martedì 30 luglio 2024

Il vino etneo,l'unione farebbe la forza.

 

Il vino etneo, l’unione farebbe la forza.

 

Certi proverbi, nel nostro profondo sud, non sono apprezzati o sono sottovalutati, nonostante fonti d’autentica esperienza vissuta. Uno di questi: “L’unione fa la forza”, sostanzialmente un inno all’associazionismo. Un fenomeno che ha fatto la fortuna di molte imprese e di svariati prodotti del nord.

Prendiamo ad esempio il vino, d’ottima qualità, che si produce nella zona etnea: Linguaglossa, Castiglione e paesi viciniori.

Una miriade di piccoli coltivatori produce ed imbottiglia il proprio prodotto con le etichette più svariate, alla ricerca affannosa di un proprio mercato. Una forza frantumata in mille realtà, ciascuna delle quali, per farsi conoscere e distribuire, spende una barca di soldi, con risultati talvolta deludenti, immettendo sul mercato un’infinità d’etichette o marchi che in definitiva rimangono ignoti al gran pubblico. Così scopri un Doc dell’Etna che si chiama Rossi, altro Bianchi ed altri ancora, molti derivati dagli stessi vitigni.  

Se ci fosse un prodotto unico, si chiami “Linguaglossa” o “Castigione” (il nome legato al territorio di produzione è già un marchio universalmente riconoscibile), si avrebbe il risultato di immettere sul mercato un unico marchio, sostenuto da tutte le forze produttive, identico per zona di produzione, qualità organolettiche e prezzo, sì da renderlo inconfondibile.

Una riflessione talmente ovvia, da sfiorare la banalità, eppure tristemente disattesa. Il mio augurio è che si superino gli esasperati individualismi, le gelosie, le diffidenze che ci caratterizzano e si tralasci di curare il proprio orticello per abbracciare o almeno imitare quell’associazionismo del nord, fonte di benessere, di qualità, d’immagine, di prestigio.

Un approccio culturale meglio strutturato e l’abbandono del concetto di “bottegaio”, anche a noi farebbe scoprire, forse, una verità sempre conosciuta, ma da noi cocciutamente disattesa: “ L’unione fa la forza”.Pubblicata oggi 30.07.2024 su La Sicilia.

lunedì 29 luglio 2024

Gemellaggio emotivotra Linguaglossa di Saro Pafumi e "la mia Licodia Eubea" di Enzo Trantino

 

La Sicilia di oggi  29.07.2024

"Lettera a rne stesso"      

di ENZO TRANTINO   

Gemellaggio emotivo  tira la Linguaglossa di Saro Pafumi    e la "mia Licodia"     

Enzo,

Saro Pafumi, scrittore immediato della sua Linguaglossa, meriterebbe  l'invito in cattedra, almeno mensile, nelle scuole di formazione di una città di •"grandi firme",. dalla medicina alla scultura per ricordare ai ragazzi racconti di costume oramai affidati allo sbadiglio, di chi sembra nato sotto un cavölo, senza comprendére la continuazione di famiglie, che appartengo no alla storia della comunità .Si sono salvate le piazze ora deserti spiazzi per passanti frettolösi,ieri, teatro della vita

Pafumi  mi ha costretto a chiudere gli occhi e a raggiungere le mie prime esperienze di couunità,  nella mia Licodia Eubea. E' un gemellaggio emotivo che merita accoglienza nella 'lettera perché testimonianza di un quotidiano incontro, unica occasione di riflessione e di comunicazione. Tornavano attuali recenti funerali e contrastati matrimöni sino alla sparizione naturale delle "sorelle Masi". Nessuno s'erä accorto della loro esistenza "förse, a pensarci bene, neppure loto.".

Quando la sera cedeva il passo alla notte, si rientrava a casa, cercando di essere gli ultimi per non essere"sparrati", per non finire cosi nei riferimenti divertenti.

Nelle vacanze e. nei pomeriggi dei giorni ordinari sua maestà il pallone regnava tra gioiosi insulti avanti gli inviti non accolti di ‘ passare la palla’. Oltre non vi era spazio. Era il costume del "poco o niente", rna era vita, appuntamento felice, incontri di esperienze in nocenti. “ U Chianu" era il perimetro dell'ordinario, dove tutto arrivava in ritardo.

