lunedì 11 novembre 2024

L'Isola del sole

 

L’isola del sole

Viver m’è lieto

ove gli uccelli

la danza accompagnano

al canto,

la zagara

è madre di mille odori,

la terra

ubriaca di colori.

 

Vivere m’è lieto

ove la nebbia

m’accarezza

e muore,

 gli alberi

si vestono

di fiori.

Eolo a cullar

da mane a sera.

le ondeggianti spighe d’oro.

 

Vivere m’è lieto

ove il ficodindia

nasce tra pietre e ginestre

e mai muore,

il mare

una culla d’amore,

il tempo né affanno, né dolore.

Da “ Le brevi” di Saro Pafumi

domenica 27 ottobre 2024

" A vanedda o mutu" , oggi Corso Matteotti. Linguaglossa

 

“A vanedda o mutu”, Oggi Corso Matteotti..Linguaglossa.

Così chiamata per la sua forma lunga e stretta,a imbuto, in quanto vi convergono  tre strade : quella proveniente da Fornazzo; quella proveniente da Linguaglossa e  quella proveniente dalla strada San Giuseppe, per sfociare, poi, sulla SS.120 dirimpetto alla la macelleria di R.Cannavò.

 Questa la mia interpretazione, L’ultima parola lasciamola a Tonino Cavallo, ‘principe’ in questi argomenti.

sabato 26 ottobre 2024

Leggo e ringrazio G.Cappuccino

 

Leggo  su ‘Lo dico a la Sicilia’ del 23.10.2024 e ringrazio di cuore il ‘notista’ Giacomo Cappuccino, per come definisce la mia presenza sulla Rubrica medesima.” “Pafumi campione di questa rubrica” Se si dovesse scegliere un campione portabandiera tra quanti scrivono solitamente a  ‘Lo dico a la Sicilia’ per me non si potrebbe che scegliere Saro Pafumi, in quanto lo stesso possiede rare doti nello scrivere lettere, ora implacabili nel descrivere realtà inerenti la società che viviamo,ora affascinanti per quanto riguarda gli argomenti che tratta. In entrambi i casi,alla fine della lettera gli scritti di che trattasi,mi sento più leggero e sto benissimo. Complimenti. Giacomo Cappuccino

sabato 19 ottobre 2024

La TV spenta e il rumore dei pensieri.

  

La TV spenta e il rumore dei pensieri.

Il temporale che si è abbattuto in questi giorni sul nostro versante ha reso muta e cieca la televisione. Una condizione insolita. Una compagna di vita, osservo, che ha scelto il riposo. In casa il silenzio rientra, non richiesto, dalla porta di servizio, in punta di piedi, lui, che, da quando lo schermo piatto è diventato il re della casa, ha fatto i bagagli, avendo esaurito il suo salutare servizio. Ti accorgi della sua presenza, ora, che, felpato, si aggira per casa. Un ospite gradito che ti fa riscoprire le bellezze del passato: il rumore del respiro, il brontolio dello stomaco, il fruscio dell’ombra che ti trascini appresso, persino il bisbiglio dei pensieri, che timidi si affacciano alla mente. Senti che i tuoi pensieri ora camminano da soli, senza essere trasportati del tubo catodico che li accompagna dove lui vuole condurli. Nel silenzio che avvolge la camera, finalmente puoi parlare a te stesso, senza il frastuono di altre voci. Un dialogo, lungo, meditato in cui i pensieri scorrono lievi, genuini, freschi, zampillanti dalla fonte dell’anima, che riemerge libera dal coro di voci impertinenti, insulsi, talvolta insensati, che come fiumi in piena escono dal cinescopio. Quel monitor, che, muto mi guarda, vorrebbe dirmi qualcosa, ma non osa. Forse, penso, guarda il telecomando che ho in mano, da cui dipende la sua vita o la sua morte o forse vorrebbe dirmi di non usarlo, per prolungare il tempo di pensare, quell’attività umana alla quale ho stupidamente rinunziato per lasciare che altri lo facciano in mia vece. Il telecomando!  Ecco, il telecomando!  Non avevo pensato che usando quest’infernale aggeggio, non accendo o spengo la TV ma il mio cervello. 

giovedì 17 ottobre 2024

Il ruolo dei genitori nell'educazione dei figli.

 Il ruolo dei genitori nell’educazione dei figli.

Tutte le volte che si parla dell’educazione dei figli, il riferimento al ruolo dei genitori è in prima linea, col risultato che la riuscita di un figlio è attribuita all’educazione dei essi. Se nel passato questa convinzione era vera e ben radicata, lo stesso non po’ dirsi nell’era moderna contrassegnata dalla predominanza talvolta deleteria della tecnologia, che ha invaso la vita dei nostri figli, spesso privi delle poche nozioni che i genitori riescono a impartire, sopraffatti dai loro compiti e dalla sempre più rara presenza in casa, aggravata spesso dalla separazione. L’uso e l’abuso dei cellulari in mano ai minori ha sostituito l’insegnamento dei genitori, sempre più assenti e distratti, rendendoli schiavi di contenuti effimeri e diseducativi di una realtà che non esiste, ma propugnata. L’appello al consumismo, alla libertà individuale, sciolta da ogni dovere sono gli insegnamenti più frequenti impartiti dai social, creando nella mente dei giovani la certezza che tutto gli è dovuto, al di fuori dell’impegno personale, relegato a semplice optional. Esonerandoli da qualsiasi impegno e sacrificio, il social hanno costruito una gioventù fragile, che si frantuma alla prima contrarietà della vita. E i genitori? Sempre più assenti e distratti, non più protagonisti dell’educazione e dell’avvenire dei figli ma vittime essi stessi di un sistema che li ha travolti, privandoli della loro autorità. I genitori consapevoli del loro veno nei compiti d’assolvere,per sopperire a questa loro deficienza si sono trasformati, per senso di colpa, in bancomat  dei desideri dei propri figli,persino anche quando le risorse familiari non lo consento, attingendole dalle Finanziarie, sempre più presenti nei bilanci familiari. Non si dica, quindi, che i genitori siano responsabili dell’educazione dei figli, perché essi sono diventati una categoria astratta, con la sola prerogativa di generare e non di educare, espropriata quest’ultima dai social, vera perniciosa calamità dell’era moderna. 

mercoledì 16 ottobre 2024

Il significato della vita

 Il significato della vita.

La domanda più frequente, quasi ossessiva, che ci capita di fare è: cosa avviene dopo la morte? Una domanda che trova risposa solo nella fede, perché escludendo questa, si precipita nel baratro dell’ignoranza. Eppure c’è una domanda più interessante che non trova risposta, escludendo la solita fede ed è: qual è il significato della vita? Una domanda che ci riguarda da vicino, senza scomodare fede, libri sacri e lezioni di catechismo. La risposta, se c’è, non è facile. Tutto dipende dal destino, da quell’intreccio di coincidenze volute o no, per cui una persona nasce, vive e muore. Sarebbe bastato che uno dei genitori si fosse accoppiato con una diversa persona, perché il nascituro sarebbe stato diverso. Perché sono nato io, mi viene da chiedermi? E qui si ritorna nel mistero. Una volta nati, qual è il significato della vita? Potremmo rispondere a questa domanda, quando passano gli anni e si elabora tutto quello che è successo. Ma già tutto è accaduto nel bene e nel male. Qual è stato il nostro contributo? Siamo stati veramente noi i protagonisti della nostra vita? Mettendo da parte la teoria del libero arbitrio che è una profonda illusione, si finisce col concludere che noi non siamo padroni di nessuna singola azione. Ciò che apparentemente nasce e si sviluppa nella nostra mente è il prodotto di ciò che precede e s’intreccia con ciò che dovrà avvenire, spesso coadiuvato, diretto o fuorviato dalle circostanze che lo accompagna, che nel suo insieme prende il nome di destino, spesso non voluto, né cercato, ma subito. Siamo schiavi di tutto cià che ci circonda, per nulla liberi di capire ciò che effettivamente vogliamo. Il risultato non è il prodotto libero della nostra volontà, ma il frutto, talvolta amaro, delle circostanze o coincidenze che lo accompagnano. Né può essere diversamente se e quando la nostra vita s’intreccia con gli eventi esterni. In fondo siamo come le foglie di un albero, che staccatesi dal proprio ramo cadono a terra e sospinti dal vento (destino) si disperdono verso lidi inaspettati. E noi mortali? Semplici pedine di un destino ignoto, in cui a ciascuno, piaccia o no, capita di recitare un ruolo, che non ha scelto ma subito. Nessun libertà esiste fuori dalla gabbia in cui ci ha imprigionato la vita. 

martedì 8 ottobre 2024

"Ucchitti", Esemplare ' corriere' di un mestiere sscomparso

 “Ucchitti”.Esemplare ‘corriere’ di un mestiere scomparso.

