lunedì 27 febbraio 2012

Mia madre e i Santi

Sarà perché ho studiato Storia e Diritto romano, sarà perché non sono portato a “santificare” i Santi, ma a rispettarli, conseguenza ne è che mi sento tutt’ora affascinato dalla fede dei Romani verso i defunti. Chi di noi nei momenti di difficoltà non invoca il proprio Santo perché lo protegga. A me non capita. Sono rimasto al tempo dei Romani, se è vero che nei momenti di difficoltà mi rivolgo ai “lares familiares” ossia agli spiriti protettori degli antenati che, secondo la tradizione romana, vegliavano sul buon andamento della famiglia, della salute, della proprietà, delle attività in genere. E chi meglio della propria mamma non cerca di esaudire i desideri del proprio figlio, proteggendolo, aiutandolo, assistendolo nelle difficoltà della vita? La propria mamma, colei che, defunta, siede alla destra di Dio onnipotente è la migliore mediatrice per la consolazione delle nostre ambasce. E in quanto mamma si identifica con la Madonna genitrice di tutti noi. Sento che l’esigenza di invocare la propria mamma è più diretta, va al cuore di chi veramente ci ha amato oltre ogni limite e condizione. Non me ne vogliano i Santi se li pongo un gradino al di sotto di mia madre che è e resta l’autrice e la protettrice della mia vita. Quel cordone ombelicale che ci legava al momento della mia nascita non si è mai interrotto, anzi si è tramutato in un’ancora di salvezza tutte le volte che le onde procellose della vita mi sospingono in alto mare. E prego mia madre con le note poetiche di U. Saba: “Pacificata in me ripeti antichi moniti vani. E il tuo soggiorno un verde giardino io penso, ove con te riprendere può a conversar l’anima fanciulla…….”. Saro Pafumi Pubblicata su La Sicilia il 27.02.2012.

La mendicante di Via Etnea

Ho letto l’accorata descrizione della mendicante “in posa” davanti all’albergo di via Etnea e le amare considerazioni del lettore (Lo dico a La Sicilia, 22.02.2012). A freddo la scena descritta sembra essere l’apoteosi dell’indifferenza umana e certamente quest’aspetto nell’episodio raccontato è rilevante. Del resto non è una novità. Ci si commuove, com’è giusto che sia, difronte a un cane randagio e si volta la faccia dall’altro lato dinanzi a un mendicante. La differenza può sembrare frutto di cinismo, ma una considerazione è d’obbligo. Mendicare in certi casi è una scelta di vita, come quella del clochard che preferisce abitare sotto le arcate dei ponti o necessitata, come quella descritta dal lettore. L’accostamento non è casuale, perché in entrambi i casi c’è alla radice di questa scelta difficile e sofferta l’asocialità, il rifiuto verso il prossimo. Un isolamento indotto dalla sfiducia verso se stessi prima ancora che verso gli altri. Esseri, questi, privi di speranza, raccolti attorno alla loro anima malata, unica corazza che li divide dal mondo esterno. Non è un caso che spesso si rendono “invisibili”, perché solo guardare gli altri, per loro è già sofferenza. Personalmente non farei rientrare il caso descritto come esempio di mendicità. Siamo ben oltre. A questi esseri non manca “qualcosa” per vivere, manca la stessa vita. Esseri che vanno “raccolti”, non semplicemente “soddisfatti”. L’errore è considerare queste persone “semplicemente” mendicanti. Non è la loro pancia che va riempita. Magari fosse solo questo! E’ la loro anima che va recuperata; cinque o cinquanta euro non risolvono il problema. Uno Stato civile deve occuparsi di questi “infermi” emarginati. Ignorali rientra nell’omissione di soccorso, né più, né meno come risponde chi non aiuta un ferito incontrato per strada. Pubblicata su La Sicilia il26.02.2012 Saro Pafumi

