domenica 30 giugno 2024

Mancano leader mondiali di qualità

 

Mancano leader mondiali di qualità.

Il periodo storico che stiamo vivendo è il più scialbo tra quelli trascorsi, riguardo ai leader mondiali che guidano il mondo. Chi per età, chi per mancanza di carisma, d’idee o di potere, tutti o quasi non sono in grado di realizzare nulla di positivo per il genere umano. In simili circostanze si sviluppa il potere del più prepotente, che dall’impotenza altrui trova la sua forza. Le numerose guerre che imperversano in tutto il mondo sono conseguenze di questo vuoto di potere, sia intellettivo, sia carismatico. Il vero leader si distingue dagli altri, per la forza delle proprie idee, capace di trascinare le folle verso obiettivi di pace e benessere. Non si vedono all’orizzonte leader capaci di simile potere, se non quello appoggiato sulla ragione dei soli numeri o sulla propria prepotenza. A cosa serve essere all’apice di una potenza mondiale (America), che comanda il mondo, se non  riesca a evitare le guerre, anzi in molti a casi a moltiplicarle? A cosa serve primeggiare nell’economia (Cina), se la popolazione è considerata solo forza lavoro, senza alcuna dignità a essa inerente? A cosa serve essere la locomotiva dì Europa (Germania), se non riesce a realizzare attorno a sé un progetto di vera unione europea? Questo vuoto di potere generalizzato determina uno stallo, se non addirittura un regresso nello sviluppo del mondo, ed è il vero terreno fertile per poteri vacui, dispotici o autoreferenziali e quindi inconcludenti. Stiamo vivendo un momento molto difficile per l’intera umanità, guidata da cervelli ‘sotto sale’e combattendo contro un nemico insidioso: il virus della fillossera, che una volta tanto non colpisce le piante, ma infetta le idee di coloro nelle cui mani c’è il destino del mondo. Uscirne non è facile, Occorre, forse, un nuovo innesto cerebrale che produca quei fenomeni, che nella storia non abbondano. di cui l’umanità ha bisogno, per evitare che vada in frantumi. Pubblicata su La Sicilia ogg 30.06.2024

sabato 29 giugno 2024

Definizioni a caduta libera

 

Definizioni a caduta libera

A  Nessuno muore se le tue ceneri sono cibo per gli uccelli e gli uccelli cibo per altri.

 

B La morte è lo stato comatoso perenne dell’ignoranza

 

C Il miracolo è l’illusoria aspirazione di una  inspiegabile delusione.

Andata e ritorno dal ventre materno della nostra montagna, l'Etna

 Andata e ritorno dal ventre materno della nostra montagna, l’Etna.

 

Non capita tutti i giorni vivere un’esperienza speciale, ma se capita, comprendi cos’è l’uomo rispetto alla natura: l’infinitesimale.

Ho raggiunto, a bordo di un fuoristrada condotto dall’amico Santino, dopo infinite sterzate su soffici, scivolose budella di sabbia nera, che si contorcono, rabbiose, su scoscesi sentieri di valli e anfratti, il ventre dell’Etna, un palmo sotto la vetta, che maestosa e altera par si congiunga al cielo. Non un’escursione, né una gita, ma un viaggio a ritroso nel ventre di mia madre, m’è parso, da cui, molti anni fa, tra grida e sofferenze Lei mi sputò. A quelle altitudini l’aria è una lieve placenta che accarezza il corpo, che pare avere, qui, perduto il suo peso.

Magia della natura che si trasforma in amore? Ti chiedi.

L’anima tace, intenta ad ascoltare, a quelle alture, il silenzio che è preghiera. Sulla vetta, che ciondola nell’aria, i punti cardinali si beffano di me, divertendosi a danzare in girotondo in un orizzonte senza confine, dove le nuvole, in questo mondo immobile da sempre, sono le uniche a indicarti l’alto e il basso. Qui l’alba e il tramonto sono le uniche presenze che s’inseguono da sempre, in un gioco che si chiama eternità. Immerso tra tanta magica grandezza, mi scopro embrione, ma non so se diventerò un uomo tra un secolo o un secondo.

Il tempo sta più giù, sulla terra che ho lasciato, dove, mio malgrado dovrò tornare, alla fine di questa magica esperienza destinata a finire.

Nulla ho sotto i piedi, solo sabbia, dove ho paura di sprofondare assieme alla mia anima.

Più in là rari verdi cuscini d’erba affiorano dalla profondità, segno che sotto due metri di sabbia, la vita non rinunzia a mostrarsi.

Mistero o miracolo? Vita!