Negli anniedel dopo guerra ,quando andare a Catania per commissioni o disbrigo di pratiche amministrative era una vera fatica ,ci si rivolgeva ai ‘corrieri’ , gli unici che risolvevano le incombenze assegnategli.  A Linguaglossa il mestiere di corriere era esercitato da tale Grasso che abitava nei pressi di Gesù e MARIA  e da “ ucchitti” così chiamato volgarmente,  per via di una forte miopia, che aveva l’abitudine di annotare sulla banconota dategli, come anticipo, il nome del committente e il compito da svolgere. A Catania per eseguire le incombenze si serviva di una bici, con la  quale faceva il giro  della città per portate a termine i compiti assegnatigli. L’esattezza,  come la cortesia e il garbo erano nel suo stile Il Grasso associava al compito di corriere ,l’agente di viaggio, preparando gli incartamenti per chi volesse andare all’estero,allora molto in voga. Faceva lo stesso mestiere di Agente anche il Rag. Sfilio, con esercizio in quella che oggi si chiama via Del teatro, angolo Via Roma. La necessità di affidarsi ai corrieri nasceva dalla  scarsità dei mezzi di trasporto, poche le macchine private e impervie le strade per raggiungere Catania. Un vuoto riempito dalle auto a noleggio, che facevano la spola tra Linguaglossa e Catania:: Barbagallo Nicodemo, Del Popolo, Settineri, che per pochi spiccioli trasportavano i clienti in città. Un’epoca in cui i corrieri svolgevano la loro preziosa opera, causa dalle limitazioni descritte, oggi del tutto scomparsa.”Ucchitti” fu l’interprete principale di tale mestiere figlio dei tempi, destinato, come tanti altri, a scomparire com l’evoluzione dei mezzi di trasporto e le migliorate condizioni sociali

lunedì 7 ottobre 2024

Ricordi d'infanzia

 

Ricordi d’infanzia

 

Avevo 15/16 anni quando, nelle calde notti agostane, il mio giaciglio era il balcone di mia nonna, che si affacciava sulla piazza grande, con il suo alto campanile, che parea un gendarme a sorvegliar le ombre.

Supino, ammiravo le stelle e la Via Lattea che immaginavo fosse la strada degli Angeli. Poi aspettavo che la luna piena scivolasse dal tetto per cadermi tra le mani e inondare di luce il mio giaciglio.

 Era quella l’ora in cui le tenebre abbracciavano case e strade e la luna a spargere pennellate per dipingerle assonnate, dove le ombre e il silenzio colloquiavano con mute parole.

Era l’ora scelta, le tre circa del mattino, quando, quatto quatto, uscivo da casa per rubare i profumi che mi regalava la notte.

Dall’orto di don Ferdinando a Piazza Santa Caterina un folto cespuglio di gelsomino inondava col suo profumo la piazza e le vicine stradine.

Poi, girati un paio d’angoli, la scala esterna dei miei zii, i cui gradini ospitavano vasi di pelargoni, gardenie e ‘peccaminose’ tuberose dal ‘profumo proibito’ m’irradiavano soavi incensi.

 

Altro superbo cespuglio di gelsomino, debordante copioso dai muri del cortile di don Manlio, nel quartiere Sant'Egidio, invidioso del mio primo incontro, mi catturava col suo profumo.

 In via Garibaldi mi aspettavano gli alberi d’agrumi dell’orto del Col. Emilio, le cui foglie stritolavo tra le mani per coglierne essenza e aromi.

 

Non ero solo la notte, mi facevano compagnia i gatti insonni e qualche ubriaco barcollante che tornava a casa o girovagava senza trovarla. Anche la mia ombra si divertiva a farmi compagnia, secondo il gioco delle luci.

Era l’ora di rincasare e di riposare fino all’alba in quel giaciglio d’amore illuminato dalla luna. La sveglia la dava don Vincenzo quando apriva le sue imposte a due battenti, ferruginose, che si aprivano sulla piazza grande.

Intanto "U su Ggiddiu". con le sue capre, che conduceva appresso, depositava dietro il portone il latte appena munto.

 

Mi aspettava la solita colazione annunziata dall’odore di pane arrostito che mia madre, inzuppandolo nel

latte, mi preparava la mattina.

Così trascorreva la mia infanzia, tra giochi, profumi, studio, nell’abbraccio stretto di mia nonna e di mia madre, impegnato mio padre, da mane a sera, a macinar lavoro e il mio carattere a forgiar. con le sue amorose bravate.

 

 

domenica 6 ottobre 2024

"Amara terra mia", tra attese e speranze

 

“Amara terra mia” tra attese e speranze.

Se ci interrogassimo come si trascorra il tempo in Sicilia, non ci sono che due sostantivi per definirlo: attesa e speranza. Uno stato d’animo che oscilla come pendolo nella gabbia della vita, da cui non si evade mai. Un ergastolo che ci riguarda, in attesa di passare il testimone a chi è destinato a succederci:i nostri figli, in un continuo divenire senza fine. L’attesa è lo stato d’animo con cui inizia la giornata: la promessa di un lavoro che non arriva; un pagamento che tarda; una pensione che non matura; una malattia che resiste alla cura; un presente sospeso nel nulla; un futuro che si annebbia. Ogni giorno le campane battono le ore, i quarti, le mezz’ore, il tempo passa, ma nulla muta. Poi la sera, chiusi dentro la stessa gabbia si consuma l’attesa di un nuovo giorno che dura quanto il tempo di un respiro e vola via, come quello che precede o quello che arriva. Ciascuno di noi è portato a chiedersi: Garibaldi è andato via o dimora ancora sull’Isola? I Borboni sono stati cacciati e al loro posto sono arrivati i Piemontesi? Qualcuno amaramente ci ricorda che anche loro sono andati via, assieme ai nostri averi. Allora si accende la speranza di essere liberi, anche se poveri e ci sentiamo fratelli. Una speranza che dura poco, perché la Sicilia ha un destino crudele: chiunque governi è sempre “uno straniero” come se i Borboni o i Piemontesi non fossero mai andati via. E se non si comporta da “straniero” peggio ancora, la illude, la inganna, la deride, la piega ai propri interessi di parte o di bottega, di politica o di mafia. Il destino dei siciliani somiglia alla mattanza dei tonni. In ogni tornata elettorale ciascun partito butta le sue reti per la cattura dei voti. Poi ciascuno col suo bottino risale lo Stivale e vende agli italiani il frutto del pescato, né più né meno come I Piemontesi, che anziché rastrellare voti, depredavano ricchezze. Il siciliano non finisce mai di sperare, come non finisce mai di attendere. In un immaginario vocabolario siciliano attesa e speranza sarebbero sinonimi: l’accomuna l’illusione che tutto cambi. L’unica cosa a cambiare è la speranza. Per Aristotele la speranza muta col mutare dell'età dell'uomo: difetta nella vecchiaia, eccede nella giovinezza. Contro questa verità filosofica, noi siciliani abbiamo avuto la capacità di livellare la speranza, facendo diventare vecchi i giovani, che, come i primi, difettano di speranza. Un cambiamento non di poco conto in una Sicilia immobile. Mentre le campane battono le ore, i quarti, le mezz’ore, rinchiusi nella bolla del tempo, non ci resta allora che attendere e sperare. Pubblicata oggi 5.10.2024

 

sabato 5 ottobre 2024

Riempiamo la solitudine

 

Riempiamo la solitudine.

