domenica 25 agosto 2013

Viva il turismo, a patto di crederci

VIVA ILTURISMO, A PATTO DI CREDERCI


Chiude un’azienda, si delocalizza una fabbrica, cessa l’attività commerciale un esercente, non trova commesse un artigiano, manca il lavoro, niente di catastrofico: il turismo ci salverà. Sembra essere la panacea per tutti i mali. Ci riempiamo tanto la bocca di turismo, che a furia di nominarlo non ci crediamo più. Il turismo è “il complesso delle manifestazioni e delle organizzazioni relative a viaggi e soggiorni compiuti a scopo ricreativo o di istruzione”. Se vogliamo semplificare diciamo che il turismo “ è un prodotto” che va preparato, confezionato, reclamizzato e venduto. Siamo sicuri che disponiamo di questo “prodotto” sufficiente a mettere in moto un esercito di vacanzieri disposti a trasferirsi da noi, piccole o grandi realtà cittadine che siano? Ad accezione delle solite sagre estive di paese che impazzano in ogni dove, il turismo nostrano, ad eccezione dei soliti siti noti e arcinoti, si consuma tra maccheronate, salsicciate e peperonate varie. La nostra fantasia riesce a partorire solo prodotti gastronomici di risaputa e nota qualità. Con l’aggravante che le stesse sagre, diffuse e inflazionate, sono preparate pochi giorni prima dell’evento, senza alcuna continuità storica, all’insegna del pressappochismo e senza alcuna base pubblicitaria. Un tempo la sagra paesana era un’occasione unica d’incontro collettivo, all’insegna dell’assaggio di una “rarità”, per uscire, in un’economia povera, dalla monotonia della quotidianità. Oggi che il cibo non rappresenta un problema, la sagra, per rimanere nell’ambito gastronomico, necessita di atre attrazioni: culturali, ricreative che necessitano di ben altre accurate organizzazioni. Ogni località che si voglia fregiare del titolo di città turistica necessita d’un programma, di un‘organizzazione, ma soprattutto di una “specialità propria”: culturale, ricreativa, gastronomica che sia, purché continua e creativa, capace, nel tempo, di rigenerarsi Se un commensale entra in un ristorante e si vede servito unicamente “pasta cca sassa e carni arrustuta”, magari mangia, paga e se ne va. Ma sicuramente non torna. Noi in molte realtà cittadine siamo rimasti alla solita “pasta cca sassa”. Possibile che oltre che pensare “alla panza” non riusciamo a fare un passo avanti? Il turismo, dicevamo, ha scopo “ricreativo e/o di istruzione”. Quante le località in regola con le ferree leggi sul turismo, oggi che la globalizzazione ha reso tutto più difficile e competitivo? Intanto continuiamo a credere nel turismo. Speriamo che qualche Santo “estivo” ci faccia trovare la ricetta miracolosa, per uscire dalla crisi endemica dentro cui siamo precipitati. Viva il turismo! Ci salvi il turismo! A patto di crederci, però. Saro Pafumi

sabato 24 agosto 2013

Scomparso il pulpito nella Chiesa Madre di Linguaglossa

Scomparso il pulpito nella chiesa Madre di Linguaglossa.


Mancava qualcosa in quella chiesa, dove avevo ricevuto il sacramento del battesimo. Anzi era un po’ casa mia, quella chiesa, perché la camera in cui ero nato si affacciava sulla Piazza della chiesa madre, a Linguaglossa, dirimpetto alla porta principale. Ritornarci al suo interno, dopo tanti anni, era come rinascere una seconda volta, La mia mente stentava a penetrare nei ricordi giovanili, come se qualcosa d’essenziale mancasse al suo interno. I quadri erano a lorio posto, come tutti gli arredi che la mia memoria riusciva a collocare nello spazio. Poi d’improvviso un vuoto all’altezza di una delle colonne centrali prese forma: il prezioso pulpito, da cui predicatori eccellenti avevano diffuso la voce di Dio, non c’era. Demolito da chissà quali mani sacrileghe. Affrettai i passi per uscite dal quel tempio profanato, ansioso di conoscere la storia e la causa di quell’evento sacrilego. Menti accorte che avevano vissuto e combattuto quell’evento distruttivo m’informarono, fornendomi preziosi particolari. Lo scempio si era da tempo consumato nell’indifferenza di tutti o forse, nel travaglio di pochi. A misfatto compiuto, c’è da chiedersi come possa concepirsi la demolizione di un manufatto che non è una semplice appendice di una colonna, ma una sicura opera d’arte e rappresenta il palpito vibrante di mille voci, che, nel tempo, hanno inseguito e/o penetrato la coscienza di un’infinta moltitudine di fedeli. Da parte di qualcuno si tenterà di giustificare l’atto nel vano tentativo di mettersi la coscienza a posto, ma ormai il dado è tratto e nessuno potrà restituire quel significativo manufatto da cui si affacciavano predicatori valorosi. La chiesa non è un luogo dove il parroco di turno costruisce o demolisce a suo piacimento. E’ la casa di Dio. A volte certi ecclesiastici, forniti di dignità capitolare, hanno bisogno di un tutor come si fa con gli alberi, per evitare che crescano storti o con gli uomini, per impedire azioni cattive. Quando non è troppo tardi, come nel caso del prezioso pulpito della Chiesa Madre di Linguaglossa divorato dall’insipienza umana e ormai lontano ricordo di pochi. Il prezzo della scelleratezza, purtroppo, non è un peso per chi la commette, ma un insulto per chi la subisce. Saro Pafumi

