martedì 31 gennaio 2012

Io non ci sto


Statene certi, non appena saremo passati a miglior vita, qualunque siamo le colpe commesse, tutto ci sarà perdonato su questa terra. Basta vedere passare un funerale, apprendere la morte di qualcuno, perché i nostri giudizi, prima severi e intransigenti sul defunto, subiscano una conversione. Una resipiscenza postuma che tutto condona o sana. E’ bastato che Oscar Luigi Scalfaro, emerito e discusso presidente della Repubblica ci lasciasse, perché l’intero mondo politico, compresa la parte che lo aveva criticato e osteggiato, tessesse le sue doti. Del resto le lapidi nei cimiteri sono piene di elogi dei defunti: uomo integerrimo, sposo fedele, padre esemplare, gli aggettivi più gettonati, anche se in vita era stato tutt’altra cosa. E’ una “promozione”, se volete un’autoassoluzione, che l’uomo riserva a se stesso, un’anticipazione della misericordia divina se e in quanto ci sarà. La motivazione psicologica di siffatta postuma generosità, verso persone non meritevoli di elogi si riduce nella triste, impietosa constatazione: “ u mortu è mortu, paci all’anima sua” che tradotto nel nostro intimo inconfessabile linguaggio vuol dire: “ Era ora! meglio così” Personalmente detesto questa diffusa ipocrisia sociale e salvo casi di effettivo, concreto e pubblico pentimento da parte del “trapassato” se un individuo è stato “ fitusu” in vita, tale, per me, rimane dopo la sua morte, salvo s’intende il giudizio riservato alla Provvidenza, sul quale per ragioni d’incompetenza non mi esprimo. A questa diffusa ipocrisia, per dirla alla Scalfaro: “ Io non ci sto!”
Pubblicata su La Sicilia il 01.02.2012. Saro Pafumi

domenica 29 gennaio 2012

Benzinai, esultate

Benzinai, esultate! Col decreto sulle liberalizzazioni potete vendere anche panini. Basta munirsi di affettatrice, “un fantale” e ‘na burritta ianca”, una buona scorta di panini e chiedere all’utente: “Con piombo o senza?” Ma le innovazioni non finiscono qui. Si possono vendere anche “pastigliaggi” che per chi non lo sapesse sono “ i licca-licca e “le stira cca lenta”. Vi pare poco? Se la situazione dei carburanti, con i prezzi alle stelle, non fosse al limite della sopportazione, ci sarebbe da sganasciarsi dalle risa. Povero Governo, stretto tra l’incudine dei petrolieri e le proteste degli automobilisti, ecco l’originale trovata per aiutare la concorrenza: i panini. Un pieno alla macchina e uno allo stomaco per sedare i morsi della fame. Qualcuno a modo suo ha anticipato la liberalizzazione del settore: ha fatto una buona scorta di preservativi da vendere, già, peraltro, liberalizzati anche dalla Santa Sede. Come se ciò non bastasse, il Governo ha concesso ai gestori, che sono anche proprietari degli impianti, di potersi rifornire da diverse marche, il che equivale a scoprire l’acqua calda, perché il gestore “autonomo” questa facoltà l’ha per legge, basta non firmare contratti di fornitura in esclusiva. Anche sul fronte delle assicurazioni la rivoluzione è dietro l’angolo: chieder e ottenere tre preventivi. Io l’ho già fatto. Tre preventivi, tre diversi risultati: seicento, seicento dieci e seicento venti. Un bel risparmio non c’è che dire. La mia scelta l’ho fatta: ho venduto la macchina. Circolo con l’auto di un mio parente che ha la targa Svizzera, dove la stessa targa si può trasferire su altre auto. Una soluzione che solo gli Svizzeri hanno avuto l’idea di applicare per primi e pare che abbiano registrato il brevetto, per cui in Italia, anche volendo, non si può introdurre la stessa normativa. Purtroppo arriviamo sempre ultimi, in compenso siamo primi in quanto a prezzi di carburanti e tasse.
Pubblicata su La Sicilia il 29.01.2012. Saro Pafumi

venerdì 27 gennaio 2012

Diritto di sciopero e disuguaglianze normative.