La solitudine subita o come libera scelta quasi mai esiste. Anche quando un nebbioso sole risplende sui lontani monti e ci rende tristi e solitari,basta affidarsi alla natura per liberarci dal velo di tristezza che ci opprime. In natura non si è  mai soli. Basta contemplare con interesse ciò che ci circonda: un filo d’erba che dondola al soffiar del vento e immaginare quella danza una gioia o un tormento; seguire il cammino di una formica, con in bocca un frammento di pula, inviso agli uomini e loro prezioso cibo, che superando infinite insidie, cerca la tana dove trasportare il prezioso carico o seguire il volo degli uccelli che fanno la spola tra un campo di grano e il loro nido o ascoltare la voce del vento, che s’insinua festoso tra i rami di un albero, regalando la carezza d’un sogno alle assolate foglie. Il cielo nella sua immensa azzurra vastità è la culla dei nostri pensieri, trasportati dalle bianche nuvole, che par non abbiano pace, dissolvendosi e riformandosi in cangianti forme. Nel silenzio della solitudine si avverte il rumore dei pensieri, che nella sospensione del tempo trovano la forza di volare liberi in un immaginario mondo, colorato di mille sensazioni,prodotte dai ricordi che affiorano alla mente.

     

venerdì 4 ottobre 2024

Fame d'amore

 

Fame d’amore.

Oggi abbiamo tutto e in certi casi anche il superfluo. Eppure siamo sempre alla ricerca di qualcosa,causata  da quella ingordigia che ci accompagna fin dalla nascita. Avendo quasi tutto possiamo dire di avere raggiunto il benessere, invece manca l’essenziale,l’amore, senza il quale tutto ha il sapore della sconfitta. Siamo individui in un mondo di umani,  che non dialogano. Persino gli alberi hanno bisogno di non sentirsi soli, felici di accompagnarsi,  intrecciando le loro fronde al minimo soffiar del vento. Noi, al contrario, siamo quasi felici di godere della nostra solitudine, che ci rende socialmente sterili. Una scelta di vita che ci condanna ad  avere fame d’amore,’quell’amor gentil che ratto s’apprende’ ,come dice Dante. Una forza  che supera la volontà e  vince tutte le resistenze,solo se lo volessimo. Solo allora l’uomo raggiunge il benessere, quando lo spoglia dalle egoistiche scorie umane e soddisfa questa innata fame d’amore. Purtroppo la realtà è diversa,prigionieri,come siamo, delle nostre miserie che ci spingono a isolarci in una palude di valori spenti.  

giovedì 3 ottobre 2024

L'amore a parole

 L’amore a parole.

Si dice che in questa società arida e depressa, manca l’amore. Eppure, a ben vedere, se si leggono i messaggi su Fb. essi contengono auguri, complimenti e messaggi d’amore a spiovere. Un tripudio di abbracci virtuali che ci affratellano e ci rendono felici. Si direbbe che Fb è una piattaforma in cui si esternano i sentimenti più nobili, che nella vita quotidiana stentano a emergere. Se la realtà fosse FB, saremmo tutti in paradiso L’uomo assetato d’affetto riesce a manifestare il proprio amore in forma labiale, a parole.Se si scende però sul terreno duro dell’amore, poco rimane di quelle parole, solo l’afflato sonoro e poetico del suono. Lo si nota tutti i giorni, quando incontrando l’amico/a volge lo sguardo altrove. Ogni strategico accorgimento è il benvenuto In un istante crolla tutto il perbenismo sbandierato in FB, per lasciare spazio all’indifferenza Una camaleontica trasformazione, difficile da nascondere, necessitata dal fatto che quando si passa dalle parole ai fatti, la realtà cambia, non mascherabile dal linguaggio del corpo, che non tradisce ciò che si pensa. Uno sguardo dice più di una frase. Tutto parte da lì, dagli occhi, che vanno oltre la superficie, diritti nell’anima. E gli auguri i complimenti e gli abbracci su FB? Accogliamoli con un sorriso di circostanza, come semi non germogliati nell’arido, vacuo mondo di FB, pieno di noia e tanta ipocrisia.,. 

venerdì 27 settembre 2024

Qell'antico odore di mosto

 Quell’antico odore di mosto.

Inebriante, dolciastra nuvola ti sentivo, quando, schiudendo la finestra, entravi prepotente. Ottobre è arrivato! Pensavo. E con esso il profumo del mosto che fin dall’albeggiare muli carichi di otri penzolanti, spandevano per le vie del paese, con il loro rassegnato, monotono zoccolare. La cantina di don Nai, aperta fin dal mattino, attendeva il frutto del raccolto, che mosto era diventato, dopo che mille piedi danzanti di euforici villani, storditi dall’alcol e dalla fatica, tra canti e suoni, grappoli d’uva avevano pigiato fino a farli diventare nettare spumeggiante. Tra una bestemmia e l’altra, nel sollievo dei muli, alleggeriti del loro carico, legati agli anelli di nera pietra, incastonati come gemme, iniziava lo scambio dei ruoli. Non un sodalizio, ma un legame affettivo, tra uomini e bestie, le loro fatiche, ora che dalla groppa dei muli, su spalle madide e appiccicose  quegli otri si trasferivano per essere svuotati nelle botti. Don Nai, raggiante, contava gli otri, uno a uno, badando che non una sola goccia del prezioso nettare andasse perduta, che sangue doveva sembragli. Dubbioso se quel vermiglio liquido, fosse frutto dei suoi sforzi o di chi, ricurvo, per un pezzo di nero pane, aveva lavorato le sue vigne un intero anno. I muli con la testa dentro la “sacchina”, piena d’orzo, pareva non partecipassero ai lavori del travaso, ma il loro lento, coscienzioso masticare si confondeva con le voci dei mulattieri, intenti a contare ‘i viaggi’ fatti e da fare in quell’uggiosa giornata di ottobre, segnata da una leggera pioggia che mescolava gli effluvi dello sterco dei muli all’odore del mosto. Don Nai non era prodigo per natura, ma in certe occasioni, come la vendemmia, lo sbottamento e il trasporto, le tradizioni le rispettava. Un piatto di pesce stocco era la pietanza preferita dai mulattieri, sui cui volti per un attimo la fatica spariva, anche se nel loro destino l’odore dei pasti e dello sterco  è un inscindibile aroma che si mescola da secoli. 

giovedì 26 settembre 2024

RImembranze bucoliche

 

Rimembranze bucoliche

Se c’era un passatempo che amavo trascorrere dopo la vendemmia, era la ricerca dei grappoli dimenticati sulle vite. “Rappucciari” si diceva a quei tempi.

Munito di un piccolo paniere e un coltellino, girovagavo tra le spoglie viti che il dolce nettare avevano donato, dopo una stagione di tribolazione e fatiche, per raccogliere il loro ultimo respiro, ‘u rappocciu’ (piccolo grappolo d’uva) che mani distratte avevano abbandonato.