Pafumi racconta del "circolo", dove si distribuivanö i giornali del giorno precedente, perché, tagliando la "testata?', l'invenduto era gratis. La guerra in Corea per esempio era avvenimento lontanissimo, döve gli uomini uccidevano gli uomini, fucili contro fucili..

Oggi, abbiamo fatto il 'callo", cöme insegnava Cicerone, sintetizzando la ripetitività. Abbiamo da seguire ben due guerre in corso,viviamo, assenti, l’abitudinarietà. Abbiamo perso per non uso il diritto pensare, perche 1’ appalto permanente e stato vinto dagli"Opinioni, quelli che del ‘video' provano senza impegno il mestiere di tuttologi ,dal Covid, alle strategie militari, all'intelligenza artificiale al drenaggio, al clima

Parlano con foga, ostentando supponenza Parlano quasi sempre inascoltati  E' l'altro mondo, quello dove la conta dei morti e un veloce passaggio di numeri per passare finalmente allo sport alla bellissima immagine del rnarziano Sinner l'umano inno alla gioia Quando poi il tema e la politica per chi come noi ha vissuto la piazza', conforta la nostalgia del rimpianto. Tutti a scontrarsi con la bava nel cuore ,tutti a odiare come esercizio permanente

Guardo il piccolo dei miei nipoti, sa pendo di deluderlo alla richiesta” rna voi come passavate il tempo in provincia"?  Risposta fugace “vivendo"

ENZO

martedì 23 luglio 2024

La spensieratezza è un ricordo.

 

La spensieratezza è un ricordo.

Un tempo lontano quando le difficoltà del quotidiano vivere erano maggiori, a cominciare dal cibo, non era infrequente incontrare per strada, a piedi o a dorso di asini e muli, persone dall’aria allegra, che facevano ritorno a casa, dopo una giornata di nera fatica, fischiettando o cantando la canzone del cuore. Un’abitudine per dissolvere nel canto l’amarezza accumulata dopo una giornata di lavoro, trasformandola in spensieratezza, che liberava dal peso della vita. Oggi quella spensieratezza si è dissolta e nessuno si sente fischiettare o cantare, anzi col capo chino appesantito da mille pensieri, fa ritorno a casa, dove lo aspettano altri problemi. Il cibo non manca; la scala di granito, tanto sperata è una realtà; in giardino la piscina, con la sua acqua quieta e trasparente, che ha il colore del cielo, ci fa sognare di essere sul lago di Garda, mentre tutt’intorno, l’aria profuma di rose. ‘Cosa vuoi di più dalla vita ? ’ pare ricordarci un noto refrain. Eppure c’è un invisibile, pernicioso virus,che ci rode la vita: l’insaziabilità,contro cui s’infrange la vita dell’uomo con i suoi valori, che si accompagnano all’abbrutimento della società e al cinismo dell’intelletto. Le tradizioni, un tempo grate ai nostri antenati, ormai sonnecchiano nella sopita mente. Non basta più il profumo odoroso di una pentola,messa sul fuoco, alla luce arancione di una lampada a petrolio per ripagarci della fatica Tutto è assorbito dalla voglia di volere di più. Ecco quindi che affiora nell’animo umano l’insaziabilità. Una voragine in cui precipita l’uomo, che lo snatura, lo sfigura e lo priva di quella spensieratezza, che rendeva dolce, un tempo, il sapore della vita, nonostante la fatica e i sacrifici. Oggi abbiamo tutto o quasi, ma ci manca la leggerezza del canto: le nostre ali per immaginare di volare .Pubblicata oggi 23.07.2024 su La Sicilia.

domenica 21 luglio 2024

Il canto del cuculo

 

IL canto del cuculo.