venerdì 24 febbraio 2012

Il fascino del giornale locale

I giornali locali sono pieni di notizie: economiche, politiche, sportive, di costume, oltre all’immancabile cronaca locale, la più letta. In una piccola provincia come la nostra dove la notizia di un accadimento, grazie al passa-parola corre più veloce del fulmine, la notizia riportata sul giornale locale è ricercata fin dalle prime ore del mattino, e di solito le copie pervenute nelle edicole si esauriscono in un baleno. Dell’accadimento si sa tutto, anzi ,in qualche caso, l’opinione pubblica è più informata del cronista. Vedere il fatto pubblicato sul quotidiano locale sollecita, stimola eccita, “C’è la foto del tal dei tali?” chiede qualcuno e un altro di rimando: “Non gli somiglia, è più grasso”. “E una vecchia foto” aggiunge il terzo, mentre il capannello dei curiosi si fa più folto. E dire che il personaggio richiamato abita sotto casa nostra o due passi più avanti. Il giornale è il palcoscenico della vita, ognuno vorrebbe essere alla ribalta, come protagonista positivo, ma se a qualcuno la malasorte gli riserva una diversa collocazione, poco importa al lettore: fa notizia. Come i lupi lo sono con le loro prede, l’uomo è predatore di notizie, quelle che riguardano la sua territorialità: il mezzo con cui l’uomo si relaziona con l’ambiente in cui vive, ne esercita il controllo e la difesa. Di una notizia locale percepisce l’odorato, la viviseziona nei particolari, fa l’analisi del come e del perché e la ridistribuisce rivisitata, colorita, perché gli altri l’abbiano in pasto. Non c’è in questo fenomeno divulgativo l’egoismo che in altre occasioni caratterizza l’uomo. Ciò che si trasmette agli atri è sempre di più di quello che si è appreso, perché piace riscrivere la notizia, “incartarla”. L’involucro è il diritto d’autore, la firma del cronista ambulante, un mestiere che amiamo tutti, perché diffondere una notizia è conoscenza, è cultura, è sapere, poco importa se si è capita o la verità è diversa. Pubblicata su La Sicilia il 25.02.2012 Saro Pafumi

Il voto non si regala, si baratta

IL VOTO NON SI REGALA, SI BARATTA
Il mio voto è a disposizione di chi risponde alle seguente domande:
a) Perché vuoi fare il Sindaco
b) Cosa intendi fare per il paese
c) Con quali mezzi pensi di farlo
d) Cosa mi dai in cambio

mercoledì 22 febbraio 2012

Anacronisno di certi riti religiosi

La nomina dei nuovi ventidue cardinali fatta dal Papa, un rituale vecchio di secoli, si conclude, appoggiando il galero rubrum sul capo del nuovo cardinale con una frase latina che contiene il seguente inciso: ” Usque ad mortem et sanguinis effusionem”. Poi qualcuno pensò bene di omettere dalla formula “ ad mortem”, rimanendo il vincolo del sangue. Un giuramento che fa venire i brividi, giustificabile in epoche remote, ma del tutto fuori luogo nel contesto della moderna civiltà. Un giuramento di fede è sempre una promessa, in cui di sacro c’è o dovrebbe esserci l’osservanza dei Dieci comandamenti e delle rigorose leggi della Chiesa, per chi ne fa parte come componente autoritaria. Il ricorso alla morte lasciamolo alla volontà di Dio e l’effusione del sangue agli eventi imponderabili della vita umana, altrimenti la storia fa un passo indietro di qualche millennio. Quel che risalta a prima vista è la stupefacente analogia col rito mafioso, in cui il nuovo affiliato è sottoposto al rituale delle parole e dei gesti, con il ricorso al solito giuramento che chiama in causa, anche qui, la morte e il sangue. In un’affiliazione malavitosa in cui “la morte” e “il sangue” sono pane quotidiano, né potrebbe essere diversamente, il ricorso a tali termini è fin troppo ovvio, Ma nella Santa Romana Chiesa il giuramento di fedeltà da pagarsi con la morte e col sangue dovrebbe essere lasciato almeno alla libera volontà del nuovo eletto. La civiltà si misura con opere e azioni, ma anche le parole e i riti hanno la loro importanza e talvolta, purtroppo, si sconfina nel paradosso, ossia nell’incapacità di discernimento dei nostri limiti, religione compresa. Saro Pafumu