Colpiva la dolcezza di quel grappolo, che superstite di un abbondante raccolto, sembrava un pendente trovatello, che per amore non aveva voluto separarsi dalla madre che lo aveva generato In un’epoca in cui si cerca l’abbondanza,la dovizia, l’eccesso, quella piccolezza doveva sembrare un dono di Dio, il trionfo degli ultimi,l’esaltazione della modestia, disdegnata da chi, vestito di boria, quel grappolo ignorava.

Così raccolto, lo depositavo nel paniere, su di un letto di felci, come si fa con un bimbo, dopo un bagno ristoratore, e ne facevo dono a mia madre, che quei grappoli adorava più e forse dell’intero raccolto, apprezzando quella mia ricerca, che lei definiva fatta col cuore.

Quel girovagare in  mezzo alle spoglie viti era per me come volere rivivere il rito della vendemmia appena finita, con le sue fatiche, ma anche con i suoi canti e le sue tradizioni, che segnavano la vita di me giovane, immerso in un mondo pieno di fatiche, ma anche di tanta poesia, ahimè perduta.

 

 

mercoledì 25 settembre 2024

Sposato ? No,convivente !

  Sposato? No, convivente !

Posta così la domanda può sembrare pleonastica e impertinente, perché nove volte su dieci, la risposta è prevedibile. Siamo ritornati a molti secoli addietro, ai tempi dei romani, quando la famiglia, per ritenersi tale, doveva poggiare su due requisiti: cohabitatio e affectio maritalis, assegnando al solo maschio il diritto al ripudio. .Con l’avvento del cristianesimo, il cattolicesimo s’inventò il matrimonio come sacramento,con la relativa indissolubilità dello stesso,per dargli stabilità. Per molto tempo questa pratica ebbe successo, finché, frutto di un certo progresso, fu introdotto il divorzio, estendendo alla donna il diritto di scegliere. Una modifica e insieme un’apertura,quella del divorzio, che apriva una crepa sulla strada dell’instabilità de rapporto. Quando si trasforma un istituto, si finisce col demolirlo, per cui oggi nulla rimane del vecchio istituto indissolubile, ridotto a rango di semplice convivenza. Che sia un male o un bene  dipende dalle scelte personali, ma certamente il progresso non si può fermare. Deve purtroppo  riconoscersi che questa ‘fluidità relazionale’, non giova certo ai figli, specie  se minori,che della  disarmonia tra i genitori ne sono vittima, Ma tant’è !’. In quest’epoca d’individualismo selvaggio, ciò che importa è il benessere personale. Ben venga quindi la convivenza, universalmente praticata, dove converge tutto e il contrario di tutto. Una cosa rimane certa. In questo rapporto il futuro non esiste

giovedì 19 settembre 2024

La legge è uguale per tutti.Ipocrisie istituzionali

 

La legge è uguale per tutti. Ipocrisie istituzionali.

Se si entra in un’aula di giustizia, la prima cosa che colpisce è lo scritto che si pavoneggia dietro lo scranno della presidenza: la legge è uguale per tutti. Non si potrebbe immaginare un’affermazione autoreferenziale più ipocrita ed espropriativa dell’animo popolare. Se non fosse per l’aria lugubre che aleggia nell’aula, a quella scritta si reagirebbe con una sonora risata. Niente di tutto questo. Nasce spontanea, invece, la reazione che comporta quella scritta, accompagnata da una serie di riflessioni. Primi fra tutti certi intrighi o intrallazzi, che accompagnano molte sentenze, che vestite con l’abito del bene supremo, tradiscono la ricerca della verità, seppellita da interessi, compromessi e talvolta persino corruzione. In tutti questi casi, la scritta è sempre là, a ricordarci che la legge è uguale per tutti o almeno per gli ingenui o i credenti timorati del potere. Altra stupefacente sfacciata ipocrisia, quella contenuta all’inizio delle sentenze, dove in testa al foglio campeggia lo scritto “ In nome del popolo italiano” Forse sarebbe il caso che quest’inutile, quanto medievale preambolo fosse rimosso, perché non c’è affermazione più autoreferenziale, farisea ed espropriativa dell’animo popolare, che di molte sentenze non condivide il contenuto. Forse sarebbe il caso che le sentenze iniziassero con solo: “In nome della legge.” Anche in questo caso si chiederebbe: in nome di quale legge, quella di primo grado che condanna un imputato o quella d’appello che lo assolve? O quelle della cassazione, talvolta discordanti, salvo quando espresse a SS. UU? Forse sarebbe il caso che le sentenze iniziassero senza preambolo alcuno, col solo riferimento al Collegio o Corte che le ha espresse. Ogni sentenza, infatti, è frutto dell’interpretazione che ne danno i giudici sottoposti alla legge, ma influenzati dalle proprie opinioni, credi, umori, strategie sociali e/o politiche, che influenzano il verdetto. Per un individuo è una vera calamità imbattersi nel giudizio di un proprio simile, che talvolta è peggiore di lui, con o senza toga. Pubblicata oggi 19.09.2024 su La Sicilia

lunedì 9 settembre 2024

Uun sito su cui pubblicare i propri desideri in pubblico

 

Un sito su cui pubblicare i propri desideri in pubblico.

Smanettando su Internet alla ricerca di notizie meritevoli di approfondimento m’è capitato “tra le dita” un sito che può definirsi “il confessionale” dei giovani e meno giovani, non quello di pregevole noce che tante volte abbiamo visto in chiesa, ma quello più moderno, rigorosamente telematico,nel quale ciascuno confessa i propri desideri, spesso esclusivamente indirizzati alla ricerca dell’anima gemella, come panacea di frustrazioni vissute. Nessuno si sognerebbe di gridare o scrivere ” Vorrei fare l’esperienza di  fare sesso, in pubblico. Com’è avvenuto da parte di una trombata in politica,passata alla TV. In una società, che del consumo e del sesso,oltre che di altre biasimevoli abitudini, ha fatto la propria religione, non c’è da stupirsi. Meraviglia non poco, però, la spregiudicatezza di questi messaggi, in particolare di persone“felicemente” ammogliate con prole,alla ricerca di una seconda, terza, quarta anima gemella. Ciascuno di noi può nutrire inconfessabili desideri, ma prudenza impone di non esternarli in pubblico o per chi ci crede di affidarli, semmai, al proprio confessore o allo psicologo.Come si giustifichi questa confessione pubblica? Leggerezza, spregiudicatezza, disinvoltura, irresponsabilità, sfrontatezza? Solo terapia.Affacciarsi alla finestra di Internet non significa dialogare con la propria “Giulietta”,ma affidare al mondo intero le proprie frustrazioni, dove“ l’altro” è una sconfinata moltitudine di persone e la parola ha il fragore rumoroso di un uragano, disperato, quanto diseducativo. Un grido liberatorio di aiuto di chi in Internet cerca la fede o la forza di credere in se stesso. Forse sta nascendo una nuova religione: Google.Pubblicata oggi 09.09.2024 su La Sicilia

 

 

domenica 8 settembre 2024

La musica come terapia apre scrigli segreti

 

La musica come terapia apre scrigni segreti.

