per la durata dell’intera legislatura, “il vincolo d’indissolubilità” come nel matrimonio religioso, o la regola che regge il conclave dal quale si esce eletto il papa o il più semplicistico motto laico: “Tutti a casa”, in caso d’inadeguatezza della classe politica.
Pubblicato su La Sicilia il 14.10.2010
Grazie. Saro Pafumi

venerdì 10 dicembre 2010

Piano Provenzana, finalmente parole chiare

“Meglio tardi che mai” verrebbe da dire, leggendo il chiarissimo servizio ( La Sicilia del 025/12) di Casabianca sulle cause del ritardo nell’attuale stagione sciistica a Piano Provenzana. Finalmente una diagnosi convincente di cui si sentiva bisogno, sollecitata anche su questa rubrica. Nell’articolo nulla che non si sapesse già, con la differenza che la verità scritta è finalmente emersa spazzando dubbi, incertezze, reticenze, interpretazioni e corroborata da brani di corrispondenza tra la Star e una ben definita parte politica molto eloquenti e indicativi. Nulla che non si sapesse dicevamo, perché “ l’escursus” contenuto nell’articolo di Casabianca correva di bocca in bocca tra i cittadini di Linguaglossa ai quali erano persino noti i brani talvolta risentiti, talvolta forti della corrispondenza riportata A questo punto ci chiediamo: era necessario arrivare a tanto, senza trovare un’ipotesi d’intesa su cui elaborare uno schema d’accordo tra il Comune e la Star? Ci sia consentito di dire in qualità di semplice cittadino che la posizione della Star è oltremodo ragionevole e persuasiva, per due ordini di ragioni. La durata del contratto di concessione che deve essere ragionevolmente lunga per ammortizzare le spese di ricostruzione e l’esclusiva dell’impiantistica in capo alla stessa Società, perchè non è pensabile la frantumazione gestionale d’impianti che hanno bisogno di “girare” con la stessa regia di comando. Se qualcuno intravede a favore della Star un potere di dominio si adoperi perché altri operatori si affaccino sullo scenario turistico dell’Etna Nord.
A Linguaglossa, se lo sguardo di alcuni è rivolto al suo interno, non ci sono i mezzi economici per affrontare la ricostruzione, a meno che non si pensi a cordate già peraltro sperimentate, ma che in quest’occasione per incomprensibili ragioni ( ma non tanto), sono rimasti alla finestra a guardare. Il Comune giova ricordarlo ha il suo potere di forza nel rilascio delle concessioni, ma resta un potere debole, perché “le concessioni” sono scatole vuote che tali rimangono se non riempite di contenuti da società o privati disposti a scommettersi. E in questi casi di soldini ce ne vogliono a iosa. E allora anziché fare melina o denunziare “meschinità” sarebbe opportuno sedersi attorno ad un tavolo e trattare, magari fissando l’attenzione sulla forza lavoro che dovrà e non potrà non essere in gran maggioranza del luogo.. A meno che, e qui casca l’asino, il rilascio delle concessioni non si prefigga la ricerca di consensi politici che la Star non può promettere. Sfortunatamente anche quest’aspetto entra nel gioco, dimenticando che il consenso politico della cittadinanza di Linguaglossa è legato al decollo della ricostruzione indipendentemente da chi n’è l’autore o gli autori. Un ulteriore contributo di chiarezza sullo stesso argomento è dato dal lucido articolo sulla stessa Sicilia del 02/12 a firma A.Piraneo. E’ l’ulteriore dimostrazione, qualora ce ne fosse bisogno, dell’importanza che l’Etna riveste per l’economia della provincia catanese, spazzando gelosie e invidie tra i due versanti Nord e Sud, deleterie, meschine ed infruttuose. Era ora che se ne parlasse e scrivesse così chiaramente ed autorevolmente perché a volte le coscienze preferiscono sonnecchiare o collassare per altri fini o non riuscire a vedere oltre al proprio naso.
Pubblicato su La Sicilia 11.12.2010
Saro Pafumi

domenica 5 dicembre 2010

Il debito pubblico italiano

Mio padre, buonanima, segretario politico e podestà a Linguaglossa al tempo del defunto periodo fascista, dopo l’occupazione alleata, subì, su iniziativa degli inglesi, quattro mesi e mezzo di campo di concentramento in quel di Priolo. Liberato, fece ritorno a casa con l’obbligo di presentarsi presso la caserma dei carabinieri con assiduità settimanale.
Per ricordarsi d’osservare l’obbligo impostogli, affisse nella camera da letto un grande cartello con su scritto: MERCOLEDI”, il giorno in cui settimanalmente doveva presentarsi al cospetto delle forse dell’ordine. Io, piccolino, non capivo il significato di quel cartello, né mi fu mai spiegarlo, salvo a scoprirlo all’età della ragione.
Sono del parere che certi cartelli o messaggi vadano tenuti ben presenti nella memoria di ciascuno di noi, perché leggendoli giornalmente aiutano a capire la realtà che viviamo o i pericoli che corriamo. Del resto le strade sono piene zeppe di cartelli stradali, messi lì per ricordarci certi obblighi da osservare.
Perché questa premessa? Perché sarebbe il caso che a noi italiani fosse ricordato in ogni momento della nostra esistenza il debito pubblico che è il più alto o quasi dell’intero pianeta ( 1.850.00 miliardi d’euro che moltiplicato per duemila risulta intraducibile in lire), destinato ad aumentare di 150.000 euro al minuto.
Ben vengano quindi cortei, cartelloni, manifestazioni, rivendicazioni, con il proposito di strappare nuovi stanziamenti a favore delle categorie che protestano, ma sarebbe giudizioso ed opportuno ricordarci del debito pubblico che essendo di tutti i cittadini, finisce curiosamente con l’essere di nessuno. E qui sta l’illusione. L’Italia di fatto è ristretta in un virtuale campo di concentramento, osservata a vista dalla comunità europea, con l’obbligo di presentarsi periodicamente per rispondere della propria economia. Come faceva mio padre ogni mercoledì, per rispondere della sua condotta. Da piccoli certe cose non si capiscono, ma all’età della ragione è necessario spiegarcelo?
Pubblicato su La Sicilia il 06/12/2010 Saro Pafumi

lunedì 29 novembre 2010

La parte migliore del Paese?

Se gli italiani andassero oggi a votare credo che troverebbero i seggi aperti solo nei manicomi, tale la confusione che regna in politica. Non passa giorno senza che i maggiorenti politici d’ogni ordine e grado non smentiscano quanto detto il giorno precedente. E’ tutto un rincorrere di politici che inseguono se stessi, con contorcimenti argomentativi che rasentano la follia. Governo tecnico, governo di transizione, governo di salvezza nazionale, governo istituzionale, governo d’armistizio, governo di responsabilità, governo dimissionario, governo pro-tempore berlusconi bis, divorzi politici, alleanze improprie o contro natura, e ammucchiate varie gli scenari possibili. Poi ci sono le dichiarazioni fresche, come le uova di giornata di Montezemolo che parla di “chiusura di un ciclo” e di Cinepanettone assumendosi l’impegno con la sua Fondazione Italia Futura di “aiutare i giovani a venire fuori”, lanciando la quarta campagna “contro la disoccupazione giovanile” ( le prime tre che fine hanno fatto?), mentre la Fiat trasferisce una parte dei suoi stabilimenti in Serbia. Poi ci sono le liti tra donne della politica, nei cui linguaggi affiorano epiteti che si possono sentire solo nei vicoli di Toledo a Napoli. Tra spazzatura non raccolta, arresti a pioggia, escort varie. processi in Tv. omicidi in diretta, intercettazioni pruriginose, segreto istruttorio farsa, economia che ristagna, sviluppo che non decolla, rivendicazioni varie, debito pubblico alle stelle, il popolo arranca e attende. Attende sopratutto che siano spazzate le città, ma anche i piccoli comuni dell’’immondizia che regna sovrana, ma attende sopratutto che con l’immondizia i compattatori portino via pure questa classe politica che infesta il paese.
Unica nota positiva, in mezzo a questo bailamme, quel 40 percento d’Italiani che secondo certe statistiche ha rinunziato a votare. Ma è sempre una minoranza, rappresentativa di quella parte sana del paese che non conta, ma resta la migliore.
Pubblicato il 30/11/2010
Saro Pafumi

domenica 28 novembre 2010

Linguaglossa e le sue palme morte


Chi nasce e vive in un piccolo paese, cresce assieme ad esso, quasi in simbiosi. Conosciamo di esso ogni angolo, ogni brandello remoto. Sappiamo per esempio, che girato un dato angolo, un generoso cespuglio di gelsomino, messo a dimora da mani sconosciute, ci donerà il suo profumo. Riconosciamo il suono delle campane delle chiese come fossero le voci dei nostri parenti. Ricordiamo le buche nei marciapiedi o le insidie di una mattonella smossa come se camminassimo sul pavimento di casa nostra. Degli alberi che adornano le strade conosciamo i nomi, sappiamo quali mani li hanno piantati, l’epoca della messa a dimora, la fioritura, come fossero figli nostri. Conosciamo, purtroppo, anche le piaghe che l’incuria ha arrecato al territorio, come fossero ferite inferte al nostro corpo. Il nostro paese è una seconda pelle cucita addosso che vive e muore con noi In quest’ultimi tempi alcune calamità hanno sfregiato il nostro habitat, non imputabili all’incuria umana, ma purtroppo all’inclemenza della natura. Parlo del “punteruolo rosso” che ha devastato le palme delle nostre piazze. Alzare lo sguardo e non vederle è come non incontrare più l’amico di sempre. Una presenza muta, quella degli alberi, che ci accompagna per un’intera vita, all’ombra della quale quotidianamente ci s’incontra, si chiacchiera e talvolta ci s’innamora.
Il vuoto che questi alberi secolari hanno lasciato, morendo, non è solo un lembo di terra che ha smesso di respirare, ma una parte di noi che ha cessato di vivere, talvolta persino un sostegno amico venuto a mancare. Un paese senza i suoi alberi secolari è un paese senza memoria, un corpo monco dei suoi organi vitali. Sconosco quali siano i progetti dell’amministrazione comunale per sopperire alla loro mancanza, ma mi auguro che menti pietose stiano immaginando come riempire il vuoto lasciato. Il desiderio di tutti è rivedere irte e superbe le nostre palme ( punteruolo permettendo) come se la loro morte fosse stata un brutto sogno. O immaginare come nelle favole che il loro sacrificio servirà all’intera comunità linguaglossese per adoperarsi con un piccolo sforzo economico per la loro rinascita. In fondo le palme, quelle palme sono ancora vive nei nostri cuori.
Pubblicato su La Sicilia il 29/11/2010
Saro Pafumi

