mercoledì 30 agosto 2023

Un consiglio (non richiesto) agli amministratori di Linguaglossa

 

Un consiglio (non richiesto) agli amministratori di Linguaglossa

Sarebbe opportuno e lodevole che gli amministratori del Comune di Linguaglossa si facessero quattro passi in paese. Una ‘gita’ che farebbe bene allo spirito e alle iniziative da prendere. Un paese, qualunque esso sia, ha bisogno di adeguare ai mutati tempi il proprio aspetto, e quello urbanistico è uno di questi. Si dà il caso che il centro storico sia rimasto immutato nel tempo, in qualche caso peggiorato. Le insegne, che caratterizzano molte attività commerciali, non sono più in sintonia con l’eleganza, che la modernità richiede. Una particolare segnalazione va rivolta ai quattro canti, dove inspiegabilmente persiste, da troppo tempo, un angolo di degrado, che va eliminato, che offende la vista, lo spirito e la dignità. Mi riferisco a quella parete rivestita di panforte adiacente all’ex bar Simpaty. Meraviglia la poca sensibilità del proprietario, che in altro luogo conduce con successo un vero gioiello di accoglienza e raffinatezza, vanto per il paese tutto. Pare che siano state fatte numerose diffide, sull’argomento, purtroppo, senza successo. In questi casi la legge, previa ennesima diffida, prevede il ripristino in danno. Certe segnalazioni vanno fatte nell’interesse di tutti, anche dei distratti, tenendo conto che la bellezza del paesaggio inizia dal particolare.

Di necessità,virtù

 

Di necessità,virtù.

Inutile rimanere perplessi o resistere di fronte a certe posizioni culturali che quotidianamente sorgono nella società, in tutti i campi del vivere civile. Si finirebbe con l’essere considerati retrogradi, razzisti, o peggio ancora fascisti. Conviene piegarsi alle novità, anche se poco o per nulla gradite, rientrando nei ranghi di che queste novità vuol affermare. E così occorre accettare che uno studente malmeni, verbalmente o fisicamente il proprio insegnante; che chi non può progredire, usi l’utero in affitto; che sulla carta d’identità sparisca il genere; che la famiglia per chiamarsi tale non richiede la presenza di un padre e di una madre; che la croce è un simbolo divisivo; che il congiuntivo va a farsi benedire. Insomma occorre accettare il principio che la luna è la luna e le sue fasi lunari, un particolare senza senso. La vita è un continuo divenire, uno scorrere senza fine, un nascere e morire, un accettare tutto e il contrario di tutto. Un dinamismo culturale, secondo cui non esiste una cultura superiore alle altre, ed è quindi necessario sviluppare un atteggiamento di rispetto nei confronti di ogni tipo di cultura e di condotta. Da qui la necessità di accettare l’utero in  affitto, la negazione del genere, due genitori dello stesso sesso, l’abbandono del congiuntivo e persino l’aggressione  verbale o fisica di un insegnante. Ciò che per secoli è stato ritenuto una certezza va rinnegato, per fare posto a una nuova ideologia, il permissivismo, ossia a tollerare, senza condizioni, ogni libertà di comportamento, che in pratica si traduce in un suicidio culturale. In queste condizioni si giustifica il nove in condotta allo studente che ha ferito l’insegnante,in nome di una coerenza che nei fatti,piaccia o no, deve trovare la sua corrispondenza. Di tutto questo andiamo fieri.

 

martedì 29 agosto 2023

Recensione sulla mia vita professionale e letteraria pubblicata su Lo Scaffale de "La Sicilia" .

 

Su La Sicilia del 29.08.2023 a pagina. 13 nella Rubrica “SCAFFALE a cura di G. Barletta è stata pubblicata una recensione sulla mia vita professio0nale e letteraria, che mi onoro pubblicare su FB, ringraziando La Sicilia e l’autore.

IL TESTO completo.

