domenica 12 febbraio 2012
Linguaglossa, un paese civile.
Linguaglossa, un paese civile. Non è contagiato dalla malavita, l’economia, sia pure tra mille difficoltà, si arrabatta, la gente è mite, il paesaggio è gradevole, come il clima che si respira. E poi c’è il nostro Etna che nel bene o nel male ha caratterizzato la vita dei valligiani. Quando si parla di Linguaglossa, è “la montagna” a ricordarla, per i suoi campi di sci e la sua pineta. Non altro la sfiora o quasi. Il resto dell’anno cade in letargo, un letargo benefico, interrotto di tanto in tanto da qualche sprazzo di luci o di ombre, come l’amaro avvenimento di questi giorni che l’ha fatto assurgere agli onori della cronaca, quella nera per intenderci ( Zio uccide nipote. La Sicilia 09.02). Anche sotto quest’aspetto. Linguaglossa non tradisce la sua tradizione di paese civile, perché quel che accade di brutto non ha i retroscena reconditi del mistero, l’intreccio arcano dell’incomprensibile, ma tutto è luce, sia pure nella penombra del dolore che da singolo diventa collettivo. Un omicidio è sempre un fatto doloroso per chi ne è vittima o carnefice, ma quando il movente è chiaro, i personaggi sono noti, lo stupore diventa comprensione; si metabolizza facilmente. Ciò è possibile se il tessuto sociale non è corroso da fremiti di violenza ripetuta e radicata, nel qual caso lo stupore diventa abitudine o peggio ancora rassegnazione. Linguaglossa sa reagire a fatti criminosi come quello testé accaduto, perché estranea alla cultura della violenza. Una “scivolata” del singolo, a Linguaglossa non si tramuta mai in una valanga collettiva, perché chi abita questa valle prima di essere cittadino è montanaro. Sa arrampicarsi sulle sventure o uscire indenne da certe slavine. Essere fieri del nostro modo d’essere ci consola. Saro Pafumi
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