venerdì 29 dicembre 2023

L'ottimismo non basta. Considerazioni di fine anno.

 

L’ottimismo non basta. Considerazioni di fine anno.

Per quanto mi sforzi ad aggrapparmi all’ottimismo, non vedo un futuro roseo per il mio paese, Linguaglossa.Non scorgo all’orizzonte giovani che possano e sappiano cogliere l’eredità di chi ha realizzato lo sviluppo del paese. Manca un personaggio carismatico, che possa mettersi alla  testa di una squadra capace di traghettare Linguaglossa dalle secche in cui da troppo tempo è piombata. Il perché è presto detto. Chi oggi, tra i giovani, può assumersi il gravoso compito di pensare al futuro del paese, si trova nell’impossibilità di farlo, combattuto dalla necessità di costruirsi un proprio futuro, fuori dal proprio paese o restare, senza una prospettiva valida e capace di realizzare i propri sogni. Chi, dopo la laurea, parcheggia la propria vita dentro l’orto di casa, sa che prima o poi dovrà fare una scelta,per cui non impegna le proprie risorse in progetti, che sa di non potere portare a compimento. Si vedono gruppi di giovani che tentano di farlo,impegnandosi in progetti ambiziosi che rimangono sulla carta, perché manca la sincronizzazione tra mente e corpo. In queste condizioni chi potrà progettare un futuro resta prigioniero dalle nebbie vorticose del presente. Occorre, perciò, giocoforza, affidarsi a personaggi precari, ossia a quel panorama umano in affanno, disperatamente consapevole della propria condizione interinale,senza un’opportuna speranza di crescita, se non quella di amministrare l’ordinario. Come comunità abbiamo il diritto di programmare il futuro, altrimenti non servirebbe la politica, ma purtroppo il sole è sul punto di scomparire sotto l’orizzonte: A noi mortali delusi non ci resta che recitare la poesia di C, Baudelaire: “…..è tardi, corriamo verso l’orizzonte,per afferrarne almeno qualche obliquo raggio! Ma io inseguo invano il Dio che si nasconde; la Notte inarrestabile stabilisce il suo regno, nera e piena di brividi, umida, funesta; galleggia nelle tenebre un odore di tomba e il mio piede pauroso sull’orlo dello stagno urta rospi imprevisti, fredde lumache calpesta”.Questo il futuro che ci spetta?

giovedì 28 dicembre 2023

Quelle costose bottiglie di vino

 Quelle costose bottiglie di vino.