La Sicilia fa parte dell’Italia? A vedere com’è stato gestito dalle Autorità lo sciopero dei tir in Sicilia sembrerebbe di no. E’ bastato che la protesta si estendesse sul Raccordo anulare di Roma e nell’aria lombarda da fare entrare in fibrillazione non solo le Prefetture italiane, ma anche la Commissione Europea. Questa condotta è la conferma di quanti lamentano che la Sicilia soffre di un elevato deficit di attenzione da parte delle Autorità nazionali e anche, c’è da giurare, di quelle locali. La causa è fin troppo evidente. La Sicilia, essendo una regione confinata ai margini dell’Italia e ancor più dell’Europa è come quel “ripostiglio abitativo” ove si depositano le cose inservibili o in esubero: disoccupazione, insicurezza, regresso, malavita organizzata e quant’altro di negativo la nazione produce. Noi siciliani e quanti ci governano siamo talmente abituati a convivere in tali condizioni, per cui ogni causa che le produce non solo non ci tange, anzi ci esalta. Nel caos produciamo il meglio di noi stessi, perché ci permette di esternare, liberando ansie e pessimismo, la confusione mentale che ci portiamo addosso. Così, lo sciopero diventa un impazzimento generale, un ribellismo, che, però, non diventa mai ribellione, perché il freno atavico della sottomissione, dell’apatia, dell’indifferenza, dell’assuefazione non ci fanno andare oltre una sterile protesta per di più autolesionistica. Le Autorità isolane? Anziché vigilare, indirizzare, correggere, modificare sono relitti sospinti dall’onda lunga della protesta, senza un approdo, né certo, né probabile. Una malattia che si aggiunge alle tante di cui la Sicilia soffre.
Pubblicato su La Sicilia il 28.01.2012. Saro Pafumi

Le nostre lamentele come il canto dell'allocco.


Ho deciso. Se invitano Celentano a San Remo e gli danno un cachet di 1.2 milioni di euro io boicotto San Remo. Come? Semplice: mi sintonizzo su altri canali. Molti abbiamo il pregevole difetto di incazzarci davanti a certe storture, ma singolarmente non facciamo nulla, dico nulla, per combatterle. E dire che basta un semplice “clic” col telecomando per mandare un efficace messaggio contro queste autentiche porcherie. Le nostre lamentele contro certe diffuse, ingiuste, continue dissipazioni somigliano, purtroppo, al canto dell’allocco il cui suono sordo, lento e lungo fa pensare a persone lente di comprendonio. La nostra società è un bosco in cui “il canto” degli allocchi sovrasta quello delle persone ragionevoli. Perciò da noi le cose non cambiano mai.
Pubblicata su La Sicilia il 27.01.2012. Saro Pafumi