“La fuitina dello scandalo” di Saro Pafumi

Saro Pafumi è un intellettuale di spicco, assiduo corrispondente della nostra rubrica “ Lo dico a La Sicilia". Pafumi non usa mezzi termini, ma usa dire pane al  pane e il vino al  vino. Con lo scrivente ha un rapporto particolare, perché alunno nella scuola ginnasiale dei Domenicani, negli anni in cui come docente di lettere  ebbi lì occasione di conoscere  a fondo la straordinaria  genuinità dell’alunno, appartenente a una famiglia privilegiatissima linguaglossese, paese agricolo Il mio alunno Saro trovò tempo per soddisfare  le esigenze scolastiche e ricucire le drammatiche vicende, descritte né “La  “fuitina dello scandalo”, una pubblicazione composta in occasione del centenario dell’eruzione del 1923 e offerto in copie/ omaggio alla Commissione festeggiamenti, con cui i genitori dell’autore, Nino Pafumi e Nela Scarlata avevano coronato il loro sogno d’amore. Gli ostacoli al coronamento dell’idillio amoroso provenivano dalla famiglia Scarlata,  che mal tollerava il disegno amoroso dei protagonisti, pretendendo per la figlia Nela un “partito” adeguato alle presunzioni nobiliari del casato,  alla fine  coronate  dalla felice conclusione della complicata vicenda. Come di uso in Sicilia simili circostanze si concludono con la scandalosa “fuitina”, una soluzione praticata, per lo più,  dalle classi  economicamente meno agiate. “La fuitina  dello scandalo” narra con la limpida adesione al vero, la vicenda dei protagonisti, coronata, dopo la fuitina, con regolare patto matrimoniale. Saro, secondogenito dei giovani sposi, ha percorso un itinerario scolastico, coronato dalla laurea in giurisprudenza, messa a frutto A Napoli, presso lo studio panale dell’avv. Gustavo Pansini,  professore di Procedura penale all’università di Urbino. Oggi Saro Pafumi è un felice pensionato, che si diletta a scrivere e pubblicare volumi, una ventina e un romanzo d’amore: “ I bulbul innamorati”, editi, in formato tascabile da ‘Ilmiolibro.it’, oltre ad avere un blog personale “ Corrispondenza da Linguaglossa”, su argomenti ordinariamente da ‘Prima pagina’, con cui ha conseguito, da Unitre S. Incorpora, il premio ‘Giornalismo di costume’ 2021, oltre a comporre poesie in lingua e vernacolo. Le amicizie del nostro Pafumi privilegiano rapporti ordinari con personaggi di spicco della cultura locale. Non c’è spazio per il pettegolezzo paesano, ma sono quasi settimanali gli approcci con le vicende politiche e culturali attuali. La “ fuitina” è uno spaccato di vita privilegiato, perché affonda la vicenda nel vivo di un tempo caldamente seguito dalla cronaca paesana. Un manuale d’epoca superato dallo scorrere del tempo ma assai vivo nel ricordo dei miei anni. Girolamo Barletta.

 

 

I mangiarizzi

 

 I mangiarizzi.

Certo che non ci facciamo mancare nulla in queste feste religiose. Se esistessero ancora le ‘maidde’, penso che affonderemmo le mani nei maccheroni al sugo, fatti in casa, riempiendoci anche le tasche, pur di ‘scifuniari’ queste prelibatezze casalinghe, come nel film Miseria e nobiltà. Del resto si sa, se c’è un momento in cui si riesce a socializzare, questo è rappresentato dalla convivialità. Quello della pancia è un linguaggio universale. Non si spiegano diversamente le numerose sagre, che precedono e seguono tutte le feste religiose, veri ‘mangiarizzi, all’insegna anche di pane, crusta e muddica, purché si attivi il sistema masticatorio. Nessuno, però, che pensi al povero Santo o Santa, assiso/a sul suo alto scranno, al quale il suono di quella rumorosa, sgradevole masticazione collettiva, possa generare in lui/lei, che ha perso il corpo, ma non l’anima, ciò che di solito avviene nella persona normale: fastidio, nervosismo o talvolta aggressività. Ciò che conta in queste manifestazioni religiose goderecce è dimostrare l’attaccamento alla fede, accompagnata dal sapore del peccato, la gola. Un intruglio di spirito e corpo, quest’ultimo rappresentato dal ventre dilatato, protesto e volgarmente fragoroso, che presto si svuoterà, al grido liberatorio: ” Viva il Santo del paese !”.   

domenica 27 agosto 2023

La cattiva gestione del potere

 

La cattiva gestione del potere.