Tra le tante muse che ispirano l’animo umano, la musica è l’arte che più di tutte entra nel cuore ed è capace di stimolare sensazioni forti e far riemergere lontani, sopiti ricordi, fotogrammi di vita, che scorrono veloci. Aghi che come spade pungenti trafiggono il cuore per tramutarsi in brividi. Si può rimanere folgorati davanti a un quadro o scossi dall’ascolto di una poesia, ma la reazione che si prova ascoltando certi brani musicali non ha eguali. Come possa tramutarsi in lacrime l’ascolto della famosa aria della Tosca “ E lucevan le stelle”, carica di afflato emotivo, è difficile spiegarlo. Forse rimuove grumi di dolore sepolti, che impetuosi riemergono in un cuore sensibile all’ascolto, capace di tramutarsi in tristezza, che ci riporta a una situazione di vita vissuta. La relazione tra suono ed emozioni è oggetto di studio, un legame che influenza le nostre emozioni e il nostro stato d’anima. La musica ha il potere di toccare le corde più profonde del nostro essere acuendo una serie di emozioni, tra cui il benessere fisico e psicologico, con funzione terapeutica. E’ un canale attraverso il quale si esprime e si processano le emozioni, che altrimenti rimarrebbero inespresse. La musica in certe situazioni spesso determina un distacco dal mondo, uno stato ascetico, che purifica lo spirito. Un miracolo, in sostanza. Ascoltiamo la musica che ci rigenera e forse ci rende migliori. E’l’illusione che ci rende felici e la musica è il miglior vettore. Pubblicato su La Sicilia il 30.08.2024

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giovedì 15 agosto 2024

Libertà di stampa o stampa liberà?

 

Libertà di stampa o stampa libera?

Spesso ricorre il solito ritornello: in Italia è in pericolo la libertà di stampa. L’affermazione è mal posta. In Italia ciò che manca non è la libertà di stampa, ma una stampa libera da ideologie. Basta fare l’elenco dei quotidiani italiani e subito emerge lo schieramento politico di appartenenza. Qualsiasi notizia riguardante la politica è accompagnata da una serie di premesse, considerazioni, riflessioni e conclusioni, secondo l’ideologia di appartenenza,cosicché ‘la notizia’, quasi un’arringa, perde i caratteri dell’obiettività, per trasformarsi in propaganda di parte. La stessa tecnica è usata dai media, distribuiti tra destra e sinistra, secondo il canale scelto. Il giornalismo attuale ha scoperto ‘i colori e li usa a seconda la propria convinzione ideologica. La notizia ‘bianca’, quella priva d’infingimenti, non esiste. Il tentativo di dipingere il giornalista libero di pensare è un’ipocrisia travestita da utopia. Tale libertà si coglie, semmai, quando si tratta di diffondere dati meteorologici o semplici notizie di cronaca, purché lontani dalla politica. In tutti gli altri campi il libero pensiero è come il libero arbitrio che Martin Lutero nega, perché tutti siamo soggetti al destino o alla nostra percezione di parte, talvolta prezzolata. Saro Pafumi Pubblicata oggi 15.08.202424 su La Sicilia. 

giovedì 8 agosto 2024

Il sapore del tempo

 

Il sapore del tempo.

La vecchia, per chi la raggiunge, porta con sè un grande insegnamento: il tempo è oro. Ciò si comprende quando il tempo che rimane da vivere si restringe. E’ il momento in cui il tempo si consuma a sorsi, guardando nel calice della vita ciò che di esso rimane. Lo spreco temporale assai diffuso nel periodo giovanile è un rimpianto che ci portiamo dentro, ora che il suo scorrere si calcola in giorni,ore e minuti, scanditi dal sorgere del sole. Il tempo non è il ticchettio scandito dall’orologio, lo scorrere delle pagine di un diario, il racconto di una storia, lo scroscio di un rubinetto lasciato aperto. Il tempo è un’entità sconosciuta determinata dalla cronologia delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti, anche se in sostanza “ è la più sconosciuta di tutte le cose sconosciute” (Aristotele). Si direbbe che il tempo è come un direttore d’orchestra che scandisce il tempo agli orchestrali che nella vita quotidiana siamo noi umani. La vecchia può definirsi l’ultimo miglio che ci tocca di vivere, prima di raggiungere l’infinito, in cui il nostro destino, un tempo sconosciuto, si è finalmente, nel bene e nel male disvelato. Ci rimane solo di percorrere gli ultimi metri, non con lo spirito sportivo dei ‘cento’, in cui ci si affanna a percorrerli a tempo  di record, ma con un ritrovato spirito: a passo di lumaca. Un’aspirazione che ci portiamo dentro, che si comprende, quando il ticchettio dell’orologio sta per cessare. Pubblicata oggi 08.08.2024

martedì 6 agosto 2024

Linguaglossa,il mio paese

 

Linguaglossa, il mio paese. 

Chissà quante volte un tema con questo titolo è stato assegnato agli alunni delle scuole elementari. M’immagino, bambino, seduto sul banchetto a spremermi le meningi in cerca di qualche idea. Ora che il banchetto delle elementari l’ho lasciato da un pezzo, voglio riprovarci a svolgere un tema del genere, possibilmente con lo stesso stile di un bambino, ma col disincanto di un adulto.

Il proprio paese è il territorio in cui si vive ed insieme la moltitudine di persone che ci abita. Soffermiamoci a ragionare su quest’ultime, perché il territorio, è fuor di dubbio, si ama, se non altro perché si è nati. Le persone: diverse e strane, cordiali e sospettose, individualiste, ma socievoli, aperte alle innovazioni e insieme conservatrici, lavoratrici, ma con moderazione. Ospitali. Criticone e pettegole come in tutti i paesi. L’iniziativa altrui è guardata con sospetto, valutata con attenzione, oggetto di dispute e dibattiti, ma prontamente imitata in caso di successo. La caratteristica del linguaglossese è usare gli altri come apripista, il cui operato può avere solo due sbocchi: “Lo dicevo io che l’iniziativa non poteva avere                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             successo” oppure, in caso d’iniziativa proficua, pronto a collocare, accanto all’esercizio di successo, il proprio. L’apertura di un nuovo locale pubblico attraversa tre fasi:

infatuazione (in quel locale si mangia benissimo, si paga poco e l’igiene è ottima);

indifferenza (si mangia bene, ma i prezzi sono aumentati e sull’igiene non mi pronunzio);

disfattismo (si mangia male, si paga troppo e l’igiene è pessima).

 L’aspetto curioso della vicenda è che questi tre giudizi, profondamente diversi, si formano e si modificano nell’arco di un lanmpo brevissimo, il che ci caratterizza per un’altra qualità: la volubilità.

Il linguaglossese ha con il proprio paese un rapporto amore-odio. Lo critica, ne esalta più i difetti che i pregi, lo calpesta, l’oltraggia, non                                                                                                                                                                                              fa nulla per migliorarlo, salvo a difenderlo, se a criticarlo è chi non del luogo. Una specie di patriottismo “bellico” L’auto, l’abbigliamento sono la cartina di tornasole per giudicare gli altri. Per non dare negli occhi basta indossare un paio di “causi strazzati” o “made in China” altrimenti ogni stravaganza è fonte di strali.

Farsi i fatti propri è vietato. Si guarda più la spesa nel carrello degli altri, che in quella propria. Se un forestiero chiede di sapere dove abita una persona, si fornisce il suo curriculum completo, con la richiesta di rito: “Scusi, ma perché lo cerca?”. La privacy? Come si fa a                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         rispettarla, se ognuno la mattina inizia la giornata raccontando i fatti propri e quelli degli altri? Le case sono verande di vetro attraverso cui è possibile vedere e qual che non si vede, s’immagina.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              Più che un paese, un palcoscenico su cui ognuno “recita, a soggetto”, il proprio ruolo quotidiano, vestendo ora i panni del protagonista ora quelli dello spettatore. Un paese, dunque, come tanti altri? No! E ’il migliore, perché è il mio paese.

 

 

 

 

lunedì 5 agosto 2024

Il ritorno del lupo

 

Il ritorno del lupo.

