martedì 26 aprile 2011

Resurrezione o reincarnazione? Questo è il dilemma

La religione cattolica, tra le tante, con la sua dottrina sulla resurrezione appare la meno preferibile.Significa che lo storpio, il cieco e il sordo rinasceranno come prima? Bella consolazione! E poi come faremmo a stare tutti insieme in questo piccolo mondo, se già siamo in troppi? A meno che il Padreterno non pensi di antropizzare gli altri pianeti, incontrando le resistenze degli umani contrari a mutare radicalmente le proprie abitudini. E poi, diciamolo francamente, ricominceremo con le solite malattie che ci hanno afflitto durante la prima esistenza terrena? E i bisogni corporali che fine faranno? Avremo bisogno di andare dal barbiere, di tagliarci le unghie, di vestirci e di lavorare per mangiare? Se oggi sono tanti i precari e i disoccupati, immaginate cosa accadrà con una popolazione che comprenderà chi ha fatto la prima comparsa sulla terra. Non faremo nulla, perché le esigenze corporali saranno annullate, gli istinti e le passioni sconfitti? Una noia indicibile. Prolifereranno a vista d’occhio i pettegolezzi, perché, si sa, quando non si ha nulla da fare il passatempo preferito è occuparsi dei fatti altrui. Forse la dottrina cattolica immagina che anche con la resurrezione dei corpi si vivrà una vita contemplativa. E allora, perché portarci appresso anche il corpo che essendo differente nei due sessi potrà innescare desideri e passioni? Non basta l’anima per contemplare? Forse è meglio, a questo punto, credere nella reincarnazione, che, saggiamente, la religione che la ispira la prevede trascorso un certo periodo dopo la morte terrena per evitare sopraffollamenti. La reincarnazione poi è più convincente, perché la Divinità lascia a chi dovrà reincarnarsi la libertà di scelta, col vantaggio che si potrà promuovere una campagna per non reincarnarsi sotto le sembianze umane, essendo l’uomo il più grande parassita terrestre. Tutti gli esseri viventi hanno, infatti, una loro funzione: chi per impollinare, chi per eliminare gli esseri nocivi, solo l’uomo ha la funzione di distruggere la natura e quindi se stesso. Io, per esempio, se dovessi reincarnarmi vorrei diventare un virus per infettare i politici. Resurrezione o reincarnazione? Questo è il dilemma.
Saro Pafumi

venerdì 22 aprile 2011

Mafia e mafiosità

Se la mafiosità fosse rintracciabile nel DNA, io credo che noi siciliani, chi più, chi meno, ne conterremmo una certa percentuale. E se anche non fosse rintracciabile nel DNA, certamente ne avremmo pieni i polmoni, tanta è intrisa l’aria che respiriamo. Ogni nostra azione, in questa terra, è ispirata alla mafiosità, sia essa intesa come soggetto di ricatto e/o sopraffazione (mafia) o più semplicemente, per usare un termine giuridico, come “collaborazione esterna” (mafiosità). Se mi rubano l’auto, invece di denunziare il reato alle forze dell’ordine, mi rivolgo “all’amico” che “con garbo e disinteresse” mi suggerisce il luogo dove trovarla abbandonata. Se voglio aprire un negozio, devo preliminarmente chiedermi se la mia iniziativa, per caso, “non pesti i piedi” a qualcuno. Se vinco una gara pubblica, corro il rischio di sentirmi dire, con tono risoluto: “Forse è meglio che rinunzi”. Se subisco un torto, l’amico di turno mi consiglia di rivolgermi ‘o zu Turi” che saprà prendere le mie difese. Se non voglio che la mia auto sia incendiata, “l’organizzazione” mi garantirà. Se ho una controversia con taluno, “mpari Miciu” saprà metterci d’accordo. Se ho bisogno di una testimonianza “La compagnia, il prezzo è giusto” mi fornirà la persona adatta. Se desidero approvata una pratica o un progetto devo pagare la parcella al professionista che m’indicherà “la percentuale” da gratificare. E’ persino accaduto ad un mio amico che voleva far celebrare, in un paesino dell’interno, una messa in suffragio dei propri defunti sentirsi dire che se voleva conoscere l’altare dal quale era celebrata la Messa “all’obolo“ andavano aggiunte mille delle vecchie lire. E si potrebbe continuare all’infinito, come infinite sono le azioni quotidiane in cui “la mafiosità” fa la sua comparsa. Certamente c’è poi la mafia quella con la “M” maiuscola, alla quale per farne parte occorre frequentare “l’università”, ma in fondo non è poi tanta differente da quella di cui stiamo parlando, che si alimenta dalla prima. In questo nostro strano paese è difficile distinguere la differenza tra diritti e doveri, anzi in taluni casi c’è un rovesciamento di questi valori: il diritto diventa il dovere di fare o dare qualcosa a qualcuno e il dovere diventa il diritto di ricevere qualcosa da qualcuno. Se non è “mafiosità” questa, cos’altro potrà esserlo? E’ tale e tanta la nostra assuefazione a questo stile di vita o modo di pensare e d’agire che per ogni azione umana siamo sempre alla ricerca del “canale giusto’, che non è la legalità, ma qualcosa che le somiglia. In fondo, tra legalità e illegalità la differenza sta nel prefisso, ma in compenso la seconda (illegalità) ci risparmia un sacco di grattacapi. Vi pare poco in quest’epoca in cui il tempo è denaro e la Giustizia non ha più la bilancia in mano e ha la testa girata dall’altra parte?
Pubblicata su La Sicilia il 23.04.2011 Saro Pafumi