I colori che qui si donano sono il nero del la sabbia, ruggine, giallo che escono dal ferro e dallo zolfo che sputa la montagna e il verde delle rare piante che hanno scelto questo paradiso.                  Il resto dei colori è immaginazione dell’uomo. Quando, immerso in questa solitudine da sogno, mi giro e scorgo solo il mio amico, non mi pare di vederlo come “un altro”.

 

Un fratello, un gemello, penso. No!

Qualcosa di più: la mia immagine riflessa sul suo volto, come dovrebbe vedersi, ogni giorno, l’intera umanità. Un miracolo d’amore e fratellanza che solo nella solitudine di queste altitudini è possibile provare, quando gli egoismi s’infrangono, senza fare rumore, come questo mio vento che inutilmente tento di afferrare con le mani, per saziarmi d’amore. Dopo avere assaporato questo sorso d’eternità, lentamente scendiamo dalla montagna,  scivolando sulla soffice sabbia che rende superflui i freni.

Mentre la tristezza sui nostri volti ha i colori della sera, in lontananza si scorgono le prime luci del paese che sta a valle.

Sembrano mille occhi di lupi che là abitano, dopo che hanno lasciato i monti per diventare uomini.

Oggi so qualcosa più di ieri: lassù, a un palmo dalle nuvole e dentro quel silenzio, immortale e inascoltato, c’è, forse, Dio. 

lunedì 24 giugno 2024

Oggi la vanità indossa l'abito maschile

 

Oggi la vanità indossa l’abito maschile.

Fino a qualche tempo fa la vanità era prerogativa dele donne, affette dalla curiosità che la distingueva nel suo genere, sempre proiettata a scrutare nelle altre le loro qualità: dal vestito, ai comportamenti, ai particolari. Un comportamento talvolta assillante, provocatorio e invadente dell’altrui modo di essere. Oggi questa prerogativa, tutta femminile, indossa l’abito maschile, se è vero che molti giovani sono affetti dalla stessa curiosità morbosa dell’altro genere, quando si confrontano con i propri simili. Un tempo il maschio non era attirato dal modo di vestire dell’amico, compagno o occasionale passante che incontrava. Oggi, al contrario, scruta, con maniacale curiosità, l’abbigliamento che indossa l’uomo che incontra, il prezzo di ogni accessorio, dall’abito alla camicia, alle scarpe, all’orologio, osservando la marca e il prezzo e in genere ogni indumento alla moda che indossa. Per non parlare dei profumi e delle creme, alla ricerca delle novità nel campo della bellezza in genere. Un comportamento effeminato che lo avvicina alla donna, nella ricerca spasmodica del particolare. Un’esigenza che nasce dalla voglia di ‘apparire’ abituato com’è l’uomo d’oggi a lavorare fuori di casa, a partecipare a convegni e riunioni e a viaggiare. Si restringono sempre di più i confini dell’abbigliamento uomo/ donna, divenendo sempre più fluidi, anche e soprattutto per l’incidenza degli accessori che hanno invaso anche il mondo maschile, come le borse unisex, sneakers e tote bag, ricercate dai giovani. Ben venga quest’omogeneizzazione nella moda uomo/donna, purché non si travalichino certi confini, trasformando l’uomo in un 'castrato'.

Pubblicata oggi 24.06.2024 su La Sicilia

domenica 23 giugno 2024

Sole nero

 

 Sole  nero

 

                                            

  Si attorcigliano

  tra spasmi di dolore scrosciante

  le gialle ginestre

 un tempo odorose,

 alte fiammate

con sguardi di vampiro

assediano, non sazie,

antichi castagni.

 

 Un argenteo abete,

 su rogo sacrilego,

 altero,

 ancora per poco,

 grida parole innocenti

di condannato a morte.

 

Fuggono

martore, donnole, conigli selvatici

e lucertole cercano buchi

profondi più dell’inferno

 

Uomini da fumo anneriti

sembrano rospi

che spruzzano fiele,

dietro scia fumante

di  sazio fuoco.

 

Corvi

nero pennuti

gracchiano,

affacciati su fili di rame,

tra canti e risate

pronti a svolazzi

tra insetti emigranti.

 

 

                                                   

Nel cielo cupo

che lacrima cenere

un sole malato,

quasi morente,

annega nel fumo

acre e pungente.

 

 

Nascosto più in là

dietro felci e rovi

danza contorto

tra asfodeli,                                                                                               

chi con  ghigno di morte

il fuoco accese.   

