domenica 26 giugno 2011

Un tempo i divertimenti erano a costo zero

Quando tempo addietro i punti di ritrovo erano le bettole, non era infrequente incontrare la sera ubriachi per strada. A Linguaglossa le bettole che si contendevano i clienti erano due: quella di “turi tutella”e l’altra di “donn’Austinu coddu curtu”. La concorrenza tra i due non era rappresentata dal prezzo, ma dalla qualità, ché dovendo soddisfare palati avvezzi alla quantità, più che alla qualità si contendevano il primato di chi mescesse vino con più alta acidità. A quei tempi trovare cibo era come vincere un terno al lotto, per cui era d’uopo accompagnare le bevute spiluccando due generi assai in voga e a buon mercato: cacucciuliddi e lupini. I primi della famiglia dei cardi erano raccolti ai margini di campi incolti, i secondi rappresentavano per l’uomo quello che “ a favedda” era il foraggio per gli animali; Entrambi magistralmente bolliti e salati esaltavano la sete, per cui i bicchieri tracannati non si contavano. Gli effetti si vedevano la sera, quando questi bevitori per mestiere dovevano far ritorno a casa. Era il momento in cui entravano in azione “ i buoni samaritani”, squadre di giovani che si proponevano il “caritatevole” compito di accompagnare a casa chi era impedito dai fumi dell’alcol. La strategia era sempre la stessa: accompagnare “il bisognoso” nel posto più lontano dalla sua abitazione, bussare a una porta scelta a caso e nascosti dietro l’angolo osservare la reazione di chi aprendo l’uscio doveva convincere l’ubriaco che quella non era casa sua. Una serata così organizzata per certi giovani di allora era una ragione di vita, perché di giorno la loro unica occupazione era come rimediare il cibo. Su ciò le idee erano chiare: questi perenni affamati conoscevano le mappe di tutte le proprietà, la coltivazione dei frutti, il periodo di maturazione e la qualità. Una sola cosa non gli importava conoscere: chi fossero i proprietari. La sera, poi, lunga e noiosa, doveva pur avere uno sbocco ludico che di solito era “rompere le palle” agli altri. Le occasioni non mancavano come per esempio spiare di notte una coppia di novelli sposi che avevano la sfortuna di abitare nei piani bassi. Il giorno dopo della coppia si conoscevano il colore delle mutande e naturalmente i particolari del resto… Il divertimento, si sa, serve a sollevare l’animo dalle fatiche e quando è a costo zero genera le migliori soddisfazioni. Oggi, invece, il divertimento ha un costo e genera fatica anziché alleviarla. Forse oggi di divertimenti ce ne sono troppi e come l’eccesso di cibo genera obesità, così i troppi divertimenti generano noia e assuefazione, perché in quest’ambito manca l’essenziale: l’inventiva personale o di gruppo, abituati come siamo a trovare tutto pronto, programmato e naturalmente ….a pagamento. Saro Pafumi