mercoledì 25 gennaio 2012

Ognuno faccia il proprio mestiere

Quando ho appreso che l’incarico di formare il nuovo governo era stato dato al prof. Monti qualche perplessità, a dire il vero m’è sorta, non per disistima verso il personaggio, ma perché ho sempre dato credito al vecchio proverbio: “ Ognuno faccia il proprio mestiere”. Affermo questo con cognizione di causa, perché tutte le volte che ho avuto a che fare con professori, li ho trovati, con le dovute eccezioni, nella vita pratica una vera frana. Questo aneddoto conferma il mio assunto. Un professore che nel suo campo era considerato, a ragione, “un padreterno” una sera lo trovai che cenava a luce di candela, non per ragioni romantiche, ma perché la lampada sulla tavola era spenta. “ Da giorni”, ebbe a precisarmi. “ Gran duol mi prese al cor quando lo’ntesi. Dimmi maestro mio, hai provato lumera a cambiar?” gli chiesi. “ No”, fu la risposta sua”. O tu ch’onori scienza e arte, perché non discerni quel ch’io dico? Poscia che mutata ebbi la lumera, gran luce vidi attorno a noi venire”. In parole povere c’era la lampada fulminata e nessuno della famiglia aveva pensato a questa probabilità. Chi ha le redini in mano del Governo o formula le leggi, professore o scienziato che sia, dovrebbe avere la modestia di riconoscere la propria “ignoranza” in determinati settori della vita pratica che talvolta si traduce in una montagna di sciocchezze legislative come il decreto sulle liberalizzazioni che, di fatto, nulla ha liberalizzato. Del resto c’era d’aspettarselo. L’ideologia politica dell’Italia è autorevolmente riassunta, ieri, da Tomasi di Lampedusa, oggi dal Prof. Monti. “ Senza vento l’aria sarebbe uno stagno putrido, ma anche le ventate risanatrici (leggi: liberalizzazioni) trascinano con sé tante porcherie” E più oltre : “ Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi. Dopo sarà diverso, ma peggiore.” Sembrano parole scritte oggi. A ricordarcele è la politica del Prof. Monti.
Linguaglossa 095/647245. Grazie. Saro Pafumi

Siamo in guerra

Non tutti sanno o pochi percepiscono che siamo in guerra. Una guerra non tradizionale fatta di trincee, bombe e carri armati, ma di spread, pil, articolo diciotto, pseudo liberalizzazioni sotto l’egida di una bandiera con scritto: “Rigore, Sviluppo, Equità”. Il problema è che l’esercito, ossia il popolo combatte (per la sopravvivenza), ma il Comando manca, arranca, in attesa di ordini che dovrebbero venire dal Quartiere Generale di Berlino e dalla Borsa. Delle tre parole scritte sulla bandiera, solo il Rigore è stato attuato, di Sviluppo nemmeno a parlarne, solo “una supposta” che gli Italiani non han gradito. Basta dare una sbirciatina al testo sulle liberalizzazioni che, di fatto, ha liberalizzato quello che era già libero, omettendo di decidere sulle questioni essenziali (Banche, assicurazioni, Compagnie petrolifere), perché quando si tratta d‘incidere su questi poteri, essi non ricorrono ai forconi, cari alla plebe, ma alla “ moral suasion” che, si badi, non è una forma di “persuasione morale”, come si crede, ma un’arma di ricatto caricata a pallettoni imbottiti di sporco denaro. Quanto all’Equità, è un’antica utopia che l’uomo si trascina appresso dalla notte dei tempi che l’evoluzione linguistica ha mutato in Equitalia, che non è una virtù, ma l’emblema della sopraffazione, della vessazione, dell’usura. Il prof. Monti con in mano il vessillo tricolore con su scritto “Rigore, Sviluppo, Equità” grida: “ Non toccate il decreto!” dimenticando di consigliare agli Italiani “di toccarsi qualche altra parte”. perché in questa turbolente, difficile, confusa fase economica “gli scongiuri” sono d’obbligo e aggrapparsi a essi è ciò che rimane.
Pubblicata su La Sicilia il 25.01.2012. Saro Pafumi

domenica 22 gennaio 2012

Staffetta scioperistica, l'ultima invenzione.

