domenica 30 dicembre 2012

I magistrati in politica

Se c’è una categoria di comuni mortali favorita dalla sorte, è quella dei magistrati. Non tanto per il potere di vita o di morte (leggi: libertà) che dispongono sugli individui che incappano nella legge, quanto per la loro personale posizione che li pone in un gradino privilegiato rispetto a qualsiasi persona o categoria. La trasmigrazione dalla magistratura alla politica non è un fenomeno recente, ma da quando la politica è entrata in crisi, il fenomeno ha avuto un’impennata impensabile. Per un magistrato che vuole abbandonare la toga o solo momentaneamente dismetterla per entrare in politica il passo è facile. Le recenti autorevoli incursioni nel mondo politico evidenziano come questo fenomeno sia tutt’altro che trascurabile e presenti per certi versi risvolti inquietanti. La legge consente a qualsiasi cittadino che si colloca in quiescenza di continuare a lavorare e ciò per certi versi, in un momento di crisi occupazionale, se non è aberrante poco ci manca. Consentire a un cittadino- magistrato- pensionato di riciclarsi in politica, consentendogli l’elezione certa attraverso il perverso meccanismo del listino bloccato, bypassando l’esame elettorale, rappresenta oltre che un assurdo privilegio, un’autentica sconcezza democratica. Se il tale magistrato ha la fregola di politicizzarsi, lo faccia nell’ambito del volontariato, contribuendo a cambiare il Paese senza lo stimolo alquanto sospetto di un miglioramento economico che si aggiunge ai tani privilegi che l’impegno consente. Possibile che il volontariato debba essere unica prerogativa degli umili e degli oppressi che sacrificano la loro esistenza senza privilegi e prebende? Il termine “riciclaggio” ha assunto di recente valore e significato legato soprattutto al mondo dei rifiuti, inteso come “rigenerazione. Le trasmigrazioni in politica hanno esteso lo stesso termine a questo mondo, assegnandogli però un significato decisamente negativo: “ regressione”. Saro Pafumi




domenica 23 dicembre 2012

La filosofia del profitto delle Poste Italiane

Non passa giorno senza che le Poste Italiane ci riservino la chiusura di Uffici postali in zone decentrate. I siti chiusi non si contano e stavolta è toccato all’Ufficio postale di Presa. A parte il disagio per le popolazioni che abitano nelle frazioni, talvolta distanti alcuni chilometri dagli uffici postali più vicini, la filosofia delle Poste italiane sembra essere ispirata al concetto del risparmio. In un’economia sofferente la vocazione al risparmio, può avere una sua ratio, quando, però si legge il bilancio in attivo delle Poste Italiane, i conti non tornano. Basta frequentare gli uffici postali della nostra zona etnea perché lo sgomento aumenti: Uffici zeppi di persone senza neanche talvolta, il conforto di un “elimina code” che suona offesa alla dignità umana. Senza parlare che in nessun ufficio postale esistono posti a sedere, né servizi igienici, il che aumenta la sofferenza degli utenti. Quando il profitto, come in questi casi. assurge a “religione” lo sconcerto è d’obbligo Le Poste Italiane sono consapevoli dello sconcerto degli utenti, ma insistono a mantenere livelli di servizio da terzo mondo. Perché nessuna vibrata protesta, oltre al solito inutile chiacchiericcio degli utenti in coda? Per due ragioni: il pensionato da cinquecento euro al mese non ha nemmeno il fiato per protestare e chi dovrebbe servirli e/o tutelarli li considera un gregge. Logica vuole che se c'è un gregge, esistono i mandriani, ovvero coloro che, eufemisticamente, sono definiti manager. Saro Pafumi. Pubblicato su La Sicilia il 24.12.12







lunedì 17 dicembre 2012

Spot e divi strapagati

Tutte le volte che capita di vedere le promozioni pubblicitarie alla TV, nella quasi totalità dei casi esse sono affidate a personaggi famosi: attori, presentatori, calciatori, cantanti, in buona sostanza a un personaggio famoso che già guadagna di suo, al quale va aggiunta la promozione pubblicitaria: una concentrazione di ricchezza nelle mani dei soliti noti. La ratio della scelta di personaggi famosi, come testimonials di pubblicità, scaturisce presumibilmente dal presupposto che se la promozione, per esempio, di un materasso o di un caffè è affidata a un nome noto, il consumatore sarebbe più disponibile ad acquistare, attratto dalla forza persuasiva del personaggio. Ti ritrovi pertanto, come potenziale consumatore, a doverti “ sciroppare” un George Clooney che in un noto spot televisivo si limita a dire: “ Immagina, ( pausa) , puoi!". Uno sforzo recitativo, remunerato, chissà, con quanti euro. O ti ritrovi ad assistere a una nota serie televisiva, con cadenza quotidiana, che, nell’intervallo tra una recita e l’altra la stessa presentatrice ti vuole convincere ad acquistare lo stesso materasso sul quale Ella poggia le sue gentili chiappe. Personalmente nell’assistere a questi e altri spot ho un conato di rigetto, che, malauguratamente per i promotori della pubblicità, coinvolge anche il prodotto reclamizzato. Non sarebbe più democratico e meno plagiario affidare tali pubblicità a personaggi sconosciuti, magari appartenenti a organismi caritatevoli che operano nel campo della solidarietà? Utopia, ingenuità, negazione del carisma della pubblicità? Forse. Creare nel nostro modo di essere degli anticorpi contro queste iniquità è un modo di difendere se stessi e gli altri. Il problema è capirlo.


Pubblicata su La Sicilia il 16.12.12. Saro Pafumi