Dopo due guerre mondiali, mezzo secolo di guerra fredda e ottant’anni di tregua, si sperava in un’Europa di pace. Assistiamo invece a due guerre (Ucraina e Gaza) che poco manca non si trasformino su vasta scala, per non parlare di quelle sparse in tutto il mondo, sfacciatamente silenziate. E’ il ritorno del lupo, quella bestia che c’è dentro di noi, che di tanto in tanto si risveglia, facendo piombare il mondo indietro di secoli. Un comportamento umano che qualcuno, fin dall’antichità, ha definito:’homo homini lupus’, per designare lo stato di natura in cui gli uomini, soggiogati dall’egoismo, si combattono l’un l’altro per prevaricare sul più debole. Un comportamento che trova applicazione su vasta scala, a cominciare dal rinato schiavismo, che pensavamo fosse stato definitivamente sconfitto. La stessa democrazia nata come contrappeso alla dittatura, esercitata in molti Stati, appare sempre più debole, affetta dal virus dell’odio, che trasforma la lotta politica in violenza verbale e fisica. Se a tutto ciò si aggiunge la presenza di leader zoppicanti e privi di carisma, la crisi politica culturale ed esistenziale precipita nel caos, aprendo le porte al ritorno del lupo che c’è dentro di noi, appena sopito, ma mai estinto. Ne sono esempi i vari femminicidi, gli stupri sempre più numerosi, paradossalmente presenti in una società, in cui si pratica il divorzio, le famiglie allargate, una regola, e la vita sessuale non è più un  tabù. Cosa non ha funzionato per arrivare a tutto questo ? Forse la dissoluzione della famiglia, l’imperante egoismo, la sconfitta della scuola, il venir meno della religione, concause che hanno trasformato l’uomo  in dio di se stesso, annullando la trascendenza che fa paura:un nuovo modo di pensare e di vivere,sostituito dal solo benessere fisico e materiale. In sostanza, il ritorno del lupo che c’è dentro di noi. Pubblicata  oggi 05.08.2024 su La Sicilia

 

 

domenica 4 agosto 2024

Cosa consigliare a chi cerca casa

 

Cosa consigliare a chi cerca casa.

Se cerchi un paese dove stabilirti o una casa da acquistare per starci, forse faresti bene, prima di scegliere, a venire a Linguaglossa. Prima di scoprire le sue bellezze e i suoi abitanti, sappi che, qui, l’ospitalità non ha eguali, la respiri in ogni dove.

È la legge del cuore. Te ne accorgi subito. Se chiedi a qualcuno dove si trova una via…… ti accompagnerà, elencandoti tutti gli abitanti del quartiere: è il sacro ‘rito della presentazione’.

Le più belle sensazioni, poi, sono quelle dirette che ti giungeranno agli occhi e al cuore: le viuzze, prima ancora delle strade principali. È là che coglierai l’anima del paese, là ove il tempo si è fermato. Entrerai in un passato senza tempo e, per un attimo, anche il tuo si sarà fermato.

Tra quelle strade, un tempo piene di gente, ti sembrerà di ascoltare ancora le loro voci e la loro gioia di vivere. Sentirai l’odore del muschio che copre i muri, il profumo del gelsomino che sbava dai muri o vedrai pelargoni rosa rovesciarsi da barbosi balconi darti il benvenuto.

Ascolterai il ritmico, gioioso picchiettio 'du partituri” del beccaio, curvo, come pastorello da presepe, intento a preparare la salsiccia al ceppo o sentirai l’odore del pane appena sfornato.

Poi, quando, riemerso dal passato, scoprirai le strade cittadine, le ville comunali, le chiese e i palazzi non saprai dove scegliere: se cercare casa in una delle tante viuzze, dove regna il silenzio e un raggio di sole non si nega mai o in una delle tante vie principali da dove, affacciato, vedrai passare il Santo Patrono, le sfilate di carnevale, la banda musicale, giovani donzelle agghindate e gioviali.

Tra le quattro mura che hai scelto, che appartengono solo a te, re ti sentirai, tra amici, perché qui da noi il forestiero è la nostra parte migliore.

Anche se non arrivi in groppa al cammello e non trovi da dattero le palme, sappi che hai appena trovato un’oasi, da cui, mai ti vorrai separare. 

sabato 3 agosto 2024

Anche le campane hanno un nome

 

Anche le campane hanno un nome.

A volte il progresso, snatura il nostro modo d’essere, perché ci ruba qualcosa che sta scolpito dentro di noi. Chi ha avuto la ventura di nascere in un piccolo paese, Linguaglossa, vive di ricordi, di tradizioni, di colori, di personaggi, di suoni.

Tra questi suoni, i rintocchi degli orologi campanari che segnavano i quarti e le ore. Al primo rintocco conoscevi già il campanile dal quale proveniva, perché ogni campana aveva la sua "voce", differente, inconfondibile: grave, “la” bemolle, quella delle ore della Matrice, squillante, “si" bemolle quella dell’Annunziata.

Mai che questi orologi campanari segnassero le ore con sincronia, perché, anche se chi sovrintendeva alla loro regolazione era lo stesso, don Saro, detto “fatittedda”, estroverso e tutto pepe, alto quanto “u battagghiu di ‘na campana”, diversi erano i momenti e i suoni delle campane, come se fossero sincronizzati sui caratteri dei sacrestani che avevano a cura le chiese: taciturno il primo, don Salvatore, detto “ turi nascazza” (impressionante la sua somiglianza all’attore Paolo Stoppa), metodico il secondo, detto “machinetta o barbarozzu”.

Sentivi già al mattino che il paese era sotto una coltre di neve, se, al risveglio, la prima campana che segnava i quarti aveva la voce soffocata dalla neve che la ricopriva.

Tiravi su la coperta, come se quel suono smorzato di campana ammantata di bianco ti trasmettesse il freddo dell’esterno e seguitavi a dormire, immaginando paesaggi innevati e smarriti pettirossi a beccare nei “mignani” tra rami rinsecchiti di basilico.

Oggi un altoparlante azionato da disco diffonde nell’aria melodie sempre uguali e i campanili, perduta la loro dignità, non diffondono differenti rintocchi, come se, rese mute le campane, ai campanari avessero strappato le corde vocali.

Quando il progresso ti ruba la tradizione è come se qualcuno, usandoti violenza, ti costringesse a camminare nudo per strada. Un’anima spogliata dei suoi ricordi è, infatti, come una lampada fulminata, inservibile.

Tratto da “Linguagrossa civitas dilecta integra vol I” di Saro Pafumi

 

 

 

 

 

 

 

venerdì 2 agosto 2024

L'elogio dell'essenziale,il lavoro nero

 L’elogio dell’essenziale, il lavoro nero.

‘Menu mali ca u Signuri c’è’. Con questo modo di dire, tipicamente siciliano, qualcuno vorrebbe significare che dinanzi alle difficoltà della vita, talvolta affiorano soluzioni impensabili, che fungano da contrappeso alle ingiustizie sociali. E così “Menu mali ca u Signuri c’è” può riferirsi al fatto che c’è il lavoro nero, una forma di provvidenza divina. Il governo ci ricorda continuamente che la ripresa è decollata, anche  se l’unica cosa che è veramente decollata è la disperazione di chi non trova lavoro. Non è vero neanche questo, perché il lavoro, quando c’è, è nero. Il governo, oltre alla ripresa che non c’è, ci ricorda un’altra realtà e cioè che bisogna debellare il lavoro nero. Guai solo a pensarlo. Assisteremo a scene, come la presa della Bastiglia, di francese memoria, con le teste dei nostri governanti, che cadrebbero una a una sotto l’inflessibile ghigliottina popolare. Il governo ha contezza che in mancanza di lavorio nero non esisterebbero parlamento e democrazia? Il lavoro nero, per chi non lo sapesse, è l’unica risorsa che mantiene in vita la società meridionale, in cui lavorare non è un diritto, ma una condizione di vita. Nessuno tocchi il lavoro nero, l’unico baluardo a difesa di milioni di disperati. Senza, non saremmo sicuri neanche se ci rinchiudessimo dentro un bunker. Il governo deve capire che tenendo, in qualunque modo, la mente occupata delle persone è il migliore sistema per non farsi giudicare. Non vorrei trovarmi in una società in cui non si lavora, ma si pensa solamente. Sapete come mangia il pane chi lo guadagna col lavoro nero? Lo impasta con i denti, la lingua, il palato, le guance e la poca saliva che gli rimane; ne assapora il gusto, l’aroma, la fragranza; lo trattine a lungo, in bocca, perché attenui la sofferenza della fatica e prolunghi la speranza di ripetere il rito il giorno dopo. Perciò, ’Menu mali ca u Signuri c’è’ e ha le sembianze del lavoro nero,perché in atto alternative al lavoro nero non ne vedo. Elogio del lavoro nero o elogio dell’essenziale? Fate voi. 

martedì 30 luglio 2024

Il vino etneo,l'unione farebbe la forza.