L’Italia è definita un paese di Santi, poeti e navigatori. Si potrebbe aggiungere che l’Italia, essendo il Paese della lirica, con la sua vasta produzione “operistica”, non poteva non essere anche il Paese della staffetta “scioperistica”, anch’essa un’invenzione. L’Italia, questa Repubblica Anarchica fondata sulla prevaricazione non conosce lo Stato di diritto, se dopo otto giorni di sciopero degli autotrasportatori consente il prosieguo ad altre categorie senza soluzione di continuità. I nostri padri, un tempo scelsero la via dell’emigrazione per fuggire dalla povertà. Oggi si dovrebbe emigrare per evitare l’anarchia. Allora si partiva con la valigia di cartone annodata con lo spago, oggi si dovrebbe emigrare anche a piedi, senza valigia, alla ricerca di una terra promessa, qualunque essa sia. perché quella che calpestiamo tutti i giorni non ci appartiene più. Oggi se c’è un’immagine con la quale rappresentare l’Italia è quella della Costa Concordia spiaggiata sugli scogli dell’Isola del Giglio o le parole sempre attuali del Divin Poeta: ” Ahi! Serva Italia di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di province, ma bordello”.
Pubblicata su La Sicilia il 22.01.2012. Saro Pafumi

sabato 21 gennaio 2012

Riflessioni sul naufragio della Costa Concordia


I numerosi processi pendenti in Italia potrebbero diminuire, dando valenza a quelli mediatici, che, su tutti i fronti, imperversano indisturbati. I servizi televisivi, conditi da giudizi sprezzanti o apprezzamenti di circostanza sui personaggi coinvolti nella vicenda della Costa Concordia, sono la prova che i processi nascono e finiscono prima di ogni indagine istruttoria. Il comandante della Concordia ha avuto già i suoi quindi anni; della sciagura, risponde di concorso colposo la ragazza moldava che stava in plancia o la coppia di signore, una bionda e l’altra bruna (veline veleggianti) in compagnia delle quali il comandante brindava, mentre la nave andava a fondo. Una serie di pettegolezzi, in attesa di riscontri, che nulla aggiungono o tolgono alla responsabilità del comandante, perché in quest’amara, tragica vicenda di certo c’è il naufragio della nave, le cui cause sono ben note. Una certa stizza si prova leggendo la stampa americana che definisce codardo il comandante italiano dimenticando di osservare che il pacchetto di maggioranza è detenuto dal Gruppo americano Carnival Corporation & Pic al quale vanno imputate una serie di leggerezze di cui deve rispondere: la scelta del Comandante, la selezione del personale, i sistemi di sicurezza, la mancanza di un elenco passeggeri negli uffici delle Società e per ultimo la condivisione della prassi dell’inchino all’isola del Giglio ripetutamente osservata anche con il consenso di una parte della Guardia Costiera, ivi compreso “il capitano eroe”, o chi per lui, assurto agli onori della cronaca. In atto siamo solo all’inizio di una difficile istruttoria che col tempo approderà a responsabilità certe, Per il momento “navighiamo a vista”. Anche noi, però come il comandante che accusiamo di abbandono, abbiano lasciato il timone dell’ obiettività, la logica, la serenità, arenandoci sulle secche di pregiudizi, dichiarazioni affrettate, approssimative e /o discordanti. Una vicenda che finisce di essere esclusivamente marinara per diventare sola e unicamente una vicenda "all’italiana”. Pubblicata su La Sicilia il 21.01.2012. Saro Pafumi

