lunedì 21 maggio 2012

L'àncora del turismo

In un’epoca di crisi, con il commercio che arranca e l’agricoltura che soffre, il turismo, da sempre, è stato un’ancora di salvezza per l’economia, specie dei piccoli centri urbani. Linguaglossa, come tanti, soffre del contagio di quest’attuale malattia e dal turismo, almeno nel passato, ha attinto le sue forze per andare avanti. Il turismo, però, perché non resti una pia illusione o una semplice espressione letterale, richiede proposte e offerte concrete, siano esse manifestazioni, soggiorni, iniziative ricreative e/o culturali, non tralasciando la cura del territorio che è e deve essere la cornice entro cui il turismo si manifesta. Quando s’incontra un turista, la prima osservazione che c’è fatta è sempre la stessa: “Avete un territorio ricolmo di bellezze, ma…….”. Nel contesto del discorso c’è sempre un “ma” che ci spiazza, ci umilia, talvolta ci offende, al quale è difficile rispondere, perché “l’accusa” che l’accompagna spesso è verità spiacevole. Spesso, troppo spesso a noi manca l’analisi comportamentale del nostro modo d’essere e quest’atavico difetto compromette quell’insieme di “tesori” che ci sono riconosciuti. Partire dal territorio è la prima regola, perché la presentazione di un “prodotto” ha bisogno di un “involucro” (territorio) che l’impreziosisce. L’ospite, infatti, è il fruitore del territorio, un bene da rispettare e tutelare. Se poi il turismo, per cause diverse, non dovesse decollare, ci resta, almeno, il territorio reso più gradevole, perché la terra in cui operiamo è il nostro habitat e il suo rispetto diventa nostro benessere. Anche questo in definitiva sarà un successo, perché la nostra intelligenza si misura col confronto con gli altri, ma anche con noi stessi. Pubblicato su La Sicilia 20.05.2012

martedì 15 maggio 2012

La festa dell'Autonomia, una pantomima

Domani 15 maggio sarà la festa dell’autonomia siciliana. Ancora non ho deciso come festeggiare e se indossare l’abito scuro, lo smoking o vestirmi come Arlecchino o Pulcinella. Alla fine ho deciso: vestirò l’abito di tutti i giorni, con la fascia nera al braccio. Le scuole, si apprende, sospenderanno le lezioni, ma sarebbe più opportuno che osservassero un minuto di silenzio, come si fa per commemorare chi non c’è più. A parte l’ironia, unica forza che ci sostiene in quest’epoca di trambusti d’‘ogni tipo, qualcuno, anziché sospendere le lezioni, farebbe cosa giusta se spiegasse ai giovani le ragioni della “’Autonomia” con l’A maiuscola che s’identifica con una Regione che si governa con leggi proprie e senza ingerenza alcuna, divenuta nel tempo “capacità di funzionare senza idee per attuarla”. La festa è per definizione una “solennità d’interesse collettivo motivata da un avvenimento fausto”, ma quando si svuota di qualsiasi contenuto, la festa diventa parodia. In questo caso, trattandosi di travestimento burlesco dell’autonomia, il vestirsi con l’abito di Arlecchino o di Pulcinella sarebbe adeguato all’avvenimento da festeggiare. Accostiamoci pertanto alla festa dell’Autonomia con questo spirito burlesco, magari inscenando una pantomima davanti al Palazzo dei Normanni che per l’occasione si trasforma ufficialmente nel palcoscenico della parodia autonomistica siciliana. Gli onorevoli deputati regionali sono invitati a partecipare a condizione che indossino una maschera per rendersi irriconoscibili Saro Pafumi