 

Il vino etneo, l’unione farebbe la forza.

 

Certi proverbi, nel nostro profondo sud, non sono apprezzati o sono sottovalutati, nonostante fonti d’autentica esperienza vissuta. Uno di questi: “L’unione fa la forza”, sostanzialmente un inno all’associazionismo. Un fenomeno che ha fatto la fortuna di molte imprese e di svariati prodotti del nord.

Prendiamo ad esempio il vino, d’ottima qualità, che si produce nella zona etnea: Linguaglossa, Castiglione e paesi viciniori.

Una miriade di piccoli coltivatori produce ed imbottiglia il proprio prodotto con le etichette più svariate, alla ricerca affannosa di un proprio mercato. Una forza frantumata in mille realtà, ciascuna delle quali, per farsi conoscere e distribuire, spende una barca di soldi, con risultati talvolta deludenti, immettendo sul mercato un’infinità d’etichette o marchi che in definitiva rimangono ignoti al gran pubblico. Così scopri un Doc dell’Etna che si chiama Rossi, altro Bianchi ed altri ancora, molti derivati dagli stessi vitigni.  

Se ci fosse un prodotto unico, si chiami “Linguaglossa” o “Castigione” (il nome legato al territorio di produzione è già un marchio universalmente riconoscibile), si avrebbe il risultato di immettere sul mercato un unico marchio, sostenuto da tutte le forze produttive, identico per zona di produzione, qualità organolettiche e prezzo, sì da renderlo inconfondibile.

Una riflessione talmente ovvia, da sfiorare la banalità, eppure tristemente disattesa. Il mio augurio è che si superino gli esasperati individualismi, le gelosie, le diffidenze che ci caratterizzano e si tralasci di curare il proprio orticello per abbracciare o almeno imitare quell’associazionismo del nord, fonte di benessere, di qualità, d’immagine, di prestigio.

Un approccio culturale meglio strutturato e l’abbandono del concetto di “bottegaio”, anche a noi farebbe scoprire, forse, una verità sempre conosciuta, ma da noi cocciutamente disattesa: “ L’unione fa la forza”.Pubblicata oggi 30.07.2024 su La Sicilia.

lunedì 29 luglio 2024

Gemellaggio emotivotra Linguaglossa di Saro Pafumi e "la mia Licodia Eubea" di Enzo Trantino

 

La Sicilia di oggi  29.07.2024

"Lettera a rne stesso"      

di ENZO TRANTINO   

Gemellaggio emotivo  tira la Linguaglossa di Saro Pafumi    e la "mia Licodia"     

Enzo,

Saro Pafumi, scrittore immediato della sua Linguaglossa, meriterebbe  l'invito in cattedra, almeno mensile, nelle scuole di formazione di una città di •"grandi firme",. dalla medicina alla scultura per ricordare ai ragazzi racconti di costume oramai affidati allo sbadiglio, di chi sembra nato sotto un cavölo, senza comprendére la continuazione di famiglie, che appartengo no alla storia della comunità .Si sono salvate le piazze ora deserti spiazzi per passanti frettolösi,ieri, teatro della vita

Pafumi  mi ha costretto a chiudere gli occhi e a raggiungere le mie prime esperienze di couunità,  nella mia Licodia Eubea. E' un gemellaggio emotivo che merita accoglienza nella 'lettera perché testimonianza di un quotidiano incontro, unica occasione di riflessione e di comunicazione. Tornavano attuali recenti funerali e contrastati matrimöni sino alla sparizione naturale delle "sorelle Masi". Nessuno s'erä accorto della loro esistenza "förse, a pensarci bene, neppure loto.".

Quando la sera cedeva il passo alla notte, si rientrava a casa, cercando di essere gli ultimi per non essere"sparrati", per non finire cosi nei riferimenti divertenti.

Nelle vacanze e. nei pomeriggi dei giorni ordinari sua maestà il pallone regnava tra gioiosi insulti avanti gli inviti non accolti di ‘ passare la palla’. Oltre non vi era spazio. Era il costume del "poco o niente", rna era vita, appuntamento felice, incontri di esperienze in nocenti. “ U Chianu" era il perimetro dell'ordinario, dove tutto arrivava in ritardo.

Pafumi racconta del "circolo", dove si distribuivanö i giornali del giorno precedente, perché, tagliando la "testata?', l'invenduto era gratis. La guerra in Corea per esempio era avvenimento lontanissimo, döve gli uomini uccidevano gli uomini, fucili contro fucili..

Oggi, abbiamo fatto il 'callo", cöme insegnava Cicerone, sintetizzando la ripetitività. Abbiamo da seguire ben due guerre in corso,viviamo, assenti, l’abitudinarietà. Abbiamo perso per non uso il diritto pensare, perche 1’ appalto permanente e stato vinto dagli"Opinioni, quelli che del ‘video' provano senza impegno il mestiere di tuttologi ,dal Covid, alle strategie militari, all'intelligenza artificiale al drenaggio, al clima

Parlano con foga, ostentando supponenza Parlano quasi sempre inascoltati  E' l'altro mondo, quello dove la conta dei morti e un veloce passaggio di numeri per passare finalmente allo sport alla bellissima immagine del rnarziano Sinner l'umano inno alla gioia Quando poi il tema e la politica per chi come noi ha vissuto la piazza', conforta la nostalgia del rimpianto. Tutti a scontrarsi con la bava nel cuore ,tutti a odiare come esercizio permanente

Guardo il piccolo dei miei nipoti, sa pendo di deluderlo alla richiesta” rna voi come passavate il tempo in provincia"?  Risposta fugace “vivendo"

ENZO

martedì 23 luglio 2024

La spensieratezza è un ricordo.

 

La spensieratezza è un ricordo.