giovedì 19 gennaio 2012

I Santi e le offerte votive

Pensavo alla superficialità umana, visitando un santuario, in cui, accanto alla statua del Santo, erano esposte centinaia di offerte votive in argento, rappresentanti le parti guarite del corpo umano, come dono per la grazia ricevuta. Una prassi antichissima. Si parla addirittura del neolitico, anche se a quell’epoca le offerte votive certamente erano pietre o trochi d’albero scolpiti. Vedendo tutte quelle “protesi” esposte, con saccente sciatteria, mi è venuta la voglia d’interrogare il Santo: “ Sei proprio contento di questi argentei orpelli che ti circondano o preferiresti che altra destinazione avessero?” Mi aspettavo che il Santo rispondesse: “ Sarei più contento se tali sforzi fossero fatti per ridurre la fame nel mondo!”. Il Santo ostinatamente zittiva, non saprei se in segno di assenso, secondo la prassi che chi tace acconsente o stizzito per la mia irriguardosa domanda. Fatto sta che continuando a dividere il mio sguardo tra il Santo e gli argentei orpelli, continuavo a chiedermi cosa avrei dovuto offrirgli in segno di gratitudine. Mi riproposi, perciò, di recarmi all’Ufficio postale da dove avrei inviato un’offerta in denaro ai poveri nel mondo, cosa che puntualmente feci, recandomi poscia dal Santo per appendere tra le argentee offerte la mia ricevuta di versamento postale. Non conosco la reazione del Santo, ma immagino quella di chi si è vista recapitare quella modica somma di denaro per il suo sostegno. MI è bastata immaginare quest’ultima; quella del Santo, con tutto rispetto, un po’ meno.
Pubblicata su La Sicilia il 19.1.2012. Saro Pafumi.

lunedì 16 gennaio 2012

Giustizia e civiltà

Il grado di civiltà di un popolo si misura con l’efficienza della giustizia e con il modo con cui essa è amministrata. In Italia su questo fronte siamo messi decisamente male. L’impiego della carcerazione preventiva, per esempio, dovrebbe essere previsto come eccezione e limitato a casi particolari. Al contrario se ne fa un uso decisamente distorto, facendo diventare regola l’eccezione. L’uso delle manette andrebbe fatto in presenza di persone particolarmente pericolose o violente, mai nelle aule giudiziarie nelle quali occorre smantellare quelle orribili gabbie che racchiudono gli imputati in attesa di giudizio. Non sono trasformazioni intese come premio per chi si è macchiato di delitti, ma come segno di rispetto verso noi stessi e la condizione umana. Carcerazione preventiva, manette e gabbie sono i tre principali segni tangibili e manifesti di una cultura medievale della pena. Quanto poi alle condizioni delle carceri andrebbe introdotto il principio della “colpa da custodia“ a carico dello Stato nel caso in cui le condizioni del carcerato oltrepassano i canoni della “giusta detenzione”. Si mobilita l’opinione pubblica perché le galline ovaiole non rimangano ristrette in gabbie anguste; perché l’amico dell’uomo” abbia il suo giusto ruolo, attribuendogli persino il diritto di ereditare; perché gli animali siano banditi, a ragione, dai circhi equestri. Poi inspiegabilmente quest’ondata di sana umanità si arena difronte all’uomo, alla sua sofferenza, alle sue colpe. Che cosa costringe l’uomo a essere più inflessibile con se stesso? La vendetta, la paura, l’autodifesa o l’insieme di questi elementi? E la ragione che spazio occupa in questa corsa al massacro di noi stessi? La pena è la giusta sanzione per una colpa commessa e riconosciuta tale, ciò che si aggiunge è il metro con cui si giudica la civiltà di un popolo. Sotto quest’aspetto, nel nostro Paese c’è da vergognarsi.
Pubblicata su La Sicilia il 16.01.2012. Saro Pafumi

sabato 14 gennaio 2012

Riflessioni sul censimento ISTAT 2011

Se qualcuno riuscirà a convincermi dell’utilità del censimento Istat 2011, giuro che mi farò monaco. Come ogni cittadino al quale è stato recapitato il plico con la richiesta di notizie da trascrivere, ho dato una sbirciatina alle varie domande, giungendo alla conclusione che esse sono quasi tutte reperibili nei Comuni di residenza. Una montagna di fogli inutili che sostanzialmente hanno come risultato di sapere: come ti chiami, dove sei nato, se lavori. A parte naturalmente, circostanza vitale per lo Stato, di conoscere se usi il telefonino e se per caso hai il bagno in casa. La prima sensazione che coglie il comune cittadino non appena ha il plico tra le mani è di sincero sbigottimento. Rispondere ai quesiti appare a prima vista come scalare l’Everest, ma superato il primo impatto, prima di accingersi a compilare il questionario, la domanda nasce spontanea: quanto costa tutto questo a noi cittadini? Una facezia, a fronte dell’enorme debito dello Stato, salvo a pensare subito dopo che il mare è fatto di tante gocce che messe insieme formano un oceano. Nel questionario mi sarei aspettato un cenno sulla pensione/. Silenzio su tutto il fronte. “Meglio non parlare di corda in casa dell’impiccato” avrà pensato colui che ha redatto il questionario, concentrandosi sulle sciocchezze che aiutano a sperperare una montagna di quattrini. Pubblicata su La Sicilia il 13.01.2012. Saro Pafumi