Oggi c’è la cattiva abitudine di non rispondere a nessuna informazione o domanda, diretta a qualsiasi Ente fornito di potere, nessuno escluso, come se la voce del cittadino rappresentasse un disturbo alla sonnolente attività di chi è destinatario di una qualsiasi richiesta. Una società che si caratterizza sempre più da spinte isolazioniste, ove qualsiasi legittimo interrogativo costituisce un’interferenza, alla quale si reagisce col silenzio, in spregio alle più elementari regole di democrazia partecipativa, rappresentata da minoranze creative, sempre più presenti nella società civile. A certi politici, che godono della scranna sui cui siedono, vien da chiedere con Dante: “ Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, per giudicar di lungi mille miglia con la veduta corta d’una spanna? “.Questi falsi, dotti miopi appaiano come Nerone che con la lira in mano, mentre Roma brucia (leggi :le iniziative languono) si ostinano a cantare:”Più bella e più superba che pria”.Dove ‘più bella’ e ‘più superba’ esiste solo nell’immaginario egocentrico del loro “Potere apparato”, che di ‘apparato’ hanno solo certe vuote, manifestazioni,con ‘sotto il vestito,niente’.Questo momento buio che stiamo attraversando si manifesta soprattutto con l’assenza di guide carismatiche a livello locale e internazionale,sintomo di una società che ha smarrito se stessa. In questa condizioni si giustifica la voglia di partecipare con iniziative proprie, esercitate dalla cittadinanza attiva, veri veicoli sociali, che suggeriscono soluzioni a tante materie irrisolte. Attività purtroppo viste come fumo negli occhi da quei nani che del potere hanno una visione distorta e individualistica, che purtroppo fioriscono ovunque, come erbe infestanti.

Involuzione del concetto di amicizia

 

Involuzione del concetto di amicizia

L’amicizia è definita ‘un rapporto affettivo costante e operoso tra persona e persona’. Nel corso dei secoli questo sentimento si è poco a poco svuotato del suo significato originario, diventando qualcosa di sostanzialmente diverso. Fino ad arrivare al “significato insignificante” che Facebook dà al termine amicizia. Nel mondo greco l’amicizia contemplava il sentimento amoroso, fino a comprendervi l’omosessualità, ammessa e praticata. Per i latini l’amicizia si configurava, invece, come rapporto politico, non per niente Cicerone lo anteponeva alla sapienza. E’ nei poemi epici che l’amicizia assurge a massima espressione dei sentimenti, basti pensare agli episodi di Achille e Patroclo nell’Iliade di Omero o di Eurialo e Niso nell’Eneide di Virgilio, nei quali poemi l’amicizia diventa sacrificio fino alla morte. Ed è con questi struggenti versi che Virgilio immagina Niso vedere il suo morente amico: ” E già morendo Eurialo cadea, di sangue asperso le belle membra, e rovesciato il collo, qual reciso dal vomero languisce purpureo fiore, o di rugiada pregno papavero ch'a terra il capo inchina”.Versi ispirati solo da un animo pervaso di sincera amicizia. Fortunatamente l’amicizia non sempre si sviluppa unicamente tra simili, ben potendo essere rappresentata nei rapporti tra diversi,come magistralmente descritto dal F. Uhlman in “L’amico ritrovato” ambientato nella seconda guerra mondiale tre un ebreo e un nazista. Quasi una tardiva appendice di quell’amicizia sublimamente esalata nel mondo classico. Oggi rimane ben poco di questo sentimento, logorato dallo stress della vita moderna,infarcita d’ipocrisia,convenienza,opportunismo. Nell’era moderna troviamo tracia di questo antico,nobilissimo sentimento nel social network, in particolare in Facebook che definisce amicizia il chattare tra persone sconosciute indebitamente definite persone amiche. Quanto si è lontani dal canone classico. Greci e latini aborrirebbero dinanzi a tanta mistificazione. Omero e Virgilio ne soffrirebbero e noi, comuni mortali, non avremmo potuto leggere versi di esaltante poesia. Oggi, purtroppo, l’amicizia dura quanto una caramella che si scioglie in bocca. In ambito amicale mi capita di scambiare fischi per fiaschi (amici per falsi amici).L’unica strategia efficace in questi casi è la terapia dell’indifferenza:un meccanismo di autodifesa per evitare i danni prodotti dalla morte di un sentimento dimostratosi effimero.