giovedì 25 novembre 2010

Piano Provenzana, tra giochi, ripensamenti e tentennamenti

Ho letto la lettera del Presidente della Star pubblicata su questa rubrica il 21 corrente che, nell’intento dell’estensore, “doveva” fare chiarezza sul ritardo degli impianti a Piano Provenzana. L’unica chiarezza che affiora dalla lettera è la certezza che quest’anno non si scia. Nulla che non si sapesse. I motivi del ritardo? La solita burocrazia. Ormai, quello della burocrazia è un refrain che si porta cucito addosso come un vestito Questa verità di facciata, confessiamolo, non convince nessuno: non gli stessi attori o protagonisti della ricostruzione ( Enti, Comuni, Società, privati interessati), né la popolazione di Linguaglossa e ancor di più quell' innumerevole schiera d’appassionati, operatori turistici e commerciali che sperano nella montagna. Otto anni sono trascorsi dagli eventi calamitosi del 2002: un’eternità! Risultato: la neve continua a cadere candida coprendo il nulla. Otto anno sono trascorsi: le carte continuano a svolazzare tra un Ufficio e l’altro, come foglie morte sospinte dal vento dell’incuria. Otto anni sono trascorsi: i fatti sono parole; le idee, speranze; le promesse, lusinghe. In una mia pubblicata sull’argomento avevo scritto: Uscire dall’ambiguità. Il messaggio non è stato accolto, né poteva esserlo, perché giocare a carte scoperte non è diplomatico. Nella ricostruzione di Piano Provenzana, perciò, ha fatto capolino il politichese, il, messaggio cifrato o se volete il gioco del cerino. Di questo si tratta.
“La ricostruzione” è diventato un gioco. Tra temporeggiamenti, rimbalzi, ricatti, tentennamenti, interessi, economia e politica “la burocrazia” è uno jolly che ciascuno spende al momento opportuno. La burocrazia non è solo pedanteria delle forme, eccesso di potere; è anche tattica, temporeggiamento, sfiancamento, che in gergo militare si definisce “guerra di logoramento”. Nella ricostruzione di Piano Provenzana “le parti” si fronteggiano. E mentre “le parti” si studiano, il tempo passa. Intanto, l’Etna ribolle nervosamente. Delusa delle defatiganti azioni umane o perché smaniosa di colpire chi la priva del richiamo del suo fascino?
Attenti, operatori, promotori, attori e registi di questa ricostruzione-farsa: non giocate con i tempi perché l’Etna ha i suoi cicli, ed è imprevedibile. Se passa troppo tempo dalla progettata ricostruzione, un suo risveglio non è detto che non azzeri anche la speranza. Sono trascorsi otto anni: un’eternità. Il vulcano, intanto, rumoreggia. Sono segnali di pace o di guerra?
Pubblicato su La Sicilia il 25/11/2010
Saro Pafumi

martedì 23 novembre 2010

Dialogo in vernacolo

Turi cicireddu: ”Ah unni ha statu, cca javi ‘nseculu cca nun ti vidu?”
Iaffiu micciusu: “ O spitali, a farimi l’analisi ppi l’ucciola”.
Turi cicireddu: “ Nun mi ni parrari. A mei si scassau e sugnu a dritta ppi miraculu. Nun bastava! Mi truvaru puri a cròstata ‘ngrussata. Menu mali cca c’è a tassa muta e ’ncasu d’operazioni nun paiu nenti”.
Iaffiu micciusu: “Tu si furtunatu, picchì tra marricchi e marracchi, nesci sempri a galla. Iù cca scusa cca me mogghieri travagghia a muntagna haia a pajari u tricchiti”.
Ci vuleva, poi, puri me figghiu, Pi curpa cca ci mancunu quattru diatribbi e iavi un occhiu muratu ci abbisognunu l’ucchiali” Unu, ppi vadagnari, cca fari, avi a scippari chiova chi renti?”
Arazziu, occhi i siccia: “Distrubbu?”
Turi cicireddu e Iaffiu micciusu: “ Ppi nenti, Trasiti! A porta è aperta. Ni stammu cuntannu i lastimi.
Arazziu, occhi i siccia: “Ccu pirmissu. Aspettati però cca pigghiu ciatu, picchì’ ccu tutta a ciculatta cca mi manna me figghiu da Sghizzira mi vinni u ‘nzurtu o cori.”.
Turi cicireddu: “Nun mi diciti, parranno ccu crianza, cca aviti puru vui u pulisterolu iavutu, picchì si ‘nta stu mumentu ci pigghia a tutti i tri ‘na malosorti subbitania, u centudiciatottu ccu carrellu ancora l’hannu ‘nvintari”.
Saro Pafumi

giovedì 18 novembre 2010

Come ci vede un amico brasiliano

Feci passare due anni da quando l’avevo conosciuto, poi gli chiesi a bruciapelo:” Come ti trovi nel nostro paese?”. Il mio amico brasiliano mi guardò, poi dopo una breve pausa, come chi avesse bisogno di raccogliere i pochi disordinati pensieri, mi rispose: “ Ho la pancia piena, ma la testa confusa” Poi come un fiume in piena, di cui si sono rotti gli argini, mi elencò le sue certezze e le sue ansie. “Vedi”, proseguì, “la prima cosa che mi saltò agli occhi arrivando in Italia è che tutti portate l’orologio al polso. Da noi non c’è bisogno, perché il tempo non si misura in ore, minuti, secondi, ma in mesi, settimane tutto al più in giorni. Qui da voi il tempo è come da noi il cibo, si corre appresso cercando di acchiapparlo. Ma non so se lascia più morti per terra la fame o la fretta. Da voi il cibo si butta, da noi si raccatta. La seconda cosa che mi ha colpito? L’espressione del vostro viso. Avete tutto, ma vi manca la felicità e si vede. Noi, al contrario, non abbiamo quasi niente ma la felicità sprizza da tutti i pori. Canti e balli sono per noi il pane dell’anima; qui, da voi non ho percepito dove sta l’essenza del divertimento”.
“ Di cosa hai più nostalgia: della tua città, della famiglia, degli amici?” gli domandai, quasi volessi dargli la possibilità di riprender fiato. “ A bola”, mi rispose, con disarmante naturalezza. Il pallone, si sa, per i brasiliani è come il pane per gli affamati o l’eucaristia per i credenti, ma anteporlo a certi valori per noi è una bestemmia.
“Non hai ancora risposto alla mia domanda”. lo incalzai, cercando di capire se l’Italia era per lui una seconda patria.
“Eu respondo com um proverbio de nos antepassados: Se a vida the der um limao, faca dele uma cairpiriha” (Se la vita di dà un limone fallo diventare un cocktail). Lo salutai con una pacca sulla spalla, senza capire se l’augurio era rivolto a lui, a me o ad entrambi.
Pubblicato su La Sicilia il 18.11.2010
Saro Pafumi

domenica 14 novembre 2010

Il vacanziere domenicale a "sbafo"

Il marito:“ Ah mogghi! dumani abbessa i picciriddi ca ninni jemmu a cogghiri quattru coccia ‘i castagni”.
La moglie: “ E unni?, oh maritu!
Il marito: “Unni jemmu l’annu scorsu, ‘ndo zu stranu. Anzi, nun ti scurdari ‘i purtari ‘na triina ‘i burzi””
Questo, pressappoco, il programma del sabato sera di una coppia tipo per trascorrere la mattinata della domenica successiva. “ U zu stranu” per chi non lo sapesse è un parente immaginario, una specie di benefattore anonimo che ha la sventura di possedere un terreno coltivato e con un bell’albero di castagne della qualità “ marrone” che attira l’interesse del vacanziere domenicale, così detto “a sbafo”.
Se il proprietario dovesse per buona o mala sorte imbattersi in lui, la sua sfrontatezza non ha limiti: “tri burzi ‘i castagni” a sentir lui, sono: “ quattru coccia, pi picciriddi ca si passunu u tempu” . Guai a far scivolare il discorso sul serio o minaccioso com’è accaduto ad un mio amico che si è sentito chiedere il certificato catastale, il titolo di proprietà e la carta d’identità come farebbe un poliziotto che ti chiede: libretto e patente.

La presenza del vacanziere domenicale a sbafo è più diffusa di quanto si possa immaginare.
In genere è un tizio sicuro di sé che parte da casa, con famiglia a seguito, alla ricerca di un passatempo che non deve costare nulla, o per trascorre una giornata senza spendere il becco di un euro. Le strategie sono risapute, ma è sull’elemento della sorpresa che fa affidamento. In un bar, per esempio, approfitta della confusione, ordina con decisione, consuma e al momento di pagare sgattaiola con nonchalance. Se l’esercente dovesse accorgersi, puoi giurarci che la risposta è: “ Scusassi, ma non pajau me mogghi? Oppure ” Scusassi, ma non paiau me maritu?” Secondo ruoli e accordi ben definiti, collaudati dall’esperienza.
In qualche posto c’è scritto: “ Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione…..” Non so se per dimenticanza o deliberatamente non si fa riferimento ai dialetti.
Forse è in questo elemento fonico- linguistico che esistono le differenze?
Pubblicato su La Sicilia il 15.11.2010
Saro Pafumi

mercoledì 10 novembre 2010

Nei panni di Fini

I politici sono uomini come tutti, anzi in qualche caso peggiore degli altri. Nel giudicarli è bene tenere presente questa certezza perché i santi, se esistono, esistono solo in paradiso.
Il politico, come essere umano ha pregi e difetti e fra questi, il più spiccato, l’ambizione. Senza ambizione nessun uomo politico va avanti, anzi col tempo finisce con esserne tagliato fuori. Detto questo, provo un po’ a mettermi nei panni di Fini e azzardo un ragionamento molto semplice. Pensa Fini: “ Ho 58 anni, essendo nato nel 1952. Berlusconi ne ha 74, ma da quanto è dato capire non ha intenzione di ritirarsi dalla scena politica. Se il governo terrà, le nuove elezioni avverranno nel 2012, quando avrò compito 60 anni. Se la nuova legislatura del 2012 durerà altri quattro anni, con il sempre ingombrante Berlusconi alla guida avrò compiuto 64 anni. Un uomo politico a 64 anni che prospettive potrà avere, oggi, che nuovi movimenti parlano di “rottamare i politici di antico corso? Se non è questo il ragionamento esatto, certamente si avvicina, perché chi cerca spazio, lo cerca attorno e attorno cosa vede: Berlusconi Un incubo! Si può pensare che quest’ipotesi è personale, faziosa e fantastica, ma a ben pensare può non essere tanto strampalata. La condotta che segue quest’ipotetico ragionamento ha per conseguenza: liquidare Berlusconi. E quale migliore occasione se non approfittare delle sue debolezze? E’ la regola del poker In quanto all’Italia, ai suoi problemi, all’economia, essi fanno parte dei proclami. Realizzarli? Si vedrà. L’elettore, come al solito cade nel tranello, credendo ancora una volta nella rinascita, nei posti di lavoro di berlusconiana memoria, perchè quel che importa è sentirselo ripeter da altri. Chi s’illude, come qualche lettore scrive su questa rubrica nel milione di posti di lavoro, nella rinascita dell’economia a breve cerchi i candidati anziché nelle liste elettorali nel calendario. Chissà che qualche Santo non esca fuori. La politica è un' arte molto meno nobile di quanto si creda. e l’uomo che la pratica assieme ai suoi pregi è condizionato dai propri difetti. Si tratta da parte dell’elettore di essere disposto a digerire quelli che in pratica fanno meno male al paese Le ambizioni personali spesso, più spesso di quanto si creda sono la vera stella polare del politico. Si chiami Berlusconi, Fini, Mario Rossi o Gennaro Esposito.
Saro Pafumi