martedì 10 gennaio 2012

Stato, evasione fiscale e cittadini

A sentire Monti, le mani in tasca dei cittadini sono quelle degli evasori. Faccio bene io che in tasca tengo pochi spiccioli. Il problema, però, è come difendersi da Monti che in fatto di tasse ci ha messo col culo a terra. La giustificazione Monti l’ha bella e pronta. Siccome ci sono gli evasori che non pagano le tasse, tocca agli altri pagarne di più. Un sillogismo che non fa una grinza. Che si potrebbe sostituire con un altro sillogismo: Poiché gli evasori non pagano le tasse e lo Stato le chiede a me, io cerco di pagarne il meno possibile. Nell’uno e nell’altro caso, si torna al punto di partenza cioè all’evasione, con l’aggravante che gli evasori raddoppiano. Proprio così, perché c’è l’evasione per diletto e l’evasione per necessità. Nessuno, infatti, riuscirà a convincermi che quello che non pagano gli altri devo farlo io. Oggi la tassazione di un’impresa si aggira intorno al sessanta percento, il che significa che con lo Stato sono socio di minoranza, con la differenza che lavoro, rischi e sacrifici sono a mio totale carico. Poiché questo tipo di “società coatta e sperequata” non mi conviene, cerco di difendermi. Potrei dire allo Stato: “Prenditi la metà dell’utile che realizzo, perché con l’altra metà ci devo vivere io e la mia famiglia”. Da quell’orecchio lo Stato non sente. Socio di maggioranza è e tale vuole restare, perché quei dieci percento che pretende in più da me, non riesce a incassarlo dagli evasori veri. Questo modo di chiedere al mio paese si chiama “pizzo”. Il pizzo è definito: “ Una forma di attività praticata dalla mafia che consiste nel pretendere il versamento di una percentuale sull’incasso da parte dell’imprenditore o negoziante, in cambio di una supposta protezione dell’attività”. Ora sostituite alla parola “ mafia” contenuta nella definizione la parola “Stato” e alla parola “ protezione” “evasione” che lo Stato non riesce a combattere. Dove sta la differenza? La condizione che le accomuna è la totale antigiuridicità della condotta “estorsiva”, si chiami Stato o mafia. Di fronte a questa condizione d’ingiustizia sociale il cittadino si difende e l’arma dell’evasione, cioè della sottrazione di una parte del reddito prodotto diventa una necessità. In questa giungla umana e sociale in cui è difficile distinguere il vero dal falso, la legalità dall’illegalità, la giustizia dall’ingiustizia, lo Stato dalla mafia, ciascuno affila le armi che ha a sua disposizione. E ‘ una condizione tragica di sopravvivenza per non rimanere stritolati da chi è più forte o più inetto. In attesa di tempi migliori, cioè della sconfitta dell’evasione fiscale, rimanere “armati” è un diritto civico.Pubblicata su La Sicilia il 12.01.2012.Saro Pafumi

