Perché
scrivo.
La
parola è il clacson del cervello, il mezzo con cui l’uomo trasforma il silenzio
del pensiero in voce, ma anche l’esigenza dell’anima che esploderebbe in
delirio senza il veicolo della comunicazione orale.
Le
poche o molte lettere che in due anni ho elaborato sono semi che il mio
pensiero ha sparso nel suo vivere quotidiano. Voci, appunto.
Lettere
nella forma, ma pur sempre pensieri, parole a cui, in parte, ho incollato le
ali della pubblicazione giornalistica, altre invece che ho appeso al chiodo di
una virtuale parete domestica, per restare macchie d’inchiostro, schizzi
dell’anima, che oggi schiodo per farne, immodestamente, partecipe il lettore.
“Dal
mio punto di vista” vuole essere un insieme di messaggi su argomenti quotidiani
affidati al becco di un ipotetico uccello che, svolazzando fuggente, lascia
cadere tra la folla dei lettori, pur nell’amara consapevolezza che tutti o
quasi si depositeranno sul terreno arido dell’insipienza umana o nello sterile
humus dell’indifferenza.
Talvolta
però le parole inascoltate, disattese, non capite o sotterrate nell’oblio, se
sgusciate dall’involucro che le avvolge, contengono semi di verità, che col tempo
potranno divenire “jabbâra” (germogli), perché anche le parole hanno un’anima.
Questo
è almeno l’augurio che si fa chi parla o scrive per gli altri.
Non
è forse il caso di questo mio scritto relegato ad essere coltivato in un
immaginario orticello personale, ad uso e consumo di chi lo accudisce, ma
aperto a chi vuole accedervi, a condizione che impari a rispettare le opinioni
altrui, anche quando non collimano con le proprie.
Spesso
però l’esperienza ci dice che le parole vanno scritte sulle pietre, perché
quando diventano petizioni inascoltate, grida di dolore, esse più che
pronunziate, vanno scagliate contro quanti sono o vogliono essere sordi.
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