giovedì 26 settembre 2024

RImembranze bucoliche

 

Rimembranze bucoliche

Se c’era un passatempo che amavo trascorrere dopo la vendemmia, era la ricerca dei grappoli dimenticati sulle vite. “Rappucciari” si diceva a quei tempi.

Munito di un piccolo paniere e un coltellino, girovagavo tra le spoglie viti che il dolce nettare avevano donato, dopo una stagione di tribolazione e fatiche, per raccogliere il loro ultimo respiro, ‘u rappocciu’ (piccolo grappolo d’uva) che mani distratte avevano abbandonato.

Colpiva la dolcezza di quel grappolo, che superstite di un abbondante raccolto, sembrava un pendente trovatello, che per amore non aveva voluto separarsi dalla madre che lo aveva generato In un’epoca in cui si cerca l’abbondanza,la dovizia, l’eccesso, quella piccolezza doveva sembrare un dono di Dio, il trionfo degli ultimi,l’esaltazione della modestia, disdegnata da chi, vestito di boria, quel grappolo ignorava.

Così raccolto, lo depositavo nel paniere, su di un letto di felci, come si fa con un bimbo, dopo un bagno ristoratore, e ne facevo dono a mia madre, che quei grappoli adorava più e forse dell’intero raccolto, apprezzando quella mia ricerca, che lei definiva fatta col cuore.

Quel girovagare in  mezzo alle spoglie viti era per me come volere rivivere il rito della vendemmia appena finita, con le sue fatiche, ma anche con i suoi canti e le sue tradizioni, che segnavano la vita di me giovane, immerso in un mondo pieno di fatiche, ma anche di tanta poesia, ahimè perduta.

 

 

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