domenica 7 novembre 2010

Leggi ad personam.Un ritornello ossessivo

C’è un ritornello che ricorre spesso sul caso Berlusconi, dato in pasto all’opinione pubblica, al quale molti abboccano: “leggi ad personam”. Volendo intendere con quest’espressione, becera e ossessiva, l’intento del premier di sottrarsi ai processi penali a suo carico. Che Berlusconi sia inquisito curiosamente a partire dalla sua “discesa in campo”, che risale, ormai, al lontano 2004, lo sanno pure le pietre Nonostante ciò, la maggioranza dell’opinione pubblica lo ha fin qui votato consegnandogli il potere per ben due volte. Sarebbe ora di uscire da quest’equivoco che è diventato un vero tormentone. Come? O si approva una legge confermata dalla Corte Costituzionale che impedisce a qualsiasi inquisito di accedere alla carica pubblica, cosa buona e giusta, dimezzando così facendo, in forma automatica, la presenza di deputati e senatori affetti dal morbo giudiziario o si approva una legge che non è giusto definire “ad personam”, ma a tutela del ruolo. Da questo dilemma non è altrimenti possibile uscire, giacché in caso contrario qualunque premier eletto, che fosse inquisito, sarebbe un premier a rischio, con la conseguente ingovernabilità del paese. E il paese non può permettersi in certe circostanze ( vedi l’attuale crisi economica nazionale e mondiale) né instabilità, né nuove elezioni che di per se costituiscono un dramma per l’intera comunità nazionale.
Il buon senso suggerisce di procedere, pertanto, in quest’’ambito, con logica e coerenza. Se poi la locuzione “ legge ad personam” si vuole utilizzarla come clava per disarcionare chi è stato legittimamente eletto dal popolo o può esserlo solo gli allocchi possono abboccare.
Il caso Berlusconi, poi, è veramente paradossale. Egli non è inquisito dopo la sua elezione, ma prima, il che dimostra che nel nostro ordinamento c’è qualcosa che non funziona: la legge o l’opinione pubblica.
Pubblicato su La Sicilia 08/11/2010
Saro Pafumi

Le esternazioni del Premier

Preferisco essere ricco che povero, intelligente che sciocco, alto che corto, magro che grasso. Poveri, sciocchi, corti e grassi unitevi in santa alleanza contro chi fa queste affermazioni. Egli offende la vostra dignità di persona umana, calpesta i vostri diritti ad essere come siete, semina odio e violenza contro di voi, discrimina la vostra esistenza, emargina la vostra vita. Quella di esternare preferenze e stili di vita credo che rientri nella libertà di ognuno, senza con questo offendere chi queste preferenze non condivide.
L’esternazione di Berlusconi sulla condizione gay ha suscitato un’ondata di sdegno. C’era d’aspettarselo in questo mondo d’ipocriti, perché quello che Berlusconi dice, lo pensa il 90% della popolazione, ma non può essere espresso, in barba alla libertà di pensiero e d’espressione, da chi rappresenta le istituzioni. Preferenza per una condizione non significa condanna o disprezzo per le altre, ma un semplice punto di vista, un desiderio. Mi è permesso di dire, potendo scegliere, di non essere claudicante, senza con questo offendere gli zoppi?
La verità è che sulla condizione gay c’è un dibattito becero, retaggio di pregiudizi antiquati che confonde la condizione fisica con la dignità umana, seminando lungo il percorso dialettico una serie di distinguo come se “ persona” e “sesso” fossero un binomio inscindibile.
L’inghippo sta tutto qui: come considerare il gay. Finché si discute, come se fosse “una specie” da studiare e catalogare le diverse considerazioni lasciano scoperto il nervo della sensibilità di chi vive questa condizione. E’ come parlare di corda in casa dell’impiccato. Del resto non si possono spazzare d’un colpo secoli di pregiudizi in ogni latitudine e longitudine del globo terrestre sulla questione. La vera anomalia non è la condizione gay ma il pregiudizio attorno ad essa. Ciò non toglie, però il diritto di ognuno d’essere ciò che si desidera.

Saro Pafumi

mercoledì 3 novembre 2010

Perchè voto Berlusconi

Perché voto Berlusconi. E’ una domanda che ho posto spesso a me stesso, arrivando dopo sofferte peregrinazioni mentali a darmi una risposta. In un’epoca avvolta dalle nebbie, non è facile darsi una risposta, qualunque sia il tipo di domanda che ci si pone: dalla politica, alla morale, dalla religione all’economia, per finire al lavoro. La nostra esistenza è una zattera in balia delle onde, il cui approdo è incerto fin dalla nascita, ma in certi periodi storici è un miraggio. In politica, per esempio, che è il tema di quest’argomento, non solo è difficile, ma impossibile. Basta girarsi attorno per vedere il vuoto che ci circonda. In queste condizioni una scelta è necessaria farla e può oscillare tra una non scelta e una sia pure sbagliata. In mancanza di riferimenti certi, di simboli, d’ideali, si finisce col guardare dentro la propria anima, cercando come in un gioco di specchi, il personaggio che più ci somiglia, con pregi e difetti che sono anche i nostri. Per specchiarsi si ha bisogno, però, che il personaggio scelto si mostri senza quegli infingimenti di cui spesso s’ammanta il politico. Berlusconi si mostra “nudo” agli occhi del popolo: genuino, perchè non nasconde i suoi difetti, imperfetto come lo è ciascuno di noi; smanioso di potere com’è desiderio d’ogni mortale; realizzato com’è il sogno di tutti; benestante che è il fine che si propone l’uomo nell’arco della sua vita; Berlusconi abbraccia “ mostruosamente” tutte queste intime speranze e/o illusioni. Chi non vorrebbe trovarsi nei panni di Berlusconi! Egli è “un leader nudo”. Può piacere o no, ma almeno offre a tutti la possibilità di vederlo non attraverso l’immaginazione o il riflesso deformante dell’ipocrisia, ma dando la possibilità a ciascuno di guardare nel suo intimo, pregi e difetti compresi. Non si vuole dal politico la massima trasparenza? Quale migliore e maggiore trasparenza di mostrarsi “nudo” agli occhi del popolo?
Una volta tanto la politica non è solo apparenza, ma essere. Una novità in questo mondo d’infingimenti, nel quale chi li combatte finge egli stesso. Come ogni novità richiede d’essere metabolizzata, ammesso che possa esserlo. Il “paradosso Berlusconi” consiste nel rimproveragli quello che siamo o vogliamo essere noi, se si ha la sincerità d’ammetterlo.
Pubblicato su La Sicilia il 03.111.2010
Saro Pafumi

lunedì 1 novembre 2010

LA CURA DELLE TOMBE,UN DOVERE.
Si avvicina la commemorazione dei defunti e per tradizione la visita ai nostri cari è un dovere. Frotte di persone si aggirano tra le rifiorite tombe sussurrando ricordi e preghiere. Crisantemi, rose, margherite, ciclamini, viole mani pietose depongono sulla tomba dei propri cari, rivestendo di festosi colori i freddi imbiancati sepolcri. Dopo, quando le lacrime si saranno asciugate e le labbra avranno finito di mormorare cosa resterà su quei sepolcri? Fasci di fiori col capo chino, segno che anche il nostro muto affetto s’è incupito. Un giorno di nostalgica pietà collettiva, il due novembre, cui fa seguito il totale abbandono di sepolcri e cari. Basta addentrarsi in un qualunque cimitero qualche mese dopo la commemorazione dei defunti per vedere ovunque ( salve rare eccezioni) seccume e squallore. Certamente non si può vivere perennemente “accovacciati” accanto alla tomba dei propri cari, ma una saltuaria visita sarebbe opportuna e gradita dai vivi e dai morti ( almeno per rimuovere i fiori appassiti) perché il ricordo dei propri cari deve essere un fiore sempre fresco, immarcescibile come lo fu in vita l’affetto dei nostri cari.
Pubblicato su La Sicilia il 31.10.2010
Saro Pafumi

martedì 26 ottobre 2010

Ricostruzione Piano Provenzana, uscire dall'ambiguità

Piano Provenzana, versante Nord dell’Etna, martoriato dagli eventi sismici del 2002, non riesce ad emergere dalle sue ceneri, nonostante gli sforzi compiuti dalle varie amministrazioni comunali. Leggo su La Sicilia del 25/10 di un’assemblea pubblica tenutasi a Linguaglossa tendente a fare chiarezza sull’argomento.
Di chiarezza, com’era da aspettarsi, nemmeno l’ombra, eccetto l’informazione data alla cittadinanza che l’impianto Coccinelle stenta a decollare perché si è in attesa, cosa peraltro risaputa, dell’autorizzazione regionale.
Poiché quello che si dice in privato, non è esternato in pubblico, proviamo a fare chiarezza sull’argomento, manifestando la nostra impressione, senza peli sulla lingua.
La questione, occorre ammetterlo, verte tutta sui rapporti tra l’amministrazione comunale e la STAR, concessionaria d’alcuni impianti di risalita.
Poiché per completare il programma degli impianti occorre realizzarne altri due, Anfiteatro e Monte Conca, l’intendimento della Star è di ottenere la concessione dei predetti due realizzandi impianti, in modo da assolvere in regime d’esclusiva l’impiantistica nel suo complesso.
Da un punto di vista di politica aziendale la pretesa della STAR, se questo è il suo intendimento, non fa una grinza. Il problema è che tale politica cozza con gli interessi di altri “presunti” operatori interessati a tali impianti ( Anfiteatro e Monte Conca) e con una certa opinione pubblica che non “digerisce” il regime di monopolio che istaurerebbe la STAR a Piano Provenzana, Società, peraltro, presente sul versante Sud dell’Etna.
Dicevo di “presunti” operatori, perché di essi nella realtà dei fatti, non c’é presenza alcuna, al di fuori delle solite chiacchiere che contribuiscono a creare più confusione di quanta ce ne sia.
Alla quasi generalità dell’opinione pubblica ed in particolare agli operatori commerciali di Linguaglossa interessa ben poco chi vorrà o dovrà realizzare e gestire gli impianti medesimi, se in esclusiva o meno, perchè quello che importa e il buon senso suggerisce è di realizzare gli impianti e di farli funzionare, perché indispensabile volano di sviluppo dell’economia linguaglossese.
Il nodo da sciogliere è pertanto tra l’amministrazione comunale e la STAR. Se non si esce da quest’ambiguità, agli eventi sismici si aggiungeranno le “calamità umane” ben peggiori dei primi, perché ingovernabili senza un minimo di ragionevolezza.
Pubblicato su La Sicilia il 26.10.2010
Saro Pafumi

