lunedì 31 luglio 2023

Sostenere le impreseper l'pavvenire dei nostri figli.

Sostenere le imprese per l’avvenire dei nostri figli.

La mia vuole essere una domanda rivolta a quanti vivono la realtà di un piccolo paese di questo nostro Sud. Non c’è dubbio che ogni padre desidera il meglio per il proprio figlio. e tra il meglio, c’è la corsa alla laurea, dopo generazioni in cui quest’aspirazione è stata patrimonio di pochi. Ci siamo interrogati sul futuro che attende questi giovani laureati? Sicuramente un laureato che aspiri a mettere a frutto la fatica degli studi, non potrà trovare una sistemazione in un piccolo paese o provincia. Non lo consente l’economia del luogo. Nasce dunque l’esigenza di emigrare all’estero o al Nord, dove l’ambiente lavorativo è più propizio. Una necessità che determina lo spopolamento graduale del territorio, che assieme al decremento anagrafico, determina un impoverimento dell’intera economia. Non ci sono ricette miracolistiche per evitare tutto questo, ma solo il tentativo di alleviare o ritardare questo triste destino. Come? Individuando ogni piccola comunità quelle realtà locali, presenti nel territorio, che possano servire a uno sviluppo. Poiché vivo a Linguaglossa, dove, nel tempo, questo fenomeno si è via via aggravato, suggerirei all’Amministrazione di individuare le potenzialità del territorio e concentrasi su di esse. Per prima cosa vanno tutelate le imprese che operano in loco, concedendo l’uso del suolo pubblico, dietro un corrispettivo solo simbolico, per migliorare la ricettività del paese; recuperare le aeree incolte, mediante una migliore viabilità rurale; estendere l’esenzione dell’IMU e altri tributi, anche alle case da ristrutturare, affrontare una buona volta per tutte i tanti problemi irrisolti: Piano Provenzana, Villaggio Mareneve, Strada Costa, viabilità urbana. Non mi stanco di ripetere che quel polmone verde rappresentato dalla Pineta e l’ultraparonamico campo di sci che la montagna ci regala sono una risorsa per il Paese. Lo sono stati nel passato e potranno esserlo nel futuro, a condizione che l’Amministrazione se ne ricordi. Problemi che devono riguardare lo sviluppo del territorio, anche quando le finanze comunali non lo permettono, perché il risanamento del bilancio comunale, non deve essere da freno alle altre attività amministrative. Chi si spende in politica o ha la pretesa di farlo, deve dimostrare con i fatti e non con le sole intenzioni i frutti che il suo mandato impone. E di tanto in  tanto sarebbe gradito un resoconto del proprio comportamento, peraltro pagato. Il Comune, è bene ricordare, non è una palestra in cui impegnare infruttuosamente il proprio tempo libero, ma un campo da arare per poi raccoglierne i frutti. Pubblicato oggi 31.07.2023 su La Sicilia.

 

domenica 30 luglio 2023

La fane si tagliava c ol coltello

 La fame si tagliava col coltello

 

Quando a dodici anni sentivo un mio compagno di giochi dirmi: “dumani non putemmu iucari, picchì a iri ccu mo matri a rubari ligna” era come ricevere un pugno nello stomaco.

Nel dopoguerra in certe famiglie linguaglossesi, più che il pane si tagliava la fame col coltello.

Un ceppo e un po’ di fascina accesi con la “deda” tra due pietre, con sopra una traballante pentola di annerito alluminio attendeva fumante quattro pugni di pasta, che la madre scolava limacciosa per aumentarne il volume.                                                                                                                                                                                                                                                     

Era il pasto, condito con niente, che sfamava

una famiglia di quattro persone, che i più giovani ingoiavano con gli occhi, mentre bolliva.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               

Poi, più affamati di prima s’inerpicavano, con la pioggia o col sole, per i pendii montuosi che circondavano il paese, alla ricerca della frutta che si trovasse nelle campagne “du zu stranu”, per attenuare gli ululati del loro giovane stomaco.

