martedì 7 febbraio 2012
Il Santo confuso tra la folla
Le festività religiose (S. Agata, San. Gennaro, Santa Rosalia, San Nicola, per restare tra quelle più popolari) hanno un doppio significato. Da un punto di vista laico tramandano usi e tradizioni dei nostri padri, espressioni di vita essenzialmente “materiale”. Interessano in buona sostanza pancia e portafoglio. Dal punto di vista rigorosamente religioso, con le liturgie, le processioni e i riti suggestivi che le accompagnano, dovrebbero alimentare la fede. Proseguendo sull’analisi comportamentale dei fedeli e usando una metafora le feste servono per aggiungere olio alla lampada della fede, fungono da “carica batteria”. Il problema è la durata della “carica”. Essa, purtroppo, nella generalità dei casi, si consuma con la stessa velocità di quella propulsiva, perché sottraendo il periodo dell’euforia festosa, talvolta persino delirante, quasi sempre si ripiomba nelle abitudini e nei difetti di sempre. La fede, purtroppo, così intesa, diventa un bene di consumo “usa e getta” con l’esteriorizzare, anziché interiorizzare l’energia che dovrebbe sprigionare. Si dice: “ Passata la festa, gabbato è lo Santo”. Uno stato d’animo di grazia che dura quanto il fuoco di un fiammifero, perché la volubilità dell’animo umano ha per emblema la banderuola che si trova sull’apice dei campanili che non indica la direzione del vento, come si crede, ma la fede dei fedeli. La Chiesa, da parte sua, non attenuta l’esteriorizzazione della festa, anzi per certi versi la esalta, ammantando di diademi e pietre preziose il corpo del Santo, né più, né meno come i Re e gli Imperatori, pura espressione di delirio terreno paganeggiante. Quello che, paradossalmente, manca in queste feste religiose è la presenza del Santo che confuso tra la folla segue se stesso. Forse non si riconosce nell’immagine che di sé hanno fatto gli uomini che dal suo Alto Scanno li vede piccoli, piccoli. Pubblicata su La Sicilia 08.02.2012. Saro Pafumi
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