mercoledì 15 febbraio 2012

I difetti di noi siciliani

Il peggiore difetto di noi siciliani? Non riconoscerli.
Affermiamo di essere contro la mafia, ma non evitiamo di frequentare i locali pubblici in odore di mafia.
Siamo contro l’evasione fiscale, ma non pretendiamo lo scontrino fiscale.
Protestiamo contro il caos automobilistico nelle città e parcheggiamo in seconda fila.
Lamentiamo che le strade sono sporche e buttiamo il pacchetto di sigarette dal finestrino dell’auto.
Pretendiamo la pulizia nei servizi igienici dei locali pubblici, ma siano i primi a sporcarli.
Parliamo a voce alta nei locali pubblici e per farci ascoltare strilliamo più degli altri.
Pretendiamo la cortesia dagli altri, ma raramente l’abbiamo in dote.
Teniamo alla puntualità, ma siamo i primi a non rispettarla.
Eleviamo troppo spesso la furbizia a sistema.
Amiamo parlare dei nostri pregi, poco dei difetti.
Sono sempre gli altri a essere peggiori di noi.
Il siciliano ha due teste: usa quella che gli conviene.
Immagino la risposta all’elenco dei difetti: “Non bisogna fare di tutta l’erba, un fascio”. Come dire: “Ego me absolvo a peccatis meis, in nomine Patri et Filii et Spiritus Sancti”. E si ritorna al punto di partenza. Pubblicata su La Sicilia 16.02.2012. Saro Pafumi

La tangente istituzionalizzata

Le liberalizzazioni, sulle quali il governo ha tentato d’intervenire o sono inadeguate o rimaste pii desideri. Una categoria paradossalmente ha trovato un’inspiegabile, sconcertante liberalizzazione: la tangente. L’esame al quale sono sottoposte le pratiche amministrative è sottoposto alla valutazione del funzionario di turno che, a torto o a ragione, chiede una montagna di documenti: allegati, estratti, certificazioni, elaborati, marche e così via Ma se tra i documenti richiesti manca “l’omaggio”, la pratica s’inceppa. Apparentemente il diniego ha tutti i crismi della legalità, perché la “burocrazia” gioca sempre a favore del funzionario “solerte”, ma se è presente “l’omaggio” la pratica da slalom, si tramuta in discesa libera. L’amara prassi della “tangente”, eufemisticamente definita “omaggio”, è talmente radicata nell’amministrazione pubblica da indurre il governo a certificarne l’esistenza in vita, a “liberalizzarla” per usare un termine caro al Prof. Monti. La Circolare ministeriale 08/02/2012 ha statuito: “ Divieto di accettare regali omaggi di qualsiasi natura di valore superiore a 150 euro, tali da potere essere interpretati da un osservatore imparziale, come finalizzati a eseguire vantaggi, in modo improprio. In ogni caso i regali di valore superiore devono essere restituiti ovvero ceduti all’Amministrazione di pertinenza”. Ciò significa che oltre alle marche da bollo, occorre allegare, per la definizione di una pratica, una banconota da cento e una da cinquanta euro che secondo la circolare citata “non sono interpretate come finalizzate a eseguire vantaggi impropri”. Mi sembra di essere tornati ai tempi di Renzo Tramaglino che, avviandosi nello studio del suo avvocato, teneva stretti in mano, ben legati e penzolanti due bei capponi. E’ l’apoteosi della tangente istituzionalizzata. Personalmente non trovo parole per commentare siffatta circolare, perché il disgusto me l’impedisce. Lascio questo compito al lettore, se forte di stomaco.Pubblicata su La Sicilia 17.02.2012 Saro Pafumi

domenica 12 febbraio 2012

Linguaglossa, un paese civile.