Divoravano tutto, come cavallette affamate, e sazi si “riempivano “a pitturina” di tutto, memori che a casa qualcuno era rimasto affamato.

Un fascio di legna furtivamente sottratto era, assieme alla frutta rubata, l’altro bottino di un giorno, pagato col sacrificio di un gioco perduto.

Quale pasto sarebbe stato preparato il giorno seguente nessuno lo sapeva.

Importante era assicurasi un fascio di legna con cui l’indomani potere accendere la speranza.

Il locale attrezzato per la cottura dei cibi solo più avanti si chiamerà cucina.

Allora era un unico ambiente annerito, in terra battuta, che il fumo aveva reso come un girone dell’inferno, dove quanto bolliva nell’unica pentola a stento s’intravedeva al bagliore del fuoco.

Gli abiti di questi “disgraziati” non avevano il privilegio dell’odore dei loro corpi, perché la legna, che ardeva fumosa, arrossava gli occhi, impregnando la pelle.

L’unico lume a petrolio passava di mano in mano alla ricerca dell’oggetto che interessava e il riscaldamento di quel tugurio-tana, ”sutta canali”, era la brace di quell’unico tizzone coperta di cenere per durare più a lungo.

Di quel mondo nulla è rimasto, salvo l’odore nelle narici di quegli indumenti impregnati di fumo o il ricordo di quelle mani vogliose che strappavano dagli alberi fichi anche immaturi, pur di sedare la fame.

Non c’è traccia, oggi, di tutto questo, ben potendo dire che quegli sfortunati, abbandonati e umani relitti d’un tempo, nemmeno tanto remoto, sono usciti dal loro pertugio a recitar in coro, per dirla con Dante: “…e quindi uscimmo a riveder le stelle”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

venerdì 28 luglio 2023

A proposito di Sciaranuova. Festival 2023 Passopisciaro Dove sulla sciara fioriscono le viti.

A proposito di Sciaranuova. Festival 2023 Passopisciaro

 

Dove sulla sciara fioriscono le viti.

 

Se si ha passione, competenze, amore per la propria terra e tanti soldi, anche i miracoli sono possibili.

E’ avvenuto là, ove sulla sciara fioriscono le viti. Se vi capita di trovarvi nei pressi di Castiglione di Sicilia portatevi nelle contrade ‘ Pietra Rizzu, Casà e Piano dei Daini.

Scoprirete l’inimmaginabile.

Dopo secoli che l’Etna ha ricoperto fertili terre con   la sua forza distruttrice, ritenute impossibili al recupero, l’uomo ha vinto la sua battaglia e una volta tanto ha messo in ginocchio la potenza della natura, che, da sempre, spadroneggia col nome di Etna, etimologicamente ‘bruciare’, da cui ‘monte di fuoco’, come lo raffiguravano gli antichi greci.

Cosa si può attendere da un monte di fuoco? Distruzione.

L’uomo ha, più della natura, l’intelligenza, e con essa e la sua caparbietà è riuscito ove tutto sembra impossibile: riconquistare ciò che gli è stato sottratto.

Viti a posto di sciara viva. Punta Pietra, Casà e Piano dei Daini ne sono palpitanti testimoni.

Un capolavoro di tecnica, di costanza, di forza, di passione.

Sterminate distese di lussureggianti vigneti, verdi laghi sembrano, dove la fantasia si tuffa assieme all’orgoglio, disegnate con maniacale geometria, più che per necessità colturali, forse per far dispetto al caos pietrificato sputato dalle viscere della terra.

Le cornici di tanta lussureggiante natura sono i muri a secco, disposti in ampi terrazzamenti, veri capolavori di fatica umana, lavagne appaiano, sulle quali viene la voglia di scrivere pensieri ed emozioni e dove, tanta la maniacale perfetta sistemazione, ogni singola tessera di pietra è un mosaico di emozioni.

Le pietre tolte con le unghie e i denti, tritate, frantumate, sminuzzate, sono diventate fertile terra e le più piccole sono rimaste là, per testimoniare che un tempo erano loro le padrone.

La vendemmia in un luogo che fu di morte e distruzione dovrebbe rappresentare l’apoteosi della vittoria dell’uomo, quasi una liturgia religiosa.

