sabato 27 febbraio 2010

Sogno o sono sveglio?


Sere fa nel buio della notte, per conciliare il sonno che tardava, pensavo alla mia Linguaglossa costretta a divincolarsi, un tempo, tra le spire delle amministrazioni che si avvicendavano alla guida del paese. Capitava, per esempio, che un’amministrazione costruisse una fontana e l’amministrazione successiva la demolisse; che ad un orologio floreale in villa toccasse la stessa sorte; che non si completasse l’illuminazione di una strada solo per fare dispetto al politico che vi abitava. Nei comizi non di politica si parlava ma di vizi, di difetti, di perversioni personali e familiari. Gli avversari non avevano un nome, ma erano indicati con un nomignolo: “sciuscia”, “mastaffiu”, “sciancascecchi” Una lapidazione vicendevole fatta di parole più taglienti delle pietre. Un teatrino che si ripeteva puntuale ad ogni elezione. Un gioco al massacro. Sul palcoscenico i politici, in sala il popolo divertito e plaudente. Sintomo di una società che nelle beghe di quartiere affondava le sue radici. “Cosi di paisi”, allora si diceva,
Questo uso malvezzo, quotidiano e provinciale, s’è diffuso a livello nazionale. L’Italia non è più una nazione, ma un paese, un quartiere, un condominio litigioso di una comunità rissosa, la Tv. il balcone di un tempo da cui chi si affaccia, allora, come ora, rovescia secchiate di putridume sull’avversario di turno, schizzi di fango che invadono e seppelliscono anche noi.
Il mondo si è rimpicciolito fino a soffocarci. Siamo costretti a sentire il fetore puzzolente degli altri, a rimanerne infetti e contagiati. Quello che succede lontano è come se accadesse a casa nostra, chi ruba è come se fosse un abitante del nostro quartiere. Ci sentiamo naufraghi in un mare di melma. Chiudiamo gli occhi per non vedere, ma sentiamo il puzzo. Ci turiamo il naso, ma sentiamo il vocio dei mercanti corrotti. Ci turiamo le orecchie, ma la vista delle immagini immonde ci turba. Siamo prigionieri di un essere malconcio: io come la folla che mi circonda. Quando, sveglio, mi ritrovo sudato in mezzo al letto, mi consolo pensando che tutto questo sia stato il risultato delle riflessioni, dei ricordi della sera precedente che il sonno ha mutato in incubo onirico. Tiro un sospiro di sollievo. Accendo la TV per ascoltare le notizie del mattino: scandali, mazzette, accuse sessuali, favoreggiamenti, corruzioni e giù una valanga di avvisi giudiziari che investono politici, magistrati, finanzieri funzionari del fisco, faccendieri e fango tanto fango, come quello che in sogno mi sentivo addosso.
Sogno ancora o sono sveglio?
Saro Pafumi
Pubblicato 27.02.2010

Linguaglossa e la Sovrintendenza

Lguaglossa come molti altri paesi è sottoposta al vincolo della Sovrintendenza ai beni culturali. L’esigenza nasce dal particolare pregio del territorio che per non subire deturpamenti e/o danni ambientali, ogni iniziativa che riguarda il territorio va preventivamente esaminata dall’organo di Vigilanza. Sul piano teorico la tutela è o dovrebbe essere motivo d’orgoglio per un paese che ha saputo, potuto o dovuto salvaguardarsi dall’assalto edilizio e/o dallo scempio paesaggistico purtroppo perpetrato in altri paesi etnei. La tutela, però, com’è ovvio, comporta limiti e prescrizioni che comprimono fortemente ogni iniziativa. Che sia un bene, che sia un male? Ai posteri l’ardua sentenza.
Noi cittadini desidereremmo, però, che questa tutela, comportasse sul piano pratico anche benefici, almeno in tema d’immagine. Non sarebbe il, caso, per esempio, che questi centri sottoposti a tutela ambientale fossero annoverati in uno speciale albo meritorio, motivandone le ragioni, in modo da avere un ritorno d’immagine?
Una croce, come dire, al merito. Come i reduci o altri personaggi orgogliosi di mostrare il petto gloriosamente ornato di medaglie al valore.
Si vive anche d’immagine, che, in certi casi, vale più della sostanza.