Un dialogo immaginario, ma non troppo

Autorità: “Vorremmo sapere perché ha smesso di fornire la sua merce alla ditta committente”.
Esercente: “ Secondo la ditta committente non sarei puntuale nelle consegne”.
Autorità: “ Ha forse ricevuto da qualcuno pressioni per non fornire la sua merce?”.
Esercente: “Mi pare di avere già risposto a questa domanda, indicandone le ragioni”.
Autorità: “La sua risposta ci sembra un po’ reticente. Potrebbe rispondere di favoreggiamento nel caso in cui avesse ricevuto pressioni, senza denunziarle”.
Esercente: “ Se avete elementi per affermare che abbia ricevuto pressioni, fate le vostre indagini, perché questo è il vs. compito”.
Autorità: “ Ci serve la sua collaborazione”
Esercente: “ Ai miei figli, però, serve un padre”
Autorità: “Potremmo includerla tra le ditte contigue a certi ambienti”
Esercente: ( Non risponde), ma pensa “Meglio “contiguo” che “contenuto” in qualche “cassa”
Una situazione, quella descritta, che è avvenuta o avverrà in qualche angolo del nostro territorio, o sta avvenendo, mentre leggiamo questo dialogo immaginario.
“Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare” (Manzoni-Promessi Sposi)
Saro Pafumi

