Sposato? No, convivente !
Posta così la domanda può sembrare pleonastica e impertinente, perché nove volte su dieci, la risposta è prevedibile. Siamo ritornati a molti secoli addietro, ai tempi dei romani, quando la famiglia, per ritenersi tale, doveva poggiare su due requisiti: cohabitatio e affectio maritalis, assegnando al solo maschio il diritto al ripudio. .Con l’avvento del cristianesimo, il cattolicesimo s’inventò il matrimonio come sacramento,con la relativa indissolubilità dello stesso,per dargli stabilità. Per molto tempo questa pratica ebbe successo, finché, frutto di un certo progresso, fu introdotto il divorzio, estendendo alla donna il diritto di scegliere. Una modifica e insieme un’apertura,quella del divorzio, che apriva una crepa sulla strada dell’instabilità de rapporto. Quando si trasforma un istituto, si finisce col demolirlo, per cui oggi nulla rimane del vecchio istituto indissolubile, ridotto a rango di semplice convivenza. Che sia un male o un bene dipende dalle scelte personali, ma certamente il progresso non si può fermare. Deve purtroppo riconoscersi che questa ‘fluidità relazionale’, non giova certo ai figli, specie se minori,che della disarmonia tra i genitori ne sono vittima, Ma tant’è !’. In quest’epoca d’individualismo selvaggio, ciò che importa è il benessere personale. Ben venga quindi la convivenza, universalmente praticata, dove converge tutto e il contrario di tutto. Una cosa rimane certa. In questo rapporto il futuro non esiste
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