Pubblicato 26.02.2010 Saro pafumi

venerdì 19 febbraio 2010

Ennesima bocciatura della cabinovia a Piano Provenzana



Lo dico a La Sicilia pubblicato 19/02/2010

Mesi or sono presso il Colonnato dei PP. Domenicani di Linguaglossa fu presentato, in pompa magna, il Projecting Financial per la costruzione di una cabinovia a Piano Provenzana. Commentando l’esito dell’incontro ebbi ad azzardare la bocciatura del progetto. L’amministrazione comunale si risentì di questa mia scontata previsione, sostennendo che “importante era progettare grandi opere i cui frutti possono essere raccolti da altri.”
La mia facile previsione fatta a suo tempo, oggi è triste realtà. Con nota 147 del 13/01/2010 inviata al Comune di Lnguaglossa (prot. 847 del 19/01/2010 il Parco dell’Etna informava il Comune circa l’esito del parere espresso dal C:T:m sulla costruzione della cabinovia, che testualmente recita: “Emergono elementi precluisivi alla sua realizzazione, in quanto non risulta compatibile con i valori paesaggistici e ambientali. Pertanto esprime all’unanimità parere negativo a tale progetto. ”.Segue il commento dell’Ente Parco che, per addolcire l’amara pillola, invita l’Amministrazione comunale “a formulare proposte alternative”. Ci piace non esprimere alcun commento , ma ricordare all’amministrazione comunale e all’opinione pubblica due circostanze che non vanno sottaciute sull’argomento in questione. Il recente parere espresso dal C.T.S.(13/01/2010) ricalca pari pari altro parere n. 15 /2005 verbale n .371 del 12.07.2005 espresso dallo stesso C.T.S., il quale parere, guarda caso, richiama altro precedente parere n. 25/2004 verbale 357 del 20/09/ che riprende e ripete le medesime considerazioni preclusive all’opera. Pareri tutti tendenti a: “Conservare la difesa del paesaggio e dell’ambiente naturale, nonché a limitare la presenza di visitatori eccessiva ed incontrollata” trattandosi di Fascia Altomontana dell’Etna assimilabile alle aree “wilderness” (regione selvaggia, ambiente non contaminato dall’uomo).
L’amarezza, la delusione e il disagio della popolazione di Linguaglossa non stanno tanto nello scontato, prevedibile parere già ripetuto in tutte le salse, quanto nell’ottusa insistenza da parte dell’amministrazione comunale a portare avanti un’iniziativa già reiterate volte bocciata. Per farci intendere è come se si volesse chiedere la riforma di una sentenza di condanna in assoluzione allo stesso tribunale che ha emesso la prima decisione. Con il risultato che altri priogetti alternativi ( seggiovia) e infrastrutture ad essi collegati scontano notevoli ritardi.
Per non urtare la suscettibilità di qualcuno non aggiungiamo nessuna altra considerazione, lasciando che siano i cittadini di Linguaglossa a formulare la loro.
A noi come dice il titolo di un noto film. “ Non ci resta che piangere”.


