mercoledì 1 maggio 2024

Non tutti sanno che........

 

Non tutti sanno che………

Non tutti sanno che al nostro esimio concittadino Prof. Salvatore Castorina è stato conferito, di recente, un importante riconoscimento: la targa della tessera e del distintivo a vita dalla sede centrale del Lions Club International Stati Uniti, su proposta del Lions Club di Taormina. Ho avuto modo di visionare l’originale del riconoscimento, riportato in forma sintetica dal quotidiano La Sicilia del 30 u.s. dove si legge la motivazione: “Uomo di grande umanità e cultura che ha dedicato parte della sua vita ad azioni filantropiche e umanitarie, che sono oggi un vero orgoglio per il lionismo internazionale” Nell’articolo si fa cenno anche al Campus della Comunità di Capodarco, con sede in Linguaglossa, costruito con finanziamento lions, che nel periodo estivo ospita numeroso giovani disabili, provenienti da tutto il mondo. La vita e l’azione del nostro concittadino Prof. Castorina, mi richiama alla mente un altro grande personaggio della medicina, Giuseppe Moscati, detto “il medico dei poveri”, il cui corpo riposa nella Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli. Chissà se un giorno anche per lui, si compirà il percorso evangelico del Moscati. L’accostamento non è casuale, ove al termine povertà non si attribuisca il significato letterale del tempo in cui visse il Moscati, ma la condizione di chi oggi soffre e non ha una risposta dallo Stato, spesso soddisfatta da Cliniche private, la Morgagni, in primo luogo, fondata dal nostro concittadino, che si aggiunge, come fiore all’occhiello, alle tante, altre sue iniziative nel campo medico e umanitario.

 

Non tutti gli amori fioriscono in primavera

 

Non tutti gli amori fioriscono in primavera.

“ Tho! Guarda chi ci viene incontro, lei: una bella donna, impegnata nel sociale. Se vuoi, te le presento” disse Mario

 “Non è il caso, in mezzo a tanta folla” rispose Dario, che, scostandosi da Mario, fece finta di guardare dentro una vetrina, per evitare l’imbarazzo di quell’incontro inaspettato.

Non ebbe il tempo di formulare la risposta, quand’ecco che lei lo urtò con la spalla, per evitare d’inciampare con chi le stava davanti, in quella mattina di tarda primavera, in cui molta gente affollava la città.

Nessuno chiese scusa per quell’atto involontario, come se entrambi non avessero colpa di quello scontro. Uno scontro assai fugace, che nella mente di Dario lasciò qualcosa d’incompiuto, quasi un presagio di ciò che sarebbe accaduto.

Lei, Rita, così si chiamava, era impegnata nel sociale e Dario frequentava spesso quell’ambiente, dove praticava il volontariato. Prima  o poi doveva accadere che s’incontrassero e quando avvenne, Dario si ricordò subito di quello ‘scontro’avvenuto in quella lontana mattina di primavera.

Ora lei gli stava davanti, in tutta la sua avvenenza, rimanendone folgorato. Il suo aspetto fisico possedeva un non so che di mistico, che esaltava la sua bellezza, soave e leggera, quasi evanescente, come un giorno di primavera, che per la sua natura poetica, aiuta a formulare emozioni e sensazioni profonde. La stessa sensazione che si attiva, quando si ammira un campo di ciliegi in fiore, che odorano di primavera. Le sue mani bianche, come il latte, quando si muovevano par accarezzassero l’aria. La sua voce calma, suadente, ma incerta,  accompagnava il suo sguardo, che si perdeva nel vuoto.

Gli incontri col tempo diventarono numerosi, sempre più forieri di sensazioni forti per entrambi, trattenute dalle condizioni personali: lui coniugato con prole, lei casta, per virtù. Una scelta forte, che presuppone la convinta rinuncia a donarsi, in vista di beni ritenuti superiori: etici, religiosi o per accadimenti naturali o esperienze di vita Con la crescente intimità, lei fini di ammettere che quella scelta era nata da una cocente delusione d’amore e con quella scelta libera aveva trovato rifugio, per fuggire alle umane passioni. Una scelta che Dario considerava stantia, banale, sprecata, dato il suo irresistibile fascino, ripiegato tra le piaghe del destino.

Tra un incontro e l’altro, era inevitabile che quelle due vite, racchiuse in gabbie separate, fossero destinate a intrecciarsi, senza un perché, finché un giorno le vincenti forze della natura sbocciarono in un bacio. Lei non si ritrasse, ma non assecondò l’amoroso gesto. Lasciò che le sue labbra rimanessero serrate e il suo viso si girasse dall’altra parte, sospinto da quello sfuggente bacio. Solo i loro occhi parlavano, lanciando vicendevoli sguardi, pungenti come aghi di pino, da cui par trasudassero repressi desideri di due martoriate anime. Per Dario il bacio su quelle labbra inafferrabili, non accettato, ma nemmeno respinto aveva il sapore del miele. Gli occhi di quella donna che gli stava davanti, sembravano a Dario fiocchi di gioia che si adagiavano dolcemente sulla sua anima, mentre a lei quel bacio inaspettato parve una carezza di Dio. Nessun dei due osava aprirsi, imprigionati, com’erano, in storie diverse. Quell’amore, non cercato, era solo un seme sepolto nel mondo oscuro delle intenzioni, che mai si sarebbe tramutato in fiore, simbolo di una primavera amorosa. La prole e la castità, che contrassegnavano le loro vite, erano valori irrinunciabili. Rimaneva solo quel bacio, una bianca rosa, in un giardino di spine, un suggello d’amore impossibile. Nato per caso, perché poteva accadere, perché doveva accadere, perché è accaduto. Come le tante cose che accadono senza un perché.