Devo riconoscere che il Buon Dio mi ha punito, assegnandomi un palato che non distingue le squisitezze del vino, gli aromi che nasconde, i profumi che ne esaltano la bontà. A malapena riesco a distinguere il vino “spunto”, quello che anticamente si riteneva un vino, che aveva preso la strada dell’aceto. Oggi a sentire i dotti di questa bevanda, antica quanto il mondo, quando al fiuto, alternano il gusto delle papille gustative, l’elenco degli aromi, si sprecano. Questi aromi, più che al vino, devono la loro presenza alla mano dell’uomo, che attraverso elaborati marchingegni ha saputo infondere in esso questi sapori, un processo artificiosamente raffinato, ma sempre privo di naturalezza, in confronto ai vini di una volta, che non subivano queste mescolanze. Queste ricercatezze, per buongustai, hanno fatto lievitare i prezzi di certe bottiglie a cifre astronomiche, per nulla giustificati dalla pregevolezza del contenuto, che, se può ritenersi interessante a palato vergine, perde ogni pregevolezza durante il pasto, quando le papille gustative hanno assorbito sapori forti. Mi confessava un amico enologo, non so se per esperienza o per effetto del vino bevuto, che una bottiglia di vino, per quanto pregiata, non può mai superare il costo di venti euro. Sarà? Si ha l’impressione che il consumatore, per quanto esperto, basi il suo giudizio più sul prezzo, che sull’intrinseca qualità. Mi viene in mente la storia di quel tizio che esponeva in pubblico, per la vendita, tre identiche qualità di vino, differenziandone il prezzo. Le più vendute erano quelle più costose, nella convinzione del consumatore, che il maggiore prezzo garantisse un migliore qualità. Spesso sapere vendere è più importante del saper produrre. E’più facile vendere, a parità di utile, mille bottiglie di vino a cento euro, che diecimila a dieci euro. Tutto sta nel sapere riempire la bottiglia più di poesia che di vino. E’ la bevanda più amata dal contadino, che nel vino, l’unico profumo che cerca è quello della fatica per produrlo. Vino che non cambierebbe nemmeno con quello del vicino, che trova diverso e lo è, a differenza dei vini industriali che sembrano omozigoti. Da noi i vini genuini, prodotti nelle varie contrade, a parte la differenza tra quelli provenienti da terre nere e terre forti, diversi per qualità, grado alcolico e aromi non si somigliano affatto. Da noi ogni lembo di terrea esprime aromi e sapori diversi, anche nell’ambito della stessa proprietà. Le vite, quelle ad alberello, conservano una loro individualità, come appartenenti a una comunità umana. Un tipo di coltivazione che permette al vento, al sole di girargli attorno. Come dicono gli anziani viticoltori, l’ape deve poter volare attorno alla vite. Sembra anzi che i tralci, per la loro vicinanza al suolo, riescano a succhiare dal terreno maggiori, più intensi alimenti, esprimendo una migliore qualità del vino. Forse pensando a questo tipo di vino, senza ingannatrici etichette Charles Baudelaire scriveva né I fiori del male: “ Il vino sa rivestire il più sordido tugurio d’un lusso miracoloso e innalza portici favolosi nell’oro del suo rosso vapore, come un tramonto in un cielo annuvolato”.Ben vengano tutti questi tipi di vino, anche quelli più costosi,purché si sappia che quest’ultimi sono vini da investimento,la cui principale caratteristica, il prezzo, è giustificato dalla domanda superiore alla produzione. Non è sufficiente che un vino provenga da un’azienda prestigiosa, sia raro, sia di ottima annata e abbia ricevuto alti punteggi. È importante che il vino sia desiderato e quindi scambiato. Che tradotto in soldoni, significa: apparire,anziché essere

martedì 26 dicembre 2023

Da Antologia poeti siciliani IV vol. Edito da Josè Russotti

 Da Antologia poeti siciliani IV vol. edito da Josè Russotti.

SARO PAFUMI

Nato nella terra che fu di Santo Calì e di Senzio Mazza, é un degno e apprezzato rappresentante della poesia siciliana contemporanea. Uomo colto e sensibile dalle esperienze letterarie della prima metà del novecento, si é anche accostato a una certa poesia moderna, senza però soggiacere agli schemi esteriori pretenziosi, ma interpretandone i motivi sostanziali in maniera quanto mai intimamente personale. La sua produzione letteraria si esplica solo ed esclusivamente in lingua, fornendo prova delle sue qualità di uomo e di poeta. Come il poeta stesso ebbe a dire, la sua poesia nasce osservando la natura, che ha per tema: l’amore, la donna, il Creato e i fiori. E attraverso l’emozione del fiore che sboccia o appassisce solca la sua anima di poeta. E proprio partendo da una realtà effettuale, il Pafumi amplia il suo discorso ad una tematica dal respiro universale: […] «E io a supplicarti/ di ascoltare la mia preghiera, / voce di Dio,/ per trovare un angolo/ nel tuo cuore.».

Dai versi traspare tutta l’affettività dell’uomo che ama la sua terra e i molteplici aspetti di cui è circondato, ed ecco che le cose, il paesaggio stesso sono quasi umanizzati, accogliendo nelle loro linee l’accorata tristezza degli emigranti. Come vedete, la natura occupa vasto spazio nella sua creazione letteraria, il paesaggio é colto per lo più sotto la luce abbagliante del sole, in una atmosfera snervata che illanguidisce, ma é solo uno sfondo che serve meglio mettere in risalto i problemi esistenziali dell'uomo di oggi: […] «Come un fiume/ tra gorghi e cascate/ la mia anima trascini a valle…».