Saro Pafumi

giovedì 18 febbraio 2010

Non parlate al conducente


Lo dico a La Sicilia pubblicato 18/02/2010
A proposito del contrasto tra magistratura e politica, quale si evince dai dibattiti in corso, è il caso, forse, di fare alcuni distinguo.
Non è esatto affermare che la critica della politica è rivolta contro tutta la magistratura, essendo circoscritta a due specifiche procure: milanese e palermitana. La prima per le note vicende giudiziarie che riguardano il premier Berlusconi, la seconda per i processi di mafia che hanno inteso /( con i risultati a tutti noti ) o intenderebbero coinvolgere settori della politica. Sono gli unici rilevanti casi ( salvo altre rare eccezioni) in cui la magistratura e la politica, a torto o a ragione, da troppo tempo, sono ai ferri corti. Una disagevole situazione per ambo i contendenti determinatasi da quando la politica è rimasta priva delle sue guarentigie costituzionali ( immunità). Il rimanente novantanove per cento degli uffici giudiziari è certamente immune da critiche, salvo la solita tiritera circoscritta all’ endemica disfunzione ( lungaggine processuale) peraltro non addebitabile a quest’ultimi, ma che certamente ha valenza rilevante. Diversa è la questione che vede contrapposti i due diversi schieramenti ( politica e magistratura), derivante dall’annunziata riforma giudiziaria, che, per ovvie ragioni, riguarda l’intera magistratura. Su questo fronte il conflitto si è, come dire “generalizzato”, perchè entrando in gioco interessi che riguardano l’intera categoria togata un certo “mal di pancia” è certamente comprensibile. Il vero nodo dolente dell’attuale conflitto tra politica e magistratura è tutto qui. La prima proiettata a riformare “il sistema giustizia”, la seconda arroccata, per ragioni d’opportunità “aziendale” a difendere il proprio “status quo”. Fuori di metafora e d’ipocrisia, non è tanto il conflitto ( processi “politici”/magistratura) che rendono insanabile il contrasto, quanto l’annunziata riforma giudiziaria. Se si disinnescasse il primo contrasto, i primi a tirare un sospiro di sollievo sarebbero gli stessi magistrati,
Il problema è che nel permanere dell’attuale situazione “la tentazione” di far fuori Berlusconi attraverso il sistema giustizia” è forte, perché raggiungerebbe almeno due importanti obiettivi: l’apertura di un nuovo scenario politico dal cui rimescolamento qualcuno potrebbe ricavare notevoli vantaggi e l’interruzione del percorso innovativo del sistema giustizia, visto da taluni come fumo negli occhi. Due interessi coincidenti tra una parte politica e la magistratura che senza volere li rende oggettivamente e rispettivamente conniventi, sia pure per opposte ragioni.
Stretta da una manovra a tenaglia delle due forze in campo c’è l’Italia con i suoi gravi problemi che a nessuno sembrano interessare.
Sui bus di linea fino a qualche tempo fa c’era scritto: “ Non parlate al conducente”. Un avviso che era insieme un invito e una raccomandazione, per evitare che dalla distrazione del manovratore potessero scaturire nefaste conseguenze per i passeggeri. Non sarebbe il caso di ripristinare in politica questa norma di buon senso (immunità) finché il manovratore ( Berlusconi o chi per lui) è alla guida del Paese? Non si può sparare sul macchinista, mentre il treno è in corsa. Si salverebbero in pochi, mentre molti perirebbero. “Non parlate al conducente” lo prevede, guarda caso, persino la Costituzione.
Linguaglossa 095/647245
Grazie. Saro Pafumi

sabato 13 febbraio 2010

La rissa politica, nostro pane quotidiano


Lo dico a La Sicilia pubblicato 13.02.2010

Non so quello che succede nelle altre nazioni, ma a ben vedere il rapporto che c’è in Italia tra governo e opposizione è lotta continua, a prescindere di chi di volta in volta governa. E’ pienamente legittimo che chi sta all’opposizione eserciti un potere di controllo e di critica sull’operato del governo, ma quando questi limiti travalicano l’ordinaria e/o la straordinaria amministrazione, riguardando pure il fatuo, il superfluo, l’occasionale e qualunque dichiarazione scritta o verbale proveniente da parte avversa si sconfina nel campo del pregiudizio. I telegiornali sono giornalmente pieni di dichiarazioni e controdichiarazioni, talvolta anche su argomenti che rasentano il ridicolo. Persino sui numeri (statistiche) che dovrebbero essere una scienza esatta, i politici hanno il dono di trasformarli in una partita di bowling. Si spazia dalle condizioni meteorologiche all’appetito degli Italiani, per passare dall’orario dei treni fino ad arrivare alle fermate dei bus. E’ tutto un dire e un contraddire, una dichiarazione e una controdichiarazione secondo la logica delle comari che ad un epiteto rispondono con un altro epiteto, fino ad arrivare alla rissa o quasi. In questa guerra guerreggiata i dibattiti televisivi nulla hanno della civiltà dialettica che deve essere propria di chi ci amministra, ma sono infarciti d’accuse, di parole improprie al limite dell’ingiuria, un linguaggio da osteria ( si ascolta per esempio un politico che accusa per ben tre volte il suo interlocutore di dire “minchiate”), un’animosità esasperata che seppellisce la logica delle argomentazioni, inalando nel teleutente un senso di nausea. Purtroppo queste rappresentazioni da avanspettacolo coincidono quasi sempre con il pranzo e/o la cena degli italiani e il voltastomaco si mescola alle pietanze come condimento. Tra un telegiornale satirico e un dibattito televisivo non c’è alcuna differenza. I politici non sono i rappresentati del popolo, ma vestono i panni dei giullari con l’impronta caricaturale che li contraddistingue.