 

da “Le ultime viole” di Saro Pafumi                                            

                                                   

 

 

 

 

 

Le voci del silenzio..Una notte d'estate a Linguaglossa

 

Le voci del silenzio. Una notte d'estate a Linguaglossa

In queste calde notti, quando la luna non è al suo massimo splendore, può godersi la gioia di ascoltare le voci delle tenebre. Il buio aiuta l’ascolto e le poche ombre sono la sua cornice. Nulla è più forte del silenzio, quando il vento tace e l’aria danza sospinta dall’alito degli Angeli. Le foglie degli alberi sono un coro di voci, un chiacchiericcio tra comari. Un lungo abbaiare di cani fende il silenzio della notte. E’ un dialogo tra innamorati lontani o il desiderio di tenere compagnia a chi trascorre una notte bianca? Poetico questo modo di dialogare e l’orecchio tende ad ascoltare questo amoroso latrare che si fa canto. Nella pausa tra un abbaiare e l’altro, si ode il monotono frinire della cicala che delizia il silenzio di questa calda notte d’estate. Quando anche le chete foglie, per onorare l’oscurità, sospendono il loro lieve stormire, presso quasi al mattin, solitario, fa ritorno a casa un centauro. Si ode il rombo del motore alla prima curva, per poi quel canto spegnersi lontano, inghiottito dalla luce delle stelle. Intanto, sul palcoscenico della notte entra lui, il roditore, tra le tegole del tetto a rotolare qualche noce o a raschiare la trave, attento a non emettere squittii e pronto a zittire con l’orecchio teso a prevenire l’arrivo di nemici. Un gatto venuto da chissà dove salta sul muro e scruta l’orizzonte: nulla gli appare. Forse si chiede se sia in anticipo sul convegno d’amore o se la sua amata abbia cambiato partner, perciò sembra essere nervoso, muovendo la sua testolina in direzione d’ogni dove. La poca luna che svirgola in cielo illumina la scena e col suo lento cammino trascina seco le ombre. Per un attimo tutto tace, anche il silenzio par abbia perduto la sua voce, ma non i profumi dei fiori, che voci sono anch’essi. Si ode il gelsomino, la salvia, l’alloro, la gardenia, l’acre citronella, un tripudio di odori. Da dietro una nera nuvola riappare Lei, la dea luna, circondata da stelle. E’ la magia d’una lunga notte d’estate, un salvadanaio, dove conservare colorati sogni.

venerdì 21 giugno 2024

Ricordi di una notte d'estate.

 

Ricordi di una notte d’estate

Nelle notti di plenilunio, quando il caldo soffocante costringe a stare con le imposte aperte, i raggi della luna fanno capolino nella mia stanza, dove il sonno è un dolce desiderio inappagato.

Qui, tra pensieri e ricordi, si consuma il tempo dedicato al riposo, con l’orecchio teso all’ignoto.

Con gli occhi immersi nel cielo, attraverso l’ampia finestra che funge da cornice, una manciata di stelle gioca a nascondino, mentre, più in là, la luna, nascosta alla vista, proietta una sinistra lama d’ombra sul pavimento della stanza.

Appena fuori dalla finestra, quasi addossato alla parete, il ramo di un verde loto, con soavi ritmiche, silenziose movenze, mi trascina all’interno la frescura della notte.

Il silenzio che si accompagna all’oscurità, stanco d’aspettare, si fa suono: è il lontano abbaiare di un cane che cerca l’amico lontano, che gli risponde come fosse l’eco della sua voce o, forse, un appuntamento cercato o il fruscio carezzevole di un’alta picea glauca, la cui cima ondeggia, vanitosa, per mostrarsi alle stelle o il rombo svigorito e discontinuo delle auto che sfrecciano, con spavalda incosciente temerarietà, quando lo stridìo di una frenata può essere la salvezza o l’anticamera della morte.

Forse perché il caldo non dà tregua o per non lasciarmi solo, la cicala fa il suo apparire col suo monotono frinire, al quale si aggiunge quello di mille grilli canterini.

E’ la movida di mille esseri che popolano la notte a tenermi compagnia.

La luna, nascosta, che attendevo finalmente si mostra, cancellando ricordi e pensieri, ma la sua misteriosa presenza mi spinge a domandarle quello che gli uomini si chiedono da sempre:

“Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi che fai silenziosa luna? Sorgi la sera e vai.”

Mentre cerco una risposta che non so darmi, un boato scuote la mia stanza.

Il mio gatto impaurito salta sul letto. Egli non sa.

Mi alzo per ammirare quello che immagino: le fontane di lava che il mio vulcano mi regala. Un tripudio di colori e di suoni.

Sono le tre di una notte inquieta.