Linguaglossa, un paese civile. Non è contagiato dalla malavita, l’economia, sia pure tra mille difficoltà, si arrabatta, la gente è mite, il paesaggio è gradevole, come il clima che si respira. E poi c’è il nostro Etna che nel bene o nel male ha caratterizzato la vita dei valligiani. Quando si parla di Linguaglossa, è “la montagna” a ricordarla, per i suoi campi di sci e la sua pineta. Non altro la sfiora o quasi. Il resto dell’anno cade in letargo, un letargo benefico, interrotto di tanto in tanto da qualche sprazzo di luci o di ombre, come l’amaro avvenimento di questi giorni che l’ha fatto assurgere agli onori della cronaca, quella nera per intenderci ( Zio uccide nipote. La Sicilia 09.02). Anche sotto quest’aspetto. Linguaglossa non tradisce la sua tradizione di paese civile, perché quel che accade di brutto non ha i retroscena reconditi del mistero, l’intreccio arcano dell’incomprensibile, ma tutto è luce, sia pure nella penombra del dolore che da singolo diventa collettivo. Un omicidio è sempre un fatto doloroso per chi ne è vittima o carnefice, ma quando il movente è chiaro, i personaggi sono noti, lo stupore diventa comprensione; si metabolizza facilmente. Ciò è possibile se il tessuto sociale non è corroso da fremiti di violenza ripetuta e radicata, nel qual caso lo stupore diventa abitudine o peggio ancora rassegnazione. Linguaglossa sa reagire a fatti criminosi come quello testé accaduto, perché estranea alla cultura della violenza. Una “scivolata” del singolo, a Linguaglossa non si tramuta mai in una valanga collettiva, perché chi abita questa valle prima di essere cittadino è montanaro. Sa arrampicarsi sulle sventure o uscire indenne da certe slavine. Essere fieri del nostro modo d’essere ci consola. Saro Pafumi

venerdì 10 febbraio 2012

Sant'Agata e......altro

In Sicilia abbiamo il privilegio di fare entrare la mafia in ogni manifestazione pubblica, dai concorsi, agli appalti, persino come si legge su La Sicilia (0/702) alle festività religiose. Una contaminazione che inquina e travolge, persino la fede, quand’essa non è quella che scaturisce dall’anima, ma dalla pancia. Si può evitare tutto questo? Un appalto si può annullare, un concorso si può rifare, la festa di Sant’.Agata non ammette compromessi. Va fatta così com’è, infiltrazioni mafiose comprese (se ci sono) perché Sant’Agata è la patrona di Catania, quindi di tutti i catanesi, delinquenti compresi. Anzi per certi versi la festa è o dovrebbe essere ispirata a recuperare “l’errante”, non chi nella fede o per la fede vive. Se poi “l’errante” non si redime, nonostante la (sua) Sant’Agata” è un problema d’individualità, non certamente di generalità dei fedeli. Ammesso per assurdo di potere eliminate la mafia durante le festività agatine, cosa cambia nel tessuto sociale di una città se la presenza della mafia è viva e vegeta nel resto dell’anno? Si deve chiedere il certificato antimafia anche a chi entra in Chiesa? Se, poi, come si legge, le accuse rivolte ai mafiosi sono legate alle scommesse sull’orario di rientro del fercolo e facezie del genere non c'è nulla di scandaloso. In Inghilterra si scommette se la Regina Elisabetta lunedì indosserà il cappellino color fuxia. Se le infiltrazioni riguardano invece l’organizzazione della festa, mi si perdoni l’ironia: chi organizza non può distogliere un momento la sua attenzione dalla Santa e concentrarsi sui componenti o sui modi di svolgimento del rito? Magari la mafia si limitasse alle festività agatine! Sarebbe questo il vero miracolo di Sant’Agata.
Pubblicata su La Sicilia 09.02.2012. Saro Pafumi

