martedì 26 settembre 2023

Quale genere?

 Quale genere?

 Osservavo quella figura con coinvolgente curiosità, ma non riuscivo a distinguerne il senso, indefinito, com’era il suo aspetto. Nulla trovavo che potesse aiutarmi in questa ricerca, né la traccia di un seno, sia pure poco sviluppato, né altre curve procaci, su cui gli occhi degli uomini si adagiano, vogliosi. Anche la lunghezza dei capelli era incerta, come tutto ciò che la caratterizzava, abbigliamento compreso Uomo o donna, mi chiedevo? Una domanda inutile, pensavo, in una società caratterizzata dall’incertezza di genere. Del resto cosa serviva conoscerne il sesso? Indeterminata, com’era, poteva essere la figura ideale per qualsiasi unione. “Avevo appena scoperto un’gender free’?”, pensavo. Dopo fiumi di parole, tavole rotonde e conferenze varie, in cui si esaltava il’gender free’, avevo voglia di guardarmi allo specchio. M’immaginavo con le mani sovrapposte sopra il mio membro per nascondere la maschilità a me e al mondo intero. Ne provavo vergogna. Non avvertivo più la smaniosa voglia di scoprire il sesso di quella figura, che, indefinita, mi stava davanti. Guardandomi addosso, mi sentivo diverso, pieno di difetti, distaccato dal corpo e dal tempo. Una domanda, però, mi ponevo, raschiata dal fondo della mente, crudele e graffiante. Perché Dio, nel corpo, aveva messo tutto al posto giusto, assegnando a ogni organo la sua funzione, se ora quella funzione sopperiva ad altre esigenze o era inutile? Forse “Dio aveva cambiato idea?”, pensai. Ne rimasi spiazzato

domenica 24 settembre 2023

A proposito delle opere del maestro Vasta, donate a Linguaglossa

 

Solo per fare chiarezza, a proposito delle opere del maestro Vasta donate al paese.

 All’Amministrazione precedente a quella Puglisi, il Maestro Vasta comunicò la sua volontà di regalare al Comune una cinquantina di sue opere. Gli amministratori del tempo risposero che per mancanza di spazio le sue opere avrebbero trovato posto nelle aule scolastiche. Il Vasta trovò la risposta al limite dell’indecenza, per cui la cosa non ebbe seguito. Conosciuta questa circostanza, contattai il Vasta perché rivedesse la sua proposta, avendo io, assieme all’amico dr. C. Vecchio, alias Sciara, contattato don.O.Barbarino, il quale si rese  subito disponibile a ospitare le opere del Vasta nell’ex chiesa Sant’Antonio, sede ideale e consona all’importanza artistica del dono. Il Vasta ne fu entusiasta al punto di sottoscrivere un accordo, con la promessa dell’istituzione di un’apposita Fondazione allo scopo. Nel frattempo don O. Barbarino iniziò le pratiche con la Sovrintendenza per il relativo nullaosta, che prevedeva l’eliminazione di quell’orribile saracinesca e abbassarne l’altezza. Prescrizioni più che legittime che però non consentivano l’uso del sito ad accogliere la Vara ivi esistente. Una limitazione accolta con dispiacere da don. O. Barbarino, che incominciò a dimostrare una certa tiepidezza sull’iniziativa, peraltro non nata da una sua personale iniziativa. A questo punto don Barbarino parlò col prof, Castorina, sempre disponibile, come il patrono Sant’Egidio, a trovare una soluzione ai tanti problemi del paese, perché si desse all’interno della Casa San Tommaso una degna esposizione alle opere del Vasta, che generosamente finì con l’accettare anche  questa proposta, certamente più riduttiva rispetto alla prima. Era l’unico tentativo di salvare le opere del Vasta e forse l’ultimo, perché intervenute ragioni di salute e familiari del Vasta, consigliavano una certa sollecitudine. Con l’avvento dell’amministrazione Puglisi, feci pressione all’assessore F. Malfitana perché si adoperasse a ospitare le opere nel Museo Messina/Incorpora, che ritenevo la sede più opportuna. Malfitana promise il suo interessamento e di ciò fu infornato il Vasta che ritenne la sede del museo più appropriata. A dire del Malfitana c’era però un ostacolo. Esisteva un accordo con la famiglia Incorpora sull’uso esclusivo del sito, se non erro fino a tutto il 2023 o 2024 (?). Intanto le opere erano salve, perché spedite dal Vasta al fratello Alfio. Adesso leggo che l’attuale amministrazione vuole esporle in mostra nel suddetto Museo Messina/Incorpora. Chiedo. Trattasi di una mostra temporanea o di un’ubicazione definitiva? Dal contenuto dell’informazione non è dato sapere. Un chiarimento sarebbe auspicabile, perché la tormentata vicenda del dono delle opere del Vasta a Linguaglossa, abbia una giusta fine. Rivolgo la domanda all’assessore alla cultura, se vorrà degnarsi di una risposta, che il paese da troppo tempo attende. Grazie

sabato 23 settembre 2023

Come si vive a Linguaglossa

 

Come si vive a Linguaglossa.

