venerdì 30 luglio 2010

LE FESTE SI EVOLVONO, LE TRADIZIONI CAMBIANO






I tempi cambiano, le feste si rinnovano, la fede si affievolisce. Un tempo, le feste di paese si caratterizzavano per la celebrazione del Santo Patrono, un’occasione sentita ed attesa che costituiva un momento d’aggregazione sociale, con la presenza di celebrazioni religiose, cortei, tridui. della banda, di fuochi pirotecnici, luminarie, momenti di svago e le immancabili specialità locali: calia, zucchero filato, licca-licca, scialacori, trombette e palloncini per i più piccini. Oggi “la fede” è in flessione, la banda è muta, i fuochi non scoppiettano, né scintillano di mille colori, le luminarie sono spente o al massimo “a bassa tensione” e tutto ruota attorno a “Santo Stomaco”, un Patrono onnipresente, che ha omologato qualsiasi festa che si celebra e si rinnova con maccheronate, salsicciate, pane condito, “cacocciuli arrustuti” ed in genere tutto ciò che stimola o stuzzica l’appetito. Quando la fede non bussa alla porta, si fa entrare dalla finestra, con sagre gastronomiche, specialità locali e quant’altro può interessare “la gola”, una delle poche “divinità” a resistere, in un imperante paganesimo consumistico che ha soppiantato il credo autenticamente religioso.
L’importate è tenere alto il vessillo culinario, una bandiera che non tramonta mai. L’avevano capito secoli or sono i Borboni che il popolo sapevano “prender per la gola” in tutti i sensi con le fatidiche tre effe: feste, farina e forche. Cosa è cambiato da allora? Poco o niente. Le feste continuano, nel senso borbonico dell’espressione, con sagre gastronomiche, nelle quali la farina è l’elemento essenziale, le forche sono sui giornali tutti giorni, sostituite da mezzi più civili e moderni, come retate e arresti. L’unica a soffrire è la fede che, quando la pancia è piena, non se ne sente alcun bisogno. Salvo ad invocarla quando le traversie individuali o sociali incombono. Una forma di discrezione umana, una sapiente condotta opportunistica che l’uomo sfodera a suo piacimento, rivolgendosi alla Divinità nel momento del bisogno,
Le ricorrenze religiose, condite con sagre di tutti i tipi, ancora una volta sono rimaste il momento migliore per rinsaldare questo sacro vincolo che con “Santo Stomaco” trova il suo momento più culminante e celebrativo, perché quando la pancia gode, anche lo spirito si rinnova e con essa la fede.
Pubblicato su La Sicilia il 30.07.2010
Saro Pafumi

mercoledì 28 luglio 2010

UN MALESSERE MODERNO





Sarà pur vero che i consumi sono in diminuzione; che molte famiglie, a causa della crisi economica, sono costrette a rinunziare a generi di prima necessità, alimentari compresi, ma a ben guardare in giro le impressioni sono diametralmente opposte. Si vedono sopratutto giovani, d’ambo i sessi, andare in giro, specie in questo periodo estivo, in cui l’abbigliamento nasconde poco e male le forme corporee, facendo sfoggio di deretani al cui confronto “er cupolone “ impallidisce. Non sono da meno pingui pancioni che se si avesse cura di girare di 180 gradi la testa di chi li ostenta ben si confonderebbero con la parte posteriore del corpo. Per non parlare dei cuscinetti adiposi sui fianchi di certe fanciulle, resi ancor più visibili dall’uso dei pantaloni a vita bassa, da confondersi con i parabordi di barche da diporto.
E’ certamente vero che in alcuni casi trattasi d’obesità, dovuta a qualche disfunzione, ma nella maggior parte dei casi la cattiva o troppa alimentazione n’è la causa.
Una sana e corretta alimentazione farebbe piazza pulita di certe visioni sconce, ma mancano la cultura e la volontà di perseguirla specie da parte dei genitori che sulla salute dei minori in particolar modo potrebbero e dovrebbero intervenire. Avviene invece che molti considerano la grassezza sintomo di buona salute, ostinandosi a credere che certa floridezza femminea o mascolina attira anziché respinge. Mi diceva una donna anziana che della sua magrezza s’era fatta una malattia: la donna è interessante “quannu c’è chi pigghiari e chi lassari” che tradotto in termini linguistici accettabili è come dire che la donna deve essere moderatamente formosa. Un concetto “giunonico”sul quale si puo’ essere d’accordo a condizione che la formosità non straripi nella pinguedine che è il rovescio della florida avvenenza. Come al solito “in medio stat virtus”, una condizione d’equilibrio, difficile da raggiungere in ogni manifestazione di vita.
Pubblicato su La Sicilia il 28/07/2010 Saro Pafumi

