Assolviamo il pettegolezzo
E’ risaputo che gli animali hanno la capacità di comunicare
tra loro. A seconda degli organi sensoriali impiegati, la comunicazione può essere
chimica, visiva uditiva, tattile. Anche noi umani abbiamo un nostro linguaggio,
che non si discosta molto da quello degli animali. La parola è il mezzo più
diffuso. In questo contesto comunicativo spesso capita di ascoltare esperienze
di vita vissute da altri, che per il loro contenuto, sono definite
pettegolezzi. In verità non c’è nulla di anomalo in questi racconti, se fatti
entro i limiti della verità. Rientrano nella normalità della condotta umana.
L’uomo si sa è un animale, “zoon politikon” secondo la definizione che ne fa
Aristotele. Nel comunicare si serve soprattutto della parola, con cui porta a
conoscenza degli altri esperienze di vita propria o altrui. Quello che noi
definiamo spesso pettegolezzo, non è altro che il modo di portare a conoscenza
condotte di vita, da cui trarre insegnamenti, indicazioni, né più né meno come
fanno gli animali, quando segnalano percolo o dove trovare il cibo. Quando si
dice per esempio: Tizia ha fatto le corna a suo marito o viceversa, per restare
nell’ambito di quello che per antonomasia è definito puro pettegolezzo, non per
forza deve esserci il compiacimento di discreditare la persona ( Ciò attiene
alla sfera personale del soggetto). E’ un’informazione come un’altra. Qualcuno ha definito il pettegolezzo la base
della carità, la voglia di interessarsi del prossimo. Anche senza questa
visione romantica del pettegolezzo, esso è sicuramente un istinto comunicativo,
irrefrenabile proprio del mondo animale, uomo compreso: un meccanismo di
autodifesa e insieme il bisogno inconscio di segnalare qualcosa di anomalo,
nell’interesse della specie. Saro pafumi Pubblicata su La Sicilia il 02.07.0215 FB
01.07.3015
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