venerdì 22 ottobre 2010

LA TV HA TOCCATO IL FONDO

Lo dico a La Sicilia

Diciamolo senza ipocrisie: la TV, è diventata un problema. Mi riferisco alle cronache giudiziarie che, mi si consenta il termine, sono diventate un’indecenza.
Capisco che esiste il telecomando, per cui se l’utente non vuole essere “ informato”, basta un clic e si passa oltre, ma quando tutte le emittenti sono contemporaneamente sintonizzate sullo stesso argomento non restano che i cartoni animati. Si parla tanto di diritto di cronaca. Che diritto di cronaca è assediare giorno e notte la casa di chi sta vivendo un trauma familiare come il caso Sarah Scazzi insegna? Oggi i processi non si celebrano nelle aule giudiziarie, ma in piazza, in Tv. con centinaia di collegamenti, domande, inchieste, prove, dibattiti, consulenze, previsioni, sentenze. Tanto vale abolire il processo penale, così come oggi è formulato, introdurre il voto popolare, come si fa al festival di San Remo e affidarsi “alla piazza” dove i protagonisti sono le vittime e i loro veri o presunti carnefici, le forze di polizia, i giornalisti assieme all’accozzaglia di consulenti e sapientoni che collaborano con loro e i giudici, il popolo. Una specie di Corte d’Assise pubblica dove la legge è amministrata “in nome del popolo” che è quello che si legge nelle aule giudiziarie. La verità è che la TV. come un animale famelico, si compiace dei casi criminosi, anzi ci guazza o meglio ci sguazza, gode, si compiace, perché è il suo pasto preferito. Eserciti di cameraman, d’inviati speciali sono sguinzagliati in ogni dove, persino sui lastrici solari pur di accaparrarsi una diretta televisiva. In queste condizioni la morbosità popolare cresce, i curiosi fanno carosello, il turismo macabro fa capolino e le TV straniere si nutrono anch’esse del truce spettacolo. In questi servizi televisivi abbondano le interviste idiote, come di chi chiede alla madre se ritiene che la figlia sia colpevole o ai genitori della vittima cosa sentono intimamente per la morte della figlia. C’è da rimanere allibiti che tutto questo bailamme possa definirsi informazione o diritto di cronaca. Si rimane stupefatti, altresì, di certe diagnosi di psicologia comportamentale come di chi vuol leggere la colpevolezza del responsabile a seconda se muove la spalla destra o quella sinistra, se si tocca i capelli o fa una smorfia che equivale ad una confessione. Ho timore che si sia arrivati ad un punto di non ritorno. Le prospettive non rose rosee Restiamo solo in attesa di toccare il fondo, ma temo che sia stato superato.
Pubblicato su La Sicilia il 23.10.2010
Saro Pafumi

giovedì 21 ottobre 2010

DUE MODI PER DIVERTIRSI

Ci sono due modi per divertirsi: rimanere incolonnati per due ore ai caselli stradali, com’è avvenuto domenica 17 corrente verso le ore 13 al casello di Giarre, in entrata ed uscita, per andare a vedere le ottobrate, le castagnate, e via discorrendo confondendosi fra la folla e pestandosi i piedi l’un l’altro, con la prospettiva di pranzare alle ore piccole per la delizia degli adulti e dei bambini o scegliere mete più serene dove potere respirare aria pulita, pace e tranquillità e magari gustando un buon piatto di specialità a prezzo contenuto, servizio compreso. La folla, si sa, non è mai foriera di servizi adeguati e la confusione quasi mai genera prodotti di qualità. Eppure quasi tutti ci strappiamo i capelli e facciamo follie pur di raggiungere mete turistiche che alla prova dei fatti lasciano il tempo che trovano.
Il turismo è fatto di persone che si muovono da un capo all’altro, ma quando tutti quanti ci muoviamo nello stesso momento e in direzione delle stesse mete il divertimento non è assicurato.
Forse il buon senso suggerirebbe di andare contro corrente, ma quanti siamo disposti a rinunziare al tam- tam del richiamo turistico? Le occasioni di divertimento non sono molte e quando sono annunziate non si vede l’ora di esserne coinvolti, salvo, poi, ad imprecare che la fila d’auto si muove a passo d’uomo. Importante è raggiungere la meta, costi, quel che costi. magari facendo ritorno a casa senza poterla raggiungere. L’importante non è arrivare ma partecipare alla follia collettiva, come in una specie di carosello in cui il divertimento non consiste nel godere stando fermo ma muovendosi a passo di tartaruga non importa se a bordo di un auto dalla quale, a volte è persino impossibile scendere.
Pubblicato su La Sicilia il 21/10/2010
Saro Pafumi

mercoledì 20 ottobre 2010

PERSONAGGI DI PAESE TRA REALTA' E LEGGENDA

Spesso nei racconti delle persone anziane si richiamano alla mente personaggi rimasti memorabili: per la bravura nei mestieri esercitati, per certe loro stravaganze, per le imprese portate a termine, per le caratteristiche fisiche o di carattere o più semplicemente per la carica di simpatia che li ha distinti. Sono piccole storie personali che ciascuno a volte condisce esaltandone il lato umoristico o quello umano. Di questi ricordi vive l’anziano, aggrappato più al suo passato che al presente. A Linguaglossa, nei racconti di “ personaggi e storie” sono pieni i ricordi.
Don Pippinu “cosci ‘i viulinu”, per le sue gambe arcuate, lunghe e sottili aveva un incedere molleggiato come se a posto delle ginocchia avesse due ammortizzatori. Egli è stato l’antesignano del lavoratore precario, alternando alla finta ricerca del lavoro la voglia di non trovarlo… Egli, per certi versi, è stato il vero interprete del sillogismo napoletano:: “il lavoro è una fatica, la fatica fa male, il male fa morire, perciò non lavoro”.
Don Pippinu “mazzola”, provetto barbiere, non usava le forbici, ma la macchinetta tosatrice, perché, ai suoi tempi, ll “pediculus humanus capitis”, volgarmente chiamato pidocchio della testa, si annidava spesso tra i capelli dei giovani. Poiché la macchinetta era quella che gli aveva lasciato in dote il padre, più che tagliare i capelli li strappava, tra le grida dei giovani che si servivano della sua maestria. Memorabile la sua prima notte di nozze con “ a ‘gna Santa carru-carru” Al momento di “consumare”, si racconta, si fece il segno della croce, recitando: “In nome di Dio e ‘ da ‘gna Santa” e la moglie di rimando: “ trentanove e tu quaranta”. Personaggio di rilievo per bravura nei calcoli don Giuvanni “ u liprinu”. Se gli dicevi di essere nato, per esempio, il 24 novembre del 1937, ti dava il tempo di contare fino a tre ed ecco la risposta: quel giorno, era un mercoledì. Memorabile la scommessa tra don Saru e don Matteu. Il secondo sosteneva di essere in grado di mangiare fino a cento arancini. Ad ottanta, buttò la spugna, ma ottanta arancini, a pensarci, sono “una montagna”.
Don Marianu “u scaricaturi” trasportava i barili di vino, a spalla, dalla cantina al piano di carico. Contava i bicchieri di vino che tracannava per ogni barile trasportato. A fine giornata chiuse il conto a 320. Donna Nina “a paparuni” stava accovacciata davanti all’uscio del suo ballatoio sia d’estate che d’inverno, Don Angiulu “ u carritteri”, un prete naturale e genuino come lo aveva fatto sua madre. Quando in groppa al suo asino andava in campagna era seguito da una frotta di giovani manigoldi che gli cantavano in coro: “ Patri donn’ Angiulu carritteri, orbu davanti e sciancatu d’arreri”. Seguiva da parte del malcapitato una giaculatoria di male parole da fare impallidire l’uomo più blasfeno. E poi ancora don Ninu “ sputracavaddi”, Peppi “ u piru”, donna Francisca “nicchi-nacchi”, Enna “ a babba” Carmina “a ciunca”, Peppi “ u surci”, “Babbi ‘i ciccia”, donna Rosa “a pisciara”, “a matarazara”, Turi “ menza cajella”, Ninu lapollu “ u vanniaturi” e tanti altri che ricordare riempirebbero quest’intera rubrica. Simpatici, indimenticabili personaggi di paese, ciascuno con la propria storia sulle spalle, tra realtà e leggenda, vivi ancora oggi nei ricordi.
Saro Pafumi

venerdì 15 ottobre 2010

IL MEA CULPA E IL GRIDO DISPERATO DI UN GENITORE

Mi verrebbe da gridare, con quanta forza ho nei polmoni, rivolto ai giovani: “ scappate via da questo paese”. Lo hanno fatto molto tempo fa i nostri padri, con la valigia legata con lo spago, rifatelo voi, anche senza valigia, pur di fuggire da quest’immobilismo che vi soffoca e ci soffoca. Non lasciatevi lusingare dalle promesse, perché in questo paese di promesse abbiamo piene le scatole, non lasciatevi irretire dalla speranza, perchè anche quest’ultimo baluardo è crollato. Affidatevi alla vostra intelligenza e guardatevi attorno. Vedrete le macerie di una società che stenta a credere in se stessa, una classe dirigente la cui unica risorsa è la propria sopravvivenza, una burocrazia divenuta un cancro incurabile. Provate a mettere un mattone sull’altro e al secondo tentativo c’è chi ostacola ogni vostra iniziativa. Se c’è un male che corrode noi stessi sono l’incertezza e l’attesa, il tempo speso per aspettare: uno spreco che ogni giovane non può permettersi di spendere perché ogni attimo che passa inutilmente è un attentato al suo entusiasmo e alla sua forza d’agire. La colpa di quest’immane disastro sociale è di noi genitori che abbiamo vissuto la nostra vita al di sopra delle nostre possibilità, dimenticando valori e godendo del presente . Abbiamo accumulato un debito economico gigantesco lasciato in eredità ai nostri figli che lo dovranno pagare. Come potranno, ammesso che n’abbiano voglia e tempo, se è negato loro il diritto di realizzarsi? Noi genitori siamo consapevoli dei nostri errori. Da qui la nostra arrendevolezza nell’educare, la voglia di assecondare ogni desiderio dei propri figli, la speranza di vederli felici, perché nell’inconscio siamo consapevoli del peso che abbiamo deposto sulle loro spalle. Poiché la situazione è irreversibile, chi può scappi in tempo, perché ogni giorno che passa è un lasso di tempo che non si recupera. C’è un tempo per essere speranzosi, un tempo per essere ottimisti, ma dinanzi all’incancrenirsi della realtà, chi rimane abbraccia solo il pessimismo. Scappate, giovani, per non farvi seppellire dalle macerie, per non soccombere alle avversità che noi genitori abbiamo irresponsabilmente contribuito a creare. La patria non è più il ristretto lembo di terra in cui si nasce, ma quello ben più ampio in cui si riesce a realizzarsi e a costruire il proprio futuro.
Pubblicato su La Sicilia il 16.10.2010 Saro Pafumi