Di mattina una capatina al bar. Una consumazione di tre euro zittisce la bocca e lo stomaco. L’incontro con un amico, una pacca sulla spalla e la solita domanda: ” come si va? La risposta non interessa nessuno. Una passeggiata nel Corso è pane quotidiano. Serve a tenersi informati sull’ennesimo negozio che chiude i battenti. Dal balcone di qualche palazzo, pende uno sbiadito cartello, con lo scritto SI VENDE. Un invito, una provocazione o un insulto alla povertà? E’ difficile sostituire chi prima ci abitava, in un paese dove si dice. “ Ammatula ca ti vesti di ‘ Scarrata’, ca sempri fai fetu di lacciata”. Sulla scalinata di Piazza Annunziata fanno sosta, uno per gradino, i soliti aficionados, quelli che la colazione hanno consumato a casa. Sembrano vasi di terracotta, messì lì ad asciugare. La conversazione è sempre la stessa: il ricordo dell’ultimo amico scomparso o il traffico caotico nel Corso, ciascuno con la propria ricetta per risolvere il problema. La più gettonata: la circonvallazione Se ne discute da mezzo secolo. E’ quasi diventato un problema di fede. L’amministrazione tace. Ha altri problemi cui pensare: il bilancio comunale che non si riesce ad approvare. Il solito cappio che immobilizza l’Amministrazione. Coloro che siedono al comando del paese ostentano ottimismo e certezze. Le uniche certezze che hanno trovato una spiegazione sono quelle proprie di un'utile sistemazione. Quando la discussione verte sull’inutilità, qualcuno abbandona il gruppo e se ne va. LO stomaco reclama. E’ già mezzogiorno, le strade si spopolano. Fino alle sedici si sonnecchia sul divano di casa. La digestione è lenta, come il cervello che non riesce a pensare. Nel pomeriggio riprendono le lamentose litanie della mattinata. Il cartello si vende è sempre là, più sbiadito che mani. qualche negozio non fa orario pomeridiano, qualcun altro ha la saracinesca abbassata. All’interno si muove qualcosa. E’ un artigiano, che, dismessa la propria attività, preferisce lavorare in nero. Molti si chiedono perché il negozio di……ha chiuso i battenti. Il titolare ha deciso di fare il bidello. Lo stipendio è certo, e si è impegnati solo a metà.Nel tempo libero si aggiunge al gruppo che sosta sulla scalinata , dove si discute di niente. Che è la migliore cosa per passare la giornata. Il giorno è finito,si ritorna a casa,dove i pensieri riposano sul divano. Solo il rumore dei piatti e delle posate mi ricordano che sono vivo a metà.”Dopotutto, domani è un altro giorno." diceva Rossella O’Ara in Via col Vento.

venerdì 22 settembre 2023

I struiti

 

I struiti.

Molti emigrati che tornano in paese per le ferie, storcono il naso a tutto ciò che vedono. Ci ricordano ciò che non funziona, dispensando consigli a destra e a manca. “Quello ha parcheggiato sulle strisce pedonali”; ” Quanta cartaccia per le strade”; “ Troppi rumori per le vie”; “Nessuno che rispetta la fila”.Sono i nuovi “struiti” con la terza elementare, il vestito nuovo, il Toblerone in tasca e l’auto con la targa estera, che ci ricordano i nostri doveri, snocciolando critiche, osservazioni, consigli. Come quel tizio che mal sopportando il vocìo sotto casa chiama il maresciallo per porvi riparo. E questi, assodato il fatto, consiglia all’insofferente di sopportare il vocìo, perché “qua non siamo in Svizzera”.Una risposta ritenuta provocatoria,eppur sincera, se si pensa che da noi, discutere a voce alta e gesticolare fanno parte del nostro DNA. Costoro mentre ci ricordano i nostri difetti, dimenticando da dove provengono e come hanno vissuto prima di espatriare, sorvolano sui nostri valori. Per esempio dimenticano che quando ripartono,il quartiere si fa in  quattro: chi aiutando a caricare le valigie, chi regalando mostarda o cotognata, bottiglie di salsa fatta in casa, vino e olio, perché la loro partenza sia lieve e non sofferta. Una solidarietà impensabile nella loro nuova patria, dove, se cadi, svenuto ai piedi   di qualcuno, sei evitato, come un appestato e se abiti in condominio, non si conosce il colore degli occhi di chi abita accanto. Alla categoria de “ i struiti” c’è chi orgogliosamente torna con l’accento continentale, acquisito solo per avere fatto il bidello nel torinese e a ogni parola, ci aggiunge il ‘neh’.Un modo per cancellare l’idioma‘alla crapara’ di dove si é nati. Un ritrovato riscatto sociale che dura il periodo delle ferie, perché ritornati all’estero le frustrazioni dell’emigrato, riemergono tali e quali il primo giorno.

lunedì 18 settembre 2023

Troppo modesto il tributo elargito a Linguaglossa al Preside Barletta in occasione delle cerimonie del Santo Patrono

 

Troppo modesto il tributo elargito a Linguaglossa al Preside Barletta in occasione delle cerimonie del Santo patrono.

In occasione del concorso ‘Poesie insieme’, edito a Linguaglossa da Unitre, è stato consegnato al preside prof. G. Barletta un medaglione commemorativo dell’eruzione del 1923, come premio per i suoi dieci anni di presidenza dell ’Ente. Poco, rispetto alla sua intensa, pluriennale attività didattica e letteraria. Un compito, che per un figlio migliore, spetta al Comune di Linguaglossa, irragionevolmente assente. Il preside Barletta ha segnato la storia politica, scolastica e letteraria di questo nostro Comune. Molte le sue opere che s’ispirano all’amore verso Linguaglossa, oltre alla sua tenace volontà dell’istituzione della Scuola media. Voluta e realizzata. grazie allo stesso, oggi intestata a S. Calì. E' soprattutto per la sua carriera politica che l’illustre preside va ricordato. Memorabili le sue battaglie assieme all’amico/ avversario S. Cali. Due stili diversi di interpretare la politica e l’eloquenza. Il nostro, con quella sua travolgente oratoria, dove i calcolati, sapienti toni alti e bassi del discorso cesellavano le parole, come ricami fioriti di un’arte, in cui era ed è unico maestro, molto apprezzata a quel tempo, oltre che da una parte politica, da chi aveva un minimo di cultura, per i suoi richiami aulici alla lingua italiana. Di contro il Calì, che con la sua oratoria popolana e popolare, alternando richiami dialettali e regalando colorati epiteti agli avversari, conquistava l’animo più genuino del popolo. Alla fine di queste tribune elettorali, veri, memorabili duelli verbali, impossibile dire chi fosse stato il vero trionfatore. Ancora oggi il Barletta coltiva l’arte oratoria nelle forme politica/rievocativa, letteraria ed epidittica. Ne sono testimonianza i numerosi convegni, tenuti nei teatri, nelle sale parrocchiali o di conferenza, dove la sua voce limpida e cristallina, nonostante l’età, conserva la freschezza giovanile di un tempo: una vera orchestra sonora che fa vibrare i vetri e tremare l’anima. Nella storia di un paese, un personaggio valido, come il Barletta, entra dalla porta principale. Quella porta che a Linguaglossa non si è ancora aperta, perché qui vige l’assurda regola che il riconoscimento dovuto a un figlio emerito va tributato dopo “ l’inevitabile”, che ci auguriamo il più lontano, a meno di non volere scegliere la strada dello “strisciamento” verso il potere politico del momento. Un atteggiamento lontano mille miglia dal carattere fermo e autorevole del personaggio. Non c’é dunque che aspettare. Un’attesa che la popolazione vive come propria vergogna.

