La solitudine divora la società di oggi.
Oggi la solitudine è più diffusa di quanto si possa immaginare. La casa non è più il focolare domestico e la moglie, l’angelo della casa. Essa serve solo per dormirci e farci sentire consolati di possederla. Al suo interno non c’è un nucleo familiare, ma un arcipelago, formato da tante isole, che nulla hanno in comune, se non quello di appartenere alla stessa specie. Non esistono interessi comuni e, se esistono, ciascuno bada ai propri. Anni fa conobbi una famiglia piemontese, i cui membri erano tenuti insieme da rigide regole di economia, quasi una società, in cui gli associati erano tenuti a contribuire in proporzione alle proprie sostanze. Mi sembrò più che una famiglia, una tribù, priva di vincoli affettivi, tanto lontana da quella siciliana di nostra appartenenza. Oggi anche da noi i vincoli affettivi sono poco presenti, spesso mantenuti dal bisogno di attingere dalla famiglia, anziché contribuire a mandarla avanti. Una solitudine o se vogliamo un egoistico individualismo, che si coglie anche in piazza, tra la gente. Qui invece di colonia o arcipelago, la comunità diventa solo di facciata, in cui predomina più l’esigenza dell’apparire che dell’essere. Un luogo di conflitti economici, politici, religiosi, e quando questi mancano, per scarso interesse o cultura, si passa al quotidiano, quasi si cerchi più l’occasione per litigare, che lo stare insieme, ragionevolmente in pace. Dalla solitudine che si vive dentro casa, si passa così a quella che si vive in pubblico, che ineluttabilmente sconfina nell’individualismo, intriso di egoismo, invidia, gelosia che caratterizzano l’uomo di oggi
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