La festa è appena incominciata, dopo che l’Etna, vinta la sua timidezza, sceglie il momento migliore per mostrarsi e farsi amare.

Non odo più rumori, né canti di cicale e grilli, anche i cani hanno finito di abbaiare, come se tutti insieme si fossero sfarinati in mille silenzi, per ascoltare il suo canto, che si fa natura.

Ora c’è Lei, la mia montagna a tenermi compagnia con il suo borbottio e i suoi mille giochi di fuoco. E’ tutta la natura in estasi.

Lei, Lei, all’ombra della quale sono nato e cresciuto, che sento dentro di me, che impetuosa ribolle, come quel suo sacro fuoco che si sprigiona in cielo a sfidar le stelle.

 

 

 

lunedì 17 giugno 2024

La noia si può scongiggere

 

La noia si può sconfiggere..

Quante volte ci lamentiamo di sentirci annoiati. Uno stato d’animo che invade sempre più spesso chi per limiti di età ha smesso di lavorare, senza crearsi un diversivo, cui aggrapparsi, per non rimanere prigioniero della noia, anticamera della depressione. Combatterla non è facile, ma con pazienza e buona volontà i rimedi non mancano, per uscire da questo stato d’animo per nulla piacevole, talvolta fonte di anomalie più gravi. Sperare in un aiuto esterno è vano, in una società in cui l’individualismo è pane quotidiano. In questo solitario vivere, le giornate trascorrono monotone, anche quando un nebbioso sole risplende sui lontani monti, perciò è nella natura che occorre cercare sostegno per uscire dal ghetto in cui è precipitata la nostra esistenza. Tutto ciò che ci gira attorno, è interessante, anche un filo d’erba, col suo lieve ondeggiare tra tanti fiori che, muti, gli stanno accanto, simile alla nostra esistenza, che si consola tra tanta gente che c’ignora. Anche il volo di un uccello è fonte di fantasia, come quello di un frettoloso passero che solca il cielo di primo mattino e ci si chiede se non sia un volo d’amore verso la sua donna. Le nuvole, candite spose dell’azzurro, sono compagne di vita, con le loro cangianti forme, che presto si dissolvono in un gioco all’infinito e aiutano a sognare. Ammirare un solitario papavero può fornire sollievo alla noia, con la sua bellezza fine a se stessa. Selvaggio e indomabile, se reciso preferisce immolarsi, anziché donarsi, libero, com’é in un campo di grano che non gli appartiene, come la nostra vita che scorre tra la distratta gente. Rileggere un libro che piace, è liberatorio, perché offre sempre nuove sensazioni. Non esiste la pianta della noia, ma il suo frutto, coltivato nel nostro immaginario, se ci facciamo coinvolgere da questo stato psicologico di demotivazione, spesso nato da assenza di azione e di stimoli. Affaccendati in mille attività virtuali, lasciamoci dondolare, quindi, dentro la culla della noia, per ritornare bambini e assaporare la gioia di vivere una seconda, nuova vita, scoprendo tutte quante le bellezze del creato, che la vita lavorativa ci ha rubato. Nell’immaginario di Seneca, infatti, la noia intesa come ozio, può rendere attiva la vita, attraverso la meditazione e la contemplazione, anche se difficile a realizzarsi in un mondo moderno contaminato da tecnologie varie e devastanti. Importante è provarci. Pubblicata oggi 17.06.2024 su La Sicilia

venerdì 14 giugno 2024

La politica. Vale più l'apporto,che la qualità del candidato.

 

La politica. Vale più l’apporto, che la qualità del candidato.

Da giovani si è tentati dalla politica, che in un piccolo paese dovrebbe rappresentare quasi un dovere per ogni cittadino, proiettato a migliorare le condizioni di vita della collettività. Non sempre ciò avviene, perché la politica bisogna averla nel sangue, per riuscire in quella che, come gioco di squadra, dovrebbe essere una missione. Spesso quell’incipiente guizzo a esercitarla è subito spento da ciò che in politica o attorno ad essa accade. Non è infrequente, infatti, che chi scenda in politica spesso se ne serva per interessi personali o di parte, tradendo la sua natura, intesa come servizio per gli altri. Collaborare con chi ha questa visione perversa della politica, è una fatica. Si finisce per esserne coinvolti, anche contro la propria volontà o, per non rimanerne vittima, decidere di lasciare, che equivale a un fallimento delle proprie scelte. In questi casi la politica perde il suo fascino, per lasciare spazio a sconcerto e disimpegno. E’ ciò che accade oggi, assistendo quotidianamente a casi di malcostume e corruzione, quasi fossero questi avvenimenti l’ordinario vivere del politico, che interpreta la politica pro domo sua. Nell’immaginario collettivo la politica, purtroppo, è intesa negativamente, tant’è che a ogni elezione il numero dei votanti è molto basso. Un vulnus che non giova alla democrazia, che è partecipazione di popolo. Occorrerebbe cambiare rotta, scegliendo con rigore i candidati che vogliono cimentarsi in questa missione, che nei tempi passati era appannaggio di uomini onesti e probi, definiti “onorevoli”, ossia degni, d’onore per alta reputazione, dignità e preparazione morale. Valori, oggi, non ritenuti necessari, perché si guarda più all’apporto elettorale, che alle qualità del candidato. E chi più di un malavitoso ha ‘seguaci’ disposti a sostenerlo? Alla lunga i risultati vengono a galla. Troppo tardi per rimediare all’errore compiuto, che aumenta lo sconcerto per chi dalla politica pretenda esempi di virtù. Pubblicata oggi 13.06.2024 su La Sicilia..