lunedì 19 agosto 2013

Lettera d'amore a un randagio adottato

Lettera d’amore a un randagio adottato.




Diana, così ti hanno chiamata, quando, confusa e barcollante, ti hanno trovata abbandonata da empie mani nelle campagne che care furono ad Archimede. Poi “la sorte” ti ha consegnata al mio cuore, dopo un mio lungo peregrinare in cerca “d’amore”. Quando ti conobbi, smarrita e tremante, stappandoti alle lacrime sincere e pietose di chi ti ha salvata, un palpito vibrante percorse le mie membra. Ci guardammo, fugacemente, interrogandoci se eri tu ad avere trovato me o la sorte ad avermi arriso. Un affettuoso, titubante, iniziale abbraccio sciolse il dubbio e tra di noi fu subito amore. Ti accolsi a casa, come fosse stata da sempre la tua dimora. Nulla ti chiesi e nulla chiedesti, come si conviene a due amici. Ritrovati. Dissetarti con acqua nella mia mano, che si fece conchiglia, Il mio primo gesto che, grata, ricambiasti con sguardi dolci più del miele. La tenerezza è la tua forza, “il riporto” il tuo gioco, che non finisce di stupire le mie mani in attesa. Di bracco teutonico hai la stirpe, ma della stella d’oriente, Diana, che prima dell’alba appare, il nome. Abbandonata fosti, forse, perché disdegnavi cacciare un tuo simile, insegnando a noi umani che anche nel mondo animale è virtù amar gli altri come se stesso. Mi ridi con la coda e festante mi accogli con i battiti del tuo cuore. Cosa posso darti oltre ad una ciotola di cibo e mille carezze? Ogni mattina, quando col tuo trepidante fiato mi accompagni alla luce del giorno, mi ricordi che una carezza donata a te è una preghiera a Dio, che ti fece, perché compagna fida fosti dell’uomo. Grazie Diana, per avermi insegnato cos’è l’amore. Saro Pafumi

mercoledì 14 agosto 2013

Tonino, un seminatore d'amore per le vie di Linguaglossa.


A vederlo camminare, in tutte le stagioni dell’anno, per le vie del paese col suo incedere cadenzato e sicuro, sembra il superstite di un’armata in rotta, sicuro di volere, da solo, raggiungere l’obiettivo finale: conquistare e controllare il territorio, e, da vincitore, dispensare amore e amicizia. Questo è Tonino, un uomo che ha superato i sessant’anni, ma che da solo, gradino dopo gradino, ha saputo superare non solamente barriere preconcette, ma ostacoli ben più significativi: la propria disabilità natale, raggiungendo traguardi impensabili. Tonino, a Linguaglossa, non è l’amico di tutti. E’ un fratello, vero, verso cui va tributato rispetto, amore e deferenza. La sua è una personalità, modesta ed estroversa, lucida e ironica, sincera e fraterna, un impasto di valori che ognuno di noi desidererebbe di avere nell’anima. Lui possiede questa dote, che dispensa generosamente, senza distinzione alcuna. Vive gioiosamente le sue stagioni e gioiosamente scandisce ogni ora della sua giornata, tra mille carezze ricevute o donate. La disabilità di Tonino è una fonte dal cui, prodigiosamente, zampillano getti sottili e intensi di umanità. Una sua stretta di mano trasmette l’amore di Cristo e quel calvario che la vita gli ha assegnato, grazie alla sua forza, ha il peso di un alito di farfalla. La sua parola barbugliata non richiede comprensione, perché, dalla sua radice, fino ad arrivare al fiore, profuma d’innocenza. Linguaglossa ha generato “figli degni”, per lustro, ingegno o atti d’eroismo, come i caduti nelle guerre di liberazione, ma mai “figli speciali” : Un privilegio che a Tonino è toccato, di cui Linguaglossa è gelosa custode. Osservandolo, gioioso e giocherellone, nel suo quotidiano andirivieni per le vie del paese, nasce spontanea una domanda: quale, la sua collocazione con Dio? Una risposta forse c’è. Dio fa gli uomini uguali, ma togliendo qualcosa a qualcuno, li rende migliori. Questa sorte è toccata a Tonino che nel suo lungo, infaticabile, giornaliero peregrinare per le vie di Linguaglossa è seminatore d’amore. Come Cristo con le sue debolezze e la sua forza. Grazie d’esistere, Tonino.