Saro Pafumi

giovedì 11 febbraio 2010

L'uovo di Colombo



Lo dico a La Sicilia pubblicato 12/02/2010

Permettete? Sono Colombo. Mi presento non come scopritore dell’America, ma come colui cui è legata la storiella dell’uovo, una scoperta non importante quanto la prima, ma parimenti geniale. Ho da presentarvi una mia nuova scoperta.
In sintesi. Tutte le volte che sulle coste siciliane approdano extracomunitari, questi poveretti sono rimandati al loro paese d’origine. Circostanza, questa, che solleva l’indignata reazione del mondo che si “autodefinisce” civile.
Un doveroso accoglimento, che si trasforma in odioso respingimento, non è degno di una nazione come l’Italia che vanta antiche tradizioni d’ospitalità. Le proteste non mancano, non solo da chi non sta al governo, ma persino da quasi tutti i paesi europei che condannano senza appello il comportamento italico.
Ecco la mia trovata. Poiché l’Unione Europea è formata da 27 Stati membri una semplice divisione risolverebbe il problema. Come? Ammettiamo, per ipotesi, che oggi approdano sulle coste siciliane 364 extracomunitari. Anziché rimandarli indietro sarebbe il caso di accoglierli con la banda, con tric trac, giochi pirotecnici, liberando nell’aria miglia di palloncini colorati, perché in definitiva di fratelli sfortunati si tratta. Al primo squillo di tromba 27 rappresentati dell’Unione europea, presenti sul luogo, si presenteranno all’appello, e, fatti i calcoli, si porteranno a casa 13 extracomunitari ciascuno. Poiché dividendo 364 per 27 si ottiene 13 e resta mezzo extracomunitario, per evitare contestazioni, o si trova un volontario disposto a portarne a casa 14 o quello che resta si assegna a qualcuno, salvo conguaglio. La trovata, geniale come la scoperta dell’uovo di Colombo, realizzerebbe almeno tre obiettivi: si eviterebbero giudizi e proteste, ogni extracomunitario sarebbe il benvenuto e tutti i 27 Stati membri si fregerebbero dell’emblema di paese ospitale. Come avviene per ogni favola potremmo finalmente dire: “E vissero tutti felici e contenti!. Saro Pafumi

