“Amara terra mia” tra attese e speranze.
Se ci interrogassimo come si trascorra il
tempo in Sicilia, non ci sono che due sostantivi per definirlo: attesa e
speranza. Uno stato d’animo che oscilla come pendolo nella gabbia della vita,
da cui non si evade mai. Un ergastolo che ci riguarda, in attesa di passare il
testimone a chi è destinato a succederci:i nostri figli, in un continuo divenire
senza fine. L’attesa è lo stato d’animo con cui inizia la giornata: la promessa
di un lavoro che non arriva; un pagamento che tarda; una pensione che non
matura; una malattia che resiste alla cura; un presente sospeso nel nulla; un
futuro che si annebbia. Ogni giorno le campane battono le ore, i quarti, le
mezz’ore, il tempo passa, ma nulla muta. Poi la sera, chiusi dentro la stessa
gabbia si consuma l’attesa di un nuovo giorno che dura quanto il tempo di un
respiro e vola via, come quello che precede o quello che arriva. Ciascuno di
noi è portato a chiedersi: Garibaldi è andato via o dimora ancora sull’Isola? I
Borboni sono stati cacciati e al loro posto sono arrivati i Piemontesi?
Qualcuno amaramente ci ricorda che anche loro sono andati via, assieme ai nostri
averi. Allora si accende la speranza di essere liberi, anche se poveri e ci
sentiamo fratelli. Una speranza che dura poco, perché la Sicilia ha un destino
crudele: chiunque governi è sempre “uno straniero” come se i Borboni o i
Piemontesi non fossero mai andati via. E se non si comporta da “straniero”
peggio ancora, la illude, la inganna, la deride, la piega ai propri interessi
di parte o di bottega, di politica o di mafia. Il destino dei siciliani
somiglia alla mattanza dei tonni. In ogni tornata elettorale ciascun partito
butta le sue reti per la cattura dei voti. Poi ciascuno col suo bottino risale
lo Stivale e vende agli italiani il frutto del pescato, né più né meno come I
Piemontesi, che anziché rastrellare voti, depredavano ricchezze. Il siciliano
non finisce mai di sperare, come non finisce mai di attendere. In un
immaginario vocabolario siciliano attesa e speranza sarebbero sinonimi:
l’accomuna l’illusione che tutto cambi. L’unica cosa a cambiare è la speranza.
Per Aristotele la speranza muta col mutare dell'età dell'uomo: difetta nella
vecchiaia, eccede nella giovinezza. Contro questa verità filosofica, noi
siciliani abbiamo avuto la capacità di livellare la speranza, facendo diventare
vecchi i giovani, che, come i primi, difettano di speranza. Un cambiamento non
di poco conto in una Sicilia immobile. Mentre le campane battono le ore, i
quarti, le mezz’ore, rinchiusi nella bolla del tempo, non ci resta allora che
attendere e sperare. Pubblicata oggi 5.10.2024
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