domenica 17 settembre 2023

Senza titolo

 

 Senza titolo

Di solito la notte porta consiglio e così spronato da questo ‘lume notturno’, ho cercato di capire quale possa essere il contenuto più appropriato di una lettera, che, di solito, si spedisce a questa Rubrica, per vederla pubblicata. Dopo un ventennio di collaborazione, durante il quale sono state pubblicate moltissime mie lettere, sono giunto alla conclusione che il tema più gradito alla Rubrica deve avere per contenuto una lamentela, tant’è che la Rubrica si dovrebbe intitolare “Il lamentario”, come affettuosamente la definiamo noi aficionados.Non ho nulla contro le lamentele,sono parte preponderante della vita. Gli è che sono di solito invocazioni inutili, ripetitive,per nulla raccolte da chi di dovere,noiose a leggersi, con l’amara constatazione che si disperdono in un oceano d’indifferenza generale. A chi importa la segnalazione che in una determinata via la spazzatura non è raccolta, se è tutta la città soffocata dalla monnezza? Poiché è una lamentela, rientra nei canoni della Rubrica. Si passa da una lamentela all’altra, finendo col divenire un canto corale: ”Il lamentario”.In un’epoca in cui ‘Il lamento’ è l’inno nazionale del Paese,la nostra beneamata Rubrica lo diffonde in tutte le salse. Non sarebbe auspicabile un diverso approccio col pubblico, spronandolo al racconto di cose concrete e positive, premiando quel tipo di pubblicazione che fa riflettere ? Abbiamo tanto bisogno di pensare. Lasciamo il lamento a chi vuole piangersi addosso, che è l’attività più insulsa che possa capitare a una persona.  A proposito ho il mignolo della mano sinistra che mi fa male. Ho bisogno di un farmaco, ma nonostante paghi le tasse, devo pagare il ticket .Capisco che con questa lamentosa battuta ironica, mi gioco la mia ventennale collaborazione con la Rubrica. Ormai sono entrato nella fase della quiescenza, consapevole che i miei scritti trovano posto solo in pubblicazioni, che interessano solo la mia biblioteca privata,l’unica sede,dove la passione dello scrivere,che mi brucia dentro, trova la sua giusta collocazione. 

sabato 16 settembre 2023

Perbenismo di maniera

 

Perbenismo di maniera

Moglie. ‘Fammi fare le condoglianze a donna Rosa, che ha perduto lo sposo.

Marito. ‘Non puoi farlo dopo,io ho fame’.

Moglie. ‘Solo un attimo,poi metto a tavola’,

Marito. ‘Cosa si mangia , oggi?’

Moglie.Maccheroni fatto in casa’

Marito ‘Sbrigati, perché è un secolo che non li fai. E abbondanti. Ho un buco nello stomaco!’

 

mercoledì 13 settembre 2023

L'olmo e la vite

 

L’olmo e la vite.

L’olmo mal sopportava la vite, che gli stava accanto, prostrata ai suoi piedi. La vedeva, striminzita e insignificante, forse anche insolente. Non una parola, né uno sguardo. Solo nelle giornate uggiose, immerso nel silenzio di un orizzonte grigio e nebbioso, vedendo la pioggia cadere, riusciva a dialogare, per soddisfare il suo narcisismo, ora che la sua maestosa bellezza non poteva ad alcuno mostrare. Nel resto dei giorni la copriva d’ombra e d’insulti, per farla apparire piccina e obbediente. La vite non reagiva a tanta arroganza. Ricordava all’olmo, con un leggero respiro, che la sua presenza, così vicina, serviva a esaltare la sua maestosa chioma. L’olmo faceva spallucce e con lo sguardo difettivo dell’Io, quasi ignorandola, rispondeva che aveva ben altri meriti di cui vantarsi. Diceva che sotto la sua chioma aveva ristorato oltre cento cavalieri dalla calura, come in quell’epica battaglia, che la storia ricorda. “Io non mi posso fregiare di siffatto merito”, rispondeva la vite, “ma spesso ho dissetato, col mio dolce nettare, qualche viandante smarrito e affamato”. Ne era passato di tempo da questi discorsi pieni d’accuse e rancori. Ora la vite da barbatella, era diventata una giovane rigogliosa pianta, che avvertiva dentro di se il vento del tormento, che il cuore le riscaldava, come una donzella che aveva scoperto la maternità e guardava con rinnovato interesse quell’olmo che le stava accanto. Fu in una tiepida giornata di primavera, quando il sole lascia il suo letargo invernale, che lei si decise, timida e silenziosa, ad allungare i suoi tralci, turgidi, come seni gonfi d’umore e in preda a un'irrefrenabile smania amorosa, stenderli pudicamente, fino al lambire l’ombelico dell’olmo, per fargli sentire il suo abbraccio lussurioso. All’olmo piaceva quella vellutata carezza, che avvolgeva le sue membra. Gli procurava un piacevole tormento, che lo liberava dalla sua insolente superbia. Talvolta anche tra i sassi nasce un fiore, come da quel cuore di pietra dell’olmo: un sospirato sodalizio, metamorfosi di una moderna unione, che doveva ispirare poeti e scrittori. Or saluto la vite che abbraccia l’olmo e non mi chiedo a chi giovi quel gesto amoroso: se all’umile vite che insegna l’amore o al suo compagno, che, or rinsavito, con la sua ombra silente, ferma i passi dello stanco viandante.

domenica 10 settembre 2023

Su quel treno per Shin-Osaka

 

Su quel treno per Shin-Osaka.