giovedì 21 aprile 2011

La Passione a Linguaglossa

“ E pur si muove” verrebbe da dire. Era ora che qualcuno a Linguaglossa prendesse adeguate iniziative per svegliare questa comunità sonnolente. E’ stupefacente, però, il versante da cui prende le mosse questo salutare risveglio: la Chiesa, attraverso il suo parroco, nominato da poco a dirigere non una ma molte delle parrocchie in cui si articola la comunità ecclesiale Stupefacente è altresì la massiccia partecipazione dei fedeli che non si vedeva da tempo. Una simile folla trabocchevole all’interno e all’esterno della Chiesa ricorda, per certi versi, la predicazione dei Padri Passionisti che negli anni cinquanta, in occasione dell’Anno Santo, riuscivano a calamitare con il loro “sapiente verbo” la popolazione tutta. Allora, però, tanta partecipazione era giustificata dalle molte sofferenze inflitte dalla guerra da cui originava la voglia di spiritualità. Oggi la partecipazione alla Domenica delle Palme denota, invece, che contro ogni superficiale apparenza lo spirito di religiosità non è per niente spento nell’animo umano, ma appena sopito, che, se sollecitato da stimoli e/o iniziative adeguate risorge più fervido di prima. La cerimonia, sotto l’abile regia del parroco, ha ripercorso il cammino di passione e morte di Gesù, avendo per teatro non solo l’interno della Chiesa addobbata con gusto e rara raffinatezza, ma anche le piazze del paese, come una Gerusalemme ritrovata e rivissuta nei costumi del tempo, tra musiche e suoni, dove non poteva mancare il canto del gallo che anticipava la profezia di Gesù a Pietro che lo avrebbe rinnegato tre volte, un canto che rimbomba nelle nostre coscienze troppo spesso distratte da effimera materialità. Il processo, la flagellazione, la crocefissione di Gesù sono stati momenti salienti di una sofferenza che una volta tanto non apparteneva al solo Cristo, ma ai fedeli tutti dai cui volti attenti traspariva un’ evidente, insolita emozione. La partecipazione della popolazione alla ricorrenza della Domenica delle Palme, dimostra come la comunità linguaglossese richiede momenti di unione, perché è nell’unione e dall’’unione che nasce la speranza di rinascita di questo piccolo mondo cittadino. Se la comunità civica prendesse esempio da queste manifestazioni religiose, forse Linguaglossa assumerebbe l’aspetto della cittadina che sogniamo. Ma questo è un discorso che riguarda la politica e parlarne in questa circostanza è come risentire il canto del gallo a ricordarci che molti di noi abbiamo rinnegato la missione civica alla quale siamo chiamati, come amministratori o semplici cittadini.
Pubblicata su La Sicilia il 21.04.2011
Saro Pafumi.

domenica 17 aprile 2011

Linguaglossa, l'eternità nell'accompagnamento dei feretri

Quanto pensate che ci voglia perché l’anima del defunto raggiunga l’Aldilà? Non credo si possa calcolare il tempo secondo i parametri terrestri. Diciamo, pressappoco, che l’anima raggiunge l’Aldilà in tempo reale, ossia con l’esalazione dell’ultimo respiro. Sapete, invece, quanto impiega a Linguaglossa il feretro per raggiungere il cimitero? Un’eternità! Questa l’impressione di chi, suo malgrado, è costretto a stare incolonnato dietro il corteo, perché dall’uscita dalla Chiesa al posto dell’ultima dimora si percorre il tragitto a passo d’uomo, come se il defunto, pace all’anima sua, soffrisse del mal d’auto. Conseguenza di questa obsoleta consuetudine, che resiste imperterrita, è che appresso al carro funebre si forma una fila interminabile d’auto che col funerale non centra nulla. S'era pensato di regolamentare “il trasloco” in altro modo, ossia con l’Addio del “dipartito” sul sagrato della Chiesa, ma poi tra una proposta e l’altra s’è smarrito il buon senso e così la colonna delle auto anziché diminuire cresce a vista d’occhio, perché durante il tragitto non ci sono alternative o vie di fuga. Immaginate se si praticasse la stessa prassi n una grande città, dove il cimitero distanza dal centro non meno di una decina di km. Un cambiamento sarebbe approntato in quattro e quattr’otto, altrimenti, per le proteste, i morti d’accompagnare al cimitero sarebbero molti di più. Perché in un piccolo centro il problema non sì può risolvere? Forse manca il coraggio o il buon senso. Certamente non manca l’assuefazione a determinati comportamenti sociali che il tempo e la mentalità hanno cristallizzato come se un loro cambiamento fosse un sacrilegio scellerato.
Pubblicato su La Sicilia il 18.04.2011
Saro Pafumi