martedì 11 giugno 2024

L'adolescenza ingenua d'un tempo.-Erbe come giocattoli.

 

L’adolescenza ingenua d’un tempo -Erbe come giocattoli.

Pochi si ricorderanno di due erbe, tra le tante, l’uso delle quali era molto praticato da noi ragazzi in cerca di quotidiana evasione: a “‘mpicalora” e a “inedda”, due nomi che avevamo appreso dal lessico del contadino, che quelle erbe conosceva meglio di se stesso, per le sue battaglie quotidiane, essendo, esse erbe, infestanti in vigneti e giardini. La nostra era una ricerca mirata, perché con quelle erbe si scacciava la noia o si rompeva l’anima a qualcuno, uomo o animale che fosse. A” ‘mpicalora”, definita in botanica “ Setaria viridis”, aveva la prerogativa d’ incollarsi sui vestiti, prova ne sia che quando i contadini tornavano dalla campagna i loro abiti, o per   meglio dire ciò che a essi approssimativamente somigliavano, portavano le tracce di questa erba, che la moglie pazientemente scollavano di dosso. A noi serviva principalmente per incollarla sul vestito di qualche passante, che, ignaro, se la portava incollata, dietro, con il suo lungo gambo dondolante, per le vie del paese, tra le risate di chi incontrava. A “inedda”, che in botanica corrisponde alla ”Avena fatua”, ci permetteva impieghi più seri. Presentandosi a forma di cannula, se tagliata per una lunghezza di circa 15 cm. e incisa a fischietto, in prossimità di un suo nodo, si trasformava in zampogna. C’era persino qualche esperto appassionato che riusciva a praticare dei fori nel corpo della canna, che gli permetteva di ricavare suoni assai melodiosi. Un altro uso, sadico, consisteva nel ricavare dalla solita “inedda” un cappio con cui si catturavano le “addamuse” (lucertole) che il sole prediligevano, non per spaparanzarvisi come noi umani, ma, essendo animali a sangue freddo, termoregolare la temperatura corporea e rendersi attivi. La lucertola già dalle sue origini aveva, forse, inventato l’utilità dei pannelli solari. Giacché essa si è sempre servita della sua pelle squamosa per catturare e trasformare i raggi solari in energia. Chi a quel tempo aveva cognizione di questa loro naturale propensione? Per noi a “ inedda” era importante per catturare le lucertole, contarle e farne trofei o per ricavarne con essa un ingenuo suono infantile.  Questa era per noi la “inedda”: un semplice passatempo: Per il contadino una fastidiosa erba infestante, con cui faticosamente lottare.

Tratto da Linguagrossa civitas dilecta integra vol. I

lunedì 10 giugno 2024

Le tecnologie hanno ucciso i pensieri e le riflessioni.

 Le tecnologie hanno ucciso i pensieri e le riflessioni”

 

Ci sono innovazioni utili, ausiliarie del nostro modo di vivere, apparentemente innocue il cui effetto sulla nostra psiche, a lunga durata, è sconosciuto. Mi riferisco alla Tv, al digitale terrestre, al telefonino, all’autoradio, al palmare, al computer e via di seguito. Tecnologie che hanno invaso ogni angolo libero della nostra mente, espropriandolo. Perché non di attività solo manuali si tratta, bensì di esercizi quotidiani con i quali il nostro cervello investe una parte preponderante di sé stesso.

I pochi minuti che, quotidianamente, avevamo a disposizione, quando all’orizzonte non erano ancora comparse queste tecnologie erano per lo più dedicati al pensare e al riflettere.