Giustizia, giudici e responsabilità civile

Quesito: Se si perde una causa, perché il giudice afferma che non è stato prodotto un documento, che invece si trova nel fascicolo, a chi si devono chiedere i danni? . Al giudice, al cancelliere o all’avvocato?” Nell’attuale situazione giuridica verrebbe da dire: “Al “destino “ Allora, introduciamo la responsabilità civile contro “il destino”. Qualcuno in questo paese deve pur rispondere delle colpe commesse, si chiami giudice, avvocato, cancelliere o “destino” La protesta della magistratura contro l’introduzione della responsabilità personale dei giudici, mi pare di aver capito rientri tra le questioni di principio, perché la responsabilità già esiste, si obietta, ma è a carico dello Stato che in determinati casi si può rivalere sul giudice. Stando alle statistiche pare che ciò sia avvenuto in quattro casi su quattrocento. Mi verrebbe da dire: “ Campa cavallo che l’erba cresce”. Mi chiedo: “Che male ci sarebbe se i giudici stipulassero una polizza personale, sollevando lo Stato dal rispondere di danni per colpe da loro commesse?” Ogni comune mortale si avvale di polizze assicurative, salvo s’intende chi non si ritiene farne parte. Le ragioni di principio lasciamole alla dottrina, alla scienza, alla religione, oppure estendiamole a tutte le categorie. A suo tempo, mi pare, un referendum introdusse qualcosa del genere, ma poi non se ne fece nulla. E poi chi giudica i casi di responsabilità dei giudici? Altri giudici. Suvvia! un po’ di ottimismo non guasta .
Pubblicata su La Sicilia 09.02.2012.Saro Pafumi

martedì 7 febbraio 2012

Il Santo confuso tra la folla

Le festività religiose (S. Agata, San. Gennaro, Santa Rosalia, San Nicola, per restare tra quelle più popolari) hanno un doppio significato. Da un punto di vista laico tramandano usi e tradizioni dei nostri padri, espressioni di vita essenzialmente “materiale”. Interessano in buona sostanza pancia e portafoglio. Dal punto di vista rigorosamente religioso, con le liturgie, le processioni e i riti suggestivi che le accompagnano, dovrebbero alimentare la fede. Proseguendo sull’analisi comportamentale dei fedeli e usando una metafora le feste servono per aggiungere olio alla lampada della fede, fungono da “carica batteria”. Il problema è la durata della “carica”. Essa, purtroppo, nella generalità dei casi, si consuma con la stessa velocità di quella propulsiva, perché sottraendo il periodo dell’euforia festosa, talvolta persino delirante, quasi sempre si ripiomba nelle abitudini e nei difetti di sempre. La fede, purtroppo, così intesa, diventa un bene di consumo “usa e getta” con l’esteriorizzare, anziché interiorizzare l’energia che dovrebbe sprigionare. Si dice: “ Passata la festa, gabbato è lo Santo”. Uno stato d’animo di grazia che dura quanto il fuoco di un fiammifero, perché la volubilità dell’animo umano ha per emblema la banderuola che si trova sull’apice dei campanili che non indica la direzione del vento, come si crede, ma la fede dei fedeli. La Chiesa, da parte sua, non attenuta l’esteriorizzazione della festa, anzi per certi versi la esalta, ammantando di diademi e pietre preziose il corpo del Santo, né più, né meno come i Re e gli Imperatori, pura espressione di delirio terreno paganeggiante. Quello che, paradossalmente, manca in queste feste religiose è la presenza del Santo che confuso tra la folla segue se stesso. Forse non si riconosce nell’immagine che di sé hanno fatto gli uomini che dal suo Alto Scanno li vede piccoli, piccoli. Pubblicata su La Sicilia 08.02.2012. Saro Pafumi

lunedì 6 febbraio 2012

Alzarsi la mattina con l'uovo storto.

