lunedì 25 giugno 2012

I servizi postali di Linguaglossa

S’incontra una certa difficoltà a trovare l’aggettivo più appropriato per definire i locali dove sono ubicati i servizi postali a Linguaglossa, anche se nelle altre località la situazione è pressoché analoga.  Definirli uffici pubblici suona offesa, in primo luogo, agli impiegati, costretti a lavorare in locali angusti, in cui lo spazio è un concetto astratto, estraneo ai canoni civili; ai cittadini, richiamati dalla necessità d’incassare la misera pensione, assiepati in un miscuglio di teste, braccia, gambe ove la massa umana informe sovrasta e annulla l’idea, sia pure approssimativa di persona umana. Se si trattasse di locali adibiti a ospitare animali la legge richiederebbe parametri minimi da rispettare: ampiezza, areazione, servizi igienici. Nel caso di uffici postali, destinatiti ad accogliere persone, anziani in  massima parte, tali parametri sono, paradossalmente,  sconosciuti, se si pensa che non c’è nemmeno una sedia sulla quale appoggiarsi. Ciò che al privato cittadino lo Stato impone, clamorosamente lo disattende in proprio. Le autorità che detti parametri sono chiamati a fare rispettare sono distratti, i sindacati ai quali spetta il compito di vigilare sulla qualità delle condizioni lavorative degli associali sono latitanti. L’interesse dei lavoratori non si tutela solo con legittime rivendicazioni salariali e di orario, ma principalmente difendendo la qualità della vita di chi nel proprio ambito lavorativo è costretto a muoversi. I cittadini di converso, non sono masse informi, ma esigono rispetto della propria individualità. Nei locali in questione manca il minimo indispensabile: spazio, areazione turnazione, risolvibile con un elimina code il cui costo, udite, udite, non supera i 200 euro. Esigenze di bilancio impongono severe economie, ma quando sui giornali si leggono gli annuali resoconti, il reddito supera ogni più ottimistica previsione, Il tutto sulla pelle degli impiegati e dei cittadini, quest’ultimi, per intenderci, da 500 euro al mese.
Saro Pafumi

mercoledì 20 giugno 2012

Studiare la storia del proprio paese

Nelle scuole si da spazio allo studio della storia, ma quasi mai si approfondisce la storia della cittadina in cui si è nati o si abita. E’ un paradosso del nostro sistema scolastico, che il buon senso di chi è preposto all’insegnamento della storia farebbe bene a colmare. Nei piccoli paesi raramente succede qualcosa d’importante, da passare alla storia, perché quella dei piccoli centri urbani è una quotidianità spicciola, che poco alla volta cambia il volto del paese per diventare storia, senza che l’opinione pubblica se ne accorga. Sarebbe interessante, per esempio, conoscere chi si prodigò perché una piazza sorgesse o fosse eretto un monumento o costruito un’opera, contribuendo a impreziosire l’aspetto urbanistico della propria città, arricchendola di valori. Si farebbe opera meritoria alla storia cittadina e al futuro delle giovani generazioni. La vita di un pase si costruisce giorno dopo giorno, mettendo un mattone sopra l’altro, fino a formare l’architrave di una storia da tramandare. Una piazza, per esempio, non è solo un insieme di alberi, viali, panchine, lampioni, aiuole, ma è formata essenzialmente da idee, dibattiti, progetti, lavori in cui la parte culturale è la più preponderante. I primi col tempo possono trasformarsi o perire, le idee non muoiono mai. La storia serve a questo: a tramandare il ricordo di uomini, opere e azioni umane.Saro Pafumi