Liberi da questi condizionamenti, la nostra mente sentiva il bisogno di raccogliersi, assecondando la consapevolezza del pensiero, ossia quell’attività riflessiva che, altro non è se non l’esigenza dell’anima di esaminare le nostre azione quotidiane, ricavandone un giudizio.

Poiché questi bisogni vitali del pensiero si sono rarefatti, non ci sono rimasti che i sogni: quell’attività onirica che il nostro cervello accende nell’abisso della notte, allorché la nostra anima, libera da condizionamenti evade dalla prigione diurna in cui l’abbiamo forzatamente rinchiusa, facendo così affiorare bisogni e necessità repressi.

Forse è questa la ragione per la quale, come ho letto da qualche parte, l’uomo moderno “consuma”

più sogni del passato? Un’attività di riflessione prima demandata alla coscienza “libera” del pensiero, che oggi viene svolta, per delega naturale, dall’attività onirica. Pubblicata su La Sicilia oggi 10.06.2024

domenica 9 giugno 2024

I profumi del mio paese,Linguaglossa

 I profumi del mio paese, Linguaglossa.

Maggio, il mese dei profumi.

La sera il dolce profumo del fieno o dell’erba tranciata di fresco, come onda di mare, sommerge case, strade e palazzi.

Là, sulla collina, una minuscola luce appare: un solitario, luminoso puntino, che nell’oscurità della notte, segnala l’arrivo del pastore, intento, a quell’ora, a far bollire il suo pasto serale.

La luna, con i suoi ricami d’argento, accompagna il silenzio, che invade strade e quartieri con i lampioni che, ora, si svegliano dopo un lungo sonno diurno.

Col passare delle ore, il profumo di fieno si mescola ad altri: la nepetella, tanto cara ai gatti, o la lavanda, che ha il profumo dei miracoli, quando non è quello inebriante di zagara. che da sud-est s’inerpica lungo i tornanti per regalarci notti da sogno.

Per i più fortunati, che abitano nelle zone più alte, le fragranze talvolta si mescolano all’acre odore di sterco (che natura anch’essa è!), che un refolo di maestrale, dispettoso complice, ci porta da qualche sperduto, lontano ovile, dove l’ultimo pastore ha ‘deposto’ il suo gregge.

Una canna tiene a fior di labbra (il pastore), la sua zampogna, e un bastone a mò di croce sulle spalle, le braccia penzolanti da esso.

Così fa ritorno alla sua dimora, con ancora nelle orecchie lo scampanellio dell’ultima pecora, che si addormenta stanca, ma sazia.

E dalla zampogna par che escano, come suoni, i versi del Pascoli: “Udii tra il sonno le ciaramelle, ho udito un suono di ninne nanne.

Ci sono in cielo tutte le stelle, ci sono i lumi nelle capanne.”.

Questo è il mio paese, Linguaglossa, uno come tanti, ognuno con i suoi profumi, ma qui tutto è diverso.

I profumi germogliano come fiori: ora le odorose gialle ginestre; più tardi i languidi perigoni dei castagni in fiore, dall’aspro, intenso profumo, per poi mutarsi in dolci acheni, dal sapore di bosco; il prezioso odor di origano, soave e avvolgente; il ricercatissimo finocchietto selvatico o quello che più ti penetra nell’anima, oggi, come quando sei nato, il profumo della terra appena dissetata dall’inattesa pioggerellina estiva, con i suoi lievi effluvi, sbuffi dei nostri padri sepolti e altri ancora, che impastano l’aria di mille odori.

Tanti.

Che s’intrecciano con gli umori della ‘montagna’, quanti i colori dell’iride: mutevoli, cangianti, spaventosi, divertenti, irripetibili, sconvolgenti, sereni o travolgenti, come le genti che qui da sempre dimorano. 

venerdì 7 giugno 2024

Al canto del gallo

 Al canto del gallo.

 

Vi sono diversi modi di svegliarsi la mattina, a me tocca col canto del gallo.

Ho la fortuna di abitarci a cento metri, a un di presso, e non c’è sensazione più dolce e salutare che tendere l’orecchio, in attesa che il pennuto si pronunci sull’inizio della giornata.

Un pennuto, senza amici, considerato insolente, eppur, è l’unico che ci augura buon giorno.

L’ora in cui inizia la sua sagra canora è la migliore della giornata.

Intanto perché i pensieri sono impregnati della rugiada mattutina, che li rende freschi e lievi e perché l’aria che irrompe in casa, all’aprir delle imposte, è un tripudio di profumi: dalla fiorita ginestra, alla dolce zagara o al magico gelsomino e perché non all’aspro origano, che prendono il posto, nell’orologio dei profumi giornalieri, di quello appena cessato delle “mirabilis jalapa”,(belle di notte) i cui fiori si negano al sole.

