lunedì 24 marzo 2025

La degenerazione dell' amore coniugale

 

La degenerazione dell’amore coniugale.

Ogni tanto mi viene in mente la canzone di A.Togliani ‘Come pioveva’, con inizio: “C’eravamo tanto amati per un anno e forse più. C'eravamo poi lasciati. Non ricordo come fu”.Si coglie in queste parole la lieve evanescenza di un amore finito, con la sottigliezza di un romanticismo d’altri tempi. Una combinazione di passione e fusione amorosa con la persona scelta e amata, che oggi non esiste più. Che cosa sia accaduto nell’animo umano di così travolgente e traumatico, da capovolgere, talvolta, questo sano sentimento in furia omicida, non è facile spiegare. Il compagno è divenuto un demone, la passione, un veleno, l’amore, morte. L’uomo è regredito migliaia di anni, rappresentato da un essere con un pugnale in mano, capace di vibrare infinite coltellate su un corpo prima amato. Le trasformazioni, quando accadono, non avvengono mai per caso. Stress, maltrattamenti, abbandoni, malattie, droghe, abusi sessuali sono gli accadimenti pregressi di una personalità dissociata,qual è l’omicida. Il che significa che più deleteri e dolorosi sono i rapporti vissuti, più facile è la dissoluzione dell’anima e la sua trasformazione. Della fine dell’amore vissuto e descritto da Togliani, nella sua eleganza emotiva, è rimasto solo un “ non ricordo” Non il sapore amaro dell’abbandono, ma l’aroma agrodolce di un distacco, divenuto un petalo appassito e conservato tra le pagine ingiallite di un libro. Prerogativa,questa, di un uomo, che col suo “ candido gilet e un papillon di seta blu”sa amare e dimenticare, senza rancore e rabbia, come dovrebbe essere un uomo moderno, ricco di umanità. Oggi di questi amori finiti, rimane, purtroppo una chiazza di sangue, coperta da fasci di fiori, con contorno la solita stanca fiaccolata di comparse, con i loro cupi visi, su cui si legge l’infinita tristezza e impotenza che le accompagna, assieme allo sbigottimento di noi tutti. Pubblicata oggi 24.03.2025 su La Sicilia.

 

venerdì 21 marzo 2025

Oggi inizia la primavera. Ricordiamoci dei fiori più poveri

 

 

 

Oggi inizia la primavera. Ricordiamoci dei fiori più poveri

Ammiriamo la bellezza  dei fiori di campo o quelli, meno fortunati, che germogliano, selvaggi e solitari, lungo i cigli stradali, che nessuno degna d’uno sguardo. Se ci capita d’incontrarli, vincendo la svogliatezza del nostro sguardo, fermiamoci a contemplare queste bellezze ignote. Scopriremo che la rosa, il giglio, l’orchidea sono figli della vanità umana, a confronto di queste meraviglie naturali. Chi non ha mai colto un papavero? Libero, indomabile e selvaggio com’è, reclina, repentino, il capo, preferendo immolare la sua vellutata bellezza, pur di non donarsi a chi gli ha rubato la vita. Quante volte, euforici, correndo per i campi, abbiamo calpestato incolpevoli tappeti di margheritine. Schiacciate dal peso degli zoccoli del bipede umano reclinano il capo, volgendo una preghiera a Dio perché le faccia ricrescere, puntuali l’anno successivo. Esse nel loro intimo minuscolo essere nascondono, timide, un segreto: la bisessualità. Una condizione che l’uomo considera una devianza, senza accorgersi che Dio l’ha regalata alla natura. Proviamo a scrutare l’intima bellezza degli asfodeli, i fiori, un tempo, sacri alle ombre dei morti, candelabri naturali di rara fattezza; l’argentea fioritura di Paronychia argentea (pinnenti di rriggina). Chissà quanti orafi hanno ispirato, per ornare di monili teste di principesse e regine; la volgare “cannatedda” (silene sicula) buona per insalata. Rendetele una visita di cortesia dopo la fioritura, vedrete che emette graziose brattee che hanno ispirato artistici copricapo di leggiadre fanciulle medievali; la rustica saponaria, con i suoi caratteristici pulvini, esplosione pirotecnica di colori; la spinosa “carlina nebrodensis” della famiglia dei cardi, che al sole gli ha rubato forma e bellezza e suo fratello lo spinoso cardo che nella sua ribelle bellezza sembra un giovane punk; la negletta Satureja calaminta (nipitedda), che solamente a sfiorarla il suo profumo ci accompagna fino a sera o che troviamo mescolato ad altre essenze di noti profumieri. Tra tanta diffusa bellezza in natura, l’uomo si appassiona a coltivare fiori, a effettuare incroci di varietà diverse per scoprire bellezze ignote, ma mai potrà eguagliare ciò che la natura porge spontaneamente di suo.  Forse sarebbe meglio che l’innamorato offrisse un fiore di campo per dimostrare la genuinità del suo amore o piantine di fiori in vaso da curare, augurale anticipo dei figli che verranno. Preferiamo,invece, regalare fiori recisi, emblemi dell’effimero e già in agonia.

lunedì 17 marzo 2025

Per amare l'Etna,bisogna conoscerla

 

Per amare l’Etna, bisogna conoscerla.

 

Quando vi giungi dal bivio per Monte Pomiciaro, percorrendo, tra castagneti e pometi, la provinciale che da Zafferana conduce a Nicolosi, hai l’impressione di avere sprecato il viaggio.

Dal piazzale che si apre sulla valle, una folta vegetazione di faggi impedisce di scorgere, come benda agli occhi, lo scenario che mai immagini. Dribbla,senza indignarti,per non turbare l’approccio con la natura, i rifiuti lasciati lì dall’insipienza umana e facendoti spazio, tra contorti rami di faggio, raggiungi  una zona scoscesa, che si apre sull’immenso: è Val Calanna. Un tempo rigogliosa gola profonda di verdi pascoli, di lievi e pure acque, oggi perennemente sepolta dall’ira del vulcano.Volgi lo sguardo in quella che fu una valle, dove la lava si è tuffata, rubandole persino il nome. T’interroghi, stupito, cosa rappresenti quello che si distende sotto i tuoi piedi: se una cascata di nero basalto, scolpita da una divinità; se un’onda gigantesca mummificata; se la tomba d’impareggiabile flora sepolta; se “voglia”di nuova vita, gli sparsi cespugli di timida vegetazione, che spuntano tra onde di lava contorta; se il resto di una valle in gramaglie, che piange la sua creatura morta;  se il sogno infranto di una lingua di fuoco che voleva tuffarsi in mare. Forse solo lo specchio della tua anima, perché in quel nero mare immobile di lava, vi scorgi quello che l’animo  ti suggerisce. Un “tesoro visivo”, quel che resta della Val Calanna,che pochi conoscono,perché estraneo al circuito turistico,che ogni giorno invade l’Etna. Un palcoscenico dove non ci sono attori che recitano, ma sensazioni che si colgono. Siti che vanno conosciuti e proposti ai turisti, perché l’Etna si ama, se si conosce. Pubblicata oggi 17.03.2025 su La Sicilia

giovedì 13 marzo 2025

 


