Intervista di Emanuela Frate
all’autore del romanzo: “I bulbul innamorati”.
È da poco uscito ed è in vendita il nuovo libro di Rosario
Pafumi, detto Saro, “I Bulbul Innamorati”, un romanzo avvincente,
intenso, che, pur nella sua brevità, non risulta mai scontato e che coinvolge
il lettore in un crescendo di emozioni. Il romanzo è ambientato in Afghanistan,
in quella terra martoriata da quarant’anni di guerra, prima con i sovietici,
poi i talebani e oggi perfino con Daesh. La guerra, la miseria, la corruzione,
la sopraffazione, la Sharia fanno da triste sfondo alla storia, tenerissima, di
Issam e Fawzya. A preparare il lettore ad approcciarsi al testo
di Saro Pafumi è Alfonso Campisi, Professore all’Università “La
Manouba” di Tunisi, che ne ha curato la prefazione, essendo un esperto
conoscitore del mondo arabo e islamico oltre ad essere siciliano come lo stesso
autore! Come anticipa il Professor Campisi nella sua dettagliata prefazione,
nel libro sono perfettamente descritti i paesaggi, spesso brulli e desolati
dalla guerra, la flora, la fauna di quel bellissimo Paese dell’Asia centrale
che è l’Afghanistan. Perfino il cibo è descritto con dovizia di particolari,
per non parlare poi delle espressioni, dei proverbi locali, dei richiami alla
preghiera fatti dai Muezzin e le numerose citazioni tratte dal Corano prese
come esempi di virtù da seguire. Perché l’islam è onnipresente, non è una
presenza ingombrante ma, per una corretta lettura del testo, non si può
prescindere da esso. E poi ci sono loro, i due protagonisti, Issam e Fawzya,
due anime belle e innamorate come i loro bulbul, gli usignoli canterini, e
quasi alieni in quel mondo dominato dalla violenza. Una violenza che non è soltanto
quella dei terroristi, dei kamikaze che si fanno saltare in aria, dei talebani
che fanno agguati, ma è una violenza anche domestica, come quella degli stupri
perpetrati all’interno delle mura di casa e che nel romanzo vengono
egregiamente descritti nella loro tragica fatalità. Issam è il giovane
innamorato, sognatore e un po’ poeta che, fin da piccolo, si innamora dello
sguardo della sua bella Fawzya, uno sguardo anelato e ricercato anche quando
Fawzya, ormai adulta, è tenuta a coprire le sue fattezze dallo chador. Fawzya,
invece, è una giovane donna innamorata, solo apparentemente sottomessa per via
degli abiti tradizionali che ne nascondono le sinuosità, ma in realtà molto
saggia e risoluta, pur sempre rimanendo ligia alle regole imposte dalla morale e
dall’Islam. La sua è una vita dominata dall’attesa, quasi una novella Penelope,
aspettando anni prima che il suo amato si dichiarasse alla famiglia e dopo, una
volta sposati, aspettando il ritorno del marito arruolatosi nell’esercito
regolare per sete di giustizia. Questi sono solo alcuni degli spunti e
riflessioni che offre questo piccolo romanzo che racchiude in sé tanti aspetti
contrastanti: amore, guerra, religione, morte, sesso. Non si vogliono qui
svelare tutti gli aspetti che si possono ritrovare nel romanzo che tra l’altro
è molto scorrevole e di agevole lettura ma, grazie ad una intervista che
l’autore Saro Pafumi mi ha gentilmente concesso, si possono scoprire tante
caratteristiche dei personaggi principali, del messaggio che si vuole trasmettere
e di questo grande Paese, l’Afghanistan, spesso bistrattato, che da
quarant’anni combatte strenuamente contro le potenze straniere che lo invadono.
- Avvocato
Pafumi, come mai ha deciso di scrivere un libro ambientato in Afghanistan?
Da dove nasce questa Sua passione e conoscenza approfondita di questo
Paese lontano e spesso misconosciuto se non per gli orrori della guerra?
Il Medio Oriente mi ha sempre affascinato, in
particolare l’Afghanistan, oggetto di lotte civili e di occupazioni straniere.
Prima di scrivere il mio romanzo ho studiato la storia e le tradizioni che
riguardano quel mondo: botanica, zoologia, clima, gastronomia e naturalmente
religione islamica. Con le implicazioni che essa comporta nella vita di
relazione. Le notizie belliche sono tratte da servizi di stampa.
- Ci sono
degli episodi descritti nel Suo romanzo, come la bigamia di Jamal, le
violenze perpetrate dal padre della protagonista ai danni delle fig,ie
minori – che sembrano essere raccontati dalla penna di un romanziere
afgano anziché da quella di uno scrittore italiano imbevuto di cultura
occidentale. Come è riuscito a mantenere una visione distaccata,
imparziale, rispettosa delle usanze del popolo afgano senza cadere in una
descrizione paternalistica o velatamente critica di usi, costumi,
tradizioni per noi così lontane che potrebbero sembrare perfino barbare?