Oggi, trasportato sulle ali della fantasia, ho preso posto sul treno per Shin-Osaka, per un simbolico viaggio nella mia vita. Non è di tutti i giorni viaggiare oltre cinquecento km l’ora, su un cuscinetto d’aria. Nel vagone, dove mi trovavo, unico compagno, ’ il tempo’. Un personaggio indefinibile, in doppiopetto nerofumo, come il suo umore inespressivo. Nessuna smorfia sul suo viso, né un battito di ciglia. Un immobile manichino di cera, incapace di provare o veicolare emozioni. Senza cuore, né anima. Sedevo con le spalle rivolte al senso di marcia,forse per l’innata paura di essere proiettato in avanti in caso di violento arresto forzato. Una scomoda posizione che non mi consentiva di vedere il paesaggio, che scorreva, risucchiato, com’era, dalla folle velocità, con cui il treno procedeva. Un’immagine sfocata e sfuggente mi giungeva, come l’ombra di un passato, che il tempo e la velocità stavano voracemente risucchiando. Una trappola o forse un mulinello, dentro il cui buco nero tutto il mio passato scompariva in appena un lampo di tempo. Ne fui terribilmente turbato. Decisi allora di guardare tutto ciò che stava avanti: il paesaggio, che scorreva rapido a velocità forsennata e si sperdeva in un orizzonte incerto e nebuloso. Solo una linea orizzontale rimaneva nella mia retina: un presente che vorticosamente si disperdeva, come il passato, testé dissolto. ‘Il passato non esiste ’, pensavo, ’il futuro deve  venire e il presente è solo una retta che separa il passato dal futuro’. Eppure il tempo esiste,era a fianco a me, anche se immobile e inespressivo, forse solo un’aspirazione del mio spirito dannato. Non mi restava, dunque, che guardare avanti, dove tutto era incerto. Non sapevo quando il treno avrebbe finito la sua corsa, quante stazioni mancavano all’arrivo. Con  quel treno avevo voluto provare l’ebbrezza della velocità,un’intensa emozione, che, poi, è la stessa con la quale la vita si consuma. Su quel treno, che volava su un cuscino d’aria,  diretto a Shin-Osaka, l’oscillazione non era prevista, nessuna maniglia, cui aggrapparsi. Il mio istinto la cercava, Non mi restava che aggrapparmi alla mano del mio compagno di viaggio ,il tempo, benché bianca,immobile e fredda,come d’avorio. All’interno di quel vagone, lui, il tempo era l’unica realtà:la presenza e l’assenza di una stessa cosa  che diventa differente ogni momento. Del resto perché avevo voluto sperimentare l’ebbrezza di un treno veloce, se non per sfidare il tempo? Adesso lo avevo a fianco e a esso mi aggrappavo perché non mi abbandonasse, per quel poco o molto che mi restava. Più il treno correva e più forte gli stringevo la mano. Mi terrorizzava ascoltare il fischio finale e sentire urlare: “Shin-Osaka, si scende”.Inorridivo all’idea che solo in quel momento finale, sarebbe stata la mano dell’impassibile uomo in doppiopetto nero fumo e inespressivo a staccarsi dalla mia, col suo unico sussulto, che accompagnava il mio ultimo respiro.

 

 

 

 

Ipocrisia contagiosa

 

Ipocrisia contagiosa.

Si dice che l’Italia non sia un paese razzista. Infatti, se chiedi a qualcuno se per caso lo sia, ti senti rispondere che questo sentimento non gli appartiene. Sarebbe il caso, però, di monitorare, di tanto in tanto, questo stato d’animo, perché con gli sbarchi 'ad minchiam', sembra che qualcosa stia mutando. Si nota con le numerose interviste a chi questo fenomeno incontrollato l’ha sotto casa. Inutile affermare che anche noi abbiamo avuto le nostre emigrazioni. Certi paragoni storici lasciano il tempo che trovano, perché nel tempo le condizioni, le esigenze, le prospettive e le occasioni di lavoro cambiano. Il progresso serve a migliorare le condizioni di vita, possibilmente evitando di ripetere le esigenze necessitate del passato. Nessuno ha l’ardire di dichiararsi razzista, in una società che a parole dichiara il contrario, ma a luci spente e nell’intimità di un discorso, la realtà è diversa. Questa dicotomia tra pensiero e parola è più diffusa di quanto si creda e rientra nella sfera dell’ipocrisia, che diventa contagiosa, come l’influenza. Un piatto conformismo vissuto come esigenza di far parte di un gruppo e di essere giudicati positivamente. Dove il libero pensiero è inghiottito da quel buco nero chiamato omogeneizzazione del pensiero. 

venerdì 8 settembre 2023

Vorrei fermare il tempo.

 

Vorrei fermare il tempo.