sabato 16 aprile 2011

Arance, filiera Sicilia-Lombardia e ritorno


Giravo e rigiravo tra le mani, come fosse un piccolo mappamondo, una delle arance appena comprate per verificarne qualità e provenienza, perché, sospettoso come sono, non volevo che mi si rifilasse uno di quei prodotti cinesi di cui è invaso il mondo. Avevo, infatti, notato che a quel frutto mancava qualcosa: l’odorosa fragranza che contraddistingue le nostre arance di cui è stracolmo il nostro territorio. Leggendo l’etichetta del sacchetto che conteneva i frutti, mi fu chiaro, non senza meraviglia, l’arcano mistero. Le arance, della qualità “tarocco”, provenivano da Lentini, prodotte per la Sma, confezionate in quel di Rozzano (Mi) e poste in vendita a Riposto. Quelle arance avevano attraversato, in salita, l’intero Stivale, avevano sostato in Lombardia per il confezionamento e ridisceso lo Stivale per raggiungere di nuovo la Sicilia. Ecco, il motivo, mi dissi, perché quelle arance avevano perduto la loro fresca, odorosa fragranza sicula. La filiera, come in gergo si definisce il percorso di un prodotto, mi aveva però fatto scoprire un’altra deprimente verità: in Sicilia non siamo in grado d’insacchettare pochi chilogrammi di prodotto fresco, che, se confezionato e commercializzato dopo la raccolta, conserva gran parte della sua fragranza. Altra stravaganza: la confezione che conteneva le arance era un modesto retino del costo di pochi millesimi d’euro che potrebbe fabbricare a casa qualunque massaia. Parafrasando il titolo di un noto film, mi viene da dire: “ Non ci resta che piangere”.
Pubblicata su La Sicilia il 17.04.2011
Saro Pafumi

mercoledì 13 aprile 2011

Vandali a Piano Provenzana

Chi offende l’ambiente calpesta la propria dignità, mi verrebbe da dire. Una riflessione che nasce spontanea vedendo gli atti di vandalismo nei parcheggi di Piano Provenza- Etna Nord. Una dopo l’altra sono state rimosse e trafugate molte delle lastre di pietra lavica che facevano da copertura ai muretti in pietra che delimitano le aree di sosta a Monte Conca. Una visione desolante, come desolante dev’essere lo spirito di chi compie simili azioni. Una devastazione imputabile all’egoismo umano favorito in gran parte dalla scarsa maestria della posa in opera, perché le lastre laviche più che incollate, con idonea malta cementizia, sembrano quasi adagiate sui muretti, consentendo in tal modo un facile disimpegno delle stesse. Se a ciò si aggiunge l’inesistenza di un serio piano di controllo del territorio, che sembra essere abbandonato a se stesso, lo scempio è la conseguenza. A poche centinaia di metri, vicino alla stazione di partenza della seggiovia, la situazione non appare più rosea, perché già si avvertono gli indizi del suo degrado. I bolognini che rivestono i muretti di delimitazione dei parcheggi sono in gran parte scollati e riversi a terra, in parte manchevoli. Segno di un contagio devastatore che col tempo colpirà l’intera area appena rimessa a nuovo. Se queste sono le premesse di una ricostruzione che tarda a venire, significa che a lavori ultimati si dovrà ricominciare d’accapo. Del resto il fenomeno non è nuovo, perché quando le opere non sono ultimate e consegnate nei tempi previsti, inizia l’opera di sistematico smantellamento dell’esistente, basta dare uno sguardo al Villaggio Mareneve. Forse sarebbe il caso di finanziare pure la custodia dell’opera incompiuta, perché la sua ricostruzione supera abbondantemente i costi della custodia stessa.
Pubblicato su La Sicilia il 14.04.2011
Saro Pafumi

lunedì 11 aprile 2011

Un problema cambiare dollari in banca

"Aiu a ciuncari ora, uritta” se in futuro dovrò accettare dollari in pagamento. Ricorro, di proposito, a questa formula di giuramento che si pronunziava da ragazzi, perché mi pare che il mondo stia regredendo. Pur di rimediare quanto dovutomi da un Tizio, non ho disdegnato di ricevere 20 dollari come pagamento che mi ripromettevo di cambiare in banca o almeno questa era la mia speranza. L’addetto allo sportello mi ha proposto due soluzioni: aprire un libretto di risparmio dove versare in euro l’equivalente del cambio o accontentarmi di 15 euro che, detratte le commissioni di cambio, si sarebbero ridotte ad otto euro circa. Prendere o lasciare. Naturalmente a fronte di tanta “disinteressata generosità” ho preferito conservare in tasca i 20 dollari che mi riservo di spendere se e quando andrò in vacanza negli Stati Uniti. L’episodio che a priva vista può sembrare insignificante induce a fare una riflessione. Oggi, entrare in banca è come camminare per certi quartieri a rischio, dove può accadere di tutto, anche di lasciarci la pelle, com’è accaduto, se malauguratamente capita di trovarsi in mezzo al fuoco incrociato di malavitosi o, se si è fortunati, di fare riorno a casa, ma senza portafogli. Da certe brutte situazioni, con una buona dose di fortuna e molto buon senso ci si può guardare, ma come si fa a difendersi dalla società che si definisce civile?
Pubblicato su La Sicilia il 12.04.2011 Saro Pafumi