martedì 12 ottobre 2010

QUEI DUE MATERASSI, NESSUNO ME LI PORTI VIA

Chi è stato l’inventore del Numero Verde deve meritarsi il premio Nobel, se non altro per il nobile intento di facilitare la vita del prossimo.
Il problema è che fatta l’invenzione si trova sempre il modo di neutralizzarla e “il verde” rimane solo il colore della speranza di chi si affida ad esso per un problema da risolvere. Com’è capitato con due materassi incautamente depositati dal solito fannullone maleducato davanti il cancello della mia abitazione. Ho provato a telefonare al numero verde per la rimozione, ma fino ad ora solo risposte evasive: Vedremo…..… a giorni…..riprovi a telefonare…..si sbrighi a indicare l’indirizzo perché il tempo a sua disposizione sta per scadere……… In conclusione i due materassi sono lì abbandonati da giorni a farmi compagnia. A forza di vederli all’uscita di casa e al mio rientro mi sono affezionato ad essi, immaginando i tanti ruoli che hanno avuto, la loro nascita, la giovinezza e l’abbandono. Ho immaginato le mani operose di chi li ha confezionati, l’entusiasmo della loro gioventù, l’avere assecondato il sonno di chi li ha posseduti, i tanti possibili gemiti amorosi da essi ascoltati, i soavi molleggiamenti assicurati a chi mai ha pensato alla loro muta sofferenza, la sofferta vecchiaia, infine l’abbandono. Ho smesso così di telefonare al numero verde, sperando che nessuno li rimuova Chissà quante altre emozioni mi faranno sentire essi, utili inanimati esseri, che un giorno fornirono morbidezza e delizia, oggi abbandonati, ma disposti a farmi compagnia, come ultima missione da svolgere.
Che nessuno me li porti via!
Pubblicato su La Sicilia il 12.10.2010
Saro Pafumi

martedì 5 ottobre 2010

IN CHE COSA CREDERE ?

In che cosa credere? E’ una domanda che ci poniamo da tempo sui valori che dovrebbero guidare la nostra vita quotidiana. Nella Chiesa? Dilaniata dai suoi stessi peccati, più volte imputata nell’amministrazione delle sue potenti leve finanziarie, incapace di dare una guida ai suoi fedeli con l’opera pastorale dei suoi ministri? Nella famiglia? Disgregata nella sua composizione affettiva, assente nell’educazione dei figli, in perenne difficoltà a superare gli ostacoli quotidiani, costretta ad arrancare, sperduta e smarrita alla ricerca di valori introvabili o precari, contingenti o discutibili? Nel lavoro? Divenuto una chimera, precario o insoddisfacente, anonimo o illegale, ricattabile o privilegiato? Nella scuola? Avvitata su se stessa, alla ricerca da decenni di un indirizzo culturale e persino di un assetto logistico umano e strumentale che fa acqua da tutte le parti? Nella giustizia? Disorganica e contraddittoria, arroccata nei suoi privilegi di casta, lenta, buonista e infruttuosa? Nello Stato? Perennemente impegnato con bilanci, manovre finanziarie, norme disorganiche, sorvegliato speciale dalla Comunità Europea, oberato dall’atavico divario tra Nord e Sud, in lotta continua con criminalità e malaffare, in bilico su se stesso, corroso al suo interno da atti di corruzione ripetuti ed interminabili? Nella politica? Non rappresentativa della volontà popolare, demagogica e populista, rissosa e inconcludente, incline alla delegittimazione dell’avversario, generatrice di partiti e movimenti personali?
In questa desolante visione della vita ciascuno coltiva il proprio essere tra le nebbie dei valori e lo sfilacciamento delle coscienze, senza una bussola che gli indichi un percorso umano e sociale in cui credere. Non scandalizza perciò l’esasperato egoismo imperante che c’è in noi stessi, reso ancor più sterile dalla ricerca di un materialismo come unica ragione di vita.
In questo deserto di valori “la quotidianità” del vivere resta l’unica via da percorrere. Siamo uomini senza tempo ed identità sospinti dall’inerzia, erranti e disattenti. Rimaniamo smarriti e protestiamo dinanzi alle avversità naturali, ma muti innanzi alla sismicità che percorre la nostra umanità. Forse è il caso di resettare tutto questo per iniziare a credere o ritrovare i valori smarriti, ammesso che se n’abbia voglia e tempo e si trovi una guida alla quale credere.
Pubblicato su La Sicilia il 06.10.2010
Saro Pafumi

venerdì 1 ottobre 2010

LA SOLITA PIZZA. CHE BARBA, CHE NOIA


Oggi trovare un lavoro è come fare tredici o vincere al superenalotto e così la fantasia galoppa alla ricerca di un’attività autonoma che possa assicurare un minimo di sostentamento economico. Le occasioni non sono molte e semplici e di solito abbastanza costose, perché l’apertura di un negozio comporta impegno, spese, competenza, ma soprattutto rischi, tanti rischi. In queste condizioni una delle attività più gettonate è l’apertura di una pizzeria e quasi sempre chi si avventura in quest’attività spesso lo fa senza avere le necessarie competenze, partendo dal presupposto che preparare una pizza è la cosa più semplice di questo mondo. Si pensa: che professionalità ci vuole ad impastare un po’ d’acqua e farina, condirla con pomodoro, mozzarella o qualche altro ben di Dio ed infornarla? Con queste premesse è pressoché impossibile gustare una vera pizza. Basta andare in giro e le delusioni si colgono a piene mani.
Non me ne vogliano i vari pizzicagnoli disseminati nella nostra isola, ma il paragone con quella ”doc”, “ la famosa Margherita, mady in Napoli, non ha confronti. La preparazione della pizza è un’arte tutta partenopea, in primo luogo per gli ingredienti che mancano del tutto dalle nostre parti: mozzarella di bufala, pomodoro san marzano, la stessa acqua ( famosa quella del Serino molto diffusa nel napoletano, caratterizzata da poco calcio), la temperatura del forno, la giusta lievitazione e per finire quella rara maestria che solo a Napoli è possibile trovare.
E dire che siamo veri maestri nel confezionare arancini, “crispeddi” e scacciata, quella per intenderci imbottita con tuma e acciughe.
In Sicilia con tutto questo ben di Dio, che altrove c’invidiano, ci ostiniamo a consumare “la solita pizza” che con gli ingredienti con i quali a volte è condita è più verosimilmente un vero pastrocchio che può raggiungere le 800 calorie. Se poi qualcuno, a notte fonda, è costretto a bivaccare perché la lievitazione della pizza avviene nella pancia chi lo va a dire al pizzicagnolo improvvisato che la giusta lievitazione sta alla base di un’ottima pizza?
Ma la “pizzamania” imperversa e con essa i vari modi di dire come “andiamoci a fare una pizza” la frase più gettonata dai giovani, ai quali mi verrebbe da chiedere: “ma voi la vera pizza la conoscete davvero?”
Pubblicato su La Sicilia il 01.10.2010
. Saro Pafumi

lunedì 27 settembre 2010

i GIOVANI VANNO GUIDATI VERSO METE CONCRETE

L’amaro sfogo della studentessa di 19 anni che lamenta ( questa rubrica del 25/09) di non avere diritto ad un futuro normale spinge a fare alcune riflessioni.
Intanto, cominciamo a dire che studiare è un diritto ed insieme un dovere prima di tutto nei confronti di noi stesi, perchè in una società fortemente alfabetizzata la cultura ci aiuta a vivere. Il problema, semmai, è sapere quand’è giusto fermarsi: diploma o laurea. Il diploma apre numerose strade e consente qualche riconversione, per esempio nel campo dei lavori manuali, mentre la laurea incanala il soggetto verso un percorso ben definito, dal quale è difficile tornare indietro o nel quale è facile coltivare illusioni. Per fare un esempio è come se si salisse su un treno accelerato o un espresso, ben consapevoli che le fermate sono molte nel primo caso e poche nel secondo. Ma c’è un aspetto nella costruzione del futuro individuale che ciascun soggetto deve tenere ben presente: il diploma o la laurea di per sé non significano assolutamente nulla In una società caratterizzata dall’uso inflazionistico del “pezzo di carta” sono necessari altri valori: un plus che ci differenzi dagli altri, ossia “il merito”. Emergere dalla massa è un’esigenza imprescindibile, ma quanti sono coloro che oltre all’intelligenza hanno anche la virtù di differenziarsi? Molto spesso ci lamentiamo non solo per la difficoltà di trovare un posto di lavoro, ma anche per la coda che ci tocca fare in un ufficio pubblico, per l’attesa della definizione di una pratica, per il troppo traffico automobilistico che ci costringe a stare incolonnati, per un esame diagnostico rinviato alle calende greche, per un processo civile che tarda a concludersi, ecc. Le cause di tutti questi disservizi sono molteplici, ma quasi sempre imputabili al sempre crescente aumento della domanda. La verità è che siamo in troppi a chiedere o a fare la stessa cosa.
Avviene perciò che le difficoltà si sommano, perché ciascuno non rinunzia al proprio diritto, a prescindere se……….
Siamo individui che fanno parte di una folla che fa o vuole le stesse cose.
Un tema cinematografico magistralmente trattato, questo, da Kig Vidor nel film “La folla”, in cui ogni individuo vuole emergere dalla massa senza capire che le sue esigenze sono uguali a quelle degli altri. A 19 anni è indigesto capire tutto ciò, perché l’entusiasmo ci offusca la ragione, la passione ci rende schiavi della speranza e l’ingenuità ci fa credere di vivere in un mondo di diritti. Purtroppo a questi giovani manca una guida (genitori, scuola, società) che li sappia indirizzare verso mete concrete. Spiace dirlo, ma a noi genitori, in particolare, ci piace “parcheggiare” i nostri figli nelle varie università, perché quello che a noi importa è aver la coscienza a posto ( assicurare il diritto allo studio). a prescindere se il futuro non è roseo per chi ci sta a cuore. Nel commentare la lettera della diciannovenne, verrebbe da dire: “ ni ficiumu assai!”.
Pubblicato su La Sicilia il 26.09.2010
. Saro Pafumi