Saro Pafumi nasce a Linguaglossa il 24 novembre 1937. Avvocato di professione. Ha iniziato la sua attività letteraria nel 2003, quasi per caso, pubblicando oltre mille lettere su la rubrica “Lo dico a La Sicilia”. Ha composto e pubblicato recensiti da personaggi di spessore oltre venti volumi in formato tascabile con contenuti vari: cronaca, tradizioni, novelle, metafore, aforismi,personaggi di paese e naturalmente tutto ciò che riguarda il suo paese, Linguaglossa, con la sua montagna, la politica e il centro cittadino, oltre ai mille problemi non risolti. Dispone di un Blog personale: “Corrispondenza da Linguaglossa, con note bibliografiche dell’autore a cura del Pres. G. Bartetta. Premi Unitre: “Giornalismo di costume 2021; Poeti insieme 2015 e 2016. Ha pubblicato, per la poesia: Fiori di datura (2015); Le ultime viole (2016); È sera (2022); Le lune di miele (2022); Le brevi ( 2023) che hanno per tema: l’amore, la donna, il Creato e i fiori. Per la narrativa: Cose di chiese e dintorni (2013), genere divertissement, con retrogusto amaro; I Bulbul innamorati (2014), romanzo d’amore ambientato in Afghanistan.

CONTRIBUTI CRITICI

I Classici di Sicilia. Saro Pafumi

 “La ricerca della Redenzione o dell’Amore, attraverso l’emozione del fiore che sboccia o appassisce solca l’anima del Pafumi. Egli con indosso la sua maschera rimane dietro le quinte per manifestare senza veli e orpelli ciò che le ‘fiorite metafore’ sapranno cogliere dalla sua anima”.

F. Ferlito

“Il mio amico Saro Pafumi ci ha deliziato con una stupenda lirica (Quel Venerdì Santo). Eros e thanatos che diventano estasi mistica. Descrizione stupenda di un amore che si dispiega in una breve processione paesana in cui la solitudine nella folla ha come scena profumi di ginestre e petali di rose. Poi alla fine gli innamorati rompono il silenzio con lo sguardo, solo con quello, e fu subito giorno. Ricorda Alcamane nella traduzione di Quasimodo, ma lì la brevità del giorno si fa subito sera”.

V. Vecchio.

“Si svelano nella sua lirica fiorita sentimenti e crudeltà di cuore. Poesia intensa,dove la natura allude alla donna, ‘mite primavera e piovoso autunno’ sono le sue stagioni folli: Bellissima la metafora cristologica ne “Le ultime viole”, ove s’intrecciano indissolubilmente amore e morte”.

S. La Porta

sabato 16 dicembre 2023

Novelle. Don Petru e i cugna nte causi.Storie vere.

 Le novelle.Don Petru e i cugna nte causi. Storie vere.

