Crimini e stampa.
Quando si consumano efferati delitti riportati dagli organi di stampa o commentati dalle varie trasmissioni televisive, emergono prepotentemente due aspetti, che esigono una spiegazione: la divulgazione di particolari, che dovrebbero essere coperti dal segreto istruttorio, dati disinvoltamente in pasto al pubblico, e la ‘freddezza’ con la quale il parentado tutto partecipa alla vicenda. Una domanda, la prima, che vuole essere provocatoria, perché, di certo, non sfugge a nessuno che il segreto istruttorio è il segreto di pulcinella, così consapevolmente trasformato da chi dovrebbe tutelarlo. Più difficile definire l’origine della ‘freddezza’ del parentado, un compito che spetta agli esperti in psicologia comportamentale, giacché a prima vista a un comune mortale potrebbe apparire come dissacratoria rispetto alla condivisione del dolore. Questa voglia di trasformare il processo in spettacolo è ormai una moda, che andrebbe regolata per legge, onde stabilire il confine tra la libertà di stampa o di espressione e le guarentigie che spettano all’imputato, ossia il dovere etico di tutelarlo, che, secondo l’art. 27 comma 2 della Costituzione deve essere considerato “ non colpevole”fino al termine dell’iter processuale. Un confine spesso travalicato, che offende la civiltà giuridica, di cui tanto ci vantiamo. La Corte di Cassazione è intervenuta in materia stabilendo ( Sent. del 01.02.2011 n.3674) i compiti spettanti a ognuono: a) agli inquirenti il compito d fare gli accertamenti; b )n ai giudici quello di verificarne la fondatezza; c) ai giornalisti il compito di dare notizia, ma non di suggestionare la collettività”. Una definizione vaga e fumosa, non rispettata. I bombardamenti mediatici, al contrario, hanno preso piede negli ultimi tempi creando opinioni superficiali che pregiudicano le posizioni delle parti che vanno a incidere sul giusto processo. Di questo sistema distorto possiamo essere tutti vittime. Sarebbe auspicabile che il sistema venisse una volta tanto disciplinato per legge, nell’interesse di tutti, evitando che il processo diventi spettacolo, quale oggi, indecorosamente, è diventato
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