Oggi in TV. è invalsa l’abitudine di trattare i processi penali in concomitanza con quelli veri che si celebrano nelle aule giudiziarie. Questo tipo di spettacolo non è stato inventato dalla TV, ma ha il suo prototipo negli anni cinquanta, quando il suo cantore, accompagnato da chitarra e cartellone, illustrava al popolo, nelle piazze dei paesi etnei, storie di personaggi siciliani, episodi di violenza o d’amorosa follia o poemetti satirici e di costume che il pubblico attento, stupito e silenzioso ascoltava affascinato: Arazziu Stranu, questo il suo nome. Un cantastorie siciliano, di Riposto, passato dalla cronaca alla storia, vero precursore dei moderni talk show. Il suo era uno spettacolo recitato con parole e versi a rima baciata, accompagnato dal suono della chitarra. Un racconto cantato che riprendeva nello stile la cantilena dei carrettieri, che, di notte accompagnata dallo sferragliare monotono e tedioso di zoccoli e ruote, lentamente si dissolveva nell’oscurità appena, appena rischiara da un penzolante lume a petrolio. Nei canti di Arazziu Stranu il morto ammazzato era il condimento di ogni triste vicenda, illustrato nel momento in cui la vittima stramazzava al suolo finita da una fucilata o trafitta da un fendente. Quadri dipinti a mano, paragonabili ai moderni servizi che la Tv. manda in onda come ausilio all’argomento trattato. Tra i racconti del celebre cantastorie la storia romanzata di Salvatore Giuliano, un bandito “celebrato” come generoso, popolare eroe; ”Pani e rispettu a li travagghiaturi” dove il divario sociale tra povertà e ricchezza era rappresentato da “figghi sucati”e “figghi ‘mbrucchiati”o scenette satiriche come ”Processo a porte chiuse” dove il doppio senso sostituiva gli odierni fumetti dei vignettisti.
Il racconto cantato in pubblico imitava quello funebre praticato nell’antica Roma o dei cantori greci nelle “agorà”
Non c’erano spazi pubblicitari nel racconto di Arazziu Stranu, perchè la drammaticità della vicenda non consentiva deviazioni o distrazioni. L’attenzione del pubblico, serio e silenzioso, doveva essere catturata dalla drammaticità della narrazione, come se la resa dei conti tra vittima e carnefice si stesse consumando sotto i suoi occhi. Il pubblico doveva percepire attraverso versi e suono il rumore del botto del fucile, immaginare di vedere il fumo uscire dalla canna, annusare l’odore della polvere e la vittima stramazzare al suolo, con l’immancabile rivolo di sangue che ne certificava la morte. Una scena dove la morbosità del pubblico si sposava con l’arte del cantastorie, con l’amara realtà della vicenda, col medesimo ripetitivo grado tonale del canto che l’accompagnava.
I moderni talk show ripercorrono gli schemi praticati da Arazziu Stranu. Le tecniche sono certamente cambiate, le menti si sono raffinate, lo stile più erudito, ma sempre uguale, ieri come oggi, è il piacere di raccontare il male, quello in cui i protagonisti sono gli altri e noi gli spettatori.
Pubblicato su Lo dico a La Sicilia il 04.04.2010 Saro Pafumi
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