Commento in Arabo con libera traduzione in lingua italiana  del romanzo di Saro Pafumi  “ i bulbul innamorati” a cura di  TOUAITIA NADIA , d.ssa in  letteratura,civiltà e lingua italiana. Conseguita presso Università Badji Mokhtar- Annaba  

 

Testo in arabo

البلبل المغرم" "

مقال

الى روزاريو بافيمي

نادية توايتية

"البلبل المغرم" هي رواية روزاريو بافيمي, تروي قصة حب جميلة, في بيئة حيث الحروب, الالم, الفقر. ,افغانستان هي بلاد اين القوات الدولية تكافح من اجل السيطرة على هذه الارض, مثل القوات الامريكية و اين توجد ايضا التهديدات الارهابية مثل طالبان.

اختيار العنوان" البلبل المغرم" هو اختيار قوي و عميق للغاية يحيلنا الى هذه الفكرة, و هو ان العاشقين فوزية و عصام, يشبهان طائرا البلبل التي يملكانهما, عصام رجل شجاع و شهم, فقد تحدى جميع المصاعب الفقر و الحرب, و يبحث ايضا على عدم تدنيس و تجاوز عادات المجتمع الافغاني, فوزية هي امراة مغرمة تبدو مستسلمة و عاجزة امام هذا الحب.

في صورة حب البطلين, الذي يتجلى انه حب عسير, وراءه يوجد الية صعبة, و هي القواعد المفروضة من طرف الاسلام, المجتمع و الواقع المؤلم.

في الرواية نجد مجموعة من المواضيع, مثل الدين, الحرب, الالم, الفقر, لكن الموضوع الرئبسي هو موضوع الحب, كاحساس طاهر, صادق, كشيئ عجيب.

في الرواية بحث عميق, و يمكن اخذها كدليل, لان الكاتب قدم معلومات مهمة على العادات الافغانية, في الرواية وصفت بشكل مثالي الثقافة في افغانستان ( الاكل, الطبيعة القاسية, بعض الحكم و الامثال, اقتبسات من القران و السنة).

البطلان هما عاشقان رغم المصاعب, لكن جعلا حبهما منتصرا في النهاية, انتقلنا من بداية ماساوية الى نهاية سعيدة.

الكاتب من خلال قصة الحب هذه,بعث رسالة مهمة, و هي ان الحب يمكن ان يولد بين الدموع و الالم, اين يوجد التدمير, في وسط الظلام, في تلك الاراضي المحطحمة و الفقيرة. TOUAITIA NADIA. ALGERINA

 

Libera traduzione in italiano

 " I bulbul innamorati", è un romanzo di Saro Pafumi, che racconta una bella storia d'amore in un ambiente, l’Afghanistan,. dove le guerre, la sofferenza, la povertà, le potenze mondiale si contendono il controllo di questa terra come gli americani, e i terroristi, come i Talebani.

La scelta del titolo " I bulbul innamorati" , è una scelta molto forte, perche metaforicamente ci rimanda a questa idea, che l'amore di Fawziya e Issam  è forte come quella  dei loro bulbul.

Iassam un uomo coraggioso che affronta tutti le difficoltà , la povertà, la guerra, e cerca anche di non dissacrare o trascendere le abitudini della società afghana. Fawziya è una donna innamorata che sembra priva di volontà e capacità davanti questo amore.

Nell'immagine dell’autore, l’amore dei due protagonisti, che sembra un amore difficile,  c'è un meccanismo più complesso, quello delle regole imposte dall'Islam, dalla società e dalla realtà dolorosa.

In questo romanzo troviamo molte tematiche: la religione, la guerra, la sofferenza, la povertà…, ma la tematica centrale è quella dell'amore come un sentimento pulito, dolce e sincero, come una cosa meravigliosa.

Nel romanzo c'è una profonda ricerca , come guida, perche l'autore ha fornito informazioni cruciali sulle traduzioni afghane, nel romanzo. Nel romanzo è descritta perfettamente la cultura dell’Afghanistan (il cibo , la natura crudele, alcuni proverbi, le espressioni e le citazioni tratte dal Corano e del Hadith .

I due protagonisti sono profondamente innamorati e nonostante le difficoltà  riescono a far trionfare il loro amore difficile, passando da un inizio tragico a un fine lieto,un messaggio di fede, che l'autore cerca di trasmettere attraverso questa storia: un amore che può nascere tra lacrime e dolore, anche là dove c'è distruzione,  buio, in quelle  terre martoriate e povere. Touaitia Nadia .Algerina d.ssa in  letteratura,civiltà e lingua italiana. Conseguita presso Università Badji Mokhtar- Annaba 

Nella foto l’autrice

 

 

 

Enzo Trantino. Recensione del Romanzo " I bulbul innamorati" di Saro Pafumi

 