martedì 9 febbraio 2010

Di Pietro, un politico..... sui generis




Lo dico a La Sicilia pubblicato 09/01/2010

“A me mi piace” direbbe Gigi Proietti reclamizzando una nota marca di caffé.
E a me mi piace Di Pietro come uomo politico, aggiungo di mio. Lo trovo ruspante come il pollo di campagna, genuino come il vino non adulterato, casereccio, come il pane cotto nel forno a legna. L’Italia ha bisogno d’uomini politici come Di Pietro, perché in realtà interpreta con la sua maschera teatrale una parte di noi che s’identifica con la natura più selvaggia. Anche il suo parlare è grezzo, come un pezzo di ferro che deve ancora essere forgiato. La sua stessa cultura è come un timballo di riso in cui ci trovi di tutto e tutto ci puoi aggiungere. E poi, confessiamolo, quanti di noi non hanno desiderato l’arresto di questo o quell’uomo politico, colto con le mani nella marmellata?
Che ci sia “un gendarme” in parlamento a presidio dell’onestà, dell’incorruttibilità, della correttezza lo trovo rassicurante. Egli è il rappresentante di tutte le minoranze: onesti, oppressi, diseredati, disoccupati, ignoranti (nel senso buono). scontenti. E’ la dimostrazione come in democrazia l’accesso alla politica è consentito a chiunque. E’ come un concorrente del Grande Fratello prestato alla politica, un naufrago dell’Isola dei famosi asceso in Parlamento, un vicino di casa che volente o nolente devi incontrare, un compagno di briscola da bar dello sport, un giocatore di calcio che puoi impiegare in tutti ruoli, arbitro compreso, un politico che usa la logica come Tarzan le liane, un acrobata che cammina sul filo spinato, un personaggio che nel presepe può impersonare un Re magio o l’asinello, un incubo onirico se hai mangiato di pesante.
E’ tutto e di più! Che “c’azzecca” con la politica non l’ho ancora capito Lo vedo meglio come guardia carceraria.
Saro Pafumi

sabato 6 febbraio 2010

Prezzi carburanti, concorrenza, pompe bianche


Lo dico a La Sicilia pubblicato 05/02/2010

Tutte le volte, troppe, che nei distributori aumenta il prezzo dei carburanti, qualcuno ci ricorda che un rimedio è possibile contro l’aumento ingiustificato e/o esagerato dei prezzi: aprire alla concorrenza. Il modo è semplice: aumentare le c.d. “pompe bianche” che per chi non lo sapesse sono quelle prive di colori, quasi spesso in mano a privati. Poiché tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare va spiegato che queste pompe bianche, se non sono un’ utopia, sono certamente una pia illusione.
Sono di difficile attuazione, a meno che……………………e qui casca l’asino………… non sono le stesse compagnie petrolifere a realizzarle. Cosa intendo dire. Poiché per realizzare un nuovo impianto stradale di carburanti, occorre aggiungerci “il metano”, provate a chiedere in giro quale somma occorra a chi si vuole avventurare nel settore ( diciamo un milione d’euro?) Una cifra spaventosamente esagerata, non certamente alla portata di un comune mortale, il che significa due cose. che quasi nessun privato può realizzare una nuova stazione di servizio o, chi può, rientra nel novero delle grandi Compagnie, il che equivale a ritornare al punto di partenza: nessuna concorrenza. Le nuove disposizioni in materia di distribuzione carburanti si ammantano dell’aureola della “liberalizzazione”, nella realtà sono un bluff. E’,per intendersi, come se si bandisse un concorso aperto a tutti, con una sola eccezione: per parteciparvi occorre avere sei dita. Il mercato dei carburanti resta e resterà sempre prerogativa delle grandi Compagnie e in un mercato libero sono le stesse Compagnie a determinare il prezzo. Piaccia o no!
Parabola significa: tarantola ballerina.
Saro Pafumi