Ho cercato di ricavarne un romanzo d’amore, perché
questo m’è sembrato il tema che più mi appassionava, di valenza
universale, nonostante in Afghanistan questo sentimento sia imprigionato dentro
le regole severissime. L’abito esteriore, il burqa, è solo un simbolo
trascurabilissimo di fronte al dramma delle donne costrette a viverlo secondo
le convenienze locali. Non mi ritengo uno scrittore di storie afgane, anche se
quella da me descritta lo è. In quanto allo “stile distaccato”, la risposta è
nella sua domanda: “rispetto ed imparzialità per la vita degli altri”. Senza
nessuna voglia paternalistica.
- La
storia da lei raccontata, sebbene intrisa di elementi cruenti, miseria,
fame, guerra, fanatismo, stupri, razzie, celebra l’amore, quello puro, tra
due giovani che, come i bulbul, gli usignoli che li rappresentano, sono
profondamente innamorati pur essendo ligi alle regole ferree imposte dalla
tradizione, dall’Islam, ma che riescono a far trionfare il loro amore.
Oggi sappiamo che, per un abitante di quelle terre martoriate dalla guerra
e dall’integralismo religioso, è pressoché impossibile vivere una storia
d’amore: spose bambine, matrimoni combinati, stupri sono all’ordine del giorno.
Ribellarsi è impossibile: accettare con abnegazione, fuggire magari
richiedendo asilo in Europa, suicidarsi sembrano le uniche vie d’uscita ad
un’esistenza di sopraffazione in Afghanistan così come in Pakistan. Il
lieto fine che si evince dal Suo libro è un auspicio o è sintomo di
qualcosa che sta cambiando?
La storia raccontata ed i dialoghi tra i protagonisti
del romanzo sono essi stessi pedagogici, evidenziando un pathos che nessuna
realtà può smentire o sminuire. Nonostante tanta cruda realtà, il racconto
vuole significare che nessuna forza, anche brutale, può sopraffare un
sentimento così nobile e universale, come l’amore. Che ci sia riuscito, non
spetta all’autore dirlo, ma alla forza del racconto, che descrive nella realtà
un amore tra i protagonisti, che si spera sia comune ad altre giovani coppie
sconosciute. Basta volerlo con la stessa forza dei Protagonisti, Issam e
Fawzya. In quanto all’esito finale della storia, il racconto vuole trasmettere
un messaggio: anche un fiore può germogliare in un deserto di arida sabbia o di
valori. Che sia di auspicio? Mi auguro di più: certezza nel tempo.
- Il
giovane Issam è un sentimentale, un poeta, come fu definito dal fratello
Jamal, un ragazzo che non pensava e non capiva la guerra e vedeva la
bellezza anche nel suo brullo villaggio natio: nei suoi bulbul, negli
amiri svolazzanti, nelle artemisie, oltre che negli occhi della sua bella
Faouzya. Tuttavia decide di arruolarsi diventando, dopo alcuni anni, un
militare di alto rango. Se lui, per mettersi in salvo, decide di
arruolarsi affianco delle forze governative contro i talebani, altri
giovani invece, scelgono, o vengono indotti a scegliere, di combattere con
i talebani, con le forze dell’oscurantismo. La guerra rimane quindi una
scelta obbligata per trovare una via di salvezza? Seguita soltanto
dall’emigrazione con tutti i rischi che essa comporta? È realmente così?
Non c’è altra via d’uscita per i giovani afgani se non quella di
combattere o di emigrare?
“La guerra è una necessità” scriveva Hegel. Per
gli afgani è una condizione di vita contro le occupazioni straniere (sovietiche
e americane). Se questo martoriato popolo si lasciasse in pace, potrebbe
progredire attraverso un equilibrio che solo al suo interno può stabilirsi. La
scelta di Issam di combattere i talebani non nasce dall’odio contro essi
(Issam non sa odiare) ma dal senso di giustizia che egli cerca e crede di avere
trovato abbracciando la lotta che aborriva. “Un necessità”, secondo la
concezione filosofica di Helgel che nella guerra vedeva anche un suo alto
profilo morale, la stessa ragione per la quale Issam abbraccia la lotta armata
e, una volta esaurita la sua missione, ritorna alla sua unica ragione di vita:
l’amore per Fawzya e i suoi bulbul, facendo riemergere, nonostante le atrocità
vissute, la sua anima di poeta. In Afghanistan un proverbio recita: “ se dai un
calcio all’aria, prendi il sedere di un poeta”. Nell’animo di ogni afgano
convivono due anime, quella del poeta e quella del guerriero e Allah, ad Issam,
aveva regalato quella del poeta!
di Emanuela Frate,
Emanuela Frate nasce a Termoli (CB) nel 1977. Dopo il
liceo si iscrive alla facoltà di Lingue e letterature Straniere a Parma
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