 

sabato 26 agosto 2023

Concorso poesie Unitre/Incorpora.Giova un rinnovamento

 

Concorso poesie Unitre. Giova un rinnovamento.

Mi permetto di suggerire un aggiornamento, che, a mio sommesso parere, andrebbe fatto al Concorso Poesie. Unitre/ Incorpora, per renderlo più partecipativo e di qualità, anche nell’interesse paesaggistico del nostro paese.

In breve.

Si tratterebbe di aprire il concorso a poesie di qualità, che superato l’esame della Commissione, possano trovare degna pubblicazione in appositi riquadri, magari a spese di chi vince il premio, sulle facciate dei palazzi, come i murales, in modo da attirare l’attenzione e la curiosità dei turisti. Si darebbe al Concorso un’importanza maggiore, in termini di partecipazione popolare, anche estranea alla locale realtà, e un segno di caratterizzazione culturale alla nostra comunità, da sempre considerata capofila in tale ambito. Basti pensare e rifarsi all’ epoca dell’amministrazione Boemi, in cui sotto l’alto contributo dall’emerito Prof, S. Calì, la cittadinanza visse un’epoca d’autentico splendore, in campo artistico e pittorico. Ne sono esempi i numerosi quadri, rimasti nella disponibilità del patrimonio comunale. Le tante organizzazioni laiche ed ecclesiastiche, presenti in loco, potrebbero fornire il loro contributo a late scopo.  Le idee come gli alberi hanno bisogno di essere coltivate, e qualche volta innestate per dare migliori frutti. Come il bucato fatto in casa, spesso ha bisogno, per avere risultati migliori di ammorbidenti e biancheggianti, per un ritrovato profumo e vigore. 

Il futuro che ci atende

 

Il futuro che ci attende.

Immaginiamo per un momento cosa potrà avvenire in questo nostro paese, Linguaglossa, finite le feste religiose, che quest’anno hanno avuto una felice espressione, dovuta alla ricorrenza del centenario dell’eruzione. Seguirà senz’altro un periodo sabbatico, dovuto anche al fatto che l’arcipretura del Can. don O.Barbarino si avvierà alla conclusione. Un Arciprete, che non saprei come definire, se Monsignore, Pastore, regista o scenografo, tante le qualità che interessano la sua poliedrica attività. Raccogliere l’eredità di tanto successo è difficile e l’attività del nuovo Arciprete risentirà sicuramente di questo confronto. Da qui i miei personali auguri a chi subentrerà in questa nuova, impegnativa missione pastorale. Confesso che con don Orazio Barbarino il mio rapporto é stato difficile, quando ho capito che per carattere e carisma amava circondarsi più e solamente di ‘soldati’, essendogli poco graditi graduati o comunque persone che potessero esprimere qualcosa di personale. Poiché non ho fatto il servizio militare, tale modo di operare lo trovavo incomprensibile e da qui la mia scelta di seguire le sue lodevoli iniziative dall’’esterno, magari qualche volta non in sintonia col mio pensiero, come per esempio il tentativo di ‘agatinizzare’ la festa del nostro Santo  Patrono o di introdurre la moda paganeggiante delle ‘cannalore’, tanto amate dai catanesi, ma estranea alla nostra cultura paesana. Padre Barbarino, non me ne voglia, se trovo l’ardire di scrivere quel che penso. Come soldato non l’avrei fatto, ma come uomo libero, riconosco legittima, questa mia personale opinione. Bando alle chiacchiere e alle mie personali opinioni, resta comunque assodato che la gestione della Chiesa locale  ha vissuto sotto il patrocinio del Can. Don O. Barbarino, una stagione di splendore, raramente ripetibile. Se pensiamo che tutto questo avrà fine e le festività religiose ritorneranno, se ritorneranno, al ritmo di prima, non c’è da rallegrarsi,anche per il fatto che le iniziative laiche non esistono o sono contrassegnate dalla presentazione di qualche libro, la cui locale utilità si estingue nel momento in cui gli astanti lasciano la sala del convegno e si spengono le luci. Se fino ad oggi Linguaglossa ha avuto una sua spiccata visibilità, questo merito va ascritto, occorre riconoscerlo, all’attività infaticabile e poliedrica del nostro Arciprete, regista e scenografo. Da qui il mio invito alla cittadinanza di rimboccarsi le maniche e raccogliere in parte l’’eredità che ci ha lasciato Don O. Barbarino. Non dico migliorando quanto é stato realizzato, cosa molto improbabile, ma almeno proseguendo sulla linea fin qui tracciata.    