venerdì 23 luglio 2010

RANDAGISMO, UN TERMINE DA AGGIORNARE




Ci risiamo. Con l’avvento del periodo estivo si ripiomba nell’incubo di sempre: l’abbandono del migliore amico dell’uomo, il cane. Un malcostume che trova la sua radice nell’egoismo umano, ma più propriamente nel consumismo, perché il cane da migliore amico diventa un prodotto di cui disfarsi, allorché diventa un problema: dove lasciarlo, quando si va in ferie. La soluzione più opportuna è, come al solito, la più banale, la più semplicistica, la più egoistica, la meno dispendiosa, ma insieme la più criminale: l’abbandono per strada. In tal modo si fomenta il randagismo, un’autentica piaga della società civile (?) d’oggi.
Il termine “randagio” è usato, secondo il dizionario, per un animale che vaga senza padrone. Il termine, però, andrebbe aggiornato per indicare un fenomeno un po’ più complesso come il comportamento di chi il fenomeno fomenta, agevola o semplicemente ignora.
Nel passato ogni Comune aveva tra il personale chi era preposto a tale compito ed in genere chi se ne occupava perdeva quasi il suo cognome d’origine per essere chiamato in gergo popolare “ u ‘gnaccacani ”. Munito di un’asta rigida, sormontata da un cerchio con catena, girovagava per le strade del paese e……pataffuti, il cappio si stringeva al collo del randagio intercettato.
Seguiva poi una trafila burocratica e se nell’arco di un mese nessuno andava al Comune a rivendicarne la proprietà, la sorte di quel cane era segnata.
Oggi “i ‘ngnaccacani” sono letteralmente scomparsi, i randagi abbondano, come abbondano i “padroni” che del cane si disfanno e i sindaci che il fenomeno non affrontano.
Poiché i casi tragici in quest’ambito non mancano, forse sarebbe il caso che le amministrazioni comunali, alle quali è attribuito il compito di combattere il randagismo se ne occupassero.
In caso contrario sarebbe opportuno che il dizionario aggiornasse il significato del termine “randagio” facendovi rientrare chi per legge abbandona il cane o chi deve combattere questa triste piaga ed omette di farlo. Chissà, metaforicamente parlando, quanti infedeli padroni di cani e sindaci si vedrebbero col cappio al collo.
Pubblicato su La Sicilia il 24.07.2010
Saro Pafumi

martedì 20 luglio 2010

LE FERIE DEI POLITICI, UN TOCCASANA PER I CITTADINI

Se in questo periodo andate in un qualsiasi ufficio a presentare una pratica, l’impiegato dopo avervi osservato da capo a piedi, come se apparteneste ad un altro pianeta, con le movenze di chi vive un disagio psicomotorio vi preannunzia che la pratica rimarrà inevasa fin dopo le ferie, perché, è notorio, questo è il periodo in cui l’uomo-impiegato entra in letargo per svegliarsi confuso e tramortito alla fine del periodo feriale che, di solito, coincide con la fine di settembre. Personalmente da anni salto a piè pari i due mesi estivi di luglio e agosto, anzi addirittura ho eliminato i fogli dal calendario, per non avere la tentazione di presentare qualche pratica. In questo periodo preferiale stranamente la politica entra in fibrillazione, deliziandoci ogni giorno delle proprie stramezze. Non sarebbe conveniente, salutare e giudizioso che anche la nobile arte della politica entrasse in letargo, come la classe impiegatizia, risparmiandoci quotidianamente la solita scena da avanspettacolo fatta di denunzie, richieste di dimissioni, interpellanze, ecc. .Il riposo fa bene alla salute. Il silenzio e la mancanza di sproloquio ancor di più.
Sono sicuro che la mancanza dei politici e della politica in generale per due mesi all’anno sia rigenerativa non solo per la classe politica stessa, ma anche per i cittadini.
Se una pratica può rimanere sospesa per due mesi e oltre all, anno in coincidenza del letargo impiegatizio, non è il caso che questa regola valesse pure per la verbosità politica, che tra le tante attività umane è la meno richiesta?
Le ferie talvolta sono una iattura per chi ne subisce le conseguenze, un toccasana per chi le gode, ma possono essere una vera provvidenza per l’assenza di certi personaggi politici.
Pubblicato su La Sicilia il 21.07.2010
. Saro Pafumi

