La TV
spenta e il rumore dei pensieri.
Il temporale che si è
abbattuto in questi giorni sul nostro versante ha reso muta e cieca la
televisione. Una condizione insolita. Una compagna di vita, osservo, che ha
scelto il riposo. In casa il silenzio rientra, non richiesto, dalla porta di
servizio, in punta di piedi, lui, che, da quando lo schermo piatto è diventato
il re della casa, ha fatto i bagagli, avendo esaurito il suo salutare servizio.
Ti accorgi della sua presenza, ora, che, felpato, si aggira per casa. Un ospite
gradito che ti fa riscoprire le bellezze del passato: il rumore del respiro, il
brontolio dello stomaco, il fruscio dell’ombra che ti trascini appresso,
persino il bisbiglio dei pensieri, che timidi si affacciano alla mente. Senti
che i tuoi pensieri ora camminano da soli, senza essere trasportati del tubo
catodico che li accompagna dove lui vuole condurli. Nel silenzio che avvolge la
camera, finalmente puoi parlare a te stesso, senza il frastuono di altre voci.
Un dialogo, lungo, meditato in cui i pensieri scorrono lievi, genuini, freschi,
zampillanti dalla fonte dell’anima, che riemerge libera dal coro di voci
impertinenti, insulsi, talvolta insensati, che come fiumi in piena escono dal
cinescopio. Quel monitor, che, muto mi guarda, vorrebbe dirmi qualcosa, ma non
osa. Forse, penso, guarda il telecomando che ho in mano, da cui dipende la sua
vita o la sua morte o forse vorrebbe dirmi di non usarlo, per prolungare il
tempo di pensare, quell’attività umana alla quale ho stupidamente rinunziato
per lasciare che altri lo facciano in mia vece. Il telecomando! Ecco, il telecomando! Non avevo pensato che usando quest’infernale
aggeggio, non accendo o spengo la TV ma il mio cervello.
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