Ogni anno attendo con piacere il ritorno del cuculo col suo monotono canto Mi ricorda la mia fanciullezza, quando, per alleviare la calura delle serate estive, immerso nel silenzioso mistero del buio, le trascorrevo disteso sul balcone ad ascoltare il cuculo, che aveva scelto il vicino campanile per deliziarmi del suo canto. Quello che poteva sembrare un canto triste e ripetitivo impregnava il mio animo di fresca levità. Era tanta la sua forza attrattiva, da impegnare la mia mente a calcolare la pausa tra un cu-cù e l’altro, riuscendo a prevenirne il suono, spesso sovrapponendo il mio, al suo cu-cù. Sé è vero che il cuculo canta in cerca d’amore, tra noi due si era stabilito un intreccio amoroso, impegnati l’uno a cercare l’altro. Si dice che quando il cuculo canta le cicale zittiscono e viceversa,perché entrambi del silenzio hanno fatto il loro regno,che sapientemente si sono ripartiti,mentre tutt’intorno il mondo dorme. Solo il contadino rimane sveglio per trarre dal suo canto gli auspici per il suo raccolto. Si crede, infatti, che se il suo canto provenga da est il segno è propizio, al contrario se proviene da ovest. Credenze popolari che nei segni della natura affondano le speranze di chi disperato resta, costretto a faticare nell’incertezza di un raccolto. Gratificato e sospinto da quel canto, col viso rivolto verso l’alto, sceglievo poi un angolo di cielo e cercavo di contare le stelle. Quella ricerca mi aiutava a sorreggere il tempo, liberandomi dalle fatiche giornaliere e dai pensieri, che offuscavano la mia mente. Ancora oggi nelle calde notti, quando cerco la serenità, il mio orecchio è teso alla ricerca del canto del cuculo, che mi rifà sentire giovane. Non conto più le stelle, ma ascolto l’eterno ticchettio del tempo, lento ma inarrestabile, sperando che io non sia, alla mia tarda età, l’ultima foglia secca e ingiallita, che lascia l’albero della vita, ma che possa rivedere, ancora una volta, il sorgere del sole.

Tratto da “ Il sole è stanco di sorgere ogni mattina” di Saro Pafumi

 

sabato 20 luglio 2024

Giudici -_ Separazione delle carriere.

 

 

Giudici- Separazioni delle carriere.

E’ all’ordine del giorno la legge sulla separazione delle carriere dei giudici. Le tesi tra i pro e i contro sul disegno di leggi  sono varie e contrastanti. Ai giudici la proposta fa venire l’orticaria, perché l’innovazione, di portata costituzionale, incide profondamente sul concetto di ‘giudice’, che attualmente abbraccia le due funzioni, talmente radicato nell’animo di chi esercita queste funzioni, da considerare la riforma una violenza fisica, giuridica e ideologica. Al di là della fondatezza delle opposte tesi, c’è da aggiungere, che ove si finirà con l’approvarla, dovranno passare almeno due generazioni, prima che la riforma sia assorbita da chi, a modo suo, non riesca a recepire il concetto che il PM non è un giudice, ma rappresenta la pubblica accusa. Una novità non di poco conto, perché le due funzioni sono caratterialmente diverse. Il giudice deve cercare la verità, mentre la Pubblica Accusa, l’autore del misfatto. Funzioni che presuppongono preparazione, studi, competenze e approcci culturalmente diversi. Guai a mescolare le due funzioni, perché un giudice non può mai essere un buon poliziotto e un Rappresentante dell’accusa, un buon giudice: una visione pirandelliana in cui si può essere contemporaneamente Uno. Nessuno, Centomila. Una moltiplicazione di ruoli, che trova origine nell’avidità umana. A nessuno, immagino, piaccia farsi giudicare da un giudice che prima era un p.m. Basterebbe questa considerazione, universalmente sentita, per tenere separate le due funzioni, che sono e restano contrapposte, perché è evidente che l’esercizio di una funzione porta con sé, a lungo andare, ciò che si definisce ‘deformazione professionale”Un carabiniere non ha la veste mentale di un finanziere, secondo cui tutti siamo evasori ‘a prescindere’. La confusione dei ruoli è la prerogativa di questo periodo storico, in numerosi campi del vivere umano, nella sanità, in particolare, con gli infermieri e i farmacisti che fanno i medici e viceversa. Restare nei propri ranghi è indispensabile, per evitare risultati deludenti e spesso fuorvianti, specie in ambiti di salute e libertà, veri capisaldi dell’essenza umana. Pubblicata oggi  20.07.2024 su La Sicilia.

mercoledì 17 luglio 2024

Razzisti a parole

 