Quella stessa liturgia che nell’antica Grecia era un servizio di pubblica utilità che i cittadini più facoltosi dove- vano obbligatoriamente accollarsi.

Com’è vero che la storia è un libro che si rilegge e oggi quei vigneti, strappati al fuoco, sono gli elementi di un ritrovato benessere per l’uomo e l’ambiente!

Ma  a che prezzo e con quanti sacrifici!

Se fossi il padrone di quei vigneti, li aprirei ai visitatori, come si fa con un museo che conserva reperti e opere d’arte, e, se mi è consentita una scelta, li adotterei di una rete di filodiffusione, dove aleggerebbero le note di Mozart, genio di geometria, appunto, e musica, perché non  di semplici vigneti si tratta, ma del proscenio di un teatro dell’Opera

 

mercoledì 26 luglio 2023

Amiamo il nostro paese?

Amiamo il nostro paese?

Da bambino, nessuno m’insegnava ad amare il paese natio, né la scuola, né la famiglia. Era un tema assente nella vita di tutti i  giorni, forse perché presente nel nostro animo, da ritenerlo un dovere scontato. La vita economica delle famiglie andava avanti tra mille stenti e non si conoscevano gli spreghi, perché tutto era rivolto all’economia e al risparmio. Quando si andava a fare la spesa, ciascuno si portava da casa la tovaglia, in cui avvolgere il genere acquistato, che consentiva un notevole risparmio sulla quantità e sul confezionamento. Le strade del paese non erano piene di rifiuti, giacché allora la spazzatura era ritirata direttamente da casa, e il fischietto del netturbino annunciava il suo arrivo. Nonostante i quadrupedi circolassero dappertutto, con le conseguenze legate agli escrementi, gli addetti alla pulizia delle strade intervenivano con tempestività, pulendo anche il margine delle strade dalle erbacce. La villa Milana era tenuta in gran riguardo, come ogni angolo remoto dell’intero territorio. Non mi ricordo che ci fossero lamentele al riguardo. Oggi nonostante la famiglia e la scuola siano attente sul tema dell’ambiente e gli insegnamenti ad amare il proprio paese, pane quotidiano, le strade sono piene di rifiuti, il mitico ‘giardiniere’ che aveva a cura il verde del paese, un lontano ricordo e le lamentele, un coro unanime. Dov’è finita la conquistata cultura che questi temi dovrebbe mettere in primo piano? Che impatto svolgono sulla qualità dell’ambiente le sbandierate lauree in tasca a molti giovani? La sensibilità e l’abnegazione dei nostri padri, esempi ignorati? A prima vista sembrerebbe inspiegabile questo rovesciamento di valori. Eppure una spiegazione c’è o sembra esserci. Fino agli anni cinquanta il territorio rappresentava il primo sostentamento per le famiglie, perché erano i frutti della terra, la vera economia del paese. Con la crisi dell’agricoltura e l’ennesima emigrazione, molte terre furono abbandonate, in particolare quelle in mano a proprietari parassiti, che non capirono il mutamento dei tempi e anziché modernizzarsi, preferirono mollare. Ne conseguì una disaffezione verso il territorio, quasi un disprezzo, che presto trasformò l’approccio psicologico con esso, e insieme un diminuito amore e rispetto. Il territorio perse il suo primato di elemento essenziale e da fine diventò un mezzo, venendo meno quell’imperativo categorico propugnato da Kant: "Agisci in modo da trattare l’umanità (leggi, territorio), sempre come fine e mai semplicemente come mezzo.". Da coltivare a calpestare il proprio territorio, il passo fu breve. Di questo mancato amore e rispetto, la società d’oggi é consapevole, perciò in famiglia e nelle scuole si predica e s’insegna l’amore verso il proprio paese. La strada è lunga e le conseguite diffuse lauree non sono servite a nulla. L’amore verso il proprio paese ritornerà quando capiremo che il nostro paese siamo noi, che le strade che percorriamo tutti i giorni non sono altro che la continuazione della nostra dimora.