lunedì 19 luglio 2010

QUI LA NATURA E' PROTETTA

Un turista incontrato per caso mi chiedeva cosa volessero significare i tanti cartelli collocati nel parco dell’Etna sui quali ben visibile spiccava la scritta: “ Qui la natura è protetta”, se cumuli di rifiuti erano sparsi qua e là. Non nascondo che ho tardato a dargli una risposta, perché il mio imbarazzo sovrastava i rifiuti stessi tra i quali era sepolta la mia dignità di cittadino di questa terra. Cercavo com’è nostra abitudine, quando mancano le giustificazioni a sostegno, di sorvolare sull’argomento, quand’è che una mandria di vacche ci attorniò quasi a volere anch’essa partecipare alla discussione, come fanno gli umani, spinti dalla curiosità di sapere, Approfittai di quella (per noi) familiare rassegnata presenza, per tentare di dare una plausibile giustificazione a quei cartelli, ma soprattutto al termine “natura”. Così, col piglio di chi vuol dare il meglio di se stesso, provai a spiegargli che “la natura” è l’insieme degli esseri viventi e delle cose “il creato” e come tale opera di Dio “mondezza e vacche comprese”. “Non possiamo, noi umani, separare il superfluo, dal necessario; il vegetale, dall’animale; l’ordine, dal caos; la giustizia, dall’iniquità; la generosità, dall’avarizia; la mondezza, dalla pulizia; le vacche dalle persone; piuttosto, cerchiamo di conviverci… “L’ordine, la disciplina, la pulizia”, aggiunsi, “sono concetti egoistici e personali che collidono con chi non li osserva o non li fa osservare. Non c’è traccia nei dieci comandamenti, perché non sono “ordini” ma “convenzioni sociali” che ogni popolo elabora a suo piacimento” “ Ma non avverte il fetore o l’offesa alla vista che questi cumuli d’immondizia emanano, in contrasto con le gialle e odorose ginestre fiorite in questa stagione?”provò ad obiettare il turista, per nulla convinto delle mie tesi. “Vede”, aggiunsi, “Lei esalta il bello e disprezza il brutto, apprezza il profumo e disdegna il puzzo, ma se non disponesse di un confronto tra due diversità, non potrebbe esprimere un giudizio di valore”. Se ne ritorni a casa portando con sé quanto di bello ha trovato in questa nostra isola. La monnezza, le vacche, l’indisciplina le lasci a noi convinti che con loro si può convivere. Degli uomini che ci abitano vorremmo privarci, ma il Buon Dio è alla ricerca di un sito dove accoglierli”.
“Buon giorno Padre” pronunziò con naturale gentilezza il turista incontrato per caso, convinto che io appartenessi a qualche sconosciuto, singolare ordine religioso. Salutandolo gli porsi un racemo di odorosa ginestra e aggiunsi: Questo è Sicilia, il resto è siciliano, se ne ricordi!”.
Pubblicato su La Sicilia il 17.07.2010
Saro Pafumi

venerdì 2 luglio 2010

I discorsi da bar

Al bar, si sa, gli argomenti sui quali discutere sono sempre gli stessi: lo sport. l’economia, la politica. archiviato quello sulle donne che ad una certa età è patetico. Di questi tempi l’argomento che tiene banco è lo sport e i commenti sono i più vari. A sentire quelli che di calcio se ne intendono, nessuno dei presenti ai campionati del mondo era degno di stare in campo. Del resto certe sentenze sono scontate: quando la palla non entra in porta, la colpa non è certo degli spettatori, Se il povero Lippi dovesse ascoltare i consigli dei teleutenti, quasi tutti allenatori per vocazione, i cambi sul campo di gioco dovrebbero avvenire al ritmo di uno al secondo, il che significa che l’allenatore della nazionale dovrebbe avere a disposizione i calciatori di tutte le squadre italiane. Seguo la disputa sportiva, ma non mi appassiono più di tanto, perché se mi chiedete consigli di calcio dovete spiegarmi prima perchè il pallone è rotondo. Archiviata la polemica sportiva con la figuraccia dell’Italia, sulla quale è meglio sorvolare per carità di patria, si passa all’economia. Qui i pareri sono più concordi. Quasi tutti siamo d’accordo che le tasse sono troppe, gli stipendi non adeguati, le pensioni da fame. E quasi tutti, caso più unico che raro d’unità d’Italia, abbiamo anche la ricetta come sollevare l’economia: far pagare le tasse ai ricchi e a quelli che non le pagano, che sostanzialmente significa “agli altri”. Quando si tocca il tasto dell’evasione, il discorso si fa più serio, perché in quest’ambito ci guardiamo tutti con sospetto, perché sotto-sotto nessuno è certo dell’altro. Meglio sorvolare e passare alla politica. “Il qualunquismo” è il vero mattatore della disputa. Non si salva nessuno o quasi. Col solito distinguo: chi ha il cuore a sinistra salva qualcuno del suo orientamento, quello che lo ha a destra, per bilanciare, fa lo stesso. In un contesto dialettico così fluido e personale la soluzione migliore, come al solito, la suggerisce l’ultimo arrivato: “ Io” dice, agli astanti, “introdurrei in politica “la raccolta differenziata”, sperando di riuscire ad isolare il disonesto dall’onesto, l’avido dal parsimonioso, il competente dall’incompetente”
“L’idea non è malvagia”, provo ad obiettare, “però resta il problema di trovare il sito di stoccaggio dove raccogliere la parte da scartare” E con questa battuta ci salutiamo, amici come e più di prima.
Pubblicato su La Sicilia il 02/07/2010
Saro Pafumi