Razzisti a parole

Se chiedete a qualcuno se sia razzista, la risposta è tra lo stupore e l’indignazione. Nessuno si sogna di dichiararlo, anche se lo pensa, perché è di moda il politicamente corretto, che impone di adeguarsi al pensiero comune. In qualche caso alla domanda sul razzismo, si risponde di non esserlo, aggiungendo un ‘ma’, che nasconde una verità grande, quanto una casa; un virus sopito di cui quasi tutti siamo infetti. Il razzismo a parole è più diffuso di quanto si creda e molti modi di dire lo confermano.”Moglie e buoi dei paesi tuoi”; “Paese che vai, usanza che trovi”; Le istituzioni morali della vita sono diverse da Paese a Paese (Cicerone in ‘de Republica’; ‘Ogni uomo ha una pancia,ogni Paese un’usanza’ E per dirla con A,Fallaci. “Se dici la tua sul Vaticano, sulla Chiesa Cattolica, sui Papa, sulla Madonna, su Gesù, sui Santi, non ti succede nulla. Ma se fai lo stesso con l'Islam, col Corano, con Maometto, coi figli di Allah, diventi razzista”. Detestiamo il razzismo, ma poi nei fatti lo pratichiamo,quando sfruttiamo il lavoro degli immigrati a basso costo o quando riferendoci ai marocchini, li chiamiamo “ i vù cumprà”. Siamo razzisti a parole quando usiamo espressioni apparentemente normali, ma in realtà nascondono unì’evidenza, che teniamo nascosta. “Non sono razzista, ‘ma’….. è l’espressione più loquace, aggiungendo quel ‘ma’, preceduto da virgola. che come preposizione avversativa segnala un contrasto tra le circostanze espresse nelle due proposizioni. Inutile ‘ammucciari u suli cu criu”, mi verrebbe da dire.”; ca nisciun è fess”, direbbe Totò. Ammettiamolo che siamo un po’ razzisti,se non altro a parole, anche se vogliamo non esserlo! Pubblicata oggi 17.07.2924 su La Sicilia.

domenica 14 luglio 2024

La TV,fonte di stress.

 

 

La TV, fonte di stress.

Oggi ad ascoltare la TV non c’è da rimanere allegri. Abbondano le notizie tristi, ferendo l’animo umano per la crudele disinvoltura di alcuni delitti, commessi anche da giovani, il che rende la notizia più triste, stupefacente e stressante. Queste notizie sono accompagnate, come se non bastasse, da particolari agghiaccianti, fornendo un quadro plastico della situazione, che nulla aggiunge alla notizia, se non quello di renderla maledettamente macabra e ripetitiva. Lo sgomento diventa più forte, quando certi delitti sono consumati da giovani. Dai vari commentatori il giudizio è sempre lo stesso: colpa della famiglia che non ha saputo impartire ai figli i giusti valori. Un giudizio vacuo, quanto inefficace, perché fa riferimento a un’entità, la famiglia, che nella società di oggi esiste solo nel dizionario. Occorre ammettere che le vittime di cui si parla non sono né il carnefice, né la vittima di turno e nemmeno la famiglia, questa entità astratta che ha perduto da tempo la sua funzione. Come possono ritenersi responsabili i genitori, se entrambi vivono la loro esistenza fuori di casa e se, tra faccende domestiche, una corsa in palestra e un’altra al supermercato, il tempo che resta serve solo per dormire? La tecnologia (cellulare, televisione, e altro) ha aggravato il già disimpegno della famiglia, che, ridotta in frantumi, può definirsi uno spezzatino in cui mancano gli ingredienti principali: amore, obbedienza, tolleranza, rispetto responsabilità e non ultimo il tempo per amalgamare il tutto. La responsabilità è della società che ha svuotato la famiglia, della sua funzione primaria, unico baluardo a difesa dei figli Occorre lavorare sul singolo individuo tenendo conto che un giovane a sedici anni è già adulto, Nelle scuole occorre trasformare l’ora di religione (che deve trovare spazio nei libri di storia) in insegnamento di etica (Aristotele e Spinoza). Per ultimo sarebbe utile far fare ai giovani qualche ora in meno di palestra scolastica, sostituendola con l’esperienza carceraria: la brutale realtà che li aspetta, quando vengono meno i valori esistenziali. Pubblicata oggi 14.07.2024 su La Sicilia.

domenica 7 luglio 2024

A muntagna 'ncazzata

 

A muntagna 'ncazzata (Etna's upset!)                                           
Mi piace condividere questa  riflessione pubblicata tempo fa anche in  America

 

Don Sarbaturi a sintiti a muntagna, iavi ‘na simana ca fa bum!…... bum!

E chi vi pari ca sugnu surdu?

E nun vi scantati di stu cuntinuo trimulizzu?

Scusati ma vui di unni siti? Da merica? Non sapiti ca ogni tantu a nostra muntagna si fa sentiri, distrubuennu “carizzi” a destra e a manca?