martedì 21 settembre 2010

VOLANTINAGGIO, UNA PRATICA INQUINANTE

L’imbrattamento di muri, pali, strade in occasione d’ogni tornata elettorale è ormai una consuetudine che fa parte delle nostre abitudini, quasi una tradizione che anticipa lo sporco di cui si colora la politica una volta conquistato il potere. Almeno, ci si consola, il periodo è limitato alla campagna elettorale, anche se i residui a volte permangono per mesi, se non per anni a deliziarci della loro immonda presenza. C’è pero un’altra usanza deleteria e sporcacciona, più della prima ed è l’uso di praticare il volantinaggio che lascia sulle strade, avanti agli usci delle case, sotto i tergicristalli delle auto nelle cassette della posta e in genere in ogni pertugio utile allo scopo montagne di carte di cui disfarsi è un’impresa. Come ogni cosa inutile che invade la nostra vita quotidiana questi volantini finiscono per terra abbandonati dalla maleducazione civica o sospinti dal vento per tramutarsi in tappeti cartacei. Molti di questi volantini finiscono inesorabilmente per rimanere imprigionati tra gli erbosi cigli stradali. pronti a riaffiorare quando è praticato il taglio delle erbe infestanti che insolitamente avviene, quando la stagione turistica volge al termine. Una pratica che anziché risolvere il problema lo aggrava. Gli operatori, infatti, usano “i soffiatori” col risultato che le foglie anziché raccolte sono accumulate lungo i cigli stradali, pronti a sparpagliarsi alle prime folate di vento o al semplice passaggio delle auto. Come si possa tollerare questo strano modo di far pulizia che costa denaro ed è palesemente infruttuoso è un mistero.
Possibile che anche questi apparentemente piccoli problemi debbano essere sempre risolti “all’italiana? ” Una mala sorte o più verosimilmente una caratteristica che ci accompagna in ogni manifestazione del nostro vivere civile, dalla politica, alla morale per finire alla quotidianità.
Pubblicato su La Sicilia il 22.09.2010
Saro Pafumi

giovedì 16 settembre 2010

DEMOCRAZIA ALL'ITALIANA

Qualcuno tempo fa mi ha fatto pervenire a casa la tessera elettorale. Come ogni buon cittadino, in ogni tornata elettorale compio il mio dovere e com’è ovvio mi rallegro o mi rammarico a seconda del risultato che proviene dalle urne. Alla Regione Siciliana nelle ultime elezioni ha vinto il Centro Destra che rappresenta la volontà del 65 percento di chi lo ha votato. In corso d’opera la maggioranza si è liquefatta. Logica e buon senso suggerirebbero di ritornare a votare, poiché il “trasformismo” tradisce la volontà degli elettori, ma poiché, in politica, comanda chi vince, il risultato è sotto gli occhi
In queste condizioni, andare a votare che senso ha, se nel corso d’opera le alleanze cambiano e il responso si ribalta?
Si sostiene che i deputati non sono legati al mandato degli elettori e in linea di principio si può esser anche d’accordo, ma in queste condizioni non è più logico che i deputati “se la cantino e se la suonino da soli” senza disturbare più di tanto l’elettore?
Nel mondo siamo i primi in gastronomia: non per niente abbiamo inventato l’insalata russa, la cotoletta alla milanese, la pasta alla palermitana, il baccalà alla vicentina e mille altre prelibatezze, senza escludere la nostra pasta alla norma.
Ora stiamo scandagliando la politica, col risultato che abbiamo inventato un altro tipo di democrazia: quella all’italiana. Siamo sempre i primi, Per questo all’estero c’invidiano ( o ci biasimano), a seconda dei punti di vista.
Pubblicato su La Sicilia il 17.09.201
. Saro Pafumi

mercoledì 15 settembre 2010

Ecco la cartolina, ma il francobollo lo cerchi altrove.Anche questo è disservizio per il turista

“Mi dia pure il francobollo per l’affrancatura”, gli disse, in uno stentato italiano, il turista straniero all’esercente che gli aveva venduto la cartolina illustrata. “ Mi spiace, non ho la licenza per i francobolli. Provi in tabaccheria o direttamente alla posta”. “ Se è così, si tenga pure la cartolina, non ho che farmene” ribatté il turista. La mancata vendita di una cartolina illustrata in un negozio a vocazione turistica non incide sicuramente sul bilancio, ma certamente nuoce alla sua immagine.
E’ quanto accade, con puntualità quotidiana, nei negozi di souvenir a Piano Provenzana ( ma non soltanto qui: accade ovunque) i turisti alla ricerca di un ricordo da portare agli amici, smarriti e disillusi per l’evanescenza delle strutture ricettive, finiscono con l’accontentarsi di una cartolina illustrata, unico segno tangibile della loro fugace presenza sull’Etna. Anche questo economico, innocente souvenir trova difficoltà ad essere smerciato sull’Etna, perché ad un turista straniero non riesce comprensibile che la cartolina si dissoci dalla sua naturale affrancatura. Anche volendo, l’esercente trova difficoltà a munirsi di francobolli, intanto perché vendendoli contravviene alla legge e poi perché in caso di controllo dello scontrino fiscale sullo stesso dovrà mancare per forza di cose l’importo dell’affrancatura. ammesso che l’esercente volenteroso la fornisca.
Qualcuno potrà obiettare: “ Ma come viene in mente di sollevare un problema così irrisorio, a fronte della montagna d’evasione fiscale che in ogni angolo del Bel Paese si consuma con quotidiana puntualità?” Per la semplice ragione che il controllo fiscale è facile, serrato e continuo con chi raccoglie le molliche del lavoro quotidiano e non con chi conosce i più reconditi meandri per aggirare le norme. Ne sano qualcosa le centinaia di migliaia d’esercenti al minuto che s’imbattono nei rigori della legge. Provate a chiederglielo.
Pubblicato su La Sicilia il 15.09.2010
Saro Pafumi

domenica 5 settembre 2010

LE PERLE DI SAGGEZZA DI DON SARBATURI SCIARMENTA





Poteva don Sarbaturi Sciarmenta, trovandosi di passaggio, fare a meno di venirmi a trovare? Non per deliziarmi con i suoi proverbi e la sua antica saggezza (pubblicato su questa rubrica il 27.03.2009), ma stavolta per comunicarmi la sua amarezza. “ U vidi”, mi diceva, “ staiu turnannu da campagna e cu ci trovu ammenzu a li viti? Tri vacchi a pasciri, cchiu rossi ‘i na montagna; pampini sciaminati, muri asdurrupati e viti sciancati A vidiri dda criatura accussì ridutta, mi cianceva lu cori”
Era un fiume in piena don Sarbaturi, dalla cui bocca non uscivano parole, ma fiele. Per uno che “travagghia”da quand’ è nato, vedere la sua vigna “ ca pari ca ci calau a sciara”, parole sue, dev’essere stato un dispiacere grande. “ Iù nun cianciu a racina”, mi diceva, “ma i travagghi persi: u scatinu, u rifunniri, i munzedda, u zappuneddu, a riterza, a scamuzzatina, u ‘mpalari, a spiddira, a pumpiatina, u surfuru persu, ca costa chiù d’un occhiu”” Elencava quei lavori, don Sarbaturi, nella lingua dei suoi padri. Per uno che la vigna chiama “criatura”il dolore doveva essere tanto. Stupito e addolorato anch’io, mi sembrava d’ascoltare non un contadino affranto, ma un padre, un marito che parlava della sua vigna come di un congiunto violentato, al quale avevano strappato anima e dignità. Che dirgli, per consolarlo: che c’è la legge? Quale? Che alla sua età è meglio pensare alla salute? Chiacchiere, chiacchiere, erano per don Sarbaturi. Forse era meglio consolarlo con qualche proverbio in cui era ferratissimo, lui che me ne aveva propinato a valanghe.
“ L’anticu ‘nsigna: voi vita sirena? Caliti juncu ca passa a china” gli dissi per rincuorarlo, aggiungendo: “ don Sarbaturi, chiustu è tempu di briganti!”. E lui: “Siddu ti suttametti all’omu tintu, azzappi all’acqua e simini a lu ventu”. Che mi rispondesse con un proverbio era scontato; cosa volesse significare era chiaro. Ma doveva avere quarant’anni meno, don Sarbaturi, pensai.
Pubblicato il 05/09/2010
Saro Pafumi

domenica 29 agosto 2010

L'EXTRACOMUNITARIO DELUSO

Giorni addietro mi è toccato di cogliere lo sfogo di un lavoratore extracomunitario che dopo avere vissuto per diversi anni nell’ombra, data la sua condizione di lavoratore irregolare, aveva finalmente coronato il suo sogno: ottenere l’agognato soggiorno. Dirlo gongolante di gioia è dir poco, perchè un tizio che è costretto a nascondersi alla vista delle forze dell’ordine o a darsi a gambe levate davanti agli ispettori del lavoro non è una condizione da invidiare. Euforico oltre misura per la nuova, acquisita condizione sociale aveva deciso di regolarizzare la sua esistenza con la richiesta della carta d’identità e la residenza che lo avrebbero parificato se non del tutto, almeno in parte al cittadino italiano.
Per un individuo che da fantasma si tramuta in essere umano in carne ed ossa il passaggio non è facile e, ancor di più, indolore. In questo nostro paese, si sa, per cambiare una virgola occorre seguire un complicato, interminabile percorso burocratico, figuriamoci per tramutare uno spettro in un individuo.
“ Ha il codice fiscale?”, “Dove abita?”, “Ha un contratto d’affitto?”, “ E’ regolarmente registrato?” “ E’ in regola con la tassa sui rifiuti soliti urbani?” “ Chi è il suo datore di lavoro?” “ E’ regolarmente retribuito?”, “Gli sono stati versati i contributi?” Una serie di domande che l’extracomunitario non s’aspettava, convinto che il permesso di soggiorno fosse da ritenersi “ all inclusive”. Aveva più semplicemente fatto male i conti.
Non si cambia, con tanta leggerezza, una condizione d’assoluto privilegio qual è quella dell’apparente inesistenza con una condizione anagrafica foriera più di doveri che di diritti, Ciò lo sa molto bene l’italiano medio che mette in atto ogni espediente pur di rimanere “ignoto”agli occhi dello Stato L’evasore, il lavoratore in nero… altri non sono che cittadini diventati “extracomunitari” per scelta, ben consapevoli che perdere la propria “identità” equivale a rendersi “invisibili”, fantasmi appunto con tutti i privilegi legati alla condizione. Com’è strano questo nostro mondo. C’è chi fatica una vita pur di conseguire la residenza, la cittadinanza, una posizione regolare e rispettabile e c’è chi farebbe a meno di questi riconoscimenti o “convenzioni sociali” consapevole che “i fantasmi” non sono anime dannate che perennemente vagano senza riposo, ma individui veri che godono i privilegi dei vivi che l’astuzia ha reso invisibili, o se volete “extracomunitari irregolari, per scelta”.
Pubblicato su La Sicilia il 29.08.2010
. Saro Pafumi

venerdì 27 agosto 2010

" A LIBRETTA"