domenica 10 aprile 2011

Le nozze di William e Cathe

Lo dico a La Sicilia

William&Cateherine, WC per gli amici, il 29.04.2011 convoleranno a nozze. Gia da sei mesi TV. e carta stampata ci deliziano quotidianamente dei preparativi della cerimonia nuziale. Raffinate menti scommettono già su ogni particolare della cerimonia: l’abito della sposa, il cappello della Regina nonna, il numero dei partecipanti, l’anelo nuziale, l’orario della cerimonia, il viaggio di nozze, se la promessa sposa farà il primo passo con il piede destro o quello sinistro……
Ogni suddito di Sua Maestà vivrà l’evento come la venuta del Nuovo Messia e milioni di spettatori sparsi in tutto il globo assisteranno all’evento del millennio.
Migliaia di fotografi appollaiati sugli alberi e sui tetti si contenderanno lo scatto del secolo, ore interminabili di trasmissioni televisive ci mostreranno per altri sei mesi dopo la cerimonia ogni particolare e numerosi saranno gli ospiti che ci delizieranno con i loro commenti e con le loro sagaci impressioni.
Prepariamoci anche noi al felice evento. Ordiniamo al nostro sarto di fiducia lo smoking adatto alla circostanza. Ad un simile evento non si può assistere seduti a casa in pigiama e pantofole, perché chi si sposa non è un nostro vicino di casa e un evento simile difficilmente si ripeterà nel corso di questo secolo.
Casalinghe, pensionati e pensionate, lavoratori e lavoratrici, disoccupati e disoccupate di tutto il mondo non mancate all’appuntamento del secolo, prendete appunti, osservate i dettagli perché la cerimonia nuziale potrà servire da spunto per i vostri, i nostri figli.
Quel fatidico giorno trasformiamoci tutti in William e Kate. Sognare non costa nulla, ma attenzione al risveglio: ritrovarsi alla fine della cerimonia con il bucato da fare, con i piatti da lavare o con le bollette da pagare non sarà piacevole.
Pubblicato su La Sicilia il 11.04.2011L
Saro Pafumi

martedì 5 aprile 2011

L'Etna, il turismo e la mancanza d'acqua

Si parla e si scrive dei tanti problemi della ”montagna” nelle cronache cittadine (non ultimo il servizio su La Sicilia del 04/04), ma tra questi, il più grave, è lo sforzo che devono affrontare gli operatori turistici che gestiscono le strutture sull’Etna: la mancanza d’acqua, un bene primario ed essenziale per portare avanti qualsiasi iniziativa. Ne sa qualcosa il sottoscritto che ebbe la ventura di gestire l’apertura del Villaggio Mareneve nel lontano 1960 quando, all’epoca, la struttura era priva oltreché dell’acqua persino dell’energia elettrica. Immaginarsi le difficoltà cui si andava incontro per l’assenza di questi beni primari, necessari ed indispensabili per gestire il nuovo complesso turistico ed in genere qualsiasi attività degna di questo nome. La mancanza di energia elettrica, per fortuna, da molti anni è stata risolta, ma permane, grave, la persistente mancanza d’acqua che molti problemi potrebbe risolvere o alleviare.
Ebbene, non c’è la benché minima traccia d’iniziative atte a risolvere l’annoso problema e le superstiti strutture del sisma del 2002 permangono “ a secco”, tra le mille difficoltà che il problema comporta. Basti pensare che chi si serve dei servizi igienici, per ogni scarico nel wc, incide sulle tasche degli operatori, talvolta senza nulla ricevere come contropartita.
Il problema una soluzione potrebbe averla, anzi dovrebbe averla, perché la neve che si scioglie durante il periodo primaverile, se raccolta, potrebbe se non risolvere almeno alleviare l’annoso problema. E’ sufficiente recarsi a Piano Provenzana e nei dintorni osservare un ruscello che con lo scioglimento delle nevi riversa milioni di litri d’acqua a valle. Basterebbe raccoglierla con opportuni accorgimenti, per risolvere se non del tutto almeno in parte il problema.
Ebbene, non c’è Autorità alcuna che si occupi del problema e del resto, come potrebbe? Basterebbe sollevarlo per vedersi piombare addosso mille strali dalle autorità tutorie. E allora? Meglio far finta di niente, come se il problema non esiste o è stato già risolto. Se c’è qualcuno che ha in mente come risolvere il problema o se si è posto il quesito come raccogliere l’acqua, che, copiosa, si disperde, alzi la mano.
Pubblicata su La Sicilia il 06.40.2011. Saro Pafumi