Enzo Trantino. Recensione del Romanzo “I bulbul innamorati” di Saro Pafumi

Il pretesto me lo offre SARO PAFUMIl e suo ultimo libro (“1 bulbul innamorati”, pubblicato con i caratteri del Gruppo Editoriale 5.P.D.).
La calamita è presente già nella misteriosa copertina, impastata coi colori dell’Etna: nero-lava. Sono le quattro del mattino, non soffro d'insonnia, ma il coinvolgimento tra storia, ambiente, è personaggi mi vuole creditore con l’Autore di qualche ora di sonno.
Come tanti ho letto molto, forse troppo, ma non aveva mai vissuto l'esperienza emotiva di assistere alla descrizione della intimità tra due giovani, costituente coppia di innamorati, alla scoperta dei corpi reciproci, tenera r ardente.
La fisicità è solo occasione. Poi è incandescenza carezzata.
Non una volgarità, un ammiccamento, una maliziosa reticenza: un racconto scritto sulla seta, un arazzo sobrio e pur lucente. Un diario intenso e breve di amore assoluto.
Il film si svolge in Afghanistan, in provincia di Farah: una storia che esige per non perdere albe, tramonti, caratteri, il controllo di chi legge, che, però viene premiato in ragione del coinvolgimento: non c’e tregua per i ritmi “ dai richiami alla preghiera”,come anticipa nella bella prefazione,Alfonso Campisi.-
Non è la sede per una recensione: ma quando ci si deve liberare di un debito estetico, come si fa? Ognuno legga, se vuole. Esclusa è l'indifferenza al testo; lascia segni, graffia se non trattato con rispetto amorevole.
È giusto però ricordare una foto di gruppo.
1a Sicilia" ha una pagina giornaliera dedicata alle lettere di cittadini vestiti di senso civico (“Lo dico alla Sicilia"). Soggetti vari di diversa estrazione culturale, e, tra costoro un gruppo di firme abituali. Tranne qualche eccesso di spazio, è uno specchio qualitativo: tanta informazione, animata da passione autentica per la piccola patria dove si vive. È bello sapere che vi sono sentinelle in servizio permanente. PAFUMI è della famiglia.
E così si ritorna all'ordine aristotelico, quello dei cerchi concentrici.
Dato che l'ingegno non rispetta i perimetri del- la perentorietà geografica, siamo partiti da Linguaglossa per fermarci al capoluogo, dal paese alla città, la nostra, che si onora di rappresentarlo. Anche se con tante disfunzioni aggrovigliate,
Attendendo giorni migliori, osiamo ricordare che nella nostra storia c'è un “oltre”, che arditamente ci porta alla fiducia. E se all’“oltre” si col- lega l'‘altrove”a speranza è salva.
Se, infine, è vero che gli ottimisti sono i pessimisti che non si erano informati, lasciatemi l'illusione di giorni migliori. La pazienza (siate atei o credenti) non è difetto né peccato, quando è attesa di chi ritarda senza colpa.
ENZO (enzo.trantino@virgilio.it)

 

mercoledì 12 marzo 2025

Intervista di Emanuela FRate all'autore del Romanzo " i bulbul innamorati" di Saro Pafumi

 

Intervista di Emanuela Frate all’autore del romanzo: “I bulbul innamorati”.

È da poco uscito ed è in vendita il nuovo libro di Rosario Pafumi, detto Saro, “I Bulbul Innamorati”, un romanzo avvincente, intenso, che, pur nella sua brevità, non risulta mai scontato e che coinvolge il lettore in un crescendo di emozioni. Il romanzo è ambientato in Afghanistan, in quella terra martoriata da quarant’anni di guerra, prima con i sovietici, poi i talebani e oggi perfino con Daesh. La guerra, la miseria, la corruzione, la sopraffazione, la Sharia fanno da triste sfondo alla storia, tenerissima, di Issam e Fawzya. A preparare il lettore ad approcciarsi al testo di Saro Pafumi è Alfonso Campisi, Professore all’Università “La Manouba” di Tunisi, che ne ha curato la prefazione, essendo un esperto conoscitore del mondo arabo e islamico oltre ad essere siciliano come lo stesso autore! Come anticipa il Professor Campisi nella sua dettagliata prefazione, nel libro sono perfettamente descritti i paesaggi, spesso brulli e desolati dalla guerra, la flora, la fauna di quel bellissimo Paese dell’Asia centrale che è l’Afghanistan. Perfino il cibo è descritto con dovizia di particolari, per non parlare poi delle espressioni, dei proverbi locali, dei richiami alla preghiera fatti dai Muezzin e le numerose citazioni tratte dal Corano prese come esempi di virtù da seguire. Perché l’islam è onnipresente, non è una presenza ingombrante ma, per una corretta lettura del testo, non si può prescindere da esso. E poi ci sono loro, i due protagonisti, Issam e Fawzya, due anime belle e innamorate come i loro bulbul, gli usignoli canterini, e quasi alieni in quel mondo dominato dalla violenza. Una violenza che non è soltanto quella dei terroristi, dei kamikaze che si fanno saltare in aria, dei talebani che fanno agguati, ma è una violenza anche domestica, come quella degli stupri perpetrati all’interno delle mura di casa e che nel romanzo vengono egregiamente descritti nella loro tragica fatalità. Issam è il giovane innamorato, sognatore e un po’ poeta che, fin da piccolo, si innamora dello sguardo della sua bella Fawzya, uno sguardo anelato e ricercato anche quando Fawzya, ormai adulta, è tenuta a coprire le sue fattezze dallo chador. Fawzya, invece, è una giovane donna innamorata, solo apparentemente sottomessa per via degli abiti tradizionali che ne nascondono le sinuosità, ma in realtà molto saggia e risoluta, pur sempre rimanendo ligia alle regole imposte dalla morale e dall’Islam. La sua è una vita dominata dall’attesa, quasi una novella Penelope, aspettando anni prima che il suo amato si dichiarasse alla famiglia e dopo, una volta sposati, aspettando il ritorno del marito arruolatosi nell’esercito regolare per sete di giustizia. Questi sono solo alcuni degli spunti e riflessioni che offre questo piccolo romanzo che racchiude in sé tanti aspetti contrastanti: amore, guerra, religione, morte, sesso. Non si vogliono qui svelare tutti gli aspetti che si possono ritrovare nel romanzo che tra l’altro è molto scorrevole e di agevole lettura ma, grazie ad una intervista che l’autore Saro Pafumi mi ha gentilmente concesso, si possono scoprire tante caratteristiche dei personaggi principali, del messaggio che si vuole trasmettere e di questo grande Paese, l’Afghanistan, spesso bistrattato, che da quarant’anni combatte strenuamente contro le potenze straniere che lo invadono.

  • Avvocato Pafumi, come mai ha deciso di scrivere un libro ambientato in Afghanistan? Da dove nasce questa Sua passione e conoscenza approfondita di questo Paese lontano e spesso misconosciuto se non per gli orrori della guerra?

Il Medio Oriente  mi ha sempre affascinato, in particolare l’Afghanistan, oggetto di lotte civili e di occupazioni straniere. Prima di scrivere il mio romanzo ho studiato la storia e le tradizioni che riguardano quel mondo: botanica, zoologia, clima, gastronomia e naturalmente religione islamica. Con le implicazioni che essa comporta nella vita di relazione. Le notizie belliche sono tratte da servizi di stampa.

  • Ci sono degli episodi descritti nel Suo romanzo, come la bigamia di Jamal, le violenze perpetrate dal padre della protagonista ai danni delle fig,ie minori – che sembrano essere raccontati dalla penna di un romanziere afgano anziché da quella di uno scrittore italiano imbevuto di cultura occidentale. Come è riuscito a mantenere una visione distaccata, imparziale, rispettosa delle usanze del popolo afgano senza cadere in una descrizione paternalistica o velatamente critica di usi, costumi, tradizioni per noi così lontane che potrebbero sembrare perfino barbare?