Che sia il segnale di ritorno al passato, l’indizio che qualcosa stia cambiando, l’avvio di nuove difficoltà? Sempre più spesso capita di ascoltare, entrando dal bottegaio: “ u signassi ‘da libretta”. L’espressione non è nuova per chi ha una certa età, ma era da molto tempo che questa pratica di “vinniri a credenza”non si ascoltava. Ci sono abitudini che si perdono, altre che cambiano, altre che resistono, altre che non muoiono mai, perché è “la necessità” che le rende immortali. “ A libretta, forse è una di queste. Un minuscolo notes sul quale, nell’intesa tra bottegaio e cliente, è segnato l’importo giornaliero delle umane necessità primarie, dalla semplice carta igienica al pane quotidiano. Se si avesse la voglia e il tempo, attraverso lo studio di queste “librette” si potrebbero elaborate autentiche statistiche dei bisogni primari della società, perché “ a libretta” di esse è la cartina di tornasole.
Oggi queste “librette” si chiamano “carte di credito”, ma ottenerle implicano costi e puntualità. Il negoziante si sa “la pazienza” la vende pure e in caso di ritardo sa come comportarsi. perchè secondo un antico proverbio: “ a cridenza costa ‘na vota e menza” e anche se non si può “tirare” sul prezzo, perchè “a cridenza cria dipinnenza”, confessiamolo: “a libretta” fa comodo. . Questo modo di chiamare “ a libretta”, pare sia stato mutuato dal linguaggio militare dove il termine stava ad indicare il manuale d’esercitazione delle manifestazioni celebrative, ma più verosimilmente si è passato da “libretto” o “notes” a “ libretta”, perché noi siciliani abbiamo l’inventiva d’ingentilire i nomi, come “ a diabeti”, “ a salami” che nella lingua italiana sono rigorosamente maschili. “ A libretta” nel linguaggio parlato dialettale suona bene: è più soft, ha un tono amichevole, dà fiducia, ci accompagna nella vita quotidiana, perciò non si ha voglia d’abbandonarla. Meglio fidarsi di chi un’anima l’ha, ci conosce e ci ha seguito una vita, che delle moderne carte plastificate che a posto dell’anima hanno un microcip che non guarda in faccia nessuno. Nessuna “libretta” si sognerebbe di rispondere: “credito insufficiente” perché chi ha un’anima le necessità altrui le comprende e a “ libretta” è una vera amica. Un po’ d’umanità in questo mondo tecnologico non guasta. Ben tornata, dunque, cara, vecchia amica “libretta”.
Pubblicata su La Sicilia il 28.08.2010
. Saro Pafumi

lunedì 16 agosto 2010

LINGUAGLOSSA - SAN ROCCO, FESTA E TRADIZIONI



La festa di San. Rocco, che si celebra in questi giorni a Linguaglossa, affonda le sue radici in epoche lontane ed è legata ad una serie di manifestazioni popolaresche Almeno quattro quelle che accompagnavano fino a non molto tempo fa la ricorrenza: l’asta; ‘a chianata a ‘ntinna; a scassata ‘e catusi; a merca o iaddu.
Di queste quattro “rappresentazioni” solo la prima resiste e consiste nel vendere al migliore offerente, attraverso un abile banditore, la mercanzia offerta dai devoti: una cesta di pomodori, un agnello, una forma di formaggio. o altro il cui ricavato era ed è devoluto a festeggiare il Santo. “A chianata a ‘ntinna” è caduta in disuso. Consisteva nell’innalzare in piazza San. Rocco un palo alto circa 10 metri, cosparso di grasso animale e succo di pale di ficodindia, usato come lubrificante, che, reso viscido e scivoloso, doveva rendere faticoso l’arrampicarvisi. Alla sommità ben visibili penzolavano generi alimentari d’ogni tipo.
La terza rappresentazione “ a scassata ‘e catusi” è resistita fino a poco tempo, Da una fune magistralmente azionata da un abile manovratore “ pendeva “u catusu” (un coccio d’argilla) che oscillava ad un’altezza di tre/quattro metri dal suolo. Sotto il coccio penzolante, un gruppo d’uomini strettamente avvinghiati e sopra di loro, in equilibrio precario, chi doveva “scassare u catusu che gli oscillava sulla testa. Rotto il coccio, dopo vari tentativi tra le risate del pubblico, la sorpresa: terra rossa, nero fumo o qualche modesto regalo che doveva spartirsi tra i contendenti. Molta fatica, poca sostanza e tanto divertimelo del pubblico che seguiva la tenzone con tifo da stadio. La quarta rappresentazione “ a merca o iaddu” conteneva in sé una carica di sadismo che la civiltà ha spazzato via dalla tradizione popolare. Un gallo vivo, penzolante e dondolante a testa giù, doveva essere centrato dal contendente di turno a colpi di pietre acquistate due soldi l’una. Chi riusciva a centrarlo, da una distanza di 30 metri, se lo aggiudicava. In questo tiro a bersaglio la facevano da padroni pecorai e caprai che con il lancio delle pietre avevano una naturale dimestichezza.
A queste rappresentazioni popolari si aggiungeva il sedici d’agosto l’usanza dei fratelli Cavallaro, detti “ i munti”di cucinare “ u crastu o fornu”, una vera leccornia che solo la loro maestria rendeva prelibata.
La semplice e stringata descrizione di queste antiche rappresentazioni ha lo scopo di far conoscere che esse erano in gran parte, con esclusione di una sparuta minoranza che partecipava ai giochi con spirito goliardico, prerogativa dei più disagiati. Tradizioni andate perdute, nonostante volessero o potessero apparire come manifestazioni semplicemente ludiche.
Chi partecipava a queste competizioni, sacrificando pudore e dignità, molto spesso era spinto da condizioni economiche precarie e con la speranza di accaparrarsi derrate alimentari altrimenti relegate nel mondo dei sogni. Uno spettacolo che doveva divertire il pubblico, ricevendo il contendente, a volte, sprezzante derisione.
Quanti hanno nostalgia di queste tradizioni perdute, si consolino con la fede, perché il vero miracolo di San Rocco è l’avere spazzato via queste rappresentazioni che nell’indigenza trovavano origine e ispirazione. Le tradizioni vanno conservate o in certi casi, se possibile, rivisitate come “recite” esclusivamente “burlesche”, ma quando offendono la dignità umana, nonostante ogni contraria apparenza, è sciocco averne nostalgia.
Pubblicato su La Sicilia il 17.08.2010
. Saro Pafumi

giovedì 12 agosto 2010

LA CORRUZIONE, UN CANCRO DELLA SOCIETA'

Il periodo che stiamo attraversando è uno dei più torbidi nella storia della Repubblica italiana. Non che i periodi precedenti siano stati immuni da simili nefandezze, ma mai con la gravità e la diffusione odierne. Si respira attorno ai fatti di corruzione politica un’aria di disgusto che costringe a convivere con il fetore di un miasma generale.
Se però analizziamo le condizioni dell’animo umano il disgusto di ciascuno diventa sgomento, paura. disagio. Oggi le notizie con la crudezza con cui sono riportate, corredate da foto e nomi di personaggi della porta accanto, e per la frequenza quotidiana con cui sono diffuse aggiungono sgomento a sgomento. E come se franasse non una parte della società conosciuta, ma una parte di noi stessi. Il giorno successivo un nuovo bollettino di guerra: un elenco interminabile d’incarcerati, arrestati, indagati, spiati, intercettati, la scoperta di un nuovo bubbone che riproduce escrescenze in una sequenza senza fine. Un tempo non troppo remoto il cittadino aveva la convinzione che la società avesse due colori: il nero rappresentato dalla mafia e il bianco rappresentato dal potere politico-economico, con qualche limitata zona d’ombra all’interno di esso. Oggi il colore dominante è il grigio che rappresenta l’intera società italiana.
Ciascuno si chiede: in una società così organizzata, in cui la norma è il ricatto, la corruzione, il pizzo, sia se si debba chiedere un certificato di nascita o il riconoscimento di un qualsiasi diritto, devo adeguarmi o resistere? Il dubbio è legittimo, basta girarsi attorno.
Si notano ricchezze costruite in poco tempo, condizioni sociali di disagio capovolte, meriti acquisiti apparentemente inspiegabili, condizioni di vita sopra le righe, ostentazione di ricchezza che offende il comune senso del pudore. La domanda è d’obbligo: è la nuova condizione di chi ha saputo realizzarsi con le proprie forze o ha saputo adattarsi al sistema? Ciascuno trova la propria risposta, ma quasi sempre la stessa: Il tizio ha trovato il canale giusto, l’amicizia indovinata, il funzionario adeguato… Vedendo attorno a noi una facile ricchezza nata dal niente, ciascuno si mette alla ricerca “del canale giusto, finendo col percorrere le stesse strade trovate dall’Unto del Signore. Così la corruzione dilaga, il pizzo aumenta, come un’epidemia che se non capita e arrestata finisce con l’invadere l’inero corpo sociale.
E’ quello che abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi: un incendio delle coscienze che invade distrugge, annerisce ogni tentativo di chi vuole o semplicemente tenta di resistere “al sistema”. Quanto tempo l’animo umano può convivere con un sistema degenerato a tutti i livelli? E’ una domanda che mi atterrisce più della corruzione stessa.
Pubblicato su La Sicilia il 13.08.2010 Saro Pafumi.