lunedì 9 gennaio 2012

A Piano Provenzana si scia all'ora di pranzo

Come linguaglossese interessato allo sviluppo del versante dell’Etna Nord proporrei che all’inizio della strada Mareneve che conduce a Piano Provenzana, la Provincia collocasse un cartello ben visibile con scritto. “ In questo versante si scia all’ora di pranzo.”. La difficoltà di raggiungere la stazione sciistica di Piano Provenzana durante il weekend della Befana, le cronache cittadine l’hanno evidenziato, è imputabile alla responsabilità della Provincia che, da sempre, ha considerato questo nostro versante figlio di un dio minore. L’abbandono in cui versa il villaggio Mareneve e le ultime vicende legate al mancato intervento in tempo utile degli spazzaneve sono un’ulteriore prova di questa filosofia dell’abbandono. Contro le avversità della natura Linguaglossa ha fatto ricorso all’intercessione del suo patrono. Sant’Egidio, che in più occasioni ha risparmiato questo nostro territorio dalle devastazioni vulcaniche, ma contro l’incuria della Provincia non ci sono Santi che tengano. La condotta omissiva della Provincia oltre che pregiudizievole per lo sviluppo del versante Nord è oltraggiosa per i numerosi turisti che prediligono questo versante, per i linguaglossesi tutti e in maggior misura per gli operatori turistici che vedono compromessi i loro interessi, purtroppo limitati alla sola stagione sciistica, perché in quella estiva il fascino dell’Etna e del suo vulcano non hanno mai raggiunto un elevato grado d’interesse turistico per l’assenza di una funivia indispensabile al suo razionale sviluppo. C’è da sperare in un “ravvedimento operoso” della Provincia, ma le precedenti esperienze e le premesse dell’anno in corso, non lasciano presagire nulla di positivo, nonostante gli sforzi compiuti per il totale ripristino degli impianti scioviari. Pubblicata su La Sicilia il 08.01.2012 Saro Pafumi

domenica 8 gennaio 2012

Divieto di pascolare nei terreni incendiati. Quando mai.

Verrebbe da ripetere con Dante: “ Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”. Sembra di essere rimasti ai tempi di Dante, se vedendo pascolare le greggi nei terreni colpiti da incendi, non trovano applicazione le leggi che impediscono il pascolo e l’edificabilità per almeno un decennio. Invece….invece gli ovini e i bovini continuano a pascolare tranquillamente. Coloro che devono o dovrebbero vigilare perché ciò non avvenga, imitando gli armenti, non alzano il capo “a rimirar d’intorno”. Inutile chiedere il perché di quest’insana omissione. Vi sentirete rispondere che gli organi preposti al controllo non hanno il catasto aggiornato con le annotazioni dei divieti poco prima ricordati. Così tra omissioni e ritardi passano i dieci anni previsti dalla legge che da impeditiva, si trasforma essa stessa in complice dei comportamenti dolosi. Così l’ignavia dei più spadroneggia, spalleggiata dalla burocrazia che rende inoperose e inattive le stesse leggi. E Dante ci viene ancora una volta in aiuto che gli ignavi pone nell’antinferno definendoli: “Coloro che vissero senza ‘nfamia e senza lodo……fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna”. Non ci resta, allora, che affidarci al buon senso degli animali che, se soli in quest’universo, non commetterebbero di certo le devastazioni che l’inoperosità e la mano dell’uomo producono. Pubblicata su La Sicilia il 08.10.2012. Saro Pafumi

martedì 3 gennaio 2012

Impedito di tornare a casa in auto, salvo.......