venerdì 24 giugno 2011

Vite arate dalla fatica


“U fazzulettu” legato dietro la nuca, “ u fantali” annodato ai fianchi, sopra una gonna lunga fino alle caviglie, il costume con cui vestivano le giornaliere di campagna, che, un tempo, le mani avevano callose più degli uomini. Così ’nfrasciamate” si recavano quotidianamente al lavoro nei campi, sacrificando alla fatica la loro femminilità, che solo ai mariti riservavano, nei rari momenti di riposo, tra le disadorne mura domestiche, tinte a calce. Già allora, u travagghiu” nei campi le aveva parificate agli uomini, perché quando si lavora “di mani” la fatica non conosce sesso e condizione. Donnapeppa, a ‘Ngnurangiula, Cummarirosa, giornaliere di campagna, ma anche mogli e madri, vite arate dalla fatica, avevano lo zolfo nei polmoni, quello che il controvento non riusciva a smaltire, e gli occhi rosso fuoco, quando, a sera, avevano finito di “’nzolfare” il vigneto. Quando, nella penombra della sera, dalla cisterna il secchio risaliva a fatica trascinato da una carrucola arrugginita e cigolante, era il segnale che la giornata era finita. A circolo, sul collo del pozzo, si snodavano queste donne-uomo “u fazzulettu” intorno al capo intriso di sudore, polvere e zolfo e sparsa la loro chioma al vento, come criniera di cavallo, si sciacquavano il viso, più per rinfrescarsi che per pulirsi, perché la polvere, quella, era finita in fondo all’anima. Dietro un muro di pietra a secco, lontane dagli occhi indiscreti dei compagni di lavoro, anch’essi “cu muccaturi” in testa a quattro nodi, si ricomponevano le vesti, aggiustandosi le brache, ché anch’esse s’erano appesantite dalla stanchezza. Poi, incamminandosi per tortuosi sentieri pietrosi ripercorrevano a ritroso, con un fascio di legna in testa, il lungo tragitto che le conduceva a casa. Qui la fatica ricominciava, perché tra un’impastata di pane e la biancheria messa a mollo per l’alba successiva, il giorno pareva non avesse fine. Anche le parole, quelle che in genere si scambiano marito e moglie nella fase di riposo, stentavano ad uscire, ché per la fatica e l’impegno s’erano asserragliate in bocca, come se quel poco fiato rimasto fosse da risparmiare. Un frugale pasto consumato attorno “a buffetta” rischiarata da una lampada di 15 watt era il regalo del giorno: “U cuzzagnu” del pane, tagliato col coltello “a roncola”, spettava al padrone di casa e qualche cipolla rimediata in campagna era, assieme al poco pane, il companatico per loro e i figli. Quando, d’inverno, lo zufolare del vento nevoso s’incuneava tra le fessure dei coppi, un fascio di “ sciarmenta” tratto dalla limitrofa stalla “avvampava” la stanza e anneriva il bianco della calce, ma portava il dono del calore, quel calore che nella breve notte, sul giaciglio nuziale, le membra affaticate dei padroni di casa cercavano, intrecciandosi in fremiti d’amore, solo quando una mezza dozzina di loro “cuccioli” stanca di fame e con i panni ancora addosso precipitava nel sonno. Pubblicata su La Sicilia il 28.06.2011 Saro Pafumi

martedì 21 giugno 2011

Non manca il lavoro, mancano le scrivanie

“Manca il lavoro!” Una frase ricorrente, ossessiva che si sente ripetere giornalmente Forse sarebbe più esatto dire: mancano le scrivanie, quei tavoli dietro i quali ciascuno sogna di accomodarsi. Oggi il lavoro non è più concepito come “fatica”, ma più semplicemente come occupazione. C’è migliore occupazione di stare seduto dietro una scrivania? Il lavoro manuale? Roba da barbari. Provate a cercare un idraulico, un falegname, un fabbro, un calzolaio, un operario agricolo, quello che una volta si chiamava “ giornaliero di campagna”. Se dopo avere sudato sette camice, trovate qualcuno che appartiene a queste categorie, fatevi il doppio segno della croce, per almeno tre motivi: siete fortunati se il giorno convenuto si presenterà all’appuntamento; chiedete anticipatamente quant’è “ lo scomodo”. per non dovere ricorrere agli usurai; documentatevi sulle capacità professionale per non essere costretti a riparare i danni subiti e, consentitemi un consiglio fraterno: non azzardatevi a chiedere la fattura per le prestazioni eseguite. Farete la figura di un extraterrestre e sarete considerato “nell’ambiente di lavoro” un appestato da evitare. A Napoli, dove ho vissuto per molto tempo, ho conosciuto il Presidente dei Disoccupati Organizzati, un valido pittore (imbianchino) alla cui corte lavorativa si era ammessi dopo una prenotazione di tre mesi, che diventavano quattro o cinque se intervallate dal periodo feriale al quale “il Presidente” con famiglia a seguito non poteva rinunziare per la modica spesa di tre milioni al mese nella bella Ischia. Manca il lavoro? Mancano le scrivanie! Mi diceva un vecchio artigiano, un artista d’altri tempi: “Oggi per vivere bene non c’è bisogno di conoscere il mestiere, basta avere un martello in mano e una tasca piena di chiodi. Un “ratteddu” lo rimedi giornalmente e con esso ci puoi campare con “la coscia a cavallo”. Se tornassi giovane, con i tempi che corrono, non andrei più “ o mastru”, farei u rattiddaru”. Chi è il “rattiddaru”? Un lavoratore tuttofare, camaleontico, invisibile ricercatissimo e naturalmente ….”ghosh” per il fisco, la migliore “assicurazione” per andare avanti.
Pubblicata su La Sicilia il 21.06.2011. Saro Pafumi