Quel lungo latrare

 

Quel lungo lamentoso latrare.

Or che grilli e cicale, nascosti tra le fronde di un platano fiorito, hanno smesso il canto del loro orchestrato frinire,  un prolungato, lamentoso latrare buca l’oscurità di questa calda notte d’estate. E’ la voce di un solitario cane, che si disperde tra le nuvole sparse nel firmamento. Forse ha un nome quella voce che squarcia il silenzio: un profumato fiore coltivato nel cuore, che il vento, tra monti e valli, trascina via. Nessuno coglie tanto richiamo e il latrare or si fa prolungato, triste canto. Come vorrei poter rispondere a tanto tormento, ma le mie umane spoglie non mi consentono tale lenimento. Accomunati dalla voglia di armoniosa compagnia, or siamo in due a patire questo tormento, che nasce dal cuore e si trasforma in corale armonia. Quel latrato più che un canto è un romanzo d’amore, e il mio eco, che l’accompagna, un’ode al sole, perché il nuovo giorno sia aperto alla gioia e all’umano calore.

 

 

 

 

 

 

giovedì 24 agosto 2023

Femminicidi e libertà di stampa

Femminicidi e libertà di stampa.

La frequenza con la quale accadono fatti di sangue, con particolare riferimento ai femminicidi, suggerisce alcune riflessioni. Siamo certi che questi odiosi delitti non siano, in parte, effetto di emulazione? Le leggi fasciste, per ovviare a quest’inconveniente, ordinavano la censura di stampa. Oggi tale regola sarebbe impensabile, a fronte di una libertà di stampa senza limiti. Senza scomodare libertà di stampa ed emulazione, si colgono, negli effetti, certe differenze tra i delitti di ieri e quelli di oggi. Le morti violente di ieri lasciavano uno strazio indicibile nelle famiglie colpite dall’evento e una scia d’amarezza e di sgomento nell’opinione pubblica, che a quel dolore partecipava in forma indiretta. Le morti di oggi hanno assunto, invece, una rappresentazione spettacolare e parossistica, che trova nella televisione la sua massima espressione, spesso ricca di stupefacenti informazioni sui mezzi e modi di esecuzione dell’evento delittuoso. Così la cronaca televisiva di un delitto diventa narrazione, dove i protagonisti non sono attori professionisti, ma i familiari, i vicini di casa, i testimoni oculari, la stessa vittima attraverso la cui vita “eviscerata” e raccontata, diventa essa stessa inconsapevole protagonista post mortem del” racconto televisivo”.Una narrazione- spettacolo che perde la sua contemporaneità per diventare passato, storia, e il dolore, un “patos dominato”.Poiché il cliché di questi delitti è il medesimo e ripetitivo, nell’animo dello spettatore si viene a creare una forma di assuefazione al delitto, come elemento ineluttabile nella società d’oggi. Dall’ineluttabilità alla normalità il passo è breve e l’assuefazione, il risultato finale.  Tornado al quesito di prima(emulazione e leggi fasciste), non è pensabile che questi fatti abbiano la loro genesi nell’emulazione? Come combatterla? Non certamente ritornando al passato. Ma abbassando il volume della TV.  La notizia è la comunicazione di un avvenimento considerato degno di attenzione, comunicazione e diffusione, ma il “condimento”, spregiudicato,talvolta cinico, con cui è infarcita la notizia è un’altra cosa. Dario Argento come maestro del macabro e Hitchcock in quello del brivido, impallidirebbero oggi davanti a certe trasmissioni televisive. 