 

 

 

 

Noi e l'alheimer

 

Noi e l’alzheimer.

L’alzheimer, una patologia che blocca la mente e rende irriconoscibile tutto ciò che la circonda, non è una malattia alla quale è facile assuefarsi. Quando una persona cara muore, col tempo subentra la rassegnazione, ma se la stessa è affetta dall’’alzheimer la reazione è diversa, si direbbe più triste e dolorosa. E’ difficile accettare la barriera che ci divide dalla persona amata, muta nella mente, che sta a guardarci, come se una vita trascorsa insieme fosse un sorso d’aria svanito nel petto. Tra noi e la persona cara, la vita ha posto una siepe di filo spinato, contro cui la nostra anima, nel vano tentativo di riportare alla luce quel grumo di ricordi succhiati dal buco nero del nulla, s’imbriglia, sanguinando gocce di dolore. L’alzheimer, anticamera della morte, rinchiude la persona affetta in un virtuale campo di concentramento, dove a germogliare, non è più un’anima, ma il fiore del dolore. Una visione immaginaria, magistralmente descritta nell’’opera pittorica di E Munch, dove si vede una donna in uno stato di profonda tristezza, con attorno tanti fiori appassiti, simbolo delle persone care che le stanno a fianco e vivono la sua stessa sofferenza. Un dolore che non ha mai fine e veste forme diverse. Tra tanto soffrire ci piace immaginare chi è affetto da alzheimer come un fiore col capo chino, che al tramonto della vita si appresta a volare tra le fuggenti nuvole, alla ricerca di un luogo dove attecchire e rifiorire, se ciò può servire a lenire anche le pene di chi resta. Pubblicata oggi 01.05.2024 su La Sicilia

venerdì 26 aprile 2024

Al di là di noi

 

Al di là di noi

 

Rivivo tra le pieghe dell’anima

i giovani sussulti del tuo corpo

e la tua voce che, sottile,

si spinge dentro di me incitandomi.

 

Nel dolce silenzio che ci avvolge

annegano finalmente i nostri pensieri

e le sensazioni diventano giganti senza tempo

che proiettano le loro ombre al di là di noi

per divenire esse stesse tempo.

 

Poi la carezza del tuo fiato

o il bacio di una mia carezza,

infrangendo d’improvviso attimi di assenza,

che colorano di eterno,

trascina le nostre anime abbracciate

attraverso il mare della clessidra,

dove tra minuti granelli di tempo

si mescolano le nostre vite di sempre.

 

Tratta da Fiori di datura. di saro pafumi

mercoledì 24 aprile 2024

Quando a Linguaglossa le colline erano in fiore

 Quando a Linguaglossa le  colline erano in  fiore.

Il titolo di un a vecchia canzone recitava “Le colline sono in fiore”.Oggi se osserviamo le colline, un tempo verdeggianti, che incorniciano Linguaglossa come perla incastonata in una conchiglia, di esse resta solo l’ amaro, secco stupore . Una stretta al cuore quelle diffuse chiazze brulle, che dell’alopecia han le forme. Ampie zone incolte, senza colori, qualità e forme, che il seccume ha reso sterili, senza compassione e pietà alcune. Il contadino, stanco di lavorare, ha preferito cercare altrove la sua ragione, lasciando ivi sepolta la sua anima, sotto una coltre di dolore. Un tempo quelle che sono oggi macchie brulle erano verdeggianti viti o  dorati ricami di ondeggianti spighe: vino e pane, che il lavoro rendeva dolci come il miele. Era allora il tempo in cui si lavorava per la felicità di vivere e non, come oggi,  per l’infelicità d’avere. Oggi a posto dell’ultimo vitigno o spiga  “ la mugghiante greggia e la belante c’è lassù su quelle cime”’dove la vite e il grano hanno lasciato il posto allo sterco, che si mescola all’acre, pungente odore del selvatico finocchio o del bianco-rosato aspro, pungente origano, vero “splendore di montagna” (oros  ganos) qual è chiamato dai nostri greci padri. Eppure, lassù, un giorno il contadino dovrà tornare, per disseppellire la sua anima, se vorrà campare. Possano quelle secche colline ritornare  in fiore perché noi che qui abitiam,come recita la vecchia canzone, “ stiam morendo di dolore”. 

martedì 23 aprile 2024

L'amara solitudine del'uomo di oggi

 

L’amara solitudine dell’uomo di oggi.