sabato 2 aprile 2011

Linguaglossa: u megghiu paisi du munnu

Linguaglossa è u megghiu paisi du munnu.
Non lo dico, come si usa dire “per partito preso” o perché ci sono nato, ma perché Linguaglossa è un paese ospitale, gradevole, allegro, forse anche “unico”, merito non solo del territorio che ospita l’Etna, “il più alto vulcano d’Europa” (con la quale definizione ci si riempie la bocca), ma anche dei suoi abitanti. Io per esempio ci sto bene, come i tanti forestieri che l’hanno scelto. Amiamo dire per esempio che qui è nato F. Messina, anche se l’Artista, a dire il vero, “non ci ha mai cacato”. Qui è nato il Prof. Luigi Di Bella che quand’era sulla cresta dell’onda ognuno lo cercava, salvo a dimenticarsene quando la scienza ne ha preso le distanze. Qui è nato Santo Calì che ognuno ricorda per i suoi comizi, ma pochi ne conoscono le doti letterarie e di poeta. Qui, poi, la solidarietà, intesa come “coram populo” è di casa, nel senso che ognuno si fa “ i cazzi degli altri”. E infine, cosa non di poco conto, la vita scorre lieve, come lieve è il carattere di chi ci abita, occupato a giocare e a straparlare. Si gioca naturalmente a far politica e si straparla di tutto: economia, sport, turismo, lavoro e naturalmente politica. Da bambino, ricordo, uno dei divertimenti preferiti era il gioco “ guardie e ladri”. Regole del gioco: I giocatori formano due squadre, una di guardie e l’altra di ladri. Il campo di gioco è rappresentato da una linea tracciata a terra dietro la quale si trova la “prigione”. Al segnale d’inizio le guardie si danno all’inseguimento dei ladri cercando di acciuffarne il maggior numero possibile. Ogni ladro “toccato” è condotto in prigione. custodito da due guardie. Il ladro prigioniero da dietro la linea (prigione) tende la mano ai compagni che se riescono a toccarlo, ritorna libero. Il gioco finisce quando i ladri sono tutti catturati. Di solito in questo gioco vincono sempre le guardie, perciò alla fine di ogni partita i ruoli s’invertono. Da bambino non immaginavo certo che anche da grande il gioco di “guardie e ladri” sarebbe continuato tra gli adulti, specie di quelli che si occupano di politica. Provate, infatti, a sostituire i nomi delle squadre da “guardie e ladri” in “opposizione” e “amministrazione”. L’opposizione cerca di far cadere l’amministrazione e per far ciò non fa altro che straparlare. Straparla di economia, di turismo, di sviluppo criticando l’amministrazione e cercando di occupare la “prigione” ossia il Municipio o sottraendo consiglieri che passano dall’altra parte. Ad ogni tornata elettorale i ruoli s’invertono, ma la tattica rimane uguale: straparlare, straparlare, straparlare. In questo simbolismo ludico l’unica realtà che non cambia è il campo di gioco, ossia il paese di Linguaglossa dove si finge il gioco dei bambini, ma i protagonisti sono terribilmente adulti.
Linguaglossa, non è u megghiu paisi di munnu? Saro Pafumi