Vorrei fermare il tempo che scorre, ma mi manca il  lazo, tanto caro ai cowboy e  quel loro ‘grito charo’, alto, quasi un singhiozzo seguito da un ripetuto, prolungato ay,ay,ay di chi,felice, ha catturato la preda (il tempo).Mi accontento di guardare l’acqua che lenta scorre nel fiume che mille foglie trascina,sulle quali ho  adagiato i miei pensieri. Spero che arrivino il più lontano, tra le “ninfee di Monet”, in cui si respira un’aria di pace. Pensieri di vita vissuta. Che i figli sono le foglie dello stesso albero; che in ogni uomo si nasconde un poeta, se a parlare è il suo cuore; che il sorriso è un raggio di sole; che la notte ispira i migliori pensieri; che una lacrima donata a un fiore appassito lo fa rifiorire. Che è tempo di  riempire di baci, tutto ciò che piace. Il tempo non si ferma, inesorabile scorre, come questo fiume che seco mi trascina nel suo lento fluire, verso un’ignota destinazione, dove un giorno, chissà quando, confluiranno gioie e dolori, che sin trasformeranno in nuvole, se anch’esse un’anima avranno.

giovedì 7 settembre 2023

La rivoluzionaria protesta per l'acqua delle nostre madri.

 

La rivoluzionaria protesta per l’acqua delle nostre madri.

Quasi annualmente qualcuno ci ricorda la protesta delle nostre madri per il diritto all’acqua nelle case. La loro forza e il loro coraggio, anche per le dolorose conseguenze derivatane: l’arresto di molte di loro. Che cosa è rimasto in noi di quell’insegnamento? Niente, se non la vana, ripetuta consolazione di un ricordo perduto nel tempo. Fumose parole, le nostre di oggi. Non c’è da stupirsi se nel nostro tempo non s’incontrano persone di quel calibro e mi riferisco agli uomini, i soli che dovrebbero essere votati  alla lotta. Tanti problemi irrisolti nel nostro paese, triti e ritriti, inutili elencarli. Mai un accenno alla loro soluzione, nemmeno il tentativo di provarci. Il perché è presto detto. La colpa non è delle amministrazioni avvicendatesi, ma di quell’inutile matita con la quale è vergata la scheda elettorale. Un gesto all’insegna  di una vacua scelta, motivata da ragioni per niente attinenti al contenuto. Lo dimostrano le tante tornate elettorali, in cui ha vinto “il mediocre” a scapito di chi poteva fare di più o almeno provarci. Quell’amministrazione che abbiamo votato non è altro che l’impasto di noi stessi, un miscuglio di frasi fatte, modi di dire, incongruenze, apatia, ignavia, pomposità, ma nulla di concreto. Inutile rifarsi, ricordare e godere delle coraggiose vicende delle nostre madri. Dobbiamo, tristemente ammettere che siamo fatti di tutt’altra pasta. A noi basta blaterare.

mercoledì 6 settembre 2023

Noi padri siamo tutti sulla stesa barca

 “Noi padri siamo tutti sulla stessa barca”

Lo sfogo di un amico, talvolta, ti costringe a condividerne l’amarezza, perché primo o poi ti accomuna lo steso destino. Ecco perché vale la pena di raccontarlo. “Ieri l’altro, mia figlia, diciotto anni appena compiuti, mi ha afferrato la mano e conducendomi all’ombra di un’albizia julibrissin, che abbiamo in giardino, mi ha fatto il seguente ragionamento”.“Senti, babbo. Voi adulti con i vostri discorsi, la TV con i suoi reportages, la carta stampata con i suoi servizi ci avete imbottito la testa che per noi giovani il futuro non è roseo: mancanza di lavoro, precarietà, una pensione da fame, assenza di valori, una famiglia di solito a tempo e altre pregevoli chicche su cui sorvolo. Una “chiavica”, in sostanza. Ci avete ripetuto che la laurea è “un pezzo di carta”, meno utile della stessa carta d’identità. Con i vostri pregiudizi ci state facendo odiare persino la scuola, che noi giovani consideravamo un passatempo da trascorrere tra spinelli, toccate di sedere e palpazione delle palle di qualche professore. In una parola ci avete tolto lo sfizio di vivere la nostra giovinezza. Ti confesso, perciò, caro babbo, che non intendo continuare negli studi. Mi sento del resto anche fortunata, perché tu e mamma avete messo ogni cosa al posto giusto nel mio corpo, al quale non è mancata anche una pennellata della Divina Provvidenza. Ho deciso pertanto di dedicarmi a “Affari tuoi”, “Cultura moderna”, “L’eredità”, “Il milionario”, “Uno contro cento”, perché alla fine anche a me toccherà di aprire “un pacco” e vincere 500 mila euro, una somma che tu, caro babbo, non hai mai visto in vita tua. Tenterò pure la strada della velina e se dovesse andar male proverò “a farmi” un calciatore. Anzi, “ora che ci sono” cerca di fare capire a Nicola, tuo figlio, che è ora di smetterla di fare lo sgobbone a scuola, tanto non servirà a niente nella vita. “Mentre mia figlia, all’ombra dell’albizia julibrissin, mi diceva tutto questo, i miei occhi di padre “scivolavano” sul suo viso, sempre più lontano, fino a farlo diventare piccolo, piccolo, come se avessi inforcato un binocolo dalla parte sbagliata. Un pensiero fisso mi arrovellava il cervello, mentre le sue parole andavano in dissolvenza. A pensarci bene, mia figlia fin da piccola mi aveva sempre chiamato “babbo”. Non riuscivo a capire, ora, se questo suo modo di rivolgersi a me era dovuto a una forma d’allergia congenita ai francesismi o perché aveva avuto l’intuito profetico che io non avrei capito nulla della vita”, babbo (scemo), come lei mi vedeva.“Fatti coraggio”, fu la mia risposta al suo racconto, “in fondo, noi padri, siamo tutti sulla stessa barca”, mentre un groppo mi saltellava in gola

L'intercalare

 

L’intercalare

 

 

Capita spesso d’ascoltare persone che per abitudine infarciscono il discorso d’intercalari. Modi di dire, che col ragionamento non centrano nulla, anzi in qualche caso lo svuotano di significato  Gli intercalari sono “tic verbali” paragonabili a quelli nervosi come strizzare l’occhio, contrarre il labbro, arricciare il naso, battere le palpebre, aggiustarsi certi parte intime: segnali indicativi di un disagio fisico o psicologico. Abbondanti nel linguaggio parlato, spesso  caratterizzano le persone che li usano, fino a diventare segni caratteristici delle stesse, addirittura soprannomi.