In quest’epoca di valori sovvertiti, anche i rapporti sociali hanno mutato pelle. Non c’è l’antica spensieratezza d’un tempo, oberati come siamo da tanti problemi quotidiani. Da qui un diverso approccio col nostro prossimo, con cui c’imbattiamo tutti giorni. Guai a rispolverare l’abusata domanda di rito: “Come stai?”. Si sente snocciolare una serie di sciagure, malattie, disgrazie, disinganni che se non sono un’istigazione al suicidio poco ci manca. Guai a tentare di parlare di economia o politica. Ognuno sa come redigere il bilancio dello Stato, come formulare una legge, come risolvere il problema della sicurezza sul lavoro o quello della disoccupazione, magari proprio di chi lascia l’auto in seconda fila o sulle strisce pedonali o non ha la macchina assicurata. Alla domande sulla salute, meglio rispondere che è tutto a posto, che in famiglia i rapporti sono eccellenti, che nostro/a figlio/a si è laureto/a con 110 e lode, anche se da dieci anni è alla ricerca d’un lavoro. Ostentare salute, fiducia e sicurezza è il modo migliore di finire un incontro, perché alla fine al prossimo non importa un fico secco di quanto ci può capitare. Una ricetta culinaria siciliana mi suggerisce una metafora da riferire all’uomo di oggi. In quest’epoca in cui imperversa un esagerato individualismo, l’uomo assomiglia al falsomagro: arrotolato su stesso e imbottito di poche, confuse idee, critica quotidianamente il Potere in ogni sua espressione: il sindaco che ha votato, la maestra che non dà un alto voto al figlio, il vicino di casa rumoroso, il salumiere che imbroglia sul prezzo o sul peso, e persino l’amico logorroico. L’uomo odierno non salva nessuno, nemmeno Cristo in croce, che si è immolato per i nostri peccati. Un’insofferenza generalizzata, alimentata dalla mancanza di valori, cui credere (famiglia, religione, politica, fede), che, quando difettano o sono mancanti, generano il disinganno del proprio credo, ossia la perdita di contatto con una realtà diversa da quella immaginata o sperata. Un vuoto che colmiamo con tendenze effimere o con la corsa al denaro, che non colmano alcun vuoto interiore. E’ desolante apprendere che le nuove generazioni crescano con l’idea che l’unico valore sia il denaro. Un vuoto interiore che genera insicurezza e insoddisfazione, che sprofonda l’uomo in un’amara solitudine. Da qui l’esigenza di colmare questo vuoto con falsi miti:il denaro,il successo a tutti i costi, la droga, la moda e le tendenze effimere, i finti divertimenti e le riunioni da sballo: ingredienti, che come nel senso traslato dell’espressione “falsomagro” e in senso ironico si può applicare all’uomo di oggi, per significare la sua natura ambigua tra consistenza esterna e sostanza, che rende la vita dell’uomo moderno sempre più opaca e contraddittoria tra ciò che si vuole essere e ciò che si è. Pubblicata oggi 23.04.23024 su La Sicilia..

 

 

sabato 20 aprile 2024

L'avviso di garanzia. Da gogna a sfida.

 

L’avviso di garanzia. Da gogna, a sfida.

Lavviso di garanzia” è l'atto con il quale il Pubblico Ministero informa l'indagato e la persona offesa, del compimento di un atto d’indagine…..”(art.369 C.P.P.).Un principio che va a braccetto con lpresunzione d'innocenza, secondo la quale un imputato non è considerato colpevole, sino a che non sia provato il contrario, nei suoi tre gradi di giudizio. I principi testé esposti sono chiari, eppure nella realtà avviene che un avviso di garanzia sia considerato, ipso facto, indizio di colpevolezza, con la gogna mediatica che ne deriva. Da che cosa nasce questa malevola interpretazione di un principio così chiaro? Prima di tutto dalla religione, secondo la quale siano tutti peccatori, e da peccatori, a colpevoli, il passo è breve. Ma è la natura umana che ci fornisce la spiegazione: la predisposizione dell’animo all’aticofilia e al sadismo, di cui è affetta tutta l’umanità, inadatta a confrontarsi con le proprie insicurezze e paure: un impulso innato, dolce come il miele, che i media diffondono ed esaltano, con la loro ‘pornografia del dolore’.Incapaci di ricavare appagamento dalla nostra vita, lo ricerchiamo nei patimenti dell’altro, Come uscirne? Prima di tutto parificando l’attuale disparità tra pubblica accusa e difesa, specie in ordine alla custodia preventiva,che va neutralizzata tutte le volte che la difesa offra gli arresti domiciliari, privilegiandoli sulla prima.  Pensando, poi, che su quell’avviso di garanzia, inteso come ‘sfida’ tra pubblica accusa e difesa, ci può essere scritto il nostro nome. Tra le poche certezze che abbiamo, dobbiamo sapere che la ruota della vita gira per tutti e quel benvenuto o malaugurato ‘avviso di garanzia’, a seconda i punti di vista, spunterà, prima o poi, per ognuno di noi, come la gramigna in mezzo a un campo di grano. Basta aspettare. Pubblicata oggi 20.04.2024 su La Sicilia.