Andar per vicoli, c’insegna quel che fummo.
Se a volte ci prendessimo la briga di visitare le zone più degradate dei luoghi in cui viviamo, scopriremmo che nascondono un interesse particolare. Quelle che ora sono case diroccate, con facciate scrostate dal tempo, infissi divelti o mancanti, ringhiere arrugginite e corrose, un tempo erano abitazioni pullulanti di persone e palpitanti di vita. Luoghi in cui mucchi di anime vivevano a gomito a gomito in ambienti bui, dall’acre odore di muffa, dove la solidarietà era una diffusa esigenza di vita. Si potevano vedere donne sedute, capelli sciolti al sole, in quei rari momenti in cui un raggio di calore riusciva a penetrare in quei vicoli, dove il vociare gioioso di mocciosi, scalzi rincorrersi, rompeva il monotono viver quotidiano. Ora stradine, dove ciuffi d’erba, unici germogli di vita, hanno trovato facile connubio con le nere basole di lava che il piede umano, da tempo, ha smesso di levigare e dove un guardingo passante, serba ricordo di secchiate d’acqua di distratte casalinghe,abituate a considerare la strada, un’appendice della propria dimora. Lì, dove un tempo fremeva la vita, attecchisce ora l’amica edera, dalle mille braccia amorose, che sembra proteggere quei siti dalla caducità. È la natura che ritrova se stessa e si riappropria di ciò che le fu tolto.Se l’uomo avesse rispetto di questi siti, che raccontano la storia di quel che fummo o di quel che potremo ridiventare, sarebbe già saggio.
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