“Noi padri siamo tutti sulla stessa barca”
Lo sfogo di un amico, talvolta, ti costringe a condividerne l’amarezza, perché primo o poi ti accomuna lo steso destino. Ecco perché vale la pena di raccontarlo. “Ieri l’altro, mia figlia, diciotto anni appena compiuti, mi ha afferrato la mano e conducendomi all’ombra di un’albizia julibrissin, che abbiamo in giardino, mi ha fatto il seguente ragionamento”.“Senti, babbo. Voi adulti con i vostri discorsi, la TV con i suoi reportages, la carta stampata con i suoi servizi ci avete imbottito la testa che per noi giovani il futuro non è roseo: mancanza di lavoro, precarietà, una pensione da fame, assenza di valori, una famiglia di solito a tempo e altre pregevoli chicche su cui sorvolo. Una “chiavica”, in sostanza. Ci avete ripetuto che la laurea è “un pezzo di carta”, meno utile della stessa carta d’identità. Con i vostri pregiudizi ci state facendo odiare persino la scuola, che noi giovani consideravamo un passatempo da trascorrere tra spinelli, toccate di sedere e palpazione delle palle di qualche professore. In una parola ci avete tolto lo sfizio di vivere la nostra giovinezza. Ti confesso, perciò, caro babbo, che non intendo continuare negli studi. Mi sento del resto anche fortunata, perché tu e mamma avete messo ogni cosa al posto giusto nel mio corpo, al quale non è mancata anche una pennellata della Divina Provvidenza. Ho deciso pertanto di dedicarmi a “Affari tuoi”, “Cultura moderna”, “L’eredità”, “Il milionario”, “Uno contro cento”, perché alla fine anche a me toccherà di aprire “un pacco” e vincere 500 mila euro, una somma che tu, caro babbo, non hai mai visto in vita tua. Tenterò pure la strada della velina e se dovesse andar male proverò “a farmi” un calciatore. Anzi, “ora che ci sono” cerca di fare capire a Nicola, tuo figlio, che è ora di smetterla di fare lo sgobbone a scuola, tanto non servirà a niente nella vita. “Mentre mia figlia, all’ombra dell’albizia julibrissin, mi diceva tutto questo, i miei occhi di padre “scivolavano” sul suo viso, sempre più lontano, fino a farlo diventare piccolo, piccolo, come se avessi inforcato un binocolo dalla parte sbagliata. Un pensiero fisso mi arrovellava il cervello, mentre le sue parole andavano in dissolvenza. A pensarci bene, mia figlia fin da piccola mi aveva sempre chiamato “babbo”. Non riuscivo a capire, ora, se questo suo modo di rivolgersi a me era dovuto a una forma d’allergia congenita ai francesismi o perché aveva avuto l’intuito profetico che io non avrei capito nulla della vita”, babbo (scemo), come lei mi vedeva.“Fatti coraggio”, fu la mia risposta al suo racconto, “in fondo, noi padri, siamo tutti sulla stessa barca”, mentre un groppo mi saltellava in gola
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