Un pataccaro in carne e ossa,nel giorno di ferragosto. Novella
L’abbigliamento era tipico del vacanziere nostrano “fai da te”: scarpe da tennis becco d’oca, allacciate a strappo, calzini arancio al polpaccio, bermuda color cachi a quattro tasche verticali a due bottoni, svolazzante camicia verde alloro a fantasia e spacchetti laterali, orologio e cinturino in metallo giallo oro, ventre ampiamente prominente, che la camicia slacciata all’ombelico faceva intravedere e cappellino bianco a cloche, sormontato da un paio d’occhiali a fermaglio.
Si avvicinò diritto a me, ad andatura ondulante, come se avesse trent’anni, anziché i sessanta che portava male e si accomodò vicino, quasi mi conoscesse da una vita.
Tagliando corto e senza molti preamboli, avvicinandosi all’orecchio, mi propose, con voce sussurrata, un affare: l’acquisto di un’autoradio a prezzo stracciato.
Era da tempo che aspettavo quest’occasione e non volevo perderla, perché, avendo sentito parlare di “pataccari”, non m’era capitato di vederne uno in carne ed ossa e questi, col suo abbigliamento, da cacatua australiano, era un’occasione ghiotta ed unica.
Mi misi perciò a scrutarlo da capo a piedi, intrattenendolo per carpirne la psicologia, ma anche per rubargli quanto più del suo prezioso tempo.
Finsi d’abboccare.
L’autoradio che mi mostrava era un campione, come altri analoghi che teneva in auto.
Me lo avrebbe consegnato, rigorosamente sigillato, con garanzia, non appena si fosse concluso l’affare, che, secondo la sua logica collaudata, doveva svolgersi in due tempi: presentazione del prodotto, consegna e pagamento (primo tempo), apertura del pacco e “sorpresa finale” (secondo tempo), quest’ultimo necessariamente senza la sua presenza, com’era nelle sue intenzioni.
Cosa contenesse “il pacco” sigillato rimase un mistero, perché, dopo un’estenuante (per lui) trattativa, lo salutai regalandogli 10euro.
La somma di cui mi privai, lo confesso, non era un atto di generosità, ma il corrispettivo per una parte recitata bene, nonché il desiderio di completare il suo abbigliamento.
Mentre si allontanava, variopinto com’era e dondolando più di prima, mi piaceva immaginarlo non nella veste fastidiosa del pataccaro, ma come uno spensierato vacanziere, con un’anguria da 10 euro incastonata al braccio, diretto a mare, come i tanti sosia che si vedono in questa bella stagione.
Forse mi sbagliavo. Verosimilmente andava in cerca di un’altra vittima, perché un cacciatore difficilmente desiste, se il suo carniere è vuoto.
E quel personaggio mi dava l’impressione che la giornata lavorativa per lui doveva ancora incominciare, nonostante il caldo di ferragosto.
Ripresi a leggere all’ombra di una catalpa, ma un dubbio mi tormentava: cosa aveva potuto indurlo ad avvicinarsi a me?
Era da approfondire anche quest’aspetto, perché anche la possibile vittima, nella psicologia del mio pataccaro doveva aver una sua caratteristica.
Immaginai quale, ma subito la ritrassi nella mente: non mi consideravo un allocco, ma forse, per lui, tale dovevo apparire.
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