Se c’è una categoria di comuni mortali favorita dalla sorte, è quella dei magistrati. Non tanto per il potere di vita o di morte (leggi: libertà) che dispongono sugli individui che incappano nella legge, quanto per la loro personale posizione che li pone in un gradino privilegiato rispetto a qualsiasi persona o categoria. La trasmigrazione dalla magistratura alla politica non è un fenomeno recente, ma da quando la politica è entrata in crisi, il fenomeno ha avuto un’impennata impensabile. Per un magistrato che vuole abbandonare la toga o solo momentaneamente dismetterla per entrare in politica il passo è facile. Le recenti autorevoli incursioni nel mondo politico evidenziano come questo fenomeno sia tutt’altro che trascurabile e presenti per certi versi risvolti inquietanti. La legge consente a qualsiasi cittadino che si colloca in quiescenza di continuare a lavorare e ciò per certi versi, in un momento di crisi occupazionale, se non è aberrante poco ci manca. Consentire a un cittadino- magistrato- pensionato di riciclarsi in politica, consentendogli l’elezione certa attraverso il perverso meccanismo del listino bloccato, bypassando l’esame elettorale, rappresenta oltre che un assurdo privilegio, un’autentica sconcezza democratica. Se il tale magistrato ha la fregola di politicizzarsi, lo faccia nell’ambito del volontariato, contribuendo a cambiare il Paese senza lo stimolo alquanto sospetto di un miglioramento economico che si aggiunge ai tani privilegi che l’impegno consente. Possibile che il volontariato debba essere unica prerogativa degli umili e degli oppressi che sacrificano la loro esistenza senza privilegi e prebende? Il termine “riciclaggio” ha assunto di recente valore e significato legato soprattutto al mondo dei rifiuti, inteso come “rigenerazione. Le trasmigrazioni in politica hanno esteso lo stesso termine a questo mondo, assegnandogli però un significato decisamente negativo: “ regressione”. Saro Pafumi
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