Per amare l’Etna, bisogna conoscerla.
Quando vi giungi dal bivio
per Monte Pomiciaro, percorrendo, tra castagneti e pometi, la provinciale che
da Zafferana conduce a Nicolosi, hai l’impressione di avere sprecato il
viaggio.
Dal piazzale che si apre
sulla valle, una folta vegetazione di faggi impedisce di scorgere, come benda
agli occhi, lo scenario che mai immagini. Dribbla,senza indignarti,per non
turbare l’approccio con la natura, i rifiuti lasciati lì dall’insipienza umana
e facendoti spazio, tra contorti rami di faggio, raggiungi una zona scoscesa, che si apre sull’immenso: è
Val Calanna. Un tempo rigogliosa gola profonda di verdi pascoli, di lievi e
pure acque, oggi perennemente sepolta dall’ira del vulcano.Volgi lo sguardo in
quella che fu una valle, dove la lava si è tuffata, rubandole persino il nome.
T’interroghi, stupito, cosa rappresenti quello che si distende sotto i tuoi
piedi: se una cascata di nero basalto, scolpita da una divinità; se un’onda
gigantesca mummificata; se la tomba d’impareggiabile flora sepolta; se
“voglia”di nuova vita, gli sparsi cespugli di timida vegetazione, che spuntano
tra onde di lava contorta; se il resto di una valle in gramaglie, che piange la
sua creatura morta; se il sogno infranto
di una lingua di fuoco che voleva tuffarsi in mare. Forse solo lo specchio
della tua anima, perché in quel nero mare immobile di lava, vi scorgi quello
che l’animo ti suggerisce. Un “tesoro
visivo”, quel che resta della Val Calanna,che pochi conoscono,perché estraneo
al circuito turistico,che ogni giorno invade l’Etna. Un palcoscenico dove non
ci sono attori che recitano, ma sensazioni che si colgono. Siti che vanno
conosciuti e proposti ai turisti, perché l’Etna si ama, se si conosce. Pubblicata
oggi 17.03.2025 su La Sicilia
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