Il paradosso è una forma di ragionamento bizzarro. Avviene, di solito, quando la logica entra in corto circuito. il che trasforma la normalità nel rovescio di se stessa. Rimanere vittima del paradosso non capita tutti i giorni, ma quando succede non si sa come uscirne. Ciascuno di noi, credo, ha diritto di fare ritorno a casa, in auto. Ovvio! Ovvio un corno, perché se si mette di mezzo il codice della strada capita che a casa non ci puoi tornare, salvo il rischio di pagare una multa e di vederti decurtare dieci punti della patente. Una multa, i punti? direte. Sì ! Le strisce bianche continue in prossimità d’intersecazioni stradali dovrebbero essere tratteggiate, per consentire la svolta Se il tratteggio manca la striscia è considerata “un muro invalicabile” e se la Polizia sta nei dintorni ti becchi una mula. Poiché per entrare nella mia traversa devo girare a sinistra e la striscia continua me l’impedisce, proseguo fino al paese più vicino e torno a casa, perché al ritorno la traversa si trova sulla mia destra. Chi esegue la segnaletica dovrebbe conoscere il codice della strada, ma il paradosso, ossia il corto circuito mentale glielo impedisce. Poiché per andare a casa devo proseguire fino al paese più vicino per evitare di oltrepassare la striscia continua, ho pensato di vendere casa e trasferirmi altrove. Il problema è che non riesco a vendere la casa, perché nessuno è disponibile a pagare la multa, per andare a casa. Avevo pensato di essere paracadutato, ma, con tutta l’auto, costa troppo. Pubblicata su La Sicilia il 03.01.2012. Saro Pafumi

domenica 1 gennaio 2012

Arrivarono tutti, puntuali, uno dopo l'altro.

Un giorno gli storici lo scriveranno. Arrivarono tutti, puntuali, uno dopo l’altro: il governo Monti, le tasse, il blocco delle pensioni. lo spread, le calamità. A partorirli fu la crisi della politica. E per il popolo fu carestia, peste e avversità. Fu reintrodotta l’Ici che come peste si diffuse rapidamente contagiando contrade, sciare, torrenti. Anche i cimiteri non furono risparmiati. Nessun palmo di terra fu esente, né quello che dava da mangiare, né quello che cannibalizzava la pensione dei contadini. A memoria d’uomo non si ricorda flagello più devastante, se si escludono le dieci piaghe d’Egitto. Il banditore di turno, a qualsiasi ora del giorno e della notte, preceduto da tre rulli di tamburo, scandiva inesorabile: “Ciascuno deve pagare secondo la sua capacità contributiva. Chi evade sarà crocefisso, se non riuscirà a portare in tempo le sue sostanze all’estero”. Anche la Corte Costituzionale contribuì a diffondere terrore e sgomento, statuendo che “la capacità contributiva non presuppone necessariamente l’esistenza di un reddito”. Scomparvero d’un tratto intere categorie. La prima a essere spazzata fu quella dei contadini, seguirono gli artigiani, stessa sorte toccò ai commercianti. Resistettero i malavitosi, gli evasori impenitenti, i politici, le caste privilegiate. Sopraggiunsero le privazioni e la contrazione dei consumi, i carburanti furono equiparati all’oro, il denaro contante fu bandito. Chi circolava con denaro lo nascondeva tra le pieghe della giacca, nella fodera del cappello o dentro le scarpe. Anche le rapine assunsero nuovi modi. Si denudavano le persone in cerca di contanti. Molti fuggirono all’estero, altri preferirono la morte, chi non trovò il coraggio, fu ricercato dalle banche o dal fisco. I pochi che rimasero, per sopravvivere, ricorsero al baratto: un litro d’olio per tre di vino; mezza giornata di fatica per un chilo di pane; Le nascite crollarono. Poi una riforma prima sconosciuta apparve: le liberalizzazioni. Crebbero a dismisura il volantinaggio, i baratti porta a porta, la libertà di culto, le orazioni nelle chiese, la cassa integrazione, il lavoro nero. Gli adepti della setta degli evasori riscoprirono le catacombe. “Più che il disamore poté la fame” a far aumentare i divorzi, si leggeva nelle cronache del tempo. Anche le stagioni mutarono. Il freddo raggelò persone e cose. Un giorno lo spread, il germe da cui era partito tutto, invase i Palazzi, infierì su gli stessi organi del governo. Nessuno si salvò. Un tiepido, timido raggio di sole bucò le nuvole. Saro Pafumi