mercoledì 15 giugno 2011

Storie di ordinaria amministrazione ovvero l'impiegato solerte e l'utente sensibile

Lo stipendio?” mi diceva un impiegato di quinto livello col quale scambiavo amichevoli confidenze, “è solo un’anticipazione della futura pensione”. “Se dovessi vivere solamente con quello arriverei, a stento, alla terza settimana” “E come fai per la quarta?” gli risposi. “Mi arrangio, nel senso che faccio la cresta su qualunque operazione svolgo. Per esempio, se devo rilasciare un certificato dico all’utente che ci vogliono almeno tre giorni. Poiché andiamo tutti di fretta, i tre giorni diventano “ a vista” se l’utente ha orecchio. Sai, da noi, la burocrazia è la nostra migliore alleata. Gli utenti hanno le scatole piene per mille ragioni e la perdita di tempo è una delle principali cause. La burocrazia non è una malattia incurabile, basta trovare il bravo medico ossia l’impiegato “solerte” e l’utente “disponibile”. Certamente per risolvere problemi complessi occorre accedere ai piani alti, ma anche lì le soluzioni sono a portata di mano, ma, ovviamente, le tariffe cambiano.”. “Certamente non è consolatorio ed edificante, quanto mi dici”, replicai “perché certe prestazioni da parte dell’impiegato sono un dovere”. “Forse non sono stato chiaro: il dovere è sempre salvo, basta saperlo modulare. E’ qui che sta il segreto. Consentimi un’altra confidenza: non bisogna mai esagerare, perché oltre certi limiti si cade “nell’overdose” e quella fa male a chi la pratica e a chi la subisce. “ Se ho ben capito, si tratta di poter superare la quarta settimana” aggiunsi . “Beh! La quarta, la quinta… anche le ferie, quelle costano, sai?”. “Di che ti lamenti, allora?”, aggiunsi. “ Dello stipendio, te l’ho detto. E’ assolutamente inadeguato, per cui bisogna arrangiarsi”. Mentre il mio amico, avviandosi alla cassa faceva finta di pagare un euro e quaranta due caffè consumati, lo precedetti e rivolgendomi al cassiere a voce alta dissi: “ Certo, la vita è cara”. Egli guardandomi con aria strana e un poco spazientito, porgendomi il resto, mi rispose: “ Trova forse esagerati due caffè 1.40 ?”. “Niente affatto”, risposi, “trovo esagerato che a doverli pagare sia chi con lo stipendio non raggiunge la quarta settimana”. Saro Pafumi

venerdì 10 giugno 2011

Indicazione obbligatoria sui prodotti, ma i controlli?

