La politica
vista da un “ quisque de populo”.
Siamo
talmente abituati a vedere l’Italia divisa in venti Regioni, di cui cinque a
Statuto speciale, che immaginarne una diversa è quasi impossibile,
principalmente perché ciascuno di noi si sente legato al suo territorio
d’origine, che, per certi versi, è la sua identità e quella dei suoi avi. Vista
la cosa dal punto di vista “dell’appartenenza” ogni ipotesi di cambiamento è
impossibile. L’Italia politica è come un pollaio (mi scuso per il paragone
irriverente), dentro il quale ci sono alcuni galli e molti pulcini, con il
pigolio di quest’ultimi inascoltato, secondo l’antico detto: “ lassau dittu u
puddicinu nta nassa, quannu maggiuri c’è, minuri cessa”. Del resto la storia
d’Italia, dalla fondazione della Repubblica, fino ai nostri giorni, è stata un
susseguirsi di messaggi inascoltati delle regioni piccole o politicamente
insignificanti. “ La questione meridionale di antica memoria, tuttora
irrisolta, docet! Un altro paragone, altrettanto irriguardoso, può definire
l’Italia geografica, un grande condominio, nel quale chi è portatore di una
manciata di millesimi conta poco o niente. La questione si potrebbe aggiustare
se le venti regioni oggi esistenti si
riducessero a tre: Sud, Centro, Nord, senza privilegi o statuti
speciali, ma ciascuna identica
all’altra, al nastro di partenza e non un raggruppamento di persone, che si
riconoscono per la loro appartenenza territoriale, polverizzata e
inconcludente. Oggi l’attuale situazione frammentata fa certamente comodo a
qualcuno, ma si dimostra palesemente deleteria per altri, col paradosso che
sono i pochi a imporre le scelte ai molti, col risultato che è sotto gli occhi
di tutti. I Romani dicevano: “Divide et impera” Un motto sempre attuale, che la
nascita della Repubblica, così com’è, ha accentuato e che i numerosi politici
meridionali o meridionalisti non hanno mai saputo affrontare e risolvere. Saro
pafumi. FB 11.12.2015
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