Le moderne truffe

Lo dico a La Sicilia pubblicato 04.02.2010

Le rapine oggi sono cambiate. Quelle tradizionali consumate con la pistola in pugno continuano a perpetrarle quelli che una volta si definivano “ladri di polli”. Presentarsi in banca o in un esercizio commerciale pronunziando la proverbiale frase: “ Fermi tutti è una rapina!” è roba d’altri tempi. Non rendono in termini economici, perché chi n’è vittima ha saputo organizzarsi con la cassa a tempo, con telecamere o altri congegni, e sono manifestamente sproporzionate se si pensa al probabile bottino che si può ricavare e alla certa, grave condanna che ne può derivare.
Oggi “le rapine” sono “truffe” ben architettate che corrono su Internet. Una maniera elegante ed ingegnosa di raggirare il prossimo, dove la sproporzione, semmai, gioca a favore del malavitoso che corre rischi uguali a zero. I sistemi sono molteplici. Una proposta di lavoro che si trasforma in favoreggiamento per reati più gravi; un e-mail per carpire coordinate bancarie e prosciugare il conto corrente, la richiesta di cento euro per ritirare un premio vinto nel più remoto angolo del mondo; o quella alquanto ingegnosa e subdola di chiedere un bonifico di pochi dollari che “sapientemente” investiti dalle “finanziarie” destinatarie in poche settimane si trasformano in sostanziosi capitali. Esempio: 50 dollari che dopo sei mesi diventano 10 mila dollari. La cosa sorprendente sta nel fatto che questi “luminari” dell’ingegnosa tecnica truffaldina si trovano all’estero, comodamente seduti all’ombra di una palma da dattero, hanno la faccia color cioccolato, parlano e scrivono in perfetto inglese, sono più ignoranti di una capra, ma dotati di un ingegnoso fiuto.
Sono per intenderci i figli di quei lustrascarpe emigrati in America che a contatto col mondo del denaro hanno saputo coglierne i lati deboli dell’umano sentire e sfruttarli a loro piacimento.
Alcuni paesi africani sono la patria di questi moderni “banchieri”, che non amano emigrare come i loro fratelli costretti,per pochi euro, a raccogliere pomodori nell’agro nocerino o clementine nelle campagne di Rosarno, sono muniti di un computer, col quale sanno dialogare, capaci di raccogliere, senza scomodarsi da casa, centinaia di migliaia d’euro o dollari da tutto il mondo, loro abituati a vivere con un euro al giorno.
Finora la rapina o la truffa eravamo abituati a vederla consumata da fratelli bianchi che si aveva la sfortuna d’incrociare. Oggi di questi visi colorati non s’intravede nemmeno il volto, ma si sentono le loro “scudisciate” come quelli che un tempo, l’uomo bianco dava, senza pudore alcuno, ai loro progenitori. Che sia una rivolta degli schiavi nella tomba o una vendetta della storia?
Saro Pafumi

lunedì 1 febbraio 2010

inaugurazione o.....commemorazione anno giudiziario


pubblicato 01.02.2010
L’inaugurazione dell’anno giudiziario mi ha indotto a cercare sul dizionario il significato esatto del termine “inaugurazione”, che riporto: “cerimonia con cui si festeggia l’inizio di un’attività o l’entrata in funzione di un qualcosa”. Mi pare che con l’attuale situazione in cui versa la giustizia italiana non ci sia nulla da “iniziare”, nulla da “festeggiare” né tanto da meno niente da fare “entrare in funzione”. Sarebbe più logico che si parlasse di “commemorazione”.
Siamo alle solite: dati statistici e contestazioni. Un noioso clichè che puntualmente si ripete ogni anno, da troppi anni. Con una novità per l’anno in corso: l’abbandono da parte dei magistrati delle aule dove si svolgeva la “commemorazione”, per denunziare non solo i contrasti tra politica e magistratura, ma più di tutto il degrado in cui versa la giustizia. Più che l’abbandono della “commemorazione” da parte dei magistrati mi sarei aspettato, per protesta contro il potere politico, la messa al bando delle toghe “rosse” e “nere”, così da presentarsi ai cittadini “nudi” come loro dinanzi alla legge o da parte delle frange più estremiste persino l’occupazione dei tetti dei palazzi di giustizia. Come quella messa in atto dagli operai dello stabilimento Fiat di Termini Imerese. I primi per difendere il diritto di amministrare giustizia, i secondi per difendere il pane quotidiano, che, ammetto non è la stessa cosa. La giustizia si può attendere, il pane un pò meno. E così i magistrati, in fila indiana, solenni e dignitosi, con la Costituzione in mano, hanno abbandonato le sedie. Quella Costituzione che da quando è stata emanata nessuno ha mai potuto modificare, salvo la parte in cui dispone che il processo deve avere una ragionevole durata, che, forse, in qualche copia della Costituzione stretta in nano manca.
Saro Pafumi