“Quante volte te lo devo ripetere che è ora di comprarti alla fiera un paio di pantaloni. A furia di cucirti cugna nte causi, sono rimasta anch’io senza ‘fatetta’, perché da dove pensi che ricavi la stoffa, se non accorciando la mia?” Questo era pressappoco lo sfogo di Maricatina alla riluttanza del marito a non voler sentire ragioni a comprarsi un paio di nuovi calzoni, perché secondo lui prima veniva ‘a scecca’ che necessitava di un nuovo ‘tistali’. L’amore di don Petru per quell’animale, diceva lui nei momenti di poca lucidità, dovuta ai fumi dell’alcol, eguagliava quello verso la sua Maricatina, con la quale, giovanissimi, avevano organizzato la classica “fuitina”, simulando contrasti insanabili con i parenti della sua “Promessa”, perché a don Petru, in verità, non gli andava giù di ‘riempire la pancia’ agli invitati, pensando che quella della sua ‘scecca’ sarebbe rimasta vuota, che lui affettuosamente chiamava Letizia, dando a quel nome il significato di felicità, gioia, allegria. La resistenza di don Petru a comprarsi un paio di nuovi calzoni nasceva oltre che da un senso di vera spilorceria, sia pure motivato da nobili sentimenti verso quella sua creatura, da un vago presentimento: la morte del suocero, avanti negli anni e pieno di acciacchi, che nulla di buono facevano presagire. Da quella morte don Petru nulla si aspettava in termini di apporti economici, essendo il morituro “pouru ncanna”, ma aveva adocchiato tra le uniche, poche cose che aveva addosso, che lo avrebbero seguito nell’aldilà, un paio di calzoni, che, a differenza dei suoi, non avevano ‘cugna’. E il giorno venne, con personale, ben simulato “ gaudium magnum” di don Petru. Si sa che quando si prepara una persona per l’ultima dimora, è d’uso tirare fuori dall’armadio il vestito ‘buono’, ma nel nostro caso il morto non aveva né l’uno, né l’altro. Se ne ‘doveva andare’ con ciò che aveva addosso. Don Petru non sapeva come dire alla moglie che quei pantaloni non potevano seguirlo, né poteva andarsene senza. Perciò si offrì ‘generosamente’, dicendo alla moglie di volere acquistare per il defunto un paio di calzoni nuovi, quei calzoni che lui ostinatamente si rifiutava di acquistare per se, pur avendone bisogno. La pensata di don Petru era, in effetti, un intelligente, stratagemma per indurre la moglie ad affrontar il problema dei calzoni, non immaginando, don Petru, per nulla, che potesse verificarsi ciò che aveva proposto. Maricatina si sentì spiazzata dall‘insolita proposta, né capì che quello era un puerile, egoistico infingimento del marito e rispose che il padre in vita soleva ripete che sarebbe stato contento di andarsene così com’era nato: “Nudo e povero, come vissuto”. Per don Petru quelle parole erano musica per le sue orecchie. “ Nudo” non mi pare conveniente, rispose don Petru alla moglie, “ma povero, lo condivido. Anzi, se l’apparenza non inganna, sarebbe il caso di soddisfare il suo desiderio, seppellendolo con indosso i miei pantaloni, anche se mi costa privarmene” La moglie Maracatina addolorata, com’era, per la dipartita del genitore, non percepì il miserabile scopo del marito e lo lasciò fare. “Infondo quei pantaloni con " i cugna”, pensò, “raccontavano la povertà del proprio genitore, contento di trasferirsi all’altro mondo così come vissuto”. Spesso bisogna aspettare le condizioni propizie per realizzare ciò che si desidera e don Petru, temporeggiatore com’era, quel momento tanto atteso, l’aveva trovato, senza dispendio di denaro e di energie. Quella morte, così attesa e sperata, aveva risolto tutti i problemi: don Petru aveva i calzoni senza cugna, la moglie non doveva accorciare la sua ‘fatetta’, la ‘scecca’ si poteva permettere un nuovo ‘ tistali’ e il morto con quei pantaloni ‘ ripizzati’aveva coronato il suo sogno di presentarsi nell’aldilà ‘pouru ncanna’.  

Crimini e stampa

 Crimini e stampa.

Quando si consumano efferati delitti riportati dagli organi di stampa o commentati dalle varie trasmissioni televisive, emergono prepotentemente due aspetti, che esigono una spiegazione: la divulgazione di particolari, che dovrebbero essere coperti dal segreto istruttorio, dati disinvoltamente in pasto al pubblico, e la ‘freddezza’ con la quale il parentado tutto partecipa alla vicenda. Una domanda, la prima, che vuole essere provocatoria, perché, di certo, non sfugge a nessuno che il segreto istruttorio è il segreto di pulcinella, così consapevolmente trasformato da chi dovrebbe tutelarlo. Più difficile definire l’origine della ‘freddezza’ del parentado, un compito che spetta agli esperti in psicologia  comportamentale, giacché a prima vista a un comune mortale potrebbe apparire come dissacratoria rispetto alla condivisione del dolore. Questa voglia di trasformare il processo in spettacolo è ormai una moda, che andrebbe regolata per legge, onde stabilire il confine tra la libertà di stampa o di espressione e le guarentigie che spettano all’imputato, ossia il dovere etico di tutelarlo, che, secondo l’art. 27 comma 2 della Costituzione deve essere considerato “ non colpevole”fino al termine dell’iter processuale. Un confine spesso travalicato, che offende la civiltà giuridica, di cui tanto ci vantiamo. La Corte di Cassazione è intervenuta in materia stabilendo ( Sent. del 01.02.2011 n.3674) i compiti spettanti a ognuono: a) agli inquirenti il compito d fare gli accertamenti; b )n ai giudici quello di verificarne la fondatezza; c) ai giornalisti il compito di dare notizia, ma non di suggestionare la collettività”. Una definizione vaga e fumosa, non rispettata. I bombardamenti mediatici, al contrario, hanno preso piede negli ultimi tempi creando opinioni superficiali che pregiudicano le posizioni delle parti che vanno a incidere sul giusto processo. Di questo sistema distorto possiamo essere tutti vittime. Sarebbe auspicabile che il sistema venisse una volta tanto disciplinato per legge, nell’interesse di tutti, evitando che il processo diventi spettacolo, quale oggi, indecorosamente, è diventato

lunedì 4 dicembre 2023

Quando si dice che la burocrazia è cieca

 