Ho cercato di ricavarne un romanzo d’amore, perché questo m’è sembrato il tema  che più mi appassionava, di valenza universale, nonostante in Afghanistan questo sentimento sia imprigionato dentro le regole severissime. L’abito esteriore, il burqa, è solo un simbolo trascurabilissimo di fronte al dramma delle donne costrette a viverlo secondo le convenienze locali. Non mi ritengo uno scrittore di storie afgane, anche se quella da me descritta lo è. In quanto allo “stile distaccato”, la risposta è nella sua domanda: “rispetto ed imparzialità per la vita degli altri”. Senza nessuna voglia paternalistica.

  • La storia da lei raccontata, sebbene intrisa di elementi cruenti, miseria, fame, guerra, fanatismo, stupri, razzie, celebra l’amore, quello puro, tra due giovani che, come i bulbul, gli usignoli che li rappresentano, sono profondamente innamorati pur essendo ligi alle regole ferree imposte dalla tradizione, dall’Islam, ma che riescono a far trionfare il loro amore. Oggi sappiamo che, per un abitante di quelle terre martoriate dalla guerra e dall’integralismo religioso, è pressoché impossibile vivere una storia d’amore: spose bambine, matrimoni combinati, stupri sono all’ordine del giorno. Ribellarsi è impossibile: accettare con abnegazione, fuggire magari richiedendo asilo in Europa, suicidarsi sembrano le uniche vie d’uscita ad un’esistenza di sopraffazione in Afghanistan così come in Pakistan. Il lieto fine che si evince dal Suo libro è un auspicio o è sintomo di qualcosa che sta cambiando?

La storia raccontata ed i dialoghi tra i protagonisti del romanzo sono essi stessi pedagogici, evidenziando un pathos che nessuna realtà può smentire o sminuire. Nonostante tanta cruda realtà, il racconto vuole significare che nessuna forza, anche brutale, può sopraffare un sentimento così nobile e universale, come l’amore. Che ci sia riuscito, non spetta all’autore dirlo, ma alla forza del racconto, che descrive nella realtà un amore tra i protagonisti, che si spera sia comune ad altre giovani coppie sconosciute. Basta volerlo con la stessa forza dei Protagonisti, Issam e Fawzya. In quanto all’esito finale della storia, il racconto vuole trasmettere un messaggio: anche un fiore può germogliare in un deserto di arida sabbia o di valori. Che sia di auspicio? Mi auguro di più: certezza nel tempo.

  • Il giovane Issam è un sentimentale, un poeta, come fu definito dal fratello Jamal, un ragazzo che non pensava e non capiva la guerra e vedeva la bellezza anche nel suo brullo villaggio natio: nei suoi bulbul, negli amiri svolazzanti, nelle artemisie, oltre che negli occhi della sua bella Faouzya. Tuttavia decide di arruolarsi diventando, dopo alcuni anni, un militare di alto rango. Se lui, per mettersi in salvo, decide di arruolarsi affianco delle forze governative contro i talebani, altri giovani invece, scelgono, o vengono indotti a scegliere, di combattere con i talebani, con le forze dell’oscurantismo. La guerra rimane quindi una scelta obbligata per trovare una via di salvezza? Seguita soltanto dall’emigrazione con tutti i rischi che essa comporta? È realmente così? Non c’è altra via d’uscita per i giovani afgani se non quella di combattere o di emigrare?

“La guerra è una necessità” scriveva Hegel. Per gli afgani è una condizione di vita contro le occupazioni straniere (sovietiche e americane). Se questo martoriato popolo si lasciasse in pace, potrebbe progredire attraverso un equilibrio che solo al suo interno può stabilirsi. La scelta di Issam  di combattere i talebani non nasce dall’odio contro essi (Issam non sa odiare) ma dal senso di giustizia che egli cerca e crede di avere trovato abbracciando la lotta che aborriva. “Un necessità”, secondo la concezione filosofica di Helgel che nella guerra vedeva anche un suo alto profilo morale, la stessa ragione per la quale Issam abbraccia la lotta armata e, una volta esaurita la sua missione, ritorna alla sua unica ragione di vita: l’amore per Fawzya e i suoi bulbul, facendo riemergere, nonostante le atrocità vissute, la sua anima di poeta. In Afghanistan un proverbio recita: “ se dai un calcio all’aria, prendi il sedere di un poeta”. Nell’animo di ogni afgano convivono due anime, quella del poeta e quella del guerriero e Allah, ad Issam, aveva regalato quella del poeta!

di Emanuela Frate,

Emanuela Frate nasce a Termoli (CB) nel 1977. Dopo il liceo si iscrive alla facoltà di Lingue e letterature Straniere a Parma

 

martedì 11 marzo 2025

Scrive il Prof. Campisi........

 

Scrive il Prof. A.Campisi  a proposito del Romanzo d’amore,ambientato in Afghanistan “ I bulbul innamorati”di Saro Pafumi:

Nel XXI secolo, nell’era del modernismo, della comunicazione digitale, dell’evoluzione, del progresso tecnologico, esistono ancora dei paesi dove il male avanza e l’umanità scompare, dissimulandosi nei tchadri grigliati delle donne, tutte identiche fra di loro, impenetrabili, disumanizzate e l’odio degli uomini che non sanno loro stessi di odiare chi li ha generati. Eppure i bulbul, stupendi uccelli originari dell’Asia centrale, riescono ad unirsi, perché il loro amore è talmente forte che nessuno può riuscire a separarli, e la separazione è difficile, soprattutto per gli adulti che si amano. Un amore torturato quello dei nostri personaggi Issam e Fawzyia, e già dalle prime pagine del libro si capisce subito che si tratta di una storia difficile, dove però gli occhi di Issam non hanno altra aspirazione se non quella della stupefazione davanti alla bellezza femminile di Fawzyia, donna determinata ma rispettosa degli usi e delle tradizioni afghane. Un libro magnificamente scritto, un testo denso, avvincente...il lettore soffre a fianco dei personaggi aspettando che la tempesta passi e ritorni la quiete. Un romanzo  di grande bellezza stilistica e di contenuto. Ne traspare anche una conoscenza e passione del mondo arabo e dell'Afghanistan.Certi dialoghi sono didattici, e permettono di comprendere meglio la vera società afghana, lontano dai clichés che ci vengono veicolati dai mass-media occidentali.

