Rimembranze
bucoliche
Se c’era un
passatempo che amavo trascorrere dopo la vendemmia, era la ricerca dei grappoli
dimenticati sulle vite. “Rappucciari” si diceva a quei tempi.
Munito di un
piccolo paniere e un coltellino, girovagavo tra le spoglie viti che il dolce
nettare avevano donato, dopo una stagione di tribolazione e fatiche, per
raccogliere il loro ultimo respiro, ‘u rappocciu’ (piccolo grappolo d’uva) che
mani distratte avevano abbandonato.
Colpiva la
dolcezza di quel grappolo, che superstite di un abbondante raccolto, sembrava
un pendente trovatello, che per amore non aveva voluto separarsi dalla madre
che lo aveva generato In un’epoca in cui si cerca l’abbondanza,la dovizia,
l’eccesso, quella piccolezza doveva sembrare un dono di Dio, il trionfo degli
ultimi,l’esaltazione della modestia, disdegnata da chi, vestito di boria, quel
grappolo ignorava.
Così raccolto,
lo depositavo nel paniere, su di un letto di felci, come si fa con un bimbo,
dopo un bagno ristoratore, e ne facevo dono a mia madre, che quei grappoli
adorava più e forse dell’intero raccolto, apprezzando quella mia ricerca, che
lei definiva fatta col cuore.
Quel girovagare
in mezzo alle spoglie viti era per me
come volere rivivere il rito della vendemmia appena finita, con le sue fatiche,
ma anche con i suoi canti e le sue tradizioni, che segnavano la vita di me
giovane, immerso in un mondo pieno di fatiche, ma anche di tanta poesia, ahimè
perduta.
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