I Monti Sartorius
In America la guerra
di secessione volgeva al termine,
l’Unità d’Italia aveva appena quatto anni, nel meridione imperversava il
brigantaggio.
Questo lo scenario
nell’anno 1865, quando nel gennaio l’Etna partorì la bottoniera, una serie
di bocche eruttive, che, in seguito, si chiameranno Sartorius, in omaggio a Wolfgang Sartorius von Waltershausen,
scienziato vulcanologo, che dalla sua Germania, all’età di cinquantasei anni,
morirà undici anni dopo, fu il primo a catalogare
le principali eruzioni dell’Etna, passando, poi, il testimone al fiorentino Orazio
Silvestri (morirà a Catania nel 1890), che a trenta anni
sui Sartorius scopri la sua vocazione.
Questi gli importanti
eventi storici di quel tempo, che impallidivano, sulla stampa, al cospetto
della violenta e prolungata eruzione dell’Etna, che in sei mesi aveva divorato
quella parte della pineta, che da Monte Frumento delle Concazze si estendeva
fino a Monte Crisimo.
Una vasta area
boschiva che i linguaglossesi, fortuna loro, avevano dovuto vendere per
ripianare i debiti nati dal riscatto della loro terra. Raggiungere i Sartorius
è facile, ma dopo una buona camminata
e un’erta salita,
che lascia senza fiato.
A me è capitato un tramonto ventoso, che ha reso l’impresa immemorabile. Inutile, lassù,
pregare tutti i Santi del paradiso
perché il vento non ti faccia precipitare dentro la voragine che si apre sotto i piedi o rotolare
all’indietro, lungo il costone appena
scalato. E’ la stessa natura che ti viene in aiuto, se sai coglierne i
messaggi.“Strisca per terra come me, non vedi che la mia chioma è prona?”
Par pietosamente suggerirmi, un vecchio
pino che mi sta alle spalle.
Capisco e striscio anch’io,
non so se per paura o per inchinarmi alle forze della
natura.
É l’ora del tramonto.
Il sole, strisciando sulla schiena rocciosa di un lontano
monte, pare stracciare le sue carni, lasciandovi
sopra una scia di sangue, che schizzando gocce nel cielo morente, si tingono di rosso.
Giù a valle è già
buio.
Quando vi giungiamo,
mille betulle ci vengono incontro,
danzando dentro le loro vesti bianche, fantasmi sembrano,
venuti dall’altro mondo. Ad accompagnare le loro danze al
buio è il silenzio della valle e più su il sibilo del vento che non cessa la sua corsa verso l’ignoto.
Un ultimo
sguardo si fa largo tra le ombre
per ammirare le molte bombe vulcaniche sparse ai piedi del cono. Palle
di fuoco sputate, altissime, in cielo, che,
ora, giacciono nere, fredde e immobili, che nessun ciclope può sollevare, a
ricordarci il delirio della natura in quel momento di fuoco.
Per un pò pensai
all’attimo dell’esplosione, quando si aprì la bottoniera con le sue tante
bocche, i mille lampi, le palle di fuoco, il tremore della terra, il rumore, il
silenzio che ne seguì, di morte. Per un attimo pensai al Padreterno, presente a
tale superba, sgomenta violenza.
Lo immaginai confuso,
disorientato a guardare e temere
che persino a Lui, in quel momento, qualcosa, forse, gli stesse sfuggendo di mano.
In questa mia lunga
corsa a conoscere l’Etna, nel suo ventre. I Sartorius mi mancavano.
Ora sono conservati dentro
lo scrigno dei miei
ricordi, in un remoto angolo del mio cuore, ma
il vento, quel vento non mi abbandonerà mai, l’ho dentro di me. E’ diventato il mio respiro,
quando l’ansia mi assale.
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