La descrizione dei territori è precisa, la comprensione delle diverse culture è lungimirante. L’analisi di tutti i personaggi presenti nel racconto è dettagliata, fine, ambivalente e psicologica, il testo è ritmato dai richiami alla preghiera e dalle espressioni che anticipano i rituali religiosi, ma anche di rispetto dei più giovani verso i più anziani. La stessa storia sofferta dell’Afghanistan e incarnata dalle eroine del romanzo dovrebbe far riflettere il lettore sul perché l’occidente diventa il nemico giurato dell’oriente che non nasce di certo barbaro, ma diventa barbaro perché depauperato delle sue risorse economiche e imprigionato dai valori occidentali che noi per primi consideriamo come i soli ed unici veri valori. Un adagio francese potrebbe riassumere la situazione in questo modo :« Nul n’est prophète en son pays, et personne n’est maître chezlesautres », ovvero nessuno può prevedere ciò’ che accadrà nel proprio paese, e nessuno è padrone in casa d’altri.  

Prof. Alfonso CAMPISI

Professeur des universités en philologie romane et italienne.

Université de la Manouba- Tunisia

Président AISLLI pour l'Afrique

Directeur "ChaireSicile pour le dialogue

de cultures et de civilisations"

 

 

 

 

lunedì 10 marzo 2025

A Linguaglossa canoni troppoalti per le botteghe

 

 

A Linguaglossa canoni troppo alti per le botteghe.

In un mondo in cui le apparenze contano più della sostanza, l’uomo fa fatica ad affermarsi, perché deve superare due resistenze: il dovere della concretezza e la fatica di apparire. Due elementi difficilmente conciliabili. Oggi si fa presto ad aprire un’attività, nell’illusoria speranza di risolvere certi problemi legati alla ricerca di lavoro. Si trascura la necessità che un’iniziativa, qualunque essa sia, abbia bisogno di una sia pur modesta esperienza nel settore scelto, privilegiando l’improvvisazione, col risultato, scontato, di una breve vita o fiammata che dir si voglia. Le attività di questo tipo che chiudono i battenti sono molte, altre continuano a galleggiare nascondendo  sotto le apparenze mille difficoltà. A Linguaglossa qualcuno ha cessato di stilare una statistica di questo tipo, che si aggiorna di continuo. I motivi di questo triste fenomeno sono noti: cambio di gusti; troppe offerte dello stesso tipo; pressappochismo nell’espletare la propria attività; mancanza di aggiornamenti nel settore scelto; esoso costo della manodopera (quando si trova) in ordine alle leggi in proposito; ricorso al lavoro nero; squilibrio tra costi e ricavi e infine, ma il più importante, il canone di affitto dei locali, certamente fuori mercato, ’croce ' delle attività d’ogni tipo. Con la scusa che il paese rientra tra quelli a vocazione turistica, il mercato immobiliare, nel settore commerciale, è decisamente schizofrenico. Se non si pone rimedio a questo problema,le attività commerciali sono destinate a chiudere,col conseguente impoverimento di tutta l’economia locale. E’ necessario un esame di coscienza collettivo, perché dal giusto profitto del singolo scaturisce quello generale. Dietro finte apparenze, talvolta si nascondono verità amare,perché non si può prescindere dalla concretezza delle cose, ossia da una start-up coerente con l’attività che si svolge. Il canone d’affitto, checché se ne dica, è il principale elemento indicatore di qualunque attività economica, che vuole “sopravvivere”.Volere nascondere questa verità dietro un’apparenza di finta normalità, non serve al conduttore e nemmeno al locatore, perché presto comparirà il germe cancerogeno della morosità. E dalla morosità, alla chiusura il passo è breve. A Linguaglossa i mugugni dei conduttori restano soffocati, purtroppo dal canto allegro dei locatari. Fino a quando? Pubblicata oggi 10.03.2025 su La Sicilia.  

sabato 8 marzo 2025

Il mio augurio alle donne,il giorno dell'otto marzo.

 

Il mio augurio alle donne, il giorno dell’otto marzo.

 

Ogni anno in occasione dell’otto marzo ci ricordiamo della donna e con la retorica che ci contraddistingue maciniamo frasi e immagini per esaltarla. Non c’è personaggio pubblico o privato, di rango o sconosciuto che non dica la sua sul mondo femminile, erigendosi a paladino. Trascorso l’otto marzo si ripiomba nella quotidianità e la donna, per fortuna, continua ad essere quella di sempre: una creatura che riempie il mondo con la sua presenza, rivestendo i ruoli più difficili e delicati della società: mamma, moglie,casalinga, lavoratrice. Ruoli che non si alternano, ma si sommano, come non avviene per il restante genere umano.

Di recente il ruolo della donna è apparso offeso da ruoli che non si addicono, a cominciare da certe immagini che la stampa quotidiana o certi cartelloni pubblicitari ci forniscono dove “il corpo” appare uno strumento più che una parte dell’essere.

Si grida allo sconcerto, per esempio, se un cartellone pubblicitario reclamizza un indumento femminile mettendo in evidenza “la parte” che lo indossa.

Lo sconcerto in questo caso non scaturisce dall’immagine, che, in molti casi, è arte, ma dal pensiero che si associa all’immagine. Ne consegue che sconcio è l’effetto, non la causa. Purtroppo, il genere umano è ossessionato dal sesso, che lo percepisce come peccato, ma, paradossalmente, lo vive come esigenza. La donna, che di questa visione distorta del sesso n’è vittima, paga il costo del peccato, perché considerata causa di esso.

La donna non ha bisogno dell’otto marzo, ma di avere consapevolezza del proprio ruolo. Una rivoluzione culturale che la donna deve esercitare su di sé, consapevole che la differenza sostanziale tra individui non è rappresenta dal sesso, ma dall’intelligenza,dalla forza, dalla personalità che quand’è la donna a possederle non c’è ostacolo che possa fermarla.

La strada per raggiungere l’agognata parità è l’unione delle donne, una “lega” coniugata al femminile che, nell’ambito delle proprie ideologie politiche, eserciti il suo potere sul genere maschile, costringendolo o ricattandolo a riconoscere ciò che la natura ha in modo egualitario elargito a tutti gli esseri umani. Senza questa “unione”la strada per raggiungere la parità è irta d’ostacoli, perché il maschio ha una visione atavica distorta della propria condizione.

                                                                                               

lunedì 3 marzo 2025

Il dialettto ci rende più comprebnsibili

 

Il dialetto ci rende più comprensibili.

 

Giorni addietro trovandomi a Catania con un amico, che aveva bisogno di comprare un capo d’abbigliamento, abbiamo pensato bene di recarci in un noto Grande Magazzino, dove, si sa, i prezzi sono modesti, come la qualità che si porta a casa. Poiché il mio amico è un tipo che, da sempre, si veste seguendo la moda, la sua richiesta di vestiario doveva essere di un certo tipo, ma necessariamente anche a buon mercato, date le sue finanze non eccessivamente floride. Non trovandolo, pensammo di cercare un”outlet”, per avere un abbigliamento “low cost”, lui che patito “happy” ,ora doveva accontentarsi di vestire “casual” o quando le circostanze lo permettevano essere “trend”, che gli consentiva di risparmiare con un abbigliamento “trash”. In giro chiedemmo dove trovare un ”outlet", per comprare un capo “trash”, “low cost”, ma le uniche risposte, se non erano al limite dell’insolenza, ci segnalavano la “toilette” della vicina stazione ferroviaria o nel caso di una gentile casalinga che aveva scambiato “outlet” per “cotoletta” il suo macellaio di fiducia.