Certu co sacciu, ma stavota mi pari chiù ‘ncazzata.
Avi ragiuni, nuzzintedda!. L’ebbichi su cangiati, nun c’è rispettu pi nuddu. Na vota ca muntagna ci campaumu, oggi ’inveci mancu la cacammu. E idda chi fa? Fa comu chiddu di Milazzu: comu fanu a ccussì fazzu.

A sentiri vui, chi n’amma spittari ‘na mala azioni?

Chiddu ca fa lu sapi sulu la so ragiuni. Pi ora è comu si dicissi: “stati attenti ca si nun cangiati iò vi pigghiu a pidati”. Ma siccomu è ‘na vera Signura, primma duna l’avvertimnentu e poi distribuisci la svintura.

Ma picchì, c’avissumu a fari?

Lu rispettu è misuratu, cu u porta, l’avi purtatu. Cu stu dittu ’ntendu diri ca muntagna sa sapiri parrari. Vi pari justu ca li motu chianunu e scinnunu a so piacimentu e rapprisennunu pu territoriu un veru turmentu? Vi pari justu ca ‘na vota cu ieva a muntagna rispirava aria pura, e ora ’nveci è ‘na vera suzzura? Vi pari jiustu ca da muntagna semu boni a pigghiari e mai a lassari? Nun viditi, per esempiu, comu l’abbiiri sunu tutti malati e nun c’è un figghiu ‘i cani ca si duna da fari? Pi nun parrari di li scerri attornu a sta “torta”, comu si la muntagna fussi l’abbiru da cuccagna. U vuliti capiri ca a muntagna è comu a nostra matri, idda ci ginirau e sulu idda ci po’ sarvari. Si capiti stu dittu, vui da muntagna siti lu figghiu binidittu. Si ‘nveci vi calati avanti l’occhi la burritta, a muntagna s’incazza, nun varda a nuddu ‘n faccia e cala ritta.  saro pafumi. 

 

                                                                                     

Traduzione italiana.

La montagna arrabbiata.

 

Don Salvatore la sentite la montagna? E’ una settimana che fa bum, bum…

Ma vi pare che sono sordo?

E non vi spaventate del tremito continuo?
Scusate, ma voi di dove siete… dell’America? Non sapete che ogni tanto la nostra montagna si fa sentire distribuendo “carezze” a destra e a manca?
Certo che lo so, ma stavolta mi pare più incavolata.
Ha ragione, poveretta! L’epoca è cambiata, non c’è rispetto per nessuno. Una volta con la montagna ci campavamo, oggi nemmeno la consideriamo. E lei che fa?  Fa “come fanno a Milazzo, cioè come fanno loro io faccio”
A sentir voi ci dobbiamo aspettare una cattiva azione?
Lo sa solo la sua testa, quello che fa. Per ora è come se dicesse: “Attenti che se non cambiate vi prendo a calci!” ma siccome è una SIGNORA prima avvisa e poi distribuisce sventura.

Ma perché, che dovremmo fare noi?
Il rispetto è misurato, chi lo porta a sua volta lo ha portato. Con ciò intendo dire che la montagna sa parlare. Vi pare giusto che le moto fanno su e giù a piacere, che per il territorio sono un vero tormento? Vi pare giusto che una volta io andavo a respirare aria pura in montagna e ora invece solo spazzatura? Vi pare giusto che siamo tutti bravi a prendere dalla montagna e mai a donare? Non vedete, per esempio, come gli alberi sono tutti malati e non c’è figlio di un cane che si dà da fare? Per non parlare delle liti attorno a questa “torta”, come se fosse l’albero della cuccagna. LO VOLETE CAPIRE CHE LA MONTAGNA E’ NOSTRA MADRE e solo lei ci può salvare? Se capite questo detto siete figli benedetti, se vi calate il cappello davanti agli occhi la montagna si incazza, non guarda in faccia nessuno e viene giù drittasaro pafumi

 

 Traduzione in inglese                                                                             

The mountain is angry. 