sabato 16 giugno 2012

Com'è diventato difficile bruciare le stoppie

Di recente non si sa se per effetto di una nuova normativa o per l’interpretazione di una già esistente bruciare storpie in campagna non è più possibile. Per il passato ciò era ammissibile a condizione che si osservassero alcune condizione temporali e si usasse il buon senso. Qualcosa è cambiato per effetto di chi non si sa. Perché qui da noi le leggi, le circolari, le interpretazioni vengono in punta di piedi, con discrezione. Così ora oltre alle tasse da pagare, i lavori da eseguire, la speranza del raccolto e la fortuna di vendere i prodotti, c’è anche il problema di smaltire i rifiuti legnosi che provengono dalle varie potature degli alberi. Che fare? Un vero rompicapo. Secondo le ultime normative, tali scarti devono essere bruciati in apposite fosse scavate nella proprietà o triturate e lasciate marcire come concime biologico. Nell’intento del legislatore la normativa non fa una grinza, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare o per meglio la tasca dell’agricoltore. Scavare una fossa costa e poi quante fosse occorre scavare se la proprietà è vasta e la raccolta dispendiosa? Triturare? Se fosse carne basterebbe un tritacarne, ma trattandosi di scarti legnosi il macchinario avrebbe costi proibitivi. Certamente gli incendi spesso dolosi che annualmente s’innescano sono una calamità, ma sarebbe più giusto definire calamità coloro che gli incendi appiccano. Intanto ciascuno deve industriarsi a come smaltire questi scarti legnosi. La tentazione c’è ed è la speranza di vendere, confidando nel “merlo di turno” che compra senza sapere a cosa va incontro, oppure abbandonare tutto. Sarà la natura a fare da tritatutto. Ha ragione quel contadino che parlando della proprietà terriera dice. “ Possedere, oggi, una campagna è come avere una malattia in famiglia” “Una malattia cronica” aggiungo di mio.Saro Pafumi

domenica 3 giugno 2012

Un personale inno in memoria di Turi Currenti

UN PERSONALE INNO IN MEMORIA DI TURI CURRENTI E’ insolito che sul blog si partecipi la tristezza per la morte di un amico. Può sorprendere, ma quando la tristezza è collettiva, abbraccia un’intera comunità, essa diventa un atto corale d’amore. “Turi” non usava forbici e rasoio per esercitare la sua attività, che restava un hobby, anche se le circostanze della vita gli avevano messo in mano gli arnesi di Figaro. La sua vera passione era la politica, che condivideva quotidianamente con i suoi clienti, entro i limiti di un civile confronto, di cui era maestro di vita e con il tocco di chi tratta la politica come servizio per gli altri. Le foto che da sempre ornavano il suo salone, Lenin, Che Guevara, non erano simboli bolscevichi o rivoluzionari. Erano utopie, che Turi coltivava nel cuore. La sua visione “francescana” dell’interesse cittadino lo proiettava, sia pure con la mitezza di un’ideologia di parte, oltre ogni confine. Tra una sforbiciata e l’altra non erano i capelli a cadere, ma le barriere ideologiche tra Turi e i suoi clienti, perché la visione della politica, quand’è pura e spoglia di ogni radicalismo esasperato o interesse di parte, unisce e affratella. Quando “a fine servizio”, con l’ultima spazzolata, la cortese diatriba politica aveva termine, il cliente, umile o no che fosse, lasciava “lo scranno” con le ide traballanti, perché le argomentazioni Turi le porgeva con grazia, con l’intimo tormento di chi è cosciente che anche le sue idee erano opinioni. E Turi aveva coscienza di questi umani limiti, sforzandosi di credere che in ogni uomo si annidasse ciò che Lui sognava: l’onestà, che aveva perseguito con impegno e dedizione nella sua breve esperienza politica per il bene della Sua Linguaglossa. Avevamo tutti sperato in un miracolo, ma nessuno aveva previsto il miracolo che Tu ci hai inaspettatamente riservato: la donazione dei Tuoi organi di cui sei e rimarrai “l’apripista” di questa comunità che Ti ha sempre amato. La Tua vita è stata lieve, come il tono della Tua voce, la carezza del tuo sguardo, come lieve, immagino, è la salita in Cielo dei puri di cuore. Turi, oggi ho smesso di piangerTi, sapendoti vicino a Colui che assieme a Tuo padre Ti ha forgiato. Invidio San Pietro che Ti ha scelto per sfoltire la sua bianca barba e gli Angeli che, felici, Ti circondano. Resti nel mio cuore, Turi, e in quello di tutti. Ciao! Saro Pafumi