Nel tripudio dei profumi che le piante ci regalano, il mattino è il più propizio per godere di questo regalo della natura.

Anche le piante più povere, il prezzemolo, il basilico, la salvia, il rosmarino, che mi tengono compagnia sul davanzale, si sbracciano anch’essi, in questa gara a profumar l’aria e non son da meno.

E’ quella del canto del gallo l’ora che il rosso fa timido capolino, là dove il mare si fonde col cielo.

Un rosso che tosto si muta in bianca luce, accecante, che ci ricorda Qualcosa o Qualcuno che l’uomo cerca da sempre.

In questa magica resurrezione della natura s’intrecciano i canti melodici degli uccelli, le uniche creature viventi cui, è stata donata la libertà, agli umani negata, di stare tra cielo e terra come creature celesti.

Quello del gallo non è un canto vano, è un invito a partecipare al rito del risveglio, prima che l’anima sia inghiottita dalla caligine del giorno.

Dopo questo concerto di profumi, di canti e di colori inizia il giorno, la fatica dell’essere, per ricordarci che il sogno è finito, inizia la vita, quella, amara, fatta di rumori, di strilli, di lamenti, la più lunga da percorrere, la più irta, la più disumana per gli umani. 

martedì 4 giugno 2024

Pensare per rigenerarsi

 

Pensare per rigenerarsi.

La vita talvolta c’invita a isolarci per rimembrare le nostre tempra, logorate dalla vita moderna. Ci appartiamo in un ideale cantuccio del nostro quotidiano vivere, vittime dello stress. Al sorgere del sole in questo cantuccio siamo solo in compagnia della nostra ombra Anche la solitudine ha il suo fascino: fa apprezzare il silenzio, il palpito del mare, il tremulo stormire delle foglie e le bellezze del creato. Nessun rimpianto, quindi, per lo stridulo vocìo umano, anzi la solitudine invita a pensare. Un’abitudine che abbiamo perduto, per lasciare spazio solo agli atavici istinti che ci logorano la vita. Un’arte, il pensare, che fa diventare l’uomo adulto e lo libera dalle quotidiane piccinerie, di cui è pieno il mondo di oggi. Una volta tanto è utile affidarsi alla poesia del pensiero, specie oggi in cui il silenzio e l’intimità sono un lusso che la vita moderna ci ha rubato, ossessionati come siamo da computer, cellulari, e realtà sempre più virtuali. Sprofondati in questo mondo virtuale in cui tutto è inganno, simulazione, banalità e sofisticazione non serve disperare, ma sperare che quest’esilio fatto di silenzi eloquenti, termini, per ritrovare, una volta rigenerati, la gioia di stare tutti insiemi, che non è illusione o speranza vana, ma l’esigenza naturale dell’uomo che nella compagnia con altri simili trova la sua ragione di vita. Pubblicata oggi 04.06.2024 su La Sicilia.

lunedì 3 giugno 2024

Il Corpus Domini com'era e com'è

 

Il Corpus Domini com’era e com’è    

 

Ricordate le strade dei paesi, un tempo agghindate per la festa del Corpus Domini con fiori d’odorosa ginestra raffiguranti soggetti religiosi? Uno spettacolo di profumi e colori, ai quali qualche fedele aggiungeva, appesa al balcone, tra corone di luci, la più bella coperta della dote matrimoniale, quella che la madre aveva ricamato per anni, alla luce fioca di un lume a petrolio, da porre sul letto il giorno delle nozze e, dopo, ben stirata, ripiegata e custodita nella cassa del corredo tra le cose preziose.

Oggi, un po’ perché la fede scarseggia e il tempo corrode anima e cose, sono finite queste sacre rappresentazioni popolari e il Corpo di Cristo a volte transita per le vie dei paesi con pochi vecchi fedeli che sembrano schiere di deportati, Cristi anch’essi, zigzagando tra auto in sosta, mute spettatrici di una celebrazione che non le riguarda. Altri tempi. Oggi la frenesia dell’essere, lo sfrenato consumismo, l’esasperato individualismo, la brama dell’apparire indirizzano altrove i nostri interessi. Le nostre dimore non aspettano più il Corpo di Cristo, ma la scala di granito, la piscina in giardino, l’aria condizionata, il suv sotto casa E Cristo ripercorre, solitario e mesto le strade del paese non più come attore di una sacra rappresentazione, ma come figurante, mesta parodia di se stesso, tra disattenti residui di ciò che prima era una folla di fedeli preganti. E le preghiere in chiesa? Sbadigli che si disperdono nell’aria profumata d’incenso, ora che Cristo riposa sepolto dentro le nostre anime.