Don Salvatore can you hear it? It 's been a week that she goes boom and boom... 
But do you think that I'm deaf? 
And aren’t you afraid of the continuous tremor? 
Sorry, but you ... where are you from, America? Don't you know that occasionally our mountain makes noise by distributing "caresses" here and there? 
Of course I do, but this time it seems to me more pissed off. 
She's right, poor thing! The time has changed, there is no respect for anyone. Once we lived thanks to the mountain, today we don’t even consider it. And she does what? She does as they do in Milazzo, that is, “what they do to me, I do to them” 
So, should we expect a bad event? 
Only she knows what she does. For now it is as if she said, "Beware that if you do not change I'll kick you!" But since she is a LADY she alerts first, and then distributes misfortune. 
But why ... what should we do? 
Respect is measured, you get it if you give it. By this, I mean that the mountain speaks. Is it good that the motorbikes go up and down, a real torment for the territory? Is it right that I once went to breathe fresh air on the mountain and now I only find trash? Is it good that we are all good at taking from the mountain, and never donate? Don’t you see, for example, that the trees are all sick and there is no son-of-a-bitch that is doing anything at all? Not to mention the arguments around this "cake", as if it were the greasy pole. WILL YOU UNDERSTAND THAT THE MOUNTAIN IS OUR MOTHER and the only one that can save us? If you understand that, you are blessed children, if you drop your hat before the eyes then the mountain gets angry, she won’t look at anyone and will come straight down. 
saro pafumi

 

giovedì 4 luglio 2024

Etna - I tesori di Valcalanna.

 

ETNA - I tesori di Val Calanna

 

Un luogo incantevole della nostra Etna che va visitato

 

Quando vi giungi dal bivio per Monte Pomiciaro, percorrendo, tra castagni e pometi, la provinciale che da Zafferana conduce a Nicolosi, hai l’impressione di avere sprecato il viaggio. Dal piazzale che si apre sulla valle, una folta vegetazione di faggi t’impedisce di scorgere, come benda agli occhi, lo scenario che mai immagini.

Evita di roderti il fegato per la mancanza di servizi e per i cumuli di spazzatura che dribbli con i piedi, bestemmie d’umane greggi, lasciate lì a mutarsi in rifiuti di vergogna.

Facendoti spazio, tra contorti rami di faggio, raggiungi, non senza pericolo, una zona scoscesa che si apre sull’immenso: è Val Calanna. Un tempo rigogliosa gola profonda di verdi pascoli, di lievi e pure acque, oggi perennemente sepolta dall’ira del vulcano.

Dimentica il pericolo e la tristezza che il sito offeso ti offre e volgi lo sguardo in quella che fu una valle, dove la lava si è tuffata, rubandole persino il nome.

T’interroghi, stupito, cosa rappresenti quello che si stende sotto i tuoi piedi: se una cascata di nero basalto scolpita da una divinità, se un’onda gigantesca mummificata,  se la tomba d’impareggiabile flora sepolta, se “voglia” di nuova vita quegli sparsi cespugli di timida vegetazione che spuntano tra onde di lava contorta, se il resto di una valle in gramaglie che piange la sua creatura “uccisa” in grembo, se il fantasma di un’isola sommersa che qui affiora dalla roccia, se atolli in un mare di morte, se il sogno infranto di una lingua di fuoco che voleva tuffarsi in mare.

Forse solo lo specchio della tua anima, perché in quel nero mare immobile di lava vi scorgi quello che l’animo tuo ti suggerisce: il primo gradino dell’inferno, in un presagio di morte o la testimonianza di un miracolo naturale che il tempo ha fermato.

Se ci fosse una rotonda che si affaccia a sbalzo sulla valle d’incanto “venderei”, tanto il secondo, quella visione di magia. Non chiederei denaro, ma brandelli dell’anima di chi si affaccia, per immolarli alla natura che qui ha generato se stessa immortale. Un “tesoro visivo”, quel che resta della Val Calanna, abbandonato da noi uomini rimasti “primitivi”, come uno dei tanti   rifiuti,

ivi, non raccolti.

mercoledì 3 luglio 2024

L'amore resiste,ma ha cambiato destinatario.

 

L’amore resiste, ma ha cambiato destinatario.

