C’è un ritornello che ricorre spesso sul caso Berlusconi, dato in pasto all’opinione pubblica, al quale molti abboccano: “leggi ad personam”. Volendo intendere con quest’espressione, becera e ossessiva, l’intento del premier di sottrarsi ai processi penali a suo carico. Che Berlusconi sia inquisito curiosamente a partire dalla sua “discesa in campo”, che risale, ormai, al lontano 2004, lo sanno pure le pietre Nonostante ciò, la maggioranza dell’opinione pubblica lo ha fin qui votato consegnandogli il potere per ben due volte. Sarebbe ora di uscire da quest’equivoco che è diventato un vero tormentone. Come? O si approva una legge confermata dalla Corte Costituzionale che impedisce a qualsiasi inquisito di accedere alla carica pubblica, cosa buona e giusta, dimezzando così facendo, in forma automatica, la presenza di deputati e senatori affetti dal morbo giudiziario o si approva una legge che non è giusto definire “ad personam”, ma a tutela del ruolo. Da questo dilemma non è altrimenti possibile uscire, giacché in caso contrario qualunque premier eletto, che fosse inquisito, sarebbe un premier a rischio, con la conseguente ingovernabilità del paese. E il paese non può permettersi in certe circostanze ( vedi l’attuale crisi economica nazionale e mondiale) né instabilità, né nuove elezioni che di per se costituiscono un dramma per l’intera comunità nazionale.
Il buon senso suggerisce di procedere, pertanto, in quest’’ambito, con logica e coerenza. Se poi la locuzione “ legge ad personam” si vuole utilizzarla come clava per disarcionare chi è stato legittimamente eletto dal popolo o può esserlo solo gli allocchi possono abboccare.
Il caso Berlusconi, poi, è veramente paradossale. Egli non è inquisito dopo la sua elezione, ma prima, il che dimostra che nel nostro ordinamento c’è qualcosa che non funziona: la legge o l’opinione pubblica.
Pubblicato su La Sicilia 08/11/2010
Saro Pafumi
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