Saro Pafumi.

domenica 11 agosto 2013

Un pò di riconoscenza per chi ha reso più bella Linguaglossa


Linguaglossa dal dopo guerra a oggi ha modificato sostanzialmente l’aspetto del suo territorio rendendolo più gradevole. Ciò grazie alla lungimiranza di alcuni amministratori locali che hanno saputo cogliere il momento giusto. L’ultima opera pubblica, in ordine di tempo, non la più importante, ma sicuramente la più significativa dal punto di vista dell’arredo urbano: la villa giardino. In un paese che rispetti la memoria e riconosca i meriti, i cittadini si sarebbero aspettati almeno una targa alla memoria del concittadino o se volete dell’amministrazione che ha reso possibile l’opera in menzione. Circostanza peraltro già avvenuta per altri cittadini che hanno contribuito ha rendere più grande il nome di Linguaglossa. Se al cittadino promotore della villa giardino non si voglia intestare una via, lo si ricordi almeno intestandogli un viale di detta villa giardino. La storia di un paese è fatta di memoria. Se manca il racconto di se stessa, una cittadina perde la sua identità e finisce col diventare “un’addizione di eventi” scollegati dalla sua storia e dai suoi stessi personaggi. E’ istruttivo e piacevole apprendere dagli anziani circostanze note o poco note che hanno caratterizzato la vita cittadina, ma oltre alla tradizione orale di tramettere informazioni e dati, sarebbe più logico e più efficace tramandarli con azioni tangibili, anche al fine di evitare imprecisioni e inesattezze. A Linguaglossa ci sono strade intestate “a cose” o a personaggi scollegati dalla realtà locale, ma difettano quelli più significati della storia recente. Un poco di riconoscenza non fa male, anche se la gratitudine è un termine obsoleto e non rintracciabile nel linguaggio umano.Saro Pafumi

lunedì 5 agosto 2013

Quattro passi tra gli amici dell'uomo


Mancano i turisti a Linguaglossa? In compenso abbondano i cani. LI puoi trovare di giorno e di notte, per vie e piazze. Sono diventati talmente assidui da meritarsi ognuno un nome e un indirizzo, come si fa con gli amici più intimi. Erasmo dagli occhi di ghiaccio, lo puoi trovare in Via Esperia; Giulia, una veterana del luogo, in via Oberdan; Marisa, quella col ciuffo bianco è di stanza alla stazione. Poi c’è Mercadante che abbaia di continuo quando vede qualcuno che non è del luogo. Orlando è furioso, ma con un pezzo di pane puoi fartelo amico. Poi ci sono i fidanzatini: Veronica e Costanzo, mai che si lascino per un istante. La gelosia li costringe a stare incollati. Poi ancora c’è Rambo “uno stallone” di quattro anni che gironzola per le vie del paese. Guai a incontrarlo al momento giusto: una nidiata di nove cuccioli è assicurata. Lui non teme la famiglia numerosa. Sa, col suo fiuto, dove trovare gli avanzi più appetitosi. In questa vasta schiera di amici dell’uomo c’è sempre l’attaccabrighe, Iron, il nome, una garanzia, T’insegue in auto, sfidandoti in velocità, come se volesse dirti: “ Stronzo, scendi da quella boiata di macchina e fatti una corsa a piedi, vediamo chi arriva prima”. Il depresso del quartiere si è scelto il nome da solo. Si fa chiamare Amen e staziona, sconsolato e pensieroso, sulla scalinata della Chiesa Madre. Non accetta oboli, come può sembrare, ma in compenso dispensa festosi scodinzolii. E’ un cane mite, l’ambiente ecclesiastico ha forgiato il suo carattere. Il più insopportabile e screanzato è Pissy, i cerchioni delle auto sono i suoi “doppi servizi”. Deve essere un cane extra comunitario, perché spesso preferisce le auto italiane per espletare i suoi bisogni. Attirano una certa curiosità, invece, due meticci in perenne atteggiamento affettato e lezioso. Qualcuno, osservandoli, ci ricama sopra una storia d’amore gay. Il più simpatico di tutti è Certus Primo il cui incedere austero e la sua preferenza per i cibi di qualità tradisce sicure, nobili origini. Lex è il più intelligente. Attraversa sempre sulle strisce pedonali e fa un certo effetto vedere, più avanti, “il suo padrone” che non lo fa. Come sempre in questa variegata società canina siciliana non può mancare lui, Nefandus, il più temibile, l’usurpatore del territorio. Disdegna gli umani che evita volentieri, ma ai suoi simili non fa sconti a nessuno. Segna il territorio in cui regna sovrano, che “marca” col suo inconfondibile olezzo. Le aiuole verdi sono le sue dimore, dove bivacca di continuo, mandando messaggi a destra e a manca. Non cerca il cibo, a lui tutto è dovuto. Tutti fanno a gara per farselo amico. Non si sa mai. Avere come amico Nefandus anche per gli umani è un onore.