Vedersi buttare in faccia dall’impiegata dello sportello il modulo di versamento, aggiungendo: “ Vada a fare il versamento al suo paese” non è cosa che capita tutti i giorni. All’Ufficio postale di Piedimonte Etneo è accaduto. A parte “l’eleganza del gesto” giova mettere in risalto l’incompetenza dell’impiegata che dava per “ scaduta” una carta Postmat regolarissima, senza la quale, si badi, l’operazione di versamento sarebbe potuto essere eseguita. Del resto simile operazione altre volte era stata eseguita nello stesso ufficio o in quello di Linguaglossa. Versamento che nell’occasione era stato dirottato nell'Ufficio di Piedimonte Etneo, poiché quello di Linguaglossa era stato reso inagibile per avvenuta rapina, non certo con l’intenzione di affaticare l’addetta di quello sportello. Ma tant’è! A volte capita di alzarsi “ con l’uovo storto”, ma pensavo che il detto fosse riferito alle galline. Nella circostanza ho imparato che riguarda anche le persone. Saro Pafumi.
Pubblicata su La Sicilia il 05.02.2012 (omettendo la parte relativa alla metafora sull'uovo).

venerdì 3 febbraio 2012

No al posto"fisso"neanche a quello "fesso"

Monti. “ Il posto fisso è monotonia!” Una frase che ha scatenato la reazione dei c.d benpensanti. Eppure, non c’è nulla di sconvolgente in quest’affermazione, perché, di fatto, la realtà è questa. Per accettare una simile affermazione, l’individuo deve essere “ poliedrico” che in parole povere significa avere più interessi o sapere svolgere più funzioni. In pratica si chiede di scommettere sulla propria intelligenza. La vera sfida per i giovani è sapersi adattare alle continue mutate condizioni di vita e sociali, perché il mondo è cambiato. Se non si comprende questa realtà, non si va da nessuna parte. Se abbandonare la cultura del posto “fisso” è un’esigenza, uguale esigenza, però, è evitare la pratica del posto “fesso”, ossia il precariato e l’assenza di garanzie, quando il posto si perde o si deve cambiare. Non c’è nulla di sconvolgente nel cambiare lavoro, anzi per certi versi favorisce l’immaginazione e aggiunge vitalità. Il problema è trovarlo e la scommessa di Monti e della società si gioca tutta qua.Pubblicata su La Sicilia 09.02.2012 Saro Pafumi

giovedì 2 febbraio 2012

Le lauree non sono tutte uguali

Se prima c’erano mille ragioni per andarsene dalla Sicilia, adesso le ragioni si moltiplicano. “ Le lauree non sono tutte uguali” si legge su La Sicilia 31.01. Che significa? Che le università non sono tutte uguali. Figuratevi quelle meridionali. Non resta che la Bocconi, dalla quale se ne esci con 110 e lode puoi diventare Presidente di Confindustria, Presidente della Banca Europea o Presidente del Consiglio. Non tutti i giovani aspirano a diventare tali. Alcuni si accontenterebbero di un posto più modesto. Poiché per agognare un posto, ci vuole pur sempre una laurea, per sfoltire la marea di aspiranti, ecco spuntare “la diversità” del laureato che altro non è che razzismo culturale. Il paradosso è che all’estero la laurea italiana è valida senza distinzioni territoriali, mentre in Italia s’introduce quest’originale, stravagante concetto. Non era riuscito Bossi a dividere l’Italia, c’è riuscito il Prof. Monti. Bossi, bontà sua, nulla voleva concedere alla Sicilia e niente pretendeva. Il Prof. Monti dalla Sicilia si prende quel che gli aggrada, compresi i fondi europei. Personalmente non sono mai stato di fede separatista, ma con il vento rinnovatore che soffia il pensiero mi affascina. Il problema è che nemmeno la sicilianità regionale o provinciale mi attrae, che sento lontane anni luce, non mi resta che chiudermi a riccio e difendere la mia ristretta territorialità, né più né meno come fanno gli animali. Si può regredire in mille modi, ma esserlo nell’anima non lascia via di scampo.
Pubblicato su La Sicilia il 02.02.2012 Saro Pafumi.