Il mio amico sfiduciato di parlare “trend” si persuase che il dialetto poteva essere l’arma vincente e così accostandosi ad un signore attempato gli chiese dove potere “accattari un paru 'i causi a prezzu cinisi”. Il negozio tanto ricercato era proprio alle nostre spalle, solo che sull’insegna c’era scritto: “un euru o pezzu”. Vai a capire che proprio quello era “l’outlet” che cercavamo. Incerti casi non è meglio parlare come madre natura ci ha insegnato?  Pubblicata oggi 03.03.2025 su La Sicilia.

lunedì 24 febbraio 2025

Il gossip fa più presa tra le difficoltà della vita

 

Il gossip fa più presa tra le difficoltà della vita. Pubblicata oggi 24.02.2025

Tutte le volte che un uomo politico incappa nei desideri della carne, la stampa, la TV e i social scatenano una campagna, cibandosi e cibando l’opinione pubblica di ogni forma di pettegolezzo, che accompagna l’episodio. Una notizia che a stento non dovrebbe superare l’arco di mezza giornata, vive e si diffonde con la forza di un uragano e si dilata nel tempo, occupando telegiornali, trasmissioni televisive, dibattiti,, interviste per diverse settimane, al fine di allungare il brodo in cui si crogiolano giornalisti e commentatori, sulla pelle dei protagonisti,e imbevendo di facezie l’ingenuo spettatore. Capisco i giornalisti, che per mestiere cercano e si alimentano di gossip, anche se non è condivisibile l’esagerazione, ma quel che sconforta è l’opinione pubblica, che si accompagna e si nutre di queste notizie, condividendo e commentando l’aspetto deleterio della storia, come se la vita di ognuno  nonne fosse contaminata. Al cittadino dovrebbero interessare altri temi: l’economia, la sanità, il lavoro, le retribuzioni, la sicurezza e non farsi distrarre da queste amenità. Il piacere della carne in politica dovrebbe  essere  argomento da bar Italia, e non un  dibattito  così ampiamente e disgustosamente  discusso, diffuso,più di quanto si pensi. Se si aprisse l’armadio di ogni parlamentare, gli scheletri non mancherebbero, in tema di “carne” Che facciamo, ne parliamo tutte le sere? Sembrerebbe di si, considerato che fa più presa il gossip, anziché le difficoltà della vita.Una scelta che denunzia il becero provincialismo in cui è caduta tutta la stampa italiana e la masochistica condotta dei cittadini.

giovedì 20 febbraio 2025

Il diritto all'oblio

 

Il diritto all’oblio.

Da un po’ di tempo, alle fatiche e ai tanti problemi che ci tocca di affrontare nella vita quotidiana, sempre pù stravolta dalla tristezza che essi comportano, si sono aggiunti i social, in particolare certi media, che giornalmente ci propinano notizie sugli avvenimenti del giorno, caratterizzati in massima pare di cronaca nera. Se da una parate è doveroso informare gli utenti di ciò che di negativo avviene, riempiendo la descrizione dei particolari sconcertanti, è più sconcertante la ripetizione/ricostruzione degli stessi, che si ripetono nel tempo, come se quell’accadimento fosse ancora di attualità. Penso ai familiari delle vittime, che sedimentato il dolore, quando si può, rivedono, fatti accaduti anni prima, in cui ogni ricordo diventa drammi, uragani che devastano l’anima, In altre nazioni “ civili” esiste il dovere all’oblio, ossia il diritto che il reato di cui qualcuno si è macchiato non sia più divulgato dalla stampa e dagli altri canali d’informazione; a condizione che il pubblico sia già stato ampiamente informato sul fatto e che sia trascorso un tempo sufficiente dall'evento, Per quanto ne sappia, tale diritto è riconosciuto e applicato in Svizzere, in Inghilterra e in America. Da noi questo diritto/dovere non è previsto, anzi ignorato e calpestato, e la storia della vittima, il pasto dei corvi. Pubblicata oggi 20.02.2025 su La Sicilia.

martedì 11 febbraio 2025

Parco dell'Etna. Viabiltà e legalità-

 

Lo dico a La Sicilia  pubblicata il 10 febbraio 2025 in quadro evidenziatore   considerata l’importanza dell’argomento.

Parco dell’Etna, Viabilità e legalità..

Non occorreva il caos avvenuto sull’Etna in questi ultimi fine settimana di questo strano gennaio,per capire che nel Parco, che prende il nome dal vulcano, quanto accaduto,sul piano della sicurezza, rientri,ormai, in ambito penale, mancando una via di fuga,necessaria in queste situazioni. La soluzione era stata trovata negli anni settanta, ipotizzando una cabinovia che partendo da contrada ‘Sciaramica’ arrivasse fino a Piano Provenzana. Le idee anche nel nostro martoriato Sud non mancano, ma al momento di realizzarle, la volontà si sbriciola in un nulla di fatto. Stando così le cose, la soluzione resta una sola: ricorrere al numero chiuso, regolato dalla necessaria prenotazione, per evitare d’incorrere nel codice penale, già numerose volte violato. Una iniziativa che non è una facezia ,ma l’impegno di ogni civile comunità per salvare se stessa. Se dovesse accadere qualche tragedia, (Dio non voglia) non s’ invochi la malasorte. Cadranno molte teste, Comune, Prefettura e Parco. Ci pensino i responsabili indicati e si decidano a mettere in atto i necessari provvedimenti, per rendere la viabilità sicura. E’ auspicabile che l’Etna possa ospitare in tutta sicurezza le molte o poche persone che vogliono godersela, evitando di rimanere prigionieri del caos. Del resto, si sa, la folla non permette mai servizi adeguati. Quanto oggi accade, non fa onore alla nostra montagna e diffonde un’immagine negativa di questa nostra realtà da sogno.

lunedì 3 febbraio 2025

La mancia,un dovere civico,Non pensiaamo solo alla pancia

 