Una recente (si fa per dire) legge ha introdotto l’obbligo di indicare sulla merce posta in vendita un cartello con l’indicazione geografica. Oggi che l’economia è in regime di globalizzazione, il che significa che sulle nostre tavole finiscono prodotti coltivati e raccolti nelle zone più sperdute della terra, tale indicazione è assolutamente necessaria. La presenza di “virus” in qualche alimento straniero rende tale norma assolutamente indispensabile per la difesa della nostra salute. Che cosa avviene nella realtà? Che l’indicazione non è in molti casi veritiera. Ci si trova di tutto. Arance di Francofonte mescolate con quelle di Lentini, Paternò e Scordia o con quelle argentine o brasiliane; le cipolle di Tropea assieme ad altre che di Tropea hanno solo il colore; patate di Giarre, frazione di Bologna e per finire pesce “rigorosamente” pescato nello Ionio (parola di pescatore), come se fosse il mare più pescoso del mondo. Poiché il consumatore non può avere conoscenze così particolari, finisce col comprare quanto gli è offerto, ma con la consapevolezza di portarsi a casa un pout-pourrì, finendo con l’essere “ carnuto e mazziato”. Se ti azzardi a dire, com’è accaduto a un mio amico, che quelle cipolle, vendute per strada, non sono tutte di Tropea, ti senti rispondere: “ Ma picchì lei canusci i cipuddi di Tropea?” Il cliente: “ facciamo una scommessa ? Scelgo quelle che non sono di Tropea e gliele tiro in testa, una a una” Il negoziante: “si nni issi si nni issi, mi facissi travagghiari!”. Spesso avere la coda di paglia non è solo un modo di dire.
Pubblicata su La Sicilia il 11/06/2011 Saro Pafumi

martedì 7 giugno 2011

I corrotti, i soliti paperoni

Fateci caso. Tutte le volte che viene alla luce una corruzione, chi ci trovi come protagonisti? Coloro che hanno stipendi d’oro al punto che vivendo come comuni mortali, non saprebbero nemmeno come spenderli. Sembra che l’ingordigia sia la loro personale caratteristica. Il paradosso è che questi avidi, indegni paperoni una volta scoperti e condannati non rischiano quasi nulla: qualche anno di carcere, per lo più trascorso agli arresti domiciliari e naturalmente, aspetto alquanto scandaloso, una pensione d’oro. Poiché tra i tanti reati che si commettono in Italia quello che riguarda la corruzione è uno dei più indegni in quanto a paternità e conseguenze, logica vorrebbe che nei confronti di costoro si applicassero le stesse regole dei mafiosi: la confisca dei beni e ovviamente, per essere generosi, l’elargizione della pensione sociale. Perché non è applicata per analogia la normativa sui mafiosi? La risposta potrebbe essere ovvia quanto scontata: tra i corrotti spesso ci sono i politici. Avete mai visto o trovato persone disposte a legiferare contro se stessi? E allora, persistendo questa ingloriosa indulgenza ed ambiguità legislativa, sarebbe opportuno per equità proporre che chi è scoperto a rubare un pacco di biscotti o un reggiseno in un supermercato sia nominato “campione di parsimonia”. Naturalmente con adeguamento automatico della pensione.
Pubblicato su La Sicilia il 08/06/2011. Saro Pafumi

domenica 5 giugno 2011

Un personale ricordo di Milluzzo

Ho conosciuto Milluzzo, morto l’altro giorno alla veneranda età di 96 anni, mezzo secolo addietro. Un personaggio che ebbi modo di apprezzare, grazie ad un altro personaggio insolito e straordinario nello scenario di quel tempo: Santo Calì. Era il tempo in cui a Linguaglossa l’amministrazione della sinistra, conquistato il Comune, voleva dare una ventata di novità al paese, grazie anche e soprattutto all’iniziativa di Calì che nel paese e per il paese prodigava ogni suo sforzo di rinnovamento. Tra mio padre ,ex fascista, e Santo Calì, comunista, nacque un originale sodalizio volto a cambiare l’aspetto di una parte del paese che oggi si chiama Piazza Pretura. L’incontro tra i due avversari-amici trovava nel primo, mio padre, l’interesse ad affermare alcune sue iniziative commerciali e nel secondo, Calì. Il desiderio di trasformare in bello una parte del paese. Furono asportati da quel quartiere migliaia di metri cubi di terreno e a loro posto fu costruita un’ampia piazza e una stazione di servizio per carburanti con i colori privati di chi quest’opera a sue spese aveva realizzato. Mancava, com’era necessario, di dare un tocco artistico all’impianto di carburanti e Santo Calì pensò bene di affidarne l’incarico all’estro rivoluzionario di Milluzzo che nell’impianto volle e seppe raffigurare, gratuitamente, una ventata di novità artistica, progettando una serie di casette geometriche che all’epoca, riscossero l’entusiasmo e il plauso non solo della cittadinanza, ma anche di tutti gli operatori commerciali dell’intera provincia e oltre. Ho voluto venerare la memoria di Milluzzo, artista magistrale e poliedrico, con questo semplice ricordo personale, anche per rammentare alla cittadinanza, spesso priva di memoria, che Linguaglossa annovera tra i tanti preziosi capolavori di Milluzzo, rappresentati da alcuni quadri di pittura presenti nella pinacoteca comunale, questa indicativa opera, testé ricordata, frutto dell’inventiva e del fascino artistico e anticipatore di Milluzzo.
Pubblicata su La Sicilia il 06.06.2011 Saro Pafumi