mercoledì 11 agosto 2010

LA TV D'ESTATE, VECCHIA SIGNORA CON ABITI INGIALLITI

A Napoli ho avuto il raro piacere di conoscere e stringere amicizia con un generale di cavalleria d’origine pugliese segretario particolare del segretario particolare ( mi si scusi il bisticcio dei termini) di Mussolini. Tutte le volte che andavo a trovarlo nella sua abitazione di Calata Trinità Maggiore era un piacere incontrarlo, ma insieme un tormento. Un piacere per l’amabile, dotta e signorile conversazione con cui intratteneva i suoi ospiti, infarcendola di ricordi, foto e documenti, ma insieme uno strazio, perché la conversazione verteva sempre sullo stesso tema: la guerra. Un copione fatto di particolari, ricordi ed avvenimenti ripetuti con maniacale precisione. Per evitare d’ascoltare il ripetersi delle sue storie già sentite, anticipavo i ricordi nella speranza che interrompesse l’elenco interminabile delle vicende vissute. “ Manco pa capa” direbbero a Napoli, perché imperterrito continuava fino ad esaurimento suo e dell’ospite di turno.
Quello che avviene in questo periodo nella Tv. è il ripetersi puntuale e inesorabile di ciò che è avvenuto nel passato televisivo, costringendoci a deliziarci di pellicole gialle e consunte, personaggi morti da oltre mezzo secolo, episodi dimenticati e rispolverati col solo scopo di riempire spazi televisivi altrimenti destinanti a rimanere bianchi. La nostra Tv si comporta come certe vecchie signore che tirano fuori dalle cassapanche vestiti ingialliti per indossarli con disinvoltura, come se il tempo fosse risuscitato. Una vera tristezza! Certamente anche i ricordi devono avere i loro spazi, ma non si possono sbrodolare a piccole dosi, in modo da non intristire oltre misura lo spettatore?
Pubblicato su La Sicilia il 11/08/2010
Saro Pafumi

giovedì 5 agosto 2010

SALVATORE INCORPORA, UN ARTISTA NON MUORE

“Oggi si tiene lezione dal vivo” annunziò il prof. Incorpora, che c’insegnava disegno nella scuola media dei Padri Domenicani a Linguaglossa, allogata in un vecchio edificio accanto alla Chiesa di Sant’Antonino. Ci condusse in una stradina limitrofa e sistemandoci in fila ci disse: “Vedete, di fronte a Voi, quel vecchio palmento? Riportatelo tale e quale sul vostro album da disegno”. Strappò dalla sua cartella un foglio bianco e con poche righe disegnò lui stesso quel vecchio rudere. Di suo vi aggiunse un paio di vendemmiatori in procinto di scaricare l’uva da pigiare. In un attimo e con pochi schizzi, lui artista, aveva creato un quadretto d’autore, rendendolo vivo e palpitante d’umanità. “ Non fate come me, che ho l’occhio dell’artista” aggiunse. “Voi dovete copiare la realtà”. Quindi accartocciò e ripose in tasca quel piccolo capolavoro che aveva disegnato in un batter d’occhio Nell’ora che ci fu concessa per elaborare il disegno, riuscii a tracciare poche righe. Quando il professore lo esaminò, piegandolo, mi disse: “ Più che un palmento hai disegnato un piatto. Con la sei messo proprio male. Prova a fare qualcosa col disegno geometrico”. Affidandomi, a casa, per prova, il compito di disegnare un ottagono. “ Bada”, mi disse, “ se usi la gomma per cancellare, sei fregato. Prima di tracciare una linea sul foglio bianco, misura e rifletti, rifletti e misura. Devi essere sicuro degli angoli che devi formare. Non sono ammesse cancellature, sbavature o linee ripetute, perché se tracci una linea è come se facessi una scelta di vita.”.
Col tempo capì che quell’insegnamento conteneva una metafora. Le rette sono come certi principi. Non ammettono sbavature o travisamenti Sono principi e basta. Avrei voluto ricordargli quel lontano giorno di lezione “dal vivo”, la metafora della retta come scelta di vita, ma guardando i suoi occhi sofferenti e spenti nell’ultimo nostro incontro, capi che non l’avrei rivisto da vivo. Non dissi nulla, preferendo che quei ricordi sedimentassero nella mia mente, ma avrei voluto sussurrarglieli all’orecchio il giorno in cui lo vidi esamine e sorridente tra le “sue” statue che gli ballavano attorno, cantando: “Un artista non muore! Un artista non muore!”
Pubblicato su La Sicilia il 05.08.2010 Saro Pafumi

domenica 1 agosto 2010

OTTO CHIESE DUE PARROCI

Siamo messi proprio male. La crisi è globale e lo scoramento generale. Un tempo quando si parlava di crisi, si pensava all’economia. al lavoro, alla sicurezza. Oggi a pagarne le spese è la politica, la morale e la stessa Chiesa. Un esempio. A Linguaglossa ci sono ben otto chiese e solamente due parroci. Avviene che nello stesso giorno, per circostanze casuali si sommano molte funzioni religiose: matrimoni, funerali, battesi, anniversari. Come si possa gestire questo ben Di Dio con soli due preti è uno di quei miracoli che non trova spiegazione. Le prospettive non sono rosee, perché con la crisi del settore ecclesiastico a tutti i livelli, trovare qualcuno che indossi l’abito religioso è un’impresa. Né, d'altronde, i matrimoni e i funerali sono cerimonie che si possono accorpare per ragioni di risparmio temporale. Anzi tra una cerimonia e l’altra è bene che trascorra un certo tempo, se non altro per ragioni scaramantiche. Forse sarebbe il caso che anche la Chiesa in quest’epoca globalizzata e di crisi esistenziale, consorziasse le proprie strutture, aprendo al contributo delle chiese vicine, in modo da unire le forze e svolgere i propri compiti all’insegna della collaborazione. Una specie di “ serrare le file”, anziché muoversi a ranghi separati come avveniva fino a qualche tempo addietro. Il fedele, in definitiva non è altro che un utente speciale o per usare un termine prosaico, “un consumatore”, di servizi, poco importa se si chiamino funzioni religiose o altrimenti.
La celerità, l’organizzazione, l’efficienza, la tempestività sono requisiti molto richiesti in quest’epoca in cui “il risparmio del tempo” è un’esigenza sentita e generale. Se in certi casi le crisi esistenziali si sviluppano e si moltiplicano avviene anche per il disagio che c’è in ogni manifestazione della vita quotidiana, dal benessere fisico a quello dell’anima.
Pubblicato il 01/08/2010 Saro Pafumi

venerdì 30 luglio 2010

LE FESTE SI EVOLVONO, LE TRADIZIONI CAMBIANO






I tempi cambiano, le feste si rinnovano, la fede si affievolisce. Un tempo, le feste di paese si caratterizzavano per la celebrazione del Santo Patrono, un’occasione sentita ed attesa che costituiva un momento d’aggregazione sociale, con la presenza di celebrazioni religiose, cortei, tridui. della banda, di fuochi pirotecnici, luminarie, momenti di svago e le immancabili specialità locali: calia, zucchero filato, licca-licca, scialacori, trombette e palloncini per i più piccini. Oggi “la fede” è in flessione, la banda è muta, i fuochi non scoppiettano, né scintillano di mille colori, le luminarie sono spente o al massimo “a bassa tensione” e tutto ruota attorno a “Santo Stomaco”, un Patrono onnipresente, che ha omologato qualsiasi festa che si celebra e si rinnova con maccheronate, salsicciate, pane condito, “cacocciuli arrustuti” ed in genere tutto ciò che stimola o stuzzica l’appetito. Quando la fede non bussa alla porta, si fa entrare dalla finestra, con sagre gastronomiche, specialità locali e quant’altro può interessare “la gola”, una delle poche “divinità” a resistere, in un imperante paganesimo consumistico che ha soppiantato il credo autenticamente religioso.
L’importate è tenere alto il vessillo culinario, una bandiera che non tramonta mai. L’avevano capito secoli or sono i Borboni che il popolo sapevano “prender per la gola” in tutti i sensi con le fatidiche tre effe: feste, farina e forche. Cosa è cambiato da allora? Poco o niente. Le feste continuano, nel senso borbonico dell’espressione, con sagre gastronomiche, nelle quali la farina è l’elemento essenziale, le forche sono sui giornali tutti giorni, sostituite da mezzi più civili e moderni, come retate e arresti. L’unica a soffrire è la fede che, quando la pancia è piena, non se ne sente alcun bisogno. Salvo ad invocarla quando le traversie individuali o sociali incombono. Una forma di discrezione umana, una sapiente condotta opportunistica che l’uomo sfodera a suo piacimento, rivolgendosi alla Divinità nel momento del bisogno,
Le ricorrenze religiose, condite con sagre di tutti i tipi, ancora una volta sono rimaste il momento migliore per rinsaldare questo sacro vincolo che con “Santo Stomaco” trova il suo momento più culminante e celebrativo, perché quando la pancia gode, anche lo spirito si rinnova e con essa la fede.
Pubblicato su La Sicilia il 30.07.2010
Saro Pafumi

mercoledì 28 luglio 2010

UN MALESSERE MODERNO





Sarà pur vero che i consumi sono in diminuzione; che molte famiglie, a causa della crisi economica, sono costrette a rinunziare a generi di prima necessità, alimentari compresi, ma a ben guardare in giro le impressioni sono diametralmente opposte. Si vedono sopratutto giovani, d’ambo i sessi, andare in giro, specie in questo periodo estivo, in cui l’abbigliamento nasconde poco e male le forme corporee, facendo sfoggio di deretani al cui confronto “er cupolone “ impallidisce. Non sono da meno pingui pancioni che se si avesse cura di girare di 180 gradi la testa di chi li ostenta ben si confonderebbero con la parte posteriore del corpo. Per non parlare dei cuscinetti adiposi sui fianchi di certe fanciulle, resi ancor più visibili dall’uso dei pantaloni a vita bassa, da confondersi con i parabordi di barche da diporto.
E’ certamente vero che in alcuni casi trattasi d’obesità, dovuta a qualche disfunzione, ma nella maggior parte dei casi la cattiva o troppa alimentazione n’è la causa.
Una sana e corretta alimentazione farebbe piazza pulita di certe visioni sconce, ma mancano la cultura e la volontà di perseguirla specie da parte dei genitori che sulla salute dei minori in particolar modo potrebbero e dovrebbero intervenire. Avviene invece che molti considerano la grassezza sintomo di buona salute, ostinandosi a credere che certa floridezza femminea o mascolina attira anziché respinge. Mi diceva una donna anziana che della sua magrezza s’era fatta una malattia: la donna è interessante “quannu c’è chi pigghiari e chi lassari” che tradotto in termini linguistici accettabili è come dire che la donna deve essere moderatamente formosa. Un concetto “giunonico”sul quale si puo’ essere d’accordo a condizione che la formosità non straripi nella pinguedine che è il rovescio della florida avvenenza. Come al solito “in medio stat virtus”, una condizione d’equilibrio, difficile da raggiungere in ogni manifestazione di vita.
Pubblicato su La Sicilia il 28/07/2010 Saro Pafumi