 

martedì 22 agosto 2023

Diagnosi di un Paese in crisi

Diagnosi di un Paese in crisi.

Spesso si sente dire nei bar, in famiglia, in piazza, tra amici: “perché questo paese è caduto così in basso?”.

Cerchiamo la risposta lontano, che, invece, è dentro di noi.

Quattro sono in sintesi le cause di questa deriva.

Mancanza del senso di comunità.

Scarsa propensione a investire.

Inettitudine di chi ci governa.

Assenza di valori.

Occorre ammettere che oggi si è disintegrato il termine ‘comunità’: intesa come persone tenute insieme da vincoli di affetto, d’interesse, d’ideali. Sono venute meno, in ordine: la famiglia, la Chiesa e la comunità civile, quell’insieme d’individui o fedeli, governati da leggi, regolamenti e valori. È  venuto meno il concetto di “unione”che è alla base di ogni società.  La disgregazione è la naturale conseguenza. In un’epoca in cui si ha paura di tutto e non si crede in niente, la seconda conseguenza è la scarsa fiducia nel futuro, per cui l’individuo (e più oltre la società, intesa questa come solo entità numerica), si chiude a riccio, al fine di preservare la propria esistenza o per meglio dire la propria sopravvivenza, evitando di mettere a rischio ciò che si possiede o prevenendo eventuali pericoli. La “stagnazione” è la naturale conseguenza. Chi dovrebbe guidare la ‘comunità disgregata’ in questa corsa alla deriva non ha capito o non capisce questo naturale istinto alla conservazione e non mette in atto nessuna azione concreta per attenuarlo o convogliarlo verso forme di vita più speranzose. Chi ci governa, al contrario, alimenta col suo comportamento questo senso di smarrimento collettivo. Da qui quel naturale istinto alla diserzione, come rinunzia al voto o alla defezione, come abbandono d’ideologie e/o valori, in atri tempi punti di riferimento irrinunciabili per ogni società che possa definirsi tale. Il “Relativismo” di cui tratta Benedetto XVI altro non è che un aspetto deteriore di questa disgregazione d’individui e valori. Egli citando Ludwig Wittgenstein sostiene che il relativismo diventa regola, secondo cui’ l’unica cosa che ha senso è che nessuna cosa ha senso’: né le leggi, né la morale, né la religione, né la politica.“Il relativismo diventa una ‘dittatura’ con la conseguenza che ‘l’unico dogma è che non ci può essere un dogma: l’unica disciplina è che non ci deve essere disciplina; l’unica autorità ultima è che non ci deve essere autorità; l’unica cosa che ha senso è che nessuna cosa ha senso”.Siamo più o meno in un baratro e se alziamo la testa per guardare all’insù non scorgiamo un lembo di cielo, ma un buco nero che ci opprime e deprime. Saremmo indotti a pensare, nei rari momenti di speranza, che “è tutto bene, quel che finisce in bene!” Ma ecco riemergere il dubbio: quale bene?È il Relativismo la radice di ogni male. La corruzione, la disaffezione la ribellione, la diserzione, la defezione non sono altro che gli effetti di questa moderna patologia sociale Il grido di dolore lanciato da Benedetto XVI non è stato accolto, impegnati come siamo a difendere la casa in fiamme, ignari che è la casa comune, ossia la società tutta che brucia.