venerdì 1 giugno 2012

Sulla Mareneve "misteriose" macchie d'olio sull'asfalto


"Macchie di olio" sulla carreggiata segnalavano cartelli stradali sabato e domenica sulla Mareneve.(Linguaglossa Piano Provenzana). Per chiarire il misterioso incidente che misterioso non è, occorre fornire una corretta informazione. Sull’arteria in questione, da tempo, troppo tempo, è insorto un profondo malcontento sul comportamento dei motociclisti che specialmente il sabato e la domenica sono soliti scorrazzare a loro piacimento. I morti per l’alta e spericolata guida, ormai non si contano, ma quel che è peggio, tali comportamenti mettono a rischio anche l’incolumità dei molti automobilisti  italiani e stranieri che vi transitano. Le poche, saltuarie pattuglie della polizia stradale o dei carabinieri che controllano il traffico non hanno sortito effetti incoraggianti, se è vero che i motociclisti continuano nella loro condotta “suicida”. Qualche frequentatore assiduo ha pensato bene, con una certa dose d’incoscienza, di farsi giustizia da sé, spargendo qua e là dell’olio lungo la carreggiata, con l’intento di moderare la velocità di questi autentici bolidi. Sull’argomento il tema è stato ampiamente trattato su questa rubrica anche dal sottoscritto, ma come si vede il problema non è stato risolto, anzi per certi versi, mostra chiari sintomi di aggravamento. Ricorrere alla giustizia “fai da te” è un criterio alquanto arcaico di risolvere il problema, ma di fronte alla difficoltà di porre fine alla questione il rimedio è peggiore del male. Anzi abbiamo inventato un orinale sistema di controllo stradale. “La vigilanza privata” I motociclisti sono avvertiti e anche le Autorità che dovranno raddoppiare i loro controlli, perché non ci scappi l’ennesimo morto, stavolta “procurato”. Pubblicata su La Sicilia il 01.06.2012Saro Pafumi

A Napoli per i vicoli di Toledo

“ Signurì putit(e) darme cinch cent (e)sime, c’aggia jucà o lot ,pecché stanot(e) aggiu sugnatu mariteme ?”E ‘ una delle tante trovate che le popolane di Napoli escogitano per sbarcare il lunario. Non è questua questo modo di porgersi, come può apparire, ma pura teatralità, palcoscenico per i tormentati vicoli di Toledo dove ogni uomo, donna , bambino dismette i panni del cittadino per rappresentare l’immortalità del personaggio parodiato dal genio creativo di Eduardo. Scene di autentica quotidianità nelle quali la vita è intreccio di tragedia, commedia farsa, dove O’ Malomm di turno, votato allo scippo, volge le spalle all’edicola votiva come fondale scenico in una sapiente commistione rappresentativa di profanazione civica e sacralità partenopea, binomio inscindibile dell’anima di Napoli. Donare un euro per la rappresentazione dal vivo di una scena scarpettiana non è azione insolita a Napoli, Il gesto di chi dona, a Napoli non è quasi mai obolo, ma consapevolezza di stare al gioco, come “spalla”, “vittima” o “compare” di turno. Per un attimo tra i vicoli di Toledo “il cittadino” è esso stesso attore confuso tra la moltitudine dei personaggi presenti che come nelle tragedie greche cantano i loro ditirambi fatti di parole incomprensibili, preghiere, imprecazioni, suppliche, perché la vita cittadina a Napoli non è mai individualità, ma espressione corale di partecipazione civica. Ritornare a Napoli per chi, come me, vi ha trascorso un arco della sua vita è come andare a Lourdes per rinvigorire la fede o cercare il miracolo, perché a Napoli anche i miracoli accadono, non importa se veri o costruiti dalla fantasia popolare. L’animo popolaresco lì è magia, fantasia, creatività. Importante è esserci e partecipare e a Napoli il ruolo non si sceglie:attore o vittima, nessuno recita a soggetto. Saro Pafumi