Quando si dice che la burocrazia è cieca

A proposito dei lavori in atto, che prevedono la ristrutturazione dell’impianto carburanti all’uscita di Linguaglossa, trovo opportuno infornare, che, quando, a suo tempo, ebbi la gestione del punto vendita, feci rilevare alcune criticità dell’impianto medesimo, offrendo, con un’approfondita relazione, apprezzata dai proprietari, una serie di soluzioni, tra le quali l’arretramento dell’impianto, così da eliminare la pericolosità della curva sulla SS.120, che in passato aveva causato incidenti mortali. Naturalmente non se ne fece nulla, com’è nell’ordine delle cose, quando alla logica si accompagna il buon senso. Oggi, con i lavori di ristrutturazione in corso, sarebbe stato opportuno procedere all’arretramento dell’impianto, per la ragione suesposta, ma pare, (il dubbio è d’obbligo, non avendo notizie certe) che le Autorità competenti abbiano negato l’arretramento, giacché l’impianto ricade in area vincolata dall’esistenza di un pozzo di estrazione idrica, senza considerare, però, che l’impianto, con o senza arretramento, rientri nell’area vincolata. Un mancato arretramento, quindi, che avrebbe eliminato la pericolosità della curva esistente, senza aggravare sul vincolo, restituendo all’impianto quella sicurezza e dignità che gli spetta, come funzione di un servizio pubblico, in paese molto sentita, per la scarsa offerta in materia di approvvigionamento e di concorrenza, quest’ultima assente, perché le due sole società presenti in paese ed erogatrici dello stesso servizio fanno ‘cartello’, praticando un prezzo superiore ai paesi vicini. Quando si dice che la burocrazia è cieca, la sicurezza non importa a nessuno e gli interessi degli utenti non contano Pubblicata su La Sicilia oggi 04.12.2023

venerdì 1 dicembre 2023

Trasformare il Villaggio Mareneve in museo

 Trasformare il Villaggio Mareneve in museo.

Dopo avere scritto svariate di lettere sullo stato di degrado in cui versa il Villaggio Mareneve, rimaste inascoltate, non mi resta che un ultimo appello: trasformare il villaggio in museo a cielo aperto, giacché nella realtà tale è divenuto. Il museo a cielo aperto ha, tra le tante funzioni, quella d’illustrare spazî abitativi, edifici o attività economiche del passato, ma anche realtà territoriali in pericolo di scomparsa, qual è oggi il villaggio, che, in questo caso assumerebbe il termine ecomuseo. Una specie di Pompei, non sepolta dalla cenere vulcanica, ma dall’insipienza umana, ben più grave della prima. In questo ecomuseo, così concepito, aperto al pubblico, andrebbero accompagnate le scolaresche per far capire alle nuove generazioni due aspetti negativi dell’attività umana: a) come si sprecano le risorse pubbliche; b) qual’ è il grado  d’insipienza che le accompagna. Un ecomuseo educativo, quindi, con l’obiettivo d’insegnare che certi errori non vanno ripetuti e di cui siamo tutti responsabili, non solo le amministrazioni pubbliche che le hanno attuate e del cui  spreco non sono state chiamate a rispondere, ma anche la società tutta che non  ha reagito, permettendo non solo che ciò avvenisse, ma tollerando altresì che l’opera incompiuta, degradata, inservibile, fatiscente, inquinante, rimanesse dov’è, nemmeno sfiorata dalla vergogna che la ricopre. Così trasformato, il villaggio avrebbe,quantomeno una  sua funzione educativa, e una volta tanto servirebbe a qualcosa,con buona pace di tutti.