Quelle costose bottiglie di vino.
Devo riconoscere che il Buon Dio mi ha punito, assegnandomi un palato che non distingue le squisitezze del vino, gli aromi che nasconde, i profumi che ne esaltano la bontà. A malapena riesco a distinguere il vino “spunto”, quello che anticamente si riteneva un vino, che aveva preso la strada dell’aceto. Oggi a sentire i dotti di questa bevanda, antica quanto il mondo, quando al fiuto, alternano il gusto delle papille gustative, l’elenco degli aromi, si sprecano. Questi aromi, più che al vino, devono la loro presenza alla mano dell’uomo, che attraverso elaborati marchingegni ha saputo infondere in esso questi sapori, un processo artificiosamente raffinato, ma sempre privo di naturalezza, in confronto ai vini di una volta, che non subivano queste mescolanze. Queste ricercatezze, per buongustai, hanno fatto lievitare i prezzi di certe bottiglie a cifre astronomiche, per nulla giustificati dalla pregevolezza del contenuto, che, se può ritenersi interessante a palato vergine, perde ogni pregevolezza durante il pasto, quando le papille gustative hanno assorbito sapori forti. Mi confessava un amico enologo, non so se per esperienza o per effetto del vino bevuto, che una bottiglia di vino, per quanto pregiata, non può mai superare il costo di venti euro. Sarà? Si ha l’impressione che il consumatore, per quanto esperto, basi il suo giudizio più sul prezzo, che sull’intrinseca qualità. Mi viene in mente la storia di quel tizio che esponeva in pubblico, per la vendita, tre identiche qualità di vino, differenziandone il prezzo. Le più vendute erano quelle più costose, nella convinzione del consumatore, che il maggiore prezzo garantisse un migliore qualità. Spesso sapere vendere è più importante del saper produrre. E’più facile vendere, a parità di utile, mille bottiglie di vino a cento euro, che diecimila a dieci euro. Tutto sta nel sapere riempire la bottiglia più di poesia che di vino. E’ la bevanda più amata dal contadino, che nel vino, l’unico profumo che cerca è quello della fatica per produrlo. Vino che non cambierebbe nemmeno con quello del vicino, che trova diverso e lo è, a differenza dei vini industriali che sembrano omozigoti. Da noi i vini genuini, prodotti nelle varie contrade, a parte la differenza tra quelli provenienti da terre nere e terre forti, diversi per qualità, grado alcolico e aromi non si somigliano affatto. Da noi ogni lembo di terrea esprime aromi e sapori diversi, anche nell’ambito della stessa proprietà. Le vite, quelle ad alberello, conservano una loro individualità, come appartenenti a una comunità umana. Un tipo di coltivazione che permette al vento, al sole di girargli attorno. Come dicono gli anziani viticoltori, l’ape deve poter volare attorno alla vite. Sembra anzi che i tralci, per la loro vicinanza al suolo, riescano a succhiare dal terreno maggiori, più intensi alimenti, esprimendo una migliore qualità del vino. Forse pensando a questo tipo di vino, senza ingannatrici etichette Charles Baudelaire scriveva né I fiori del male: “ Il vino sa rivestire il più sordido tugurio d’un lusso miracoloso e innalza portici favolosi nell’oro del suo rosso vapore, come un tramonto in un cielo annuvolato”.Ben vengano tutti questi tipi di vino, anche quelli più costosi,purché si sappia che quest’ultimi sono vini da investimento,la cui principale caratteristica, il prezzo, è giustificato dalla domanda superiore alla produzione. Non è sufficiente che un vino provenga da un’azienda prestigiosa, sia raro, sia di ottima annata e abbia ricevuto alti punteggi. È importante che il vino sia desiderato e quindi scambiato. Che tradotto in soldoni, significa: apparire,anziché essere
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