L’olmo e la vite.
L’olmo mal
sopportava la vite, che gli stava accanto, prostrata ai suoi piedi. La vedeva,
striminzita e insignificante, forse anche insolente. Non una parola, né uno
sguardo. Solo nelle giornate uggiose, immerso nel silenzio di un orizzonte
grigio e nebbioso, vedendo la pioggia cadere, riusciva a dialogare, per
soddisfare il suo narcisismo, ora che la sua maestosa bellezza non poteva ad
alcuno mostrare. Nel resto dei giorni la copriva d’ombra e d’insulti, per farla
apparire piccina e obbediente. La vite non reagiva a tanta arroganza. Ricordava
all’olmo, con un leggero respiro, che la sua presenza, così vicina, serviva a
esaltare la sua maestosa chioma. L’olmo faceva spallucce e con lo sguardo
difettivo dell’Io, quasi ignorandola, rispondeva che aveva ben altri meriti di
cui vantarsi. Diceva che sotto la sua chioma aveva ristorato oltre cento
cavalieri dalla calura, come in quell’epica battaglia, che la storia ricorda. “Io
non mi posso fregiare di siffatto merito”, rispondeva la vite, “ma spesso ho
dissetato, col mio dolce nettare, qualche viandante smarrito e affamato”. Ne
era passato di tempo da questi discorsi pieni d’accuse e rancori. Ora la vite
da barbatella, era diventata una giovane rigogliosa pianta, che avvertiva
dentro di se il vento del tormento, che il cuore le riscaldava, come una
donzella che aveva scoperto la maternità e guardava con rinnovato interesse
quell’olmo che le stava accanto. Fu in una tiepida giornata di primavera, quando
il sole lascia il suo letargo invernale, che lei si decise, timida e silenziosa,
ad allungare i suoi tralci, turgidi, come seni gonfi d’umore e in preda a
un'irrefrenabile smania amorosa, stenderli pudicamente, fino al lambire l’ombelico
dell’olmo, per fargli sentire il suo abbraccio lussurioso. All’olmo piaceva
quella vellutata carezza, che avvolgeva le sue membra. Gli procurava un
piacevole tormento, che lo liberava dalla sua insolente superbia. Talvolta
anche tra i sassi nasce un fiore, come da quel cuore di pietra dell’olmo: un
sospirato sodalizio, metamorfosi di una moderna unione, che doveva ispirare
poeti e scrittori. Or saluto la vite che abbraccia l’olmo e non mi chiedo a chi
giovi quel gesto amoroso: se all’umile vite che insegna l’amore o al suo
compagno, che, or rinsavito, con la sua ombra silente, ferma i passi dello
stanco viandante.
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