Quante volte sentiamo dire: non c’è più amore. Un’affermazione banale, che non trova fondamento nella realtà. L’amore, infatti, è così insito nell’animo umano, che pensare di averlo perduto è impossibile, perché è un istinto che nasce e muore con l’individuo. Anche l’uomo più malvagio prova amore, anche se di esso coltiva una distorta visione. Oggi l’amore conserva tutta la forza, ha solo cambiato destinatario. Deluso dalle attese di chi dall’amore aspetta riconoscenza e gratitudine, ha rivolto altrove la sua forza e deluso dalle sue attese, ha cercato negli altri esseri ciò che non trova nell’ambito umano. Chi ha fatto del bene conosce la ‘sindrome rancorosa del beneficato’, che consiste nel liberarsi dalla gratitudine, trasformandola in rancore. Un tempo era inimmaginabile ricoverare i propri genitori, avanti negli anni, in strutture di accoglienza, recidendo così le radici dall’ambiente domestico, in cui avevano trascorso la loro vita. Privi dell’amore filiale, che non presenta un ritorno affettivo, si sceglie la via più comoda: liberarsi dai doveri, impegnando la forza amorosa in altri campi, dove all’amore corrisponde un ritorno affettivo. La stessa solitudine, che oggi avvolge l’uomo moderno, non trova sbocco in opere di assistenza o apostolato, ma è riempita dalla scelta di un animale domestico, cui riversare la forza emotiva, che non trova sbocco. Lo scodinzolio di un cane, attraverso cui l’animale esprime il suo stato d’animo, è segno di gratitudine:un ritorno affettivo per le cure corrisposte; il profumo di una pianta, coltivata sul balcone, oltre a rallegrare la vista, produce benessere e godimento In quest’epoca d’individualismo sfrenato e di egoismo generalizzato, l’amore ha scelto altre vie. L’uomo moderno ha fatto proprio il detto edonistico:’do ut des'. che si configura quando a una a prestazione ne corrisponde un’altra, come risposta e compenso per quella ricevuta. Una posizione ideologica, in cui l’amore trova la sua giusta posizione, ossia la ‘monetizzazione’ di se stesso, intesa come recupero di ciò che si è dato. “L’amore per l’amore” è relegato nel mondo dei sogni. Oggi vige la concretezza dell’amore, figlia dell’edonismo, secondo il quale il fine di ogni azione umana è, e non può non essere che il piacere. E’ triste dirlo, ma oggi si ama di più una pianta di basilico tenuta sul davanzale. anziché chi abita al piano di sopra. Pubblicata oggi 03.07.2024 su La Sicilia

martedì 2 luglio 2024

I monti Sartorius

 

I Monti Sartorius

 

In America la guerra di secessione volgeva  al termine, l’Unità d’Italia aveva appena quatto anni, nel meridione imperversava il brigantaggio.

Questo lo scenario nell’anno 1865, quando nel gennaio l’Etna partorì la bottoniera, una serie di bocche eruttive, che, in seguito, si chiameranno Sartorius, in omaggio a Wolfgang Sartorius von Waltershausen, scienziato vulcanologo, che dalla sua Germania, all’età di cinquantasei anni, morirà undici anni dopo, fu il primo a catalogare le principali eruzioni dell’Etna, passando, poi, il testimone al fiorentino Orazio Silvestri (morirà a Catania nel 1890), che a trenta anni sui Sartorius scopri la sua vocazione.

Questi gli importanti eventi storici di quel tempo, che impallidivano, sulla stampa, al cospetto della violenta e prolungata eruzione dell’Etna, che in sei mesi aveva divorato quella parte della pineta, che da Monte Frumento delle Concazze si estendeva fino a Monte Crisimo.

Una vasta area boschiva che i linguaglossesi, fortuna loro, avevano dovuto vendere per ripianare i debiti nati dal riscatto della loro terra. Raggiungere i Sartorius è facile, ma dopo una buona camminata e un’erta salita, che lascia senza fiato. A me è capitato un tramonto ventoso, che ha reso l’impresa immemorabile. Inutile, lassù, pregare tutti i Santi del paradiso perché il vento non ti faccia precipitare dentro la voragine che si apre sotto i piedi o rotolare all’indietro, lungo il costone appena scalato. E’ la stessa natura che ti viene in aiuto, se sai coglierne i messaggi.“Strisca per terra come me, non vedi che la mia chioma è prona?”

Par pietosamente suggerirmi, un vecchio pino che mi sta alle spalle.

Capisco e striscio anch’io, non so se per paura o per inchinarmi alle forze della natura.

É l’ora del tramonto. Il sole, strisciando sulla schiena rocciosa di un lontano monte, pare stracciare le sue carni, lasciandovi sopra una scia di sangue, che schizzando gocce nel cielo morente, si tingono di rosso.

Giù a valle è già buio.

Quando vi giungiamo, mille betulle ci vengono incontro, danzando dentro le loro vesti bianche, fantasmi sembrano, venuti dall’altro mondo. Ad accompagnare le loro danze al buio è il silenzio della valle e più su il sibilo del vento che non cessa la sua corsa verso l’ignoto.