“ all’atto pratico”, “ fittivamente”, “nsunmma”…, “ u capiu?” “tantu ppi diri” che tradotto, quest’ultimo in lingua italiana significa “grosso modo”.

 

Sentite questa::“ L’altro giorno ho detto a mia moglie, tantu ppi diri di chiedere a sua madre, se fosse disposta a prestarci cinquemila euro che le avremmo restituito, tantu ppi diri in un anno”, Nella frase riportata, l’intercalare ( tantu ppi diri) inopportunamente posizionato nel suo contesto svuota l’essenza del discorso facendo apparire incerto quello che certo dovrebbe essere. L’intercalare in questo caso è come la scolorina che cancella la parola detta.

Immaginiamo un tizio affetto da questo tic verbale pronunziare la frase di rito che si chiede di ripetere nei processi:  Giuro, tantu ppi diri, di dire la verità, tutta la verità, tantu ppi diri, nient’altro che la verità”. Potrebbe il tizio affermare qualunque dichiarazione perché non ha fatto alcun giuramento vincolante. L’intercalare in certi casi è usato psicologicamente come un paracadute 

martedì 5 settembre 2023

Riflessioni e sfogo di un lettore sulla crisi del quotidiano La Sicilia

 

Riflessioni e sfogo di un lettore sulla crisi del quotidiano La Sicilia.

Come affezionato lettore sento il dovere di dire la mia sulla crisi in atto di questo quotidiano, che, da sempre, è stato saggio veicolo di conoscenza della cronaca siciliana e oltre, senza mai chiedere, cosa più unica che rara, contributi pubblici, che a certa editoria spettano di diritto. Premetto che come lettore e cittadino, poco conosco delle vicende giudiziarie che hanno riguardato il quotidiano, sfociate in un provvedimento di commissariamento, che tuttora persiste. Da quanto si è potuto capire, date le poche notizie che trapelano sull’argomento, pare, se non erro, che l’imputazione attribuita alla proprietà del quotidiano sia, in sommi capi, quella di avere tenuto nei riguardi di un settore della nostra comunità isolana, una condotta ‘prudentemente equivoca’, tale da far nascere in certi Organi dello Stato, il sospetto di una certa ‘contiguità’o ‘colposa distrazione’ con un segmento innominabile del nostro consorzio civile. Da qui il commissariamento, con i risultati che seguono: il disfacimento di questa ‘veicolo culturale’. Conseguenza prevedibilissima, perché in tutti in casi in cui la gestione di qualsiasi azienda è affidata a Commissari, la sorte è sempre la stessa: il definitivo collasso. Ecco che a questo punto nasce spontanea una domanda. Perché tanto tempo a definire le sorti del processo che riguarda ‘il Quotidiano?’ E come corollario: non è più delittuosa la condotta di chi volutamente ritarda la definizione del processo? Forse, se una certa ‘intelligentia’ nostrana voleva la trasformazione della linea editoriale del quotidiano, amputando la testa di chi ne era al vertice, che da sempre ha seguito una condotta editoriale, improntata a prudenza e saggezza, peraltro condivisa da illuminati, competenti direttori di testata, alternatisi nel tempo, c’è magistralmente e direi vergognosamente riuscito. Con quali mezzi? Quelli di sempre: la lungaggine dei processi, che, costi quel che costi, deve superare l’arco di vita di chi né é vittima, trascinando in questo massacro umano e culturale, proprietà, giornalisti, maestranze e lettori. Un esempio di chi nel perseguire un reato, si macchia di uno più grave: la dolosa paranoia, che lo caratterizza. Auguri al nuovo Editore che nascerà, comprensione, tanta, in particolare al fu Editore e solidarietà a giornalisti, maestranze e lettori, vittime di questa triste telenovela dall’ammaro, risaputo sapore italianissimo.

lunedì 4 settembre 2023

Due vite appena sfiorate

 

Due vite appena sfiorate

Era una di quelle tiepide mattine di primavera, in cui la scuola aveva deciso di fare vacanza. La classe era mista, un primo esperimento di promiscuità, che doveva aprire lo spazio ad altre esperienze similari e insieme l’inizio di una nuova moda: chiamare i compagni di scuola con nomi abbreviati. A quei tempi nei piccoli paesi le passeggiate scolastiche primaverili avvenivano all’insegna del risparmio. Un vicino campo, rallegrato da fiori primaverili, era il posto ideale per trascorrere una mattinata di gioia. Ter e Giò camminavano appaiati, a testa bassa, attenti a scrutare la bellezza del sito, brillante di variopinte, fiorite margherite. D’un tratto come sospinti da qualcosa che entrambi avevano notato, si fermarono, appaiando le mani per raccogliere lo stesso fiore: una viola mammola che col suo smagliante blu, svettava tra le tante bianche margheritine. Un senso d’innata complicità, quel gesto, che univa due stesse sensazioni. Poi furono gli sguardi a incrociarsi, forse in cerca di una fisicità che stentava a manifestarsi. Fu Giò a raccogliere per primo quel fiore e donarlo a Ter, non prima di averlo annusato per rubargli il profumo. Un odore, quello della viola mammola, che presto si dissolve e svanisce per poi imprimersi nella memoria. . A lui bastava conservarne il profumo, per immortale quel giorno, che doveva essere l’inizio di una storia d’amore. Nei giorni che seguirono le loro vite s’intrecciarono sempre di più, fino a sfociare in un verde idillio amoroso. A sedici anni, quanti ne avevano Ter e Giò, l’amore ha il profumo della speranza. E’ come un fiore di bucaneve che sboccia nell’erba ancora gelata: gli anni acerbi dei due innamorati. Poi la vita scelse per loro un diverso destino. Ter rimase legata al suo Sud, mentre Giò preferì il Nord, trascinato dalla voglia di lavoro. Col tempo nacquero due famiglie, ma mai il loro incipiente, incompiuto amore si spense. ‘Talvolta, complice un compiacente destino, due vite s’intrecciano e s’aggrovigliano. In un eterno dolce, indissolubile nodo’.Ter e Giò non finirono mai di scambiarsi segreti messaggi d’amore. Le loro vite appena sfiorate, ferme a quella lontana mattina di primavera, erano rimaste su quel prato, tra bianche margheritine e una viola mammola in mano.