La mancia, un dovere civico. Non pensiamo solo alla pancia

Si discute spesso della necessità di rendere obbligatoria la paga oraria minima per chi lavora. Mentre si riflette e nulla si conclude, mi viene in mente come in alcune nazioni è resa obbligatoria la mancia. In linea di principio, considerata la tirchieria, che si nota in giro, in fatto di mancia, l’obbligo legale si giustifica. Sarebbe più opportuno, invece, che la mancia, intesa come compenso per chi presta un servizio retribuito, restasse facoltativa, educando la gente a essere più generosa. Il metro con cui misurarsi per elargirla dovrebbe oscillare da un 5% a un 20 % inversamente proporzionale al prezzo del servizio prestato. Un’abitudine che ciascun cliente/consumatore dovrebbe spontaneamente osservare per lenire e rendere più equa la remunerazione, nell’ambito delle attività, in cui d’uopo la mancia si elargisce. Un contributo di solidarietà generalizzata che incide poco sulla tasca del consumatore, ma infinitamente comodo per il lavoratore, che, in tal modo, arrotonda il compenso ‘legale’ convenuto. rendendolo più motivato sul lavoro. Osservare ragazzini/e, che finito l’obbligo scolastico, prestano la loro opera a servizio dei clienti intenerisce non poco, in primo luogo perché dimostra che la strada che si persegue con il lavoro è onorevolmente la strada giusta e in secondo luogo dimostra come nella generalità dei casi, dietro quella ricerca di lavoro mal retribuito si nasconda una grave condizione economica familiare. Una volta tanto non pensiamo solo al piacere della pancia, ma accompagniamoli ai sussulti del cuore. Pubblicata oggi 03.02.2025 su La Sicilia

 

mercoledì 29 gennaio 2025

La famiglia tradizionale è cambiata ,frutto del progresso.

 

La famiglia tradizionale è cambiata,frutto del progresso.

 

La famiglia tradizionale, quella per intenderci con i nonni in casa e la mamma casalinga esiste solo nelle foto color seppia che qualcuno custodisce gelosamente sul comò di casa.

Oggi le case sono vuote già alle prime ore mattutine, perchè chi ha un lavoro è già sul posto e coloro che non ne hanno sono alla ricerca.

A casa è rimasta la Tv in stand by e la lavatrice col suo roteare ritmico e intermittente. Solo il gatto sonnecchia sul divano, unica presenza viva tra pareti sulle quali, sbiaditi raggi di sole stampano ombre di fantasmi.

I bambini sono parcheggiati da “ape maia” e quelli più grandetti, a tempo pieno attendono di consumare il rancio giornaliero, prima del ritorno a casa.

All’imbrunire lo sferragliare della serranda del garage segnala che qualcuno è arrivato. Nessuno che t’aspetti. Solo il gatto che ha sentito girare la chiave nella toppa abbandona la sua comoda lettiera per avere la sua lattina di carne e tonno Whiscas,

Col cappotto ancora sulle spalle la padrona accende la Tv. Risse, vocii, battibecchi riempiono di frastuono le stanze dove anche le suppellettili sembrano far parte della stessa bolgia.

Più tardi il pulmino comunale si ferma sotto casa svuotandosi poco alla volta della presenza dei più piccini. Un fugace bacio alla mamma che prepara per la sera, uno zainetto che vola sul sofà più vicino e di corsa al computer per trastullarsi con Nintendo, Wii, Mac, xbox o Internet e Facebook per i più grandi.

La Tv. diffonde notizie che nessuno ascolta, interrotta dai miagolii del gatto che gironzola solitario tra le stanze implorando che qualcuno l’ascolti.

Nessuno che parli, tutti intenti a smanettare sui tasti del computer o tra i fornelli della cucina. Quando il campanile della chiesa più vicina batte venti, secchi colpi è la volta del padre che fa ritorno a casa. Sprofonda sul divano, borbottando, afferra di scatto il telecomando, mentre il TG della sera trasmette le immagini dell’ennesimo corteo che tamburi in testa grida slogan contro il padrone di turno.

Attorno al desco familiare il silenzio è d’oro: ha inizio lo spettacolo della sera, intramezzato dal leggero tintinnio dei bicchieri o dal timido rumore delle posate sui piatti il cui contenuto nessuno guarda. Poi qualcuno alla chetichella lascia il suo posto a tavola per imboscarsi nel suo mondo virtuale. Anche il gatto, stanco di miagolare, ha ripreso a sonnecchiare sul suo divano preferito, segno che è finito un altro giorno.     Pubblicata oggi 27.01( come ogni lunedì) su La Sicilia.                                   

lunedì 20 gennaio 2025

L'Etna,la montagna,l mamma.

 

L’Etna, la montagna, la mamma

Bisogna nascere o viverci alle pendici dell’Etna, per capire l’amore profondo che l’uomo ha con la sua ‘montagna’. Noi valligiani chiamiamo “ mamma” l’Etna, che sovrasta i paesini etnei. A lei pensiamo, con la stessa devozione che è dovuta a una genitrice, con le gioie che comporta, quando è in salute e le apprensioni, quando, arrabbiata, erutta. Ogni mattina, quando inevitabilmente la guardiamo, godiamo solo a vederla, perché per noi la montagna non è solo neve o fuoco, ma contemplazione, spettacolo per il nostro spirito, ansia e speranza insieme. Nel linguaggio popolare parliamo di lei come di una persona viva, perché viva è la montagna per noi. Nessun mortale può avere, con le montagne che circondano il proprio paese, lo stesso amore che noi abbiamo  con la nostra ‘montagna’. Intanto perché è diversa da tutte le altre: cambia forma e aspetto nel tempo. Si direbbe che invecchia, senza perdere la sua giovanile vitalità e la sua bellezza, come avviene per una divinità, qual è stata considerata nell’antichità. Una sorte che a noi mortali non è consentita, giacché lentamente ci pieghiamo al volere del tempo.Fa rabbia vederla, a volte, calpestata e offesa, quasi derisa dall’azione dell’uomo, che non merita tanta bellezza. La sua reazione è quasi umana. sputa fuoco e diffonde tremori, per ricordarci che noi umani, siamo ben poca cosa di fronte alla Natura, che lei rappresenta Il suo profumo di resina, si diffonde tra le valli, fiocchi di neve si adagiano sul suo corpo che a noi, scolpito, appare. A gennaio, quando il vento fa una sosta e l’aria è cosparsa di bianco silenzio, un sorriso ci regala e la speranza di un’attesa. In primavera, liberate le sue membra dalla neve, ci regala cuscini di sogni ( astragalo, romice, saponaria. A sera stupiti e increduli la vediamo coperta da una coltre di stelle, come una corona azzurra che la trasforma in regina, circondata dalle sue ancelle:le bianche, danzanti betulle. Il silenzio che ci regala nelle alture è la voce della natura.Ci sembra di ascoltarla, adagiati su un cuscino di nuvole, con lo sguardo che si smarrisce nel lontano orizzonte blu. Pubblicata oggi 20.01.2025 su La Sicilia

martedì 14 gennaio 2025

Vita di paese

 

LO dico a La Sicilia pubblicata oggim 13.01.2025

Vita di paese.