domenica 13 maggio 2012

La legge e le banche

Ci sono due modi per fare affari: contravvenendo alla legge, con la speranza di farla franca o formulando regolamenti a uso e consumo proprio. Nel primo caso può incappare chi alla legge è sottoposto e deve osservarla, nel secondo caso le protagoniste sono le banche che operano a loro piacimento come se agissero al di fuori della legalità. Per l’attività che un esercente svolge, è fatto obbligo di pagare e di farsi pagare con mezzi che consentono la tracciabilità. L’assegno bancario è uno di questi. Si da il caso che un assegno emesso da una baca consente due possibilità per essere cambiato: presso la banca emittente o presso altra agenzia della stessa banca Nel primo caso se il portatore dell’assegno non è conosciuto è impossibile negoziare l’assegno, anche se si è correntisti della stessa banca ma di agenzia diversa. Nel secondo caso se si è correntisi si può solo versare l’assegno o se si ha necessità di mutarlo in contanti pagare una commissione abbastanza salata, che può variare sensibilmente da banca a banca, in virtù di disposizioni autonome ad libitum. La norma che ha introdotto l’obbligo di pagare con mezzi che consentono la tracciabilità (assegni, bonifici, carte dio credito) ha realizzato in concreto tre finalità: ha danneggiato l’utente imponendogli, di fatto, il pagamento di commissioni bancarie prima non dovute: ha consentito alla banche un indebito lucro; ha incoraggiato il frazionamento di operazioni sì da non rientrare nell’obbligo della tracciabilità a tutto vantaggio di operazioni in nero. Pubblicata su La Sicilia il 13.05.2012 Parte non pubblicata dalla Sicilia In conclusione: entrare oggi in banca è come sottoporsi alla forche caudine, ma se si possiede “un taglierino” tutto diventa di una semplicità disarmante. Qualcuno ha scoperto, così, il terzo modo di fare affari, che, in un certo senso, imita il metodo bancario. Saro Pafumi

martedì 8 maggio 2012

Banche, alla faccia della trasparenza.

Chi vive in città ed è abituato a servirsi dei mezzi pubblici conosce i rischi ai quali va incontro: il borseggio. Ciascuno adopera gli accorgimenti più idonei per evitare spiacevoli sorprese, anche se, di fatto, scendendo dal bus qualche volta ha l’amara sorpresa di non trovarsi addosso il portafogli. Le cronache non parlano più di simile amare esperienze vissute, perché, purtroppo, c’è molto di più da raccontare: scippi con traumi, rapine, omicidi. Salvaguardarsi dal borseggio è diventata un’arte anch’essa e ciascuno s’ingegna come meglio crede. C’è però una rapina quotidiana di cui nessuno parla o se qualche accenno è fatto, rimane sepolto nell’indifferenza secondo l’antico proverbio:”lassaui dittu u puddicinu ‘nta nassa, quannu maggiuri c’è minuri cessa”. Mi riferisco alle rapine che le banche quotidianamente consumano a danno degli ignari utenti spesso distratti da estratti conto illeggibili o che nascondono tra le pieghe commissioni non dovute o inspiegabilmente aumentate in spregio alla sbandierata trasparenza bancaria. Chi non ha un conto corrente per il disbrigo dei propri affari? Molti però non sanno che il cassetto, dove sono conservati i propri risparmi o il conto corrente che regola i rapporti tra banca e clienti ha due chiavi: una in mano all’utente, l’altra in possesso della banca che apre e chiude il cassetto a suo piacimento, detraendo dal conto o aggiungendo secondo i casi ciò che le fa comodo Provate a protestare per una commissione non dovuta o una spesa non motivata. Un muro di gomma impedisce qualsiasi spiegazione e solitamente la risposta è sempre la stessa: la direzione ha disposto…..; il regolamento stabilisce…...; il contratto bancario consente…. e via discorrendo. Domanda: perché un esercente è obbligato ad esporre il listino dei prezzi, perché un negoziante deve rilasciare lo scontrino fiscale, perché un artigiano deve fare la fattura, mentre le banche non devono fare altrettanto e ti comunicano tutto a cose fatte ossia con l’estratto conto, quando ormai la frittata è fatta? Quanti hanno la possibilità o la competenza di controllare il proprio estratto conto? Quanti hanno il collegamento via Internet con la propria banca per controllare e verificare giornalmente le operazioni contabili? Con le banche avviene esattamente lo stesso borseggio che accade sui mezzi pubblici. Su quest’ulti con una buona dose di prudenza si po’ rimediare, con il borseggio bancario spesso si soccombe. Pubblicata su La Sicilia 08.05.2012 Saro Pafumi

