S’incontra una certa difficoltà a trovare l’aggettivo più appropriato per definire i locali dove sono ubicati i servizi postali a Linguaglossa, anche se nelle altre località la situazione è pressoché analoga. Definirli uffici pubblici suona offesa, in primo luogo, agli impiegati, costretti a lavorare in locali angusti, in cui lo spazio è un concetto astratto, estraneo ai canoni civili; ai cittadini, richiamati dalla necessità d’incassare la misera pensione, assiepati in un miscuglio di teste, braccia, gambe ove la massa umana informe sovrasta e annulla l’idea, sia pure approssimativa di persona umana. Se si trattasse di locali adibiti a ospitare animali la legge richiederebbe parametri minimi da rispettare: ampiezza, areazione, servizi igienici. Nel caso di uffici postali, destinatiti ad accogliere persone, anziani in massima parte, tali parametri sono, paradossalmente, sconosciuti, se si pensa che non c’è nemmeno una sedia sulla quale appoggiarsi. Ciò che al privato cittadino lo Stato impone, clamorosamente lo disattende in proprio. Le autorità che detti parametri sono chiamati a fare rispettare sono distratti, i sindacati ai quali spetta il compito di vigilare sulla qualità delle condizioni lavorative degli associali sono latitanti. L’interesse dei lavoratori non si tutela solo con legittime rivendicazioni salariali e di orario, ma principalmente difendendo la qualità della vita di chi nel proprio ambito lavorativo è costretto a muoversi. I cittadini di converso, non sono masse informi, ma esigono rispetto della propria individualità. Nei locali in questione manca il minimo indispensabile: spazio, areazione turnazione, risolvibile con un elimina code il cui costo, udite, udite, non supera i 200 euro. Esigenze di bilancio impongono severe economie, ma quando sui giornali si leggono gli annuali resoconti, il reddito supera ogni più ottimistica previsione, Il tutto sulla pelle degli impiegati e dei cittadini, quest’ultimi, per intenderci, da 500 euro al mese.
Saro Pafumi
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