 

Un tour sull'Etna tra zagara e ginestre

 

Un tour sull’Etna tra zagara e ginestre

 

Provate a percorrere, in primavera, a passo turistico, le tortuose stradine che, arterie di verdeggianti polmoni d’agrumeti, stracolmi di zagara, primo fiore, si spingono dal mare a quota 300 ed arrampicatevi, poi, lungo la pedemontana che, a quota 1000 d’altitudine, vi porta, dolcemente, da Linguaglossa a Bronte.Un viaggio, breve, da un’estasi all’altra. Un intenso profumo di zagara vi   accompagna, senza lasciarvi, fino ai fianchi dell’Etna, dove si apre ai vostri occhi un’impareggiabile, selvaggia natura.

Tra il nero cupo delle colate laviche, regali di più eruzioni, gialli cespugli di ginestra spuntano come tavolozze, su cui pare si posino soavi pennellate di Monet.

Il percorso, tra candelabri di “ferule”, gigli di “asfodelo”, campi di “sulla” e solitari, superbi “papaveri”, apre, a festa, i polmoni a spruzzi d’odorosa ginestra, mentre il penetrante profumo di zagara è fresco ricordo. E’ “la strada dei profumi” che consiglio, in primavera, ai turisti e a quanti hanno bambini, perché la magia dei profumi e dei colori lega queste plaghe ad un perenne ricordo. E’ un timbro indelebile che si fissa nell’anima e ritorna puntuale tutte le volte che un alito di vento vi regala, dovunque siate, la nostalgia del suo respiro.

Se si ha voglia e tempo, il breve percorso. va fatto preferibilmente nelle ore fresche della mattinata o al tramonto, perché anche la natura ha le sue esigenze e ciascuna pianta in fiore regala il suo alito in determinate ore del giorno e talvolta della notte. Un orologio biologico che s’impara con l’esperienza e difficilmènte si scorda, tant’è l’intenso urto delle sensazioni che se ne ricava. Io credo che anche questa è l’Etna, la Sicilia, talvolta persino sconosciuta, questi sono i nostri colori, i nostri profumi che nessuno ci potrà mai rubare o imitare. E’ la carezza che la natura offre, senza chiedere, a chi ci viene a visitare, è l’alito della nostra anima che induce al ritorno, è preghiera delle piante che s’innalza, corale, in cielo. Pubblicata oggi 03.06.2024 su La Sicilia.

domenica 2 giugno 2024

Il destino da scegliere e gli incontri per la vita

 

 

Il destino da scegliere e gli incontri per la vita.

Non rinnego nulla della vita, vorrei solo che fossi io a scegliere il mio destino. Una forza che esiste e ci trascina spesso, nostro malgrado,verso orizzonti inaspettati. Un groviglio di occasioni, il destino, fatto d’incontri, occasioni, circostanze, di solito casuali, nemmeno voluti, che si maturino, fuori di noi e fondamentali per la nostra vita. Ciò che fa la differenza in ciò che ci accade, non sono le parole, ma le virgole, i particolari di cui si colorano le nostre esistenze. Se quel giorno non fossi andato a quella festa, non avrei incontrato la persona della mia vita; se non mi fosse piaciuto il giallo, non sarei rimasto affascinato dal colore della sua camicetta. Di lei non conoscevo la voce, né il carattere, ma mi è bastato un suo sorriso, più eloquente di una dichiarazione d’amore, perché si accendesse in me il fuoco della passione. Dettagli, si direbbe, insignificanti particolari, che, messi insieme, formano il destino, amaro o dolce che sia, mai dipendente dalle nostre azioni, che non è fatto di giorni, di mesi o di anni, ma di secondi, attimi fuggenti. Ci s’incontra come estranei e si finisce di condividere una vita insieme. Un incontro inaspettato, un lampo fulmineo, una stretta di mano, si tramutano in eternità. Il destino è un vento soffice, ma così forte da catapultarci sopra una realtà sconosciuta. La nostra vita è come un secchio appeso a una virtuale carrucola, che in ogni istante affondiamo nel pozzo della vita. Quando tiriamo su il secchio, non sappiamo se l’abbiamo riempito di fresca acqua o d’impurità Siamo in balia delle onde del mare o artefici del nostro destino? E’ il dilemma che affronta Cesare Pavese nei suoi dialoghi di Teucò ed è il dilemma di tutti noi, che ci accompagna per tutta la vita. Pubblicata oggi 30.05.2024 su La Sicilia