Noi e l’alzheimer.
L’alzheimer,
una patologia che blocca la mente e rende irriconoscibile tutto ciò che la
circonda, non è una malattia alla quale è facile assuefarsi. Quando una persona
cara muore, col tempo subentra la rassegnazione, ma se la stessa è affetta
dall’’alzheimer la reazione è diversa, si direbbe più triste e dolorosa. E’
difficile accettare la barriera che ci divide dalla persona amata, muta nella
mente, che sta a guardarci, come se una vita trascorsa insieme fosse un sorso
d’aria svanito nel petto. Tra noi e la persona cara, la vita ha posto una siepe
di filo spinato, contro cui la nostra anima, nel vano tentativo di riportare
alla luce quel grumo di ricordi succhiati dal buco nero del nulla, s’imbriglia,
sanguinando gocce di dolore. L’alzheimer, anticamera della morte, rinchiude la
persona affetta in un virtuale campo di concentramento, dove a germogliare, non
è più un’anima, ma il fiore del dolore. Una visione immaginaria, magistralmente
descritta nell’’opera pittorica di E Munch, dove si vede una donna in uno stato
di profonda tristezza, con attorno tanti fiori appassiti, simbolo delle persone
care che le stanno a fianco e vivono la sua stessa sofferenza. Un dolore che non
ha mai fine e veste forme diverse. Tra tanto soffrire ci piace immaginare chi è
affetto da alzheimer come un fiore col capo chino, che al tramonto della vita
si appresta a volare tra le fuggenti nuvole, alla ricerca di un luogo dove
attecchire e rifiorire, se ciò può servire a lenire anche le pene di chi resta.
Pubblicata oggi 01.05.2024 su La Sicilia
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