lunedì 27 febbraio 2012
La mendicante di Via Etnea
Ho letto l’accorata descrizione della mendicante “in posa” davanti all’albergo di via Etnea e le amare considerazioni del lettore (Lo dico a La Sicilia, 22.02.2012). A freddo la scena descritta sembra essere l’apoteosi dell’indifferenza umana e certamente quest’aspetto nell’episodio raccontato è rilevante. Del resto non è una novità. Ci si commuove, com’è giusto che sia, difronte a un cane randagio e si volta la faccia dall’altro lato dinanzi a un mendicante. La differenza può sembrare frutto di cinismo, ma una considerazione è d’obbligo. Mendicare in certi casi è una scelta di vita, come quella del clochard che preferisce abitare sotto le arcate dei ponti o necessitata, come quella descritta dal lettore. L’accostamento non è casuale, perché in entrambi i casi c’è alla radice di questa scelta difficile e sofferta l’asocialità, il rifiuto verso il prossimo. Un isolamento indotto dalla sfiducia verso se stessi prima ancora che verso gli altri. Esseri, questi, privi di speranza, raccolti attorno alla loro anima malata, unica corazza che li divide dal mondo esterno. Non è un caso che spesso si rendono “invisibili”, perché solo guardare gli altri, per loro è già sofferenza. Personalmente non farei rientrare il caso descritto come esempio di mendicità. Siamo ben oltre. A questi esseri non manca “qualcosa” per vivere, manca la stessa vita. Esseri che vanno “raccolti”, non semplicemente “soddisfatti”. L’errore è considerare queste persone “semplicemente” mendicanti. Non è la loro pancia che va riempita. Magari fosse solo questo! E’ la loro anima che va recuperata; cinque o cinquanta euro non risolvono il problema. Uno Stato civile deve occuparsi di questi “infermi” emarginati. Ignorali rientra nell’omissione di soccorso, né più, né meno come risponde chi non aiuta un ferito incontrato per strada. Pubblicata su La Sicilia il26.02.2012 Saro Pafumi
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