Un ultimo sguardo si fa largo tra le ombre per ammirare le molte bombe vulcaniche sparse ai piedi del cono. Palle di fuoco sputate, altissime, in cielo, che, ora, giacciono nere, fredde e immobili, che nessun ciclope può sollevare, a ricordarci il delirio della natura in quel momento di fuoco.

Per un pò pensai all’attimo dell’esplosione, quando si aprì la bottoniera con le sue tante bocche, i mille lampi, le palle di fuoco, il tremore della terra, il rumore, il silenzio che ne seguì, di morte. Per un attimo pensai al Padreterno, presente a tale superba, sgomenta violenza.

Lo immaginai confuso, disorientato a guardare e temere che persino a Lui, in quel momento, qualcosa, forse, gli stesse sfuggendo di mano.

In questa mia lunga corsa a conoscere l’Etna, nel suo ventre. I Sartorius mi mancavano.

Ora sono conservati dentro lo scrigno dei miei ricordi, in un remoto angolo del mio cuore, ma il vento, quel vento non mi abbandonerà mai, l’ho dentro di me. E’ diventato il mio respiro, quando l’ansia mi assale.

lunedì 1 luglio 2024

Linguaglossa ieri, oggi, domani

 

Linguaglossa, ieri, oggi, domani.

È da quando sono nato che sento ripetere: Linguaglossa è adagiata in una valle, circondata da colline.

Si dimentica, però che se lo sguardo volge là ove sorge il sole, esso ci appalesa l’infinito azzurro del mare. A ben vedere più che assediata da colline, sembra accarezzata dall’abbraccio premuroso di una madre. Una verde posizione,che tra tornati e discese degrada lievemente verso il mare, dove, felice, riversa i suoi profumi e i suoi colori. A ovest lo sguardo arcigno dell’Etna ci ricorda che sta lì da sempre, camaleontico, nero, bianco, o di fuoco, che, emerso dagli abissi, sembra disegnato dalle magiche pennellate di un pittore, dove cielo, fuoco, neve e mare si fondano senza confini.

In questa minuscola conchiglia qualcuno a suo tempo pensò di fondare Linguagrossa e Madre Natura la vestì di pini, regalandole il verde della speranza, profumato di resina che ricorda il sacro incenso. L’acre odore del tempo l’ha resa più bella, quale oggi è: una piacevole sorpresa per chi tardivamente la scopre. 

Linguaglossa non è nata dalla bizzarria di un occasionale tocco magico, essa è stata generata dal lavoro di mille braccia, dal sudore della fronte di arsi uomini, che, sole o pioggia, vento o neve hanno costruito chiese, case, incantevoli verdi pubblici, alzato muri, dissotterrato pietre, sradicato e piantato alberi, raccolto o perduto frutti in una perenne altalena di gioie e dolori.

Basta guardare le colline che la circondano, dove i terrazzamenti, per trattenere lembi di terra strappate ad alture scoscese, sembrano giochi di bambini che la fatica ha reso adulti. Da qui si sente, talvolta, il feroce ruggito di altre comunità vicine che non le somigliano nel corpo, né nel carattere Un luogo da cui, nelle notti insonni, poter contare le stelle, una a una, che non sono lontani punti luminosi, ma compagne di vita, ciascuna col suo nome.

Qui la luna con la sua gobba ora a levante, ora a ponente si mostra in cielo dall’alba al tramonto, anche quando la luce del giorno le dona la trasparente spiritualità di un’ostia incollata in cielo Qui le campane delle chiese hanno il suono della voce amica, perenne, immutabile, inconfondibile.  Qui le strade non sono vie di comunicazione, ma appendici delle nostre dimore, dove ogni zolla di terra ha l’impronta dei nostri passi, lenti o spediti, talvolta perduti. Qui dove il profumo della terra non cambia mai. Qui dove la nebbia nasconde le cose lontane, ma esalta la luce del lampione che opaca mi giunge a rischiarare il melo cotogno che in quest’autunno lambisce la mia finestra con i suoi frutti d’oro.

Linguaglossa si può amare o odiare, mai dimenticare. Perché scorre nelle nostre vene. Qualcuno dice che in terra un luogo ideale non esiste. Peccato che i suoi passi non abbiano lasciato impronta su questa terra.

da Linguagrossa,civitas dilccta ,integra vol.II