“A poi”, avverbio senza tempo
Nel linguaggio verbale siciliano l’avverbio “a poi” è molto
usato: denota relazione temporale posteriore. Lo troviamo in frasi come: a poi nni
videmmu. a poi ciù dicemmu, a poi u
facemmu, a poi si nni parra e simili. A
prima vista questo modo di relazionarsi con gli altri può sembrare ovvio e sta a
indicare che una tale azione è rimandata nel tempo. E' la caratteristica del
linguaggio siciliano : l’assoluta indeterminatezza a definire il “quando”, che
rimane sospeso, senza limite di tempo, palesemente ambiguo. E’ un’espressione
verbale che usiamo sovente, quando alle prese con la soluzione di un problema o di un appuntamento, che non
condividiamo, anziché dire: non se ne fa niente, aggiriamo l’ostacolo trincerandoci
dietro “quell’a poi” che più che un
avverbio di tempo è un avverbio “senza tempo”. Noi siciliani abbiamo il potere
di trasformare un avverbio in una metafora, la “ sospensione”, che consiste nel
lasciare volutamente interrotto un discorso per non affrontarlo. Una preziosità
linguistica estranea agli altri idiomi, ossia un potere di sintesi, meglio
ancora una forma lessicale involuta che consente a chi è reticente di usare
parole o espressioni ambigue.” A poi” rientra tra queste e contrariamente a quanto
si possa credere, è molto usato nel
linguaggio verbale siciliano, che, per sua natura, si presta ad essere un
linguaggio ricco di allusioni e metafore, talvolta ambiguo, come la vita di tutti i giorni, che ci sforziamo
di vivere. Saro pafumi.FB 28.09.2015 Pubblicato su La Sicilia il 04.10.2015
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