Tratto da “ Jabbara” di Saro Pafumi



 

lunedì 21 agosto 2023

Andar per vicoli,c'insegna quel che fummo

Andar per vicoli, c’insegna quel che fummo.

Se a volte ci prendessimo la briga di visitare le zone più degradate dei luoghi in cui viviamo, scopriremmo che nascondono un interesse particolare. Quelle che ora sono case diroccate, con facciate scrostate dal tempo, infissi divelti o mancanti, ringhiere arrugginite e corrose, un tempo erano abitazioni pullulanti di persone e palpitanti di vita. Luoghi in cui mucchi di anime vivevano a gomito a gomito in ambienti bui, dall’acre odore di muffa, dove la solidarietà era una diffusa esigenza di vita. Si potevano vedere donne sedute, capelli sciolti al sole, in quei rari momenti in cui un raggio di calore riusciva a penetrare in quei vicoli, dove il vociare gioioso di mocciosi, scalzi rincorrersi, rompeva il monotono viver quotidiano. Ora stradine, dove ciuffi d’erba, unici germogli di vita, hanno trovato facile connubio con le nere basole di lava che il piede umano, da tempo, ha smesso di levigare e dove un guardingo passante, serba ricordo di secchiate d’acqua di distratte casalinghe,abituate a considerare la strada, un’appendice della propria dimora. Lì, dove un tempo fremeva la vita, attecchisce ora l’amica edera, dalle mille braccia amorose, che sembra proteggere quei siti dalla caducità. È la natura che ritrova se stessa e si riappropria di ciò che le fu tolto.Se l’uomo avesse rispetto di questi siti, che raccontano la storia di quel che fummo o di quel che potremo ridiventare, sarebbe già saggio.

 

domenica 20 agosto 2023

L'Etna e la fornica

L’Etna e la formica.

La natura ci ha fornito i sensi, tra questi la vista, che non serve solo a vedere o guardare, ma soprattutto a osservare. E’ questa speciale funzione che dobbiamo esercitare per capire l’essenza delle cose. L’Etna, questo imponente colosso, che si apre ai nostri occhi, se non altro per la sua maestosa mole, ha ispirato numerosi scritti, da poter riempire un’enciclopedia. Una formica che per dimensioni al suo confronto, sparisce, sembra poterci suggerire poche righe. Eppure se si ricorre all’osservazione e si mettono a confronto queste due entità incomparabili, migliaia di pagine si possono scrivere con dovizia di particolari, ora sull’una, ora sull’altra entità. Dinanzi all’osservazione le dimensioni non contano. Seduto in terrazza sulla mia sdraio, osservavo, estasiato, la montagna e nonostante fossi nato e vissuto alla sua ombra, non  riuscivo a distogliere lo sguardo da tanta bellezza. Finché non mi accorsi che una formica circolava smarrita attorno alla sdraio, forse in cerca di una direzione che non trovava. Catturato dai movimenti di quella formica, il mio sguardo dondolava tra essa e la montagna, non volendo perdere nessuna delle due presenze, che mi fornivano sensazioni diverse. I miei occhi avevano finito di vedere o guardare. Erano entrati nella fase dell’osservazione, per conoscere meglio ciò che mi stava davanti, trasmettendo infinite sensazioni al mio animo. Immaginavo la montagna, questa entità inerte, ribollire al suo interno, sì da trasformarsi in materia viva e pensavo che anch’essa avesse un’anima: il fumo, le fiamme, i lapilli, il magma, il linguaggio, forse, con cui tentava di dialogare con noi mortali. Una consolazione per la mia anima. La formica che si aggirava smarrita, mi ricordava, invece, la sorte di noi uomini, impegnati in un farneticante ballo quotidiano tra alienazione e anomia (assenza di legge, regole e  norme), che ci hanno fatto perdere direzioni e dimensioni materiali e spirituali. L’osservazione mi aveva fornito la chiave per conoscere e approfondire queste due entità assai diverse, l’Etna e la formica, incomparabili, ma entrambe indispensabili per conoscere la vita, quest’astronave, che ci conduce verso una direzione, che, come la formica, cerchiamo.