Un tempo lontano quando le difficoltà del quotidiano vivere erano maggiori, a cominciare dal cibo, non era infrequente incontrare per strada, a piedi o a dorso di asini e muli, persone dall’aria allegra, che facevano ritorno a casa, dopo una giornata di nera fatica, fischiettando o cantando la canzone del cuore. Un’abitudine per dissolvere nel canto l’amarezza accumulata dopo una giornata di lavoro, trasformandola in spensieratezza, che liberava dal peso della vita. Oggi quella spensieratezza si è dissolta e nessuno si sente fischiettare o cantare, anzi col capo chino appesantito da mille pensieri, fa ritorno a casa, dove lo aspettano altri problemi. Il cibo non manca; la scala di granito, tanto sperata è una realtà; in giardino la piscina, con la sua acqua quieta e trasparente, che ha il colore del cielo, ci fa sognare di essere sul lago di Garda, mentre tutt’intorno, l’aria profuma di rose. ‘Cosa vuoi di più dalla vita ? ’ pare ricordarci un noto refrain. Eppure c’è un invisibile, pernicioso virus,che ci rode la vita: l’insaziabilità,contro cui s’infrange la vita dell’uomo con i suoi valori, che si accompagnano all’abbrutimento della società e al cinismo dell’intelletto. Le tradizioni, un tempo grate ai nostri antenati, ormai sonnecchiano nella sopita mente. Non basta più il profumo odoroso di una pentola,messa sul fuoco, alla luce arancione di una lampada a petrolio per ripagarci della fatica Tutto è assorbito dalla voglia di volere di più. Ecco quindi che affiora nell’animo umano l’insaziabilità. Una voragine in cui precipita l’uomo, che lo snatura, lo sfigura e lo priva di quella spensieratezza, che rendeva dolce, un tempo, il sapore della vita, nonostante la fatica e i sacrifici. Oggi abbiamo tutto o quasi, ma ci manca la leggerezza del canto: le nostre ali per immaginare di volare .Pubblicata oggi 23.07.2024 su La Sicilia.

domenica 21 luglio 2024

Il canto del cuculo

 

IL canto del cuculo.

Ogni anno attendo con piacere il ritorno del cuculo col suo monotono canto Mi ricorda la mia fanciullezza, quando, per alleviare la calura delle serate estive, immerso nel silenzioso mistero del buio, le trascorrevo disteso sul balcone ad ascoltare il cuculo, che aveva scelto il vicino campanile per deliziarmi del suo canto. Quello che poteva sembrare un canto triste e ripetitivo impregnava il mio animo di fresca levità. Era tanta la sua forza attrattiva, da impegnare la mia mente a calcolare la pausa tra un cu-cù e l’altro, riuscendo a prevenirne il suono, spesso sovrapponendo il mio, al suo cu-cù. Sé è vero che il cuculo canta in cerca d’amore, tra noi due si era stabilito un intreccio amoroso, impegnati l’uno a cercare l’altro. Si dice che quando il cuculo canta le cicale zittiscono e viceversa,perché entrambi del silenzio hanno fatto il loro regno,che sapientemente si sono ripartiti,mentre tutt’intorno il mondo dorme. Solo il contadino rimane sveglio per trarre dal suo canto gli auspici per il suo raccolto. Si crede, infatti, che se il suo canto provenga da est il segno è propizio, al contrario se proviene da ovest. Credenze popolari che nei segni della natura affondano le speranze di chi disperato resta, costretto a faticare nell’incertezza di un raccolto. Gratificato e sospinto da quel canto, col viso rivolto verso l’alto, sceglievo poi un angolo di cielo e cercavo di contare le stelle. Quella ricerca mi aiutava a sorreggere il tempo, liberandomi dalle fatiche giornaliere e dai pensieri, che offuscavano la mia mente. Ancora oggi nelle calde notti, quando cerco la serenità, il mio orecchio è teso alla ricerca del canto del cuculo, che mi rifà sentire giovane. Non conto più le stelle, ma ascolto l’eterno ticchettio del tempo, lento ma inarrestabile, sperando che io non sia, alla mia tarda età, l’ultima foglia secca e ingiallita, che lascia l’albero della vita, ma che possa rivedere, ancora una volta, il sorgere del sole.

Tratto da “ Il sole è stanco di sorgere ogni mattina” di Saro Pafumi

 

sabato 20 luglio 2024

Giudici -_ Separazione delle carriere.

 

 

Giudici- Separazioni delle carriere.

E’ all’ordine del giorno la legge sulla separazione delle carriere dei giudici. Le tesi tra i pro e i contro sul disegno di leggi  sono varie e contrastanti. Ai giudici la proposta fa venire l’orticaria, perché l’innovazione, di portata costituzionale, incide profondamente sul concetto di ‘giudice’, che attualmente abbraccia le due funzioni, talmente radicato nell’animo di chi esercita queste funzioni, da considerare la riforma una violenza fisica, giuridica e ideologica. Al di là della fondatezza delle opposte tesi, c’è da aggiungere, che ove si finirà con l’approvarla, dovranno passare almeno due generazioni, prima che la riforma sia assorbita da chi, a modo suo, non riesca a recepire il concetto che il PM non è un giudice, ma rappresenta la pubblica accusa. Una novità non di poco conto, perché le due funzioni sono caratterialmente diverse. Il giudice deve cercare la verità, mentre la Pubblica Accusa, l’autore del misfatto. Funzioni che presuppongono preparazione, studi, competenze e approcci culturalmente diversi. Guai a mescolare le due funzioni, perché un giudice non può mai essere un buon poliziotto e un Rappresentante dell’accusa, un buon giudice: una visione pirandelliana in cui si può essere contemporaneamente Uno. Nessuno, Centomila. Una moltiplicazione di ruoli, che trova origine nell’avidità umana. A nessuno, immagino, piaccia farsi giudicare da un giudice che prima era un p.m. Basterebbe questa considerazione, universalmente sentita, per tenere separate le due funzioni, che sono e restano contrapposte, perché è evidente che l’esercizio di una funzione porta con sé, a lungo andare, ciò che si definisce ‘deformazione professionale”Un carabiniere non ha la veste mentale di un finanziere, secondo cui tutti siamo evasori ‘a prescindere’. La confusione dei ruoli è la prerogativa di questo periodo storico, in numerosi campi del vivere umano, nella sanità, in particolare, con gli infermieri e i farmacisti che fanno i medici e viceversa. Restare nei propri ranghi è indispensabile, per evitare risultati deludenti e spesso fuorvianti, specie in ambiti di salute e libertà, veri capisaldi dell’essenza umana. Pubblicata oggi  20.07.2024 su La Sicilia.

mercoledì 17 luglio 2024

Razzisti a parole

 

Razzisti a parole

Se chiedete a qualcuno se sia razzista, la risposta è tra lo stupore e l’indignazione. Nessuno si sogna di dichiararlo, anche se lo pensa, perché è di moda il politicamente corretto, che impone di adeguarsi al pensiero comune. In qualche caso alla domanda sul razzismo, si risponde di non esserlo, aggiungendo un ‘ma’, che nasconde una verità grande, quanto una casa; un virus sopito di cui quasi tutti siamo infetti. Il razzismo a parole è più diffuso di quanto si creda e molti modi di dire lo confermano.”Moglie e buoi dei paesi tuoi”; “Paese che vai, usanza che trovi”; Le istituzioni morali della vita sono diverse da Paese a Paese (Cicerone in ‘de Republica’; ‘Ogni uomo ha una pancia,ogni Paese un’usanza’ E per dirla con A,Fallaci. “Se dici la tua sul Vaticano, sulla Chiesa Cattolica, sui Papa, sulla Madonna, su Gesù, sui Santi, non ti succede nulla. Ma se fai lo stesso con l'Islam, col Corano, con Maometto, coi figli di Allah, diventi razzista”. Detestiamo il razzismo, ma poi nei fatti lo pratichiamo,quando sfruttiamo il lavoro degli immigrati a basso costo o quando riferendoci ai marocchini, li chiamiamo “ i vù cumprà”. Siamo razzisti a parole quando usiamo espressioni apparentemente normali, ma in realtà nascondono unì’evidenza, che teniamo nascosta. “Non sono razzista, ‘ma’….. è l’espressione più loquace, aggiungendo quel ‘ma’, preceduto da virgola. che come preposizione avversativa segnala un contrasto tra le circostanze espresse nelle due proposizioni. Inutile ‘ammucciari u suli cu criu”, mi verrebbe da dire.”; ca nisciun è fess”, direbbe Totò. Ammettiamolo che siamo un po’ razzisti,se non altro a parole, anche se vogliamo non esserlo! Pubblicata oggi 17.07.2924 su La Sicilia.