giovedì 2 giugno 2011

I processi mediatici, spettacoli indecorosi

Possibile che non ci sia uno straccio di norma, l’iniziativa di un magistrato, il varo di una legge, l’intervento della Corte Costituzionale o chissà chi per impedire questi processi mediatici su fatti di cronaca nera ancora “fumanti”? Ci si appella da più parti al diritto di cronaca, ma mi chiedo: rientrano nel diritto di cronaca anche le ricerche di prove e indizi, interviste di presunti colpevoli e fiancheggiatori, parenti e testimoni? E il segreto istruttorio che fine ha fatto, se anche taluni magistrati non disdegnano di farsi intervistare fornendo prove, indizi ed interpretazioni sulle istruttorie in corso? Tanto vale che il processo abbandoni le vecchie aule giudiziarie e si celebri negli studi televisivi. Del resto, oggi, i processi seguono due distinte percorsi: quello sostanziale affidato alla legge e quello formale seguito dalla Tv. Un tempo l’Italia rappresentava la culla del diritto, forse in queste condizioni si potrebbe parlare di culla del “rovescio”, L’Inghilterra che del diritto di cronaca ha fatto il suo vangelo, con i processi ha un approccio serio, se è vero che non permette riprese televisive all’interno delle aule giudiziarie, fa trapelare col contagocce notizie al riguardo, tutela la privacy dell’imputato, persino coprendogli il volto (il caso Restivo, docet!) e i giornalisti sono persino diffidati dal comunicare notizie che possano tradire il segreto istruttorio. Questi ultimi casi giudiziari poi, hanno fatto scoprire in Italia le debolezze delle indagini che se non si fondano, com’ è ormai consuetudine, sulle intercettazioni non vanno da nessuna parte. Un’altra considerazione che fa accapponare la pelle, poi, è la facilità con la quale i presunti colpevoli, i testimoni e persino i parenti della vittima concedono interviste ancor prima che sia loro consegnato il corpo della vittima per far celebrare i funerali. Possibile che l’uomo possa metabolizzare tanto dolore in così breve tempo? E mi chiedo ancora: che ne sarebbe della Tv. se non ci fossero Berlusconi con le sue vicende giudiziarie e boccaccesche e questi delitti controversi e misteriosi con cadenza settimanale a impegnare giornalisti e ospiti vari? Qualche ospite di queste trasmissioni –disgusto definisce questi processi-spettacolo “tritacarni mediatici” salvo un minuto dopo aver fatto questa dichiarazione lasciarsi andare in previsioni di colpevolezza, ipotesi di soluzioni, profili psicologici dei protagonisti e via discorrendo. Verrebbe da dire:“ Meno male che Silvio c’è” e ci sono pure questi delitti, altrimenti la Tv. navigherebbe nella melma paludosa di spettacoli del tipo: grande fratello, l’isola dei famosi e cretinate varie.
Pubblicato su La Sicilia il 02.06.2011 Saro Pafumi