lunedì 7 maggio 2012

Vecchi modi di dire, aggiornati

“ Ccu havi un parrinu ‘ncasa, havi un porcu appisu” un antico modo di dire. Il paragone anche se nella forma poteva sembrare irriguardoso, era frutto della convinzione popolare che con un parente prete in famiglia il sostentamento sarebbe stato assicurato. Non si dice appunto che del porco non si butta nulla? E a quei tempi, quando il cibo scarseggiava, la sicurezza d’averlo era considerata un ben di Dio. Oggi i preti soffrono le stesse ristrettezze economiche dei fedeli, per cui il paragone non regge più. Al prete si sono sostituite altre categorie: i politici, per fare un esempio perché navigano tra emolumenti, guarentigie e affogano nel denaro. Perciò oggi dovrebbe dirsi: “Avere un onorevole in casa, è come avere un porco appeso”. Questa volta però il detto, nella forma, non contiene nulla d’irriguardoso, perché l’accostamento del porco all’’onorevole è giustificato Basta leggere le cronache di tutti giorni, in cui alla porcilaia, luogo, in cui abitualmente vive il porco, si sostituisce quel substrato di peculato ,malversazione e corruzione che alimenta il mondo politico. Anzi in questo accostamento quello che ne esce più malconcio è proprio il porco che nasce vive e cresce nell’innocenza e alla fine s’immola per il bene altrui ossia per tramutarsi in prelibatezze culinarie. Una funzione utile, quasi un martirio. Sarà forse per questa sua funzione meritoria che di solito lo chiamiamo : maiale, suino, raramente porco, preferendo quest’espressione limitarla in tono dispregiativo all’uomo, quand’egli si trasforma in simbolo d’ingordigia e nefandezza. E certa società è piena di porci, con o senza ali. Saro Pafumi

mercoledì 2 maggio 2012

Il collegio Pennisi e la Provincia

Apparentemente la notizia è di quelle che fa stare felice un’intera provincia, Acireale in primo luogo. La notizia: “ Il collegio Pennisi sarà acquistato dalla Provincia”. Poiché, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, non vorrei che l’acquisto finisse come per gli altri immobili acquistati dalla Provincia che languono nel più assoluto abbandono. Mi riferisco all’acquisto della cantina Ave o al palazzo Nicolosi di Linguaglossa. Il primo sepolto da rovi e sterpaglie, il secondo in via di disfacimento. E dire che gli scopi di restituirli alla società civile c’erano. La Cantina sociale Ave doveva diventare, sulle ali della fantasia, una pista di ghiaccio e il palazzo Nicolosi, il museo Francesco Messina, solo che di quest’ultimo la provincia possedeva unicamente il certificato di nascita dell’Artista, essendo noto che era a nato a Linguaglossa. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: venire a Linguaglossa per vedere. A ciò si aggiunge il Villaggio Mareneve di proprietà, ahimè, provinciale il quale, statene certi, scomparirà da solo. Se queste sono le credenziali dell’operato provinciale, trovo ricca di buon senso la proposta di chi vorrebbe collegare l’acquisto del collegio Pennisi allo scopo. Le due finalità dovrebbero camminare di pari passo, onde evitare che una volta acquisito il Collegio al patrimonio della Provincia il salvataggio del bene non si tramuti nell’ennesimo naufragio. Perché di relitti è piena l’Italia repubblicana. Personalmente aborrisco l’idea che “Il Pennisi” diventi proprietà provinciale. I precedenti sono ben noti. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Pubblicata su La Sicilia il 01.05.2012. Saro Pafumi