 

Certo giornalismo italiano

 Certo giornalismo italiano.

Da ciò che si ascolta in giro nei dibattiti televisivi, non c’è da rallegrarsi sulla qualità dell’odierno giornalismo, sempre più caratterizzato da argomenti che sfiorano il pettegolezzo. Non c’è argomento che non riguardi il comportamento o le frasi di questo o quel politico e le risposte degli avversari. Sembrano comari dirimpettaie che colgono ogni occasione per rinfacciarsi i reciproci difetti.  Intere trasmissioni, con fior di giornalisti come ospiti, ci deliziano e si deliziano con le loro futili argomentazioni, impegnando il tempo in sterili, noiose diatribe. Più che giornalisti sembrano cacciatori di battute, talvolta vere buffonate che affollano questi pseudo dibattiti culturali.Se talvolta dal linguaggio di certi politici non uscissero baggianate, mancherebbero ai giornalisti argomenti da trattare,prigionieri,come sono di un loro giornalismo salottiero,che poco interessa agli italiani. In giro è ben visibile un certo scadimento generalizzato, sul piano morale e intellettuale e il giornalismo è la cartina di tornasole di questo malessere sociale. Più che trasmissioni aventi carattere nazionale, sembrano dibattiti rionali, quelli che poco prima hai ascoltato al bar o seduto in villa,con gli amici. E ti chiedi,sconfortato, quale sia la differenza

domenica 3 settembre 2023

Cerchiamo la pulizia dentro di noi

 

Cerchiamo la pulizia dentro di noi.

Quando si parla della pulizia del nostro paese, le lamentele non mancano, caratterizzate dalla ricerca del colpevole che contribuisce con azioni o omissioni a tale stato d’abbandono. C’ è sempre la voglia, il desiderio o la pretesa che qualcuno pulisca ciò che noi sporchiamo. Una forma di schiavitù mascherata, che si perde nella notte dei tempi, di cui non riusciamo a liberarci. Prendiamo per esempio il caso delle numerose cicche di sigarette sparse ovunque. Si rimprovera che non esistono appositi contenitori atti a raccoglierle, addossando sempre la colpa a qualcuno. Ebbene, esistono in commercio, porta cenere e cicche, in formato tascabile, che potrebbero aggiungersi al pacchetto di sigarette e accendino. Perché non farne uso? Non sarebbe meglio eliminare o ridurre le occasioni di sporco, facendo ricorso a una migliore educazione personale, invece d’invocare l’altrui servizio? La pulizia deve albergare prima di tutto dentro di noi, un lavoro che va fatto su noi stessi, come quando curiamo il nostro aspetto, la nostra casa, la nostra auto e tutto ciò che ci appartiene, come l’ambiente e la natura.

sabato 2 settembre 2023

Le ragioni di un isolamento forzato

 

Le ragioni di un isolamento forzato

 

 

L’abitudine era divenuta talmente sistematica, da essere impossibile rintracciarlo dal giorno venti alla fine del mese. Poiché era da una vita che lo conoscevo, la cosa, ripetuta, m’incuriosiva, perciò decisi di capirne la ragione. Attesi pazientemente l’inizio del mese e appena, come al solito, il mio amico apparve in pubblico gli chiesi la ragione della sua assenza.

Amareggiato, mi confessò che da quando era andato in pensione, riusciva a mala pena ad arrivare al venti del mese, per cui nei restanti dieci giorni aveva deciso di barricarsi in casa, al fine di risparmiare. Una specie di clausura o se volete un black-out col mondo esterno per ragioni di sopravvivenza. Per convincermi, si mise a snocciolare una serie di cifre, dalle quali si evidenziava che l’importo della pensione subiva un salasso quotidiano, avendo avuto, egli, cura di riportare a tariffa giornaliera il costo della sua esistenza in termini economici. La tristezza, quale appariva dalla sua espressione corrucciata, era più eloquente dei numeri che aveva puntigliosamente annotato che, ora, mi metteva a disposizione per soddisfare la mia curiosità, ma anche per giustificare quel suo nuovo regime di vita. Capii che lo Stato lo aveva costretto a un letargo forzato, paragonabile a quel particolare stato di vita latente in cui diversi animali trascorrono parte della loro esistenza. Nulla dissi, né potevo, dinanzi all’esattezza di quegli aridi conteggi. Presi coscienza che per molti la condizione di pensionato non era un periodo di riposo meritato dopo una vita di lavoro, ma l’inizio di un calvario in cui si sommavano elementi negativi: solitudine, tristezza, acciacchi, privazioni e forse anche una forzata clausura.

Non mi restava che abituarmi a non vedere più il mio amico nell’ultima decade del mese, lui, per il quale i dodici periodi dell’anno andavano decurtati di dieci giorni ciascuno che, a conti fatti, era come rinunziare a centoventi giorni d’esistenza.