La vita è dramma, tragedia, solitudine, lavoro quasi mai spensieratezza. Solo chi ha la fortuna di contare tante lune da impregnare i capelli del suo colore può dire di avere vissuto. Non importa come. È dal momento in cui s‘inizia a contare quel che rimane della vita, che il tempo svela il suo valore, non scandito dal prezziario delle ore. Con i remi in barca e l’acqua cheta, è l’ora in cui si può godere il beccheggio della vita o quello che di essa resta. Nei piccoli centri urbani dove il tempo è sensuale, come lo sciabordio del mare sulla battigia, il beccheggio diventa bivacco. Un modo di vivere per rubare al tempo la sua anima. Ogni comunità ha il suo luogo preferito: la scalinata della Chiesa dell’Annunziata, a Linguaglossa, con l’ombra amica del campanile accanto, dove il bisbiglio casareccio diventa l’Orecchio di Dionisio che trasmette in tutto il paese voci, ipotesi, sospetti, mormorii. Su quella scalinata si sono alternati personaggi d’ogni genere. Un tempo era il posto riservato agli emarginati, agli squattrinati, agli uomini con le scarpe chiodate, che si tenevano ben distinti dai nobili seduti al bar, quasi a configurare, con la chiesa alle spalle, la divisione dei ceti: clero, nobiltà e terzo Stato.  Oggi che la ruota della storia gira al contrario, la scalinata è vissuta alla’ bohemienne’, con disinvolta sciatteria, dove ciascuno proietta sugli altri il pensiero del momento e il nome del passante, con la sua storia, come un abito su misura, rimbalza di bocca in bocca, come la pallina di un ping-pong, perché, come insegna O. Wild, “per conoscere se stessi,bisogna sapere tutto degli altri”. Nella pigrizia di quei momenti il tempo restituisce ciò che ha rubato in giovinezza: la spensieratezza. Solo nei piccoli centri è possibile gustare questa realtà tra sogno e magia, tra ammiccamenti e parole non dette, pacche sulle spalle, strette di mano e arrivederci, quando non diventano addii. Talvolta è triste non rivedere l’amico che il giorno prima si sedeva accanto. Solo poche parole sull’amico scomparso, non per scarsa generosità, ma perché dei vicini (la morte) non si deve parlar male. Meglio il silenzio su quella scalinata ora che il campanile scandisce l’Ave Maria,e l’incontro tra amici diventa concedo, per ritrovarsi uniti il giorno dopo, se Dio vorrà, là, in quello stesso bivacco, un inconscio ritorno nel ventre materno. Saro Pafumi Linguaglossa 3299445290 Grazie 

martedì 7 gennaio 2025

Siamo entrati nell'era glaciale dei sentimenti

 Siamo entrati nell’era glaciale dei sentimenti. Pubblicata su La Sicilia 06.01.2025

Quando si parla di freddo, si pensa subito alla temperatura dell’ambiente, che si contrappone al caldo rovente dell’estate. C’è un’altra definizione di freddo, quella che riguarda il comportamento distaccato e talvolta glaciale delle persone e della società in generale. Uno stato d’animo d’angoscia e distaccato, nemmeno tanto nascosto, che sta diventando una vera malattia sociale, riducendo i rapporti umani, già ridotti a lumicino, e aprendo la via all’anaffettività, che affonda le radici nel vissuto dell’individuo, incapace di accogliere critiche, esperienze dolorose, difficoltà lavorative, instabilità affettiva, sia familiare sia amicale I primi sintomi erano evidenti già alla fine degli anni ottanta, con le tecnologie che avevano invaso il vivere civile. Con l’avvento del covid questa ‘patologia’ sociale ha subito una progressiva accelerazione. E’ avvenuto, nei sentimenti umani, ciò che metaforicamente può definirsi un testacoda, perdendo l’aderenza con la realtà, che fino allora regolava i rapporti sociali. Siamo prigionieri dei social, ai quali abbiamo consegnato corpo e mente e come una spugna assorbiamo tutte le amenità e minchionerie che ci propinano. Una nuova stagione glaciale, la più triste e subdola, che stavolta invade l’animo umano. Come se mancasse il sole che ci riscalda e la notte fosse una nera cupa oscurità senza stelle. Uscirne non è facile, anzi si prevede un impoverimento progressivo dei sentimenti, quel pessimismo cosmico tanto caro a Leopardi, che, come presago, aveva anticipato tanto tempo fa.

mercoledì 1 gennaio 2025

Il vischio. Un ramo augurale.

 

Il vischio. Un ramo augurale.

 

Tra le tante cose che ci ricordano la festa di capodanno, c’è il vischio, che per noi che abitiamo ai piedi dell’Etna rappresenta una pianta familiare e augurale. Una pianta parassita, perché senza l’albero padre non attecchisce e muore. Curioso è come nasce e si diffonde. Gli uccelli sono ghiotti delle sue bacche e da noi lo stornello è un vero cacciatore di questa pianta. Avviene, però, che le bacche per la loro vischiosità (da qui il nome di vischio), inghiottite, non siano facilmente digerite, per cui una volta defecate rimangono appiccicate all’orifizio terminale dell’intestino. Per disfarsene, il tordo (o altro uccello) stropiccia la parte posteriore del corpo sul tronco dell’albero, di solito, sull’Etna il pino laricio, cosicché il seme contenuto dentro la bacca, rimane affisso al tronco da cui germoglia fino a formare quel rametto che chiamiamo vischio. La pianta che attecchisce nei boschi è protetta, ma è ugualmente raccolta di frodo e venduta come pianta augurale. Sono molte le piante sacre che nel periodo delle festività natalizie decorano le case di tutto il Mondo: l’Agrifoglio, l’Abete, il pungitopo, la stella di Natale, ma il vischio le sovrasta tutte.

Scrive Plinio il Vecchio. “ Il vischio (che guarisce tutto) nasce sulle piante come inviato dal cielo, un segno che l’albero è stato scelto dalla divinità stessa. Peraltro è molto raro a trovarsi e quando è scoperto si raccoglie con grande devozione: innanzitutto al sesto giorno della luna e questo perché in tal giorno la luna ha già abbastanza forza. Il sacerdote, vestito di bianco, sale sull’albero, taglia il vischio con un falcetto d’oro e lo raccoglie in un panno bianco. Poi immolano le vittime, pregando il dio affinché renda il dono (il vischio) propizio a coloro ai quali lo hanno destinato”. Un bell’augurio per il Nuovo Anno.