A notte inoltrata, quando gli umani hanno finito di litigare o commettere nefandezze, tutti questi cani che qualcuno impropriamente definisce “randagi”, ma che mansueti sono oltre ogni dire, si riuniscono alla periferia del paese, dove l’homo civilis ha liberamente insediato il suo quartiere generale d’avanzi alimentari. Qui, dove la democrazia canina regna sovrana e indisturbata, ciascuno consuma il suo pasto senza spintoni e/o prevaricazioni, secondo l’antico precetto del diritto romano: “unicuique suum”. Ah! Se una volta tanto traessimo insegnamento dall’amico dell’uomo, senza abbaiare, né chiedere o pretendere come fa Amen dall’alto della sua scalinata. Pubblicata su La Sicilia il 10.08.2013.Saro Pafumi

venerdì 2 agosto 2013

Linguaglossa, oggi.

Linguaglossa, oggi


Linguaglossa ha tutte le carte in regola per essere una città turistica. Un territorio gradevole, posti letto a iosa, alberghi da tre a cinque stelle, ottimi bar, interessanti chiese, ben tenute e, cosa insolita fino a poco tempo fa, aperte al pubblico, fino a sera inoltrata. Manca l’essenziale: il turista, ossia la materia prima. Linguaglossa si può paragonare a un’auto, a folle, col motore acceso, in procinto di partire, ma che, per vicissitudine varie, rimane immobile. Fino a qualche tempo fa Linguaglossa era sinonimo di Etna Nord, di stazione sciistica: un volano se non sufficiente a mettere in moto l’intera economia cittadina, appena bastevole, però, ad attirare frotte di turisti nella stagione invernale. Gli eventi calamitosi del 2002 hanno azzerato queste velleità turistiche e Linguaglossa è piombata nel limbo dell’oblio. Altro settore dell’economia, l’agricoltura, non si caratterizza per alcun prodotto specifico, come hanno saputo fare altre realtà vicine, per cui essendo rimasta ancorata alle piantagioni tradizionali (vite e nocciolo), il territorio non si apre a nessuna nuova vocazione. In tali condizioni, quali potrebbero essere le ragioni per cui il turista dovrebbe sentirsi attratto dal frequentare Linguaglossa? Nel periodo estivo l’amministrazione comunale, sia pure tra mille difficoltà di cassa, mette in atto una serie d’iniziative cultuali e ludiche, nel tentativo di attirare l’attenzione del forestiero, ma poiché ogni piccolo centro, anche il più sperduto, ha le sue iniziative estive, le promozioni finiscono con interessare solo gli abitanti del paese, che, guarda caso, quando mettono mano nelle tasche, trovano semmai gli spiccioli per qualche “scialacore”. A questo punto a ciascuno viene in mente d’imprecare contro il destino avverso, che ostacola l’agognato decollo turistico di Linguaglossa, come se fosse colpa di un’ostile entità superiore. E’ su questa benevola diagnosi, ognuno, rassegnato, si affida a un più provvido destino. Linguaglossa sembra essere un paese in perenne attesa di un messia che sappia trarre dal suo interno le forze generatrici per il suo sviluppo turistico, e in tale attesa perde ogni giorno pezzi di se stessa. Purtroppo quel che manca a Linguaglossa è un dibattito cittadino capace d’interrogarsi sul proprio futuro. I dibattiti, in verità non mancano, ma sono relegati nei bar, dove tra un sorso di caffè e una granita di pistacchio si consuma il futuro del paese. Parole al vento in cui ciascuno ha la sua miracolosa ricetta per uscire dal limbo dell’oblio. Il giorno dopo si ricomincia, attorno allo stesso tavolo, con vecchi o nuovi protagonisti, mentre dagli alberi che ombreggiano i tavoli, le foglie cadono una a una come le stagioni, che, inesorabilmente, passano senza che accada nulla. Linguaglossa è come la camelia, bella ma senz’anima. Il suo profumo, come racconta la leggenda, glielo tolse Venere con un incantesimo, per vendicarsi della sua bellezza. Che centri pure Venere con Linguaglossa? Saro Pafumi