 

 

venerdì 1 settembre 2023

Il canto del cuculo

 

IL canto del cuculo.

Ogni anno attendo con piacere il ritorno del cuculo col suo monotono canto Mi ricorda la mia fanciullezza, quando, per alleviare la calura delle serate estive, immerso nel silenzioso mistero del buio, le trascorrevo disteso sul balcone ad ascoltare il cuculo, che aveva scelto il vicino campanile per deliziarmi del suo canto. Quello che poteva sembrare un canto triste e ripetitivo impregnava il mio animo di fresca levità. Era tanta la sua forza attrattiva, da impegnare la mia mente a calcolare la pausa tra un cu-cù e l’altro, riuscendo a prevenirne il suono, spesso sovrapponendo il mio, al suo cu-cù. Sé è vero che il cuculo canta in cerca d’amore, tra noi due si era stabilito un intreccio amoroso, impegnati l’uno a cercare l’altro. Si dice che quando il cuculo canta le cicale zittiscono e viceversa,perché entrambi del silenzio hanno fatto il loro regno,che sapientemente si sono ripartiti,mentre tutt’intorno il mondo dorme. Solo il contadino rimane sveglio per trarre dal suo canto gli auspici per il suo raccolto. Si crede, infatti, che se il suo canto provenga da est il segno è propizio, al contrario se proviene da ovest. Credenze popolari che nei segni della natura affondano le speranze di chi disperato resta, costretto a faticare nell’incertezza di un raccolto. Gratificato e sospinto da quel canto, col viso rivolto verso l’alto, sceglievo poi un angolo di cielo e cercavo di contare le stelle. Quella ricerca mi aiutava a sorreggere il tempo, liberandomi dalle fatiche giornaliere e dai pensieri, che offuscavano la mia mente. Ancora oggi nelle calde notti, quando cerco la serenità, il mio orecchio è teso alla ricerca del canto del cuculo, che mi rifà sentire giovane. Non conto più le stelle, ma ascolto l’eterno ticchettio del tempo, lento ma inarrestabile, sperando che io non sia, alla mia tarda età, l’ultima foglia secca e ingiallita, che lascia l’albero della vita, ma che possa rivedere, ancora una volta, il sorgere del sole.

Alcune riflessioni sul Museo Messina a Linguaglossa

 

Alcune riflessioni sul Museo Messina a Linguaglossa

Con questa mia personalissima opinione non vorrei sollevare nessuna polemica, ma contribuire a cercare una dignitosa soluzione al Museo Messina. restituendolo alla sua vera, autentica vocazione. Se è vera la tesi di Sgarbi, con la sua lectio magistralis, che, nell’attuale sede del museo, Messina è un fantasma, aggiungo di mio, che tale è stato anche in vita, quando a Linguaglossa preferiva le visite notturne, forse per non vedere i visi famelici dei suoi compaesani: Non si comprende, infatti, perché il Museo debba prendere il nome di questo ‘fantasma’, giacché la sede è spoglia di sue opere, quando, invece, è il Maestro Incorpora, con le sue magistrali opere, il vero dominatore del museo, frutto dell’esclusivo impegno della sua famiglia, in termini economici e organizzativi. Questa “bolla d’aria” rappresentata dalle mancate opere dello scultore, se si escludono due/tre quadri in fotocopia e un catalogo, peraltro generosamente regalato dall’amico Roberto Trefiletti, la sede va riempita con l’acquisto di alcune opere dell’Artista, alcune delle quali sono certamente economiche, almeno per fornire al visitatore ‘il profumo' della sua arte. A tal fine una raccolta di fondi cittadini potrebbe alleviare il Comune dall’esborso di spese non facilmente reperibili, risparmiando il museo, così intestato, dalla sua funzione di ‘ uccello di richiamo ’ che non onora, in primo luogo l’Ente e l’intero Paese e svilisce persino le altre opere esposte. Purtroppo a Linguaglossa siamo abituati a certe mistificazioni, premiando più l’apparire che l’essere. Ne è esempio quella stolta insegna che campeggia ai quattro canti: “Antica vineria del’Etna”, che va tempestivamente rimossa perché contiene una spudorata menzogna storica e su quest’argomento gli esempi non mancano, specie nell’ambito alimentare (la salsiccia al ceppo, di antica fattura per tacere di altre specialità). al solito “l’ìntellighenzia” leggendo queste righe riparlerà dei quadri d’Incorpora, fiore all’occhiello del sito anzidetto, volutamente tralasciando di confrontarsi sul tema vero, qual è quell’imbroglio sublime che si chiama Museo Messina.Sarebbe ora di scegliere se fare diventare il Museo Messina degno del suo nome o liberarsi di quest’ospite incomodo, restituendolo alla sua reale funzione, quello di onorare un Artista, il Maestro Incorpora e la sua impareggiabile arte, che non richiede alcun supporto, splendendo di luce propria, specie ora che i suoi familiari, grazie ad una accorta, elegante e intelligente campagna promozionale, hanno saputo fare assurgere la figura del padre/artista, a dimensioni sopranazionali. L’attuale situazione presenta molti lati negativi sugli effetti psicologici dei visitatori, perché la delusione di non trovare traccia alcuna del Messina, lascia un amaro retrogusto, che sminuisce l’importanza del sito e delle opere che contiene. Ritengo che sia arrivato il momento di uscire da questa mistificazione, sfruttando l’occasione che di  qui a poco,il museo dovrà ospitare, a quanto è dato sapere, una quarantina di opere donate alla cittadinanza da un altro Artista compaesano, Mario Vasta,la cui attività artistica, ha trovato un giusto riconoscimento in campo nazionale. Un’occasione peraltro che arricchisce la portata culturale del museo, che esalta due Artisti, maestro e alunno, che la